Il male morale deriva in gran parte dall'ignoranza?

Aperto da Socrate78, 19 Ottobre 2018, 15:35:48 PM

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Socrate78

Secondo la filosofia socratica (ripresa anche dallo stoicismo) tutti gli uomini tendono naturalmente al bene e il male morale sarebbe il frutto dell'ignoranza del bene stesso: il malvagio scambierebbe per un bene autentico quello che è solo un vantaggio effimero e spesso illusorio, preferendo ad esso ciò che invece è veramente degno di essere perseguito. Infatti se ad esempio una persona compie azioni cattive in nome del denaro o del potere, lo fa perché considera queste cose molto più importanti dell'amicizia, del sostegno reciproco, della vita umana stessa: di conseguenza è "ignorante" in rapporto a quello che conta sul serio.
Esiste però anche un male che non deriva da ignoranza, ma da indole negativa, ed è quello di chi gode della sofferenza altrui per il puro e semplice gusto di farlo: in quel caso la teoria socratica sembra vacillare di molto, perché non riesce a ricondurre al concetto di ignoranza questo tipo di malvagità.
Quindi è possibile dire che il male morale derivi dall'ignoranza del vero bene oppure la malvagità non è riconducibile solo a questo concetto?

0xdeadbeef

Citazione di: Socrate78 il 19 Ottobre 2018, 15:35:48 PM
Secondo la filosofia socratica (ripresa anche dallo stoicismo) tutti gli uomini tendono naturalmente al bene e il male morale sarebbe il frutto dell'ignoranza del bene stesso: il malvagio scambierebbe per un bene autentico quello che è solo un vantaggio effimero e spesso illusorio, preferendo ad esso ciò che invece è veramente degno di essere perseguito. Infatti se ad esempio una persona compie azioni cattive in nome del denaro o del potere, lo fa perché considera queste cose molto più importanti dell'amicizia, del sostegno reciproco, della vita umana stessa: di conseguenza è "ignorante" in rapporto a quello che conta sul serio.



Beh, mi pare ovvio che Socrate dice in quel modo perchè ha del "bene" un concetto assoluto...
Solo con un concetto del bene "ab-solutum", cioè sciolto dal vincolo dell'opinione, si puo infatti dire: "ignorante
in rapporto a quello che conta sul serio".
Chi decide infatti ciò che conta sul serio? Lo decide forse l'individuo che, appunto, decide? Certamente no, perchè
"ciò che conta sul serio" sarebbe legato all'opinione di chi decide.
Dunque Socrate, che pure fu, diciamo, il primo teorico della responsabilità individuale (oltre a quello che fu
condannato per empietà...), in questo caso ci dà la sua "preferenza"; una preferenza che, non a caso, verrà ripresa
poi da Platone in modo più sistematico e coerente.
Del resto, a me pare contraddire il suo "individualismo" (ma che contraddizione feconda...) anche di fronte alle
"Leggi"...
saluti

bobmax

Occorre secondo me approfondire il concetto di ignoranza.

Anche il male, fatto per il solo gusto di farlo, è infatti frutto dell'ignoranza. Cioè deriva dal non avere consapevolezza dell'Uno.
Tardi ti ho amata, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amata. Tu eri con me, mentre io ero lontano da te.

0xdeadbeef

Citazione di: bobmax il 19 Ottobre 2018, 19:09:26 PM
Occorre secondo me approfondire il concetto di ignoranza.

Anche il male, fatto per il solo gusto di farlo, è infatti frutto dell'ignoranza. Cioè deriva dal non avere consapevolezza dell'Uno.



Intendi l'Uno come l'Essere che unifica tutta la realtà? Se così fosse non lo vedo molto distante dal mio "assoluto"
(senonchè il mio è un aggettivo, non un qualcosa che é in sè, e dunque si pone in una posizione consapevole del
"divenire").
A mio modo di vedere, il male nell'Uno più arcaicamente inteso (poi, magari, nel Neoplatonismo il concetto muta)
non esiste, cioè non è al medesimo modo del non-essere parmenideo (è solo apparenza, non verità).
Quindi, in Socrate, il male come ignoranza del bene in quanto ignoranza della sua - del male - irrealtà? Un concetto che
ritengo affascinante per un uomo che si trova "fra" l'immutabilità parmenidea e il divenire platonico...
Interpretazione quindi suggestiva, ma ritengo che in Socrate siano già presenti degli, come dire, "elementi platonici".
E secondo questi elementi, probabilmente ancora allo stato di intuizione, il male "esiste"; è reale.
L'Uno come l'Essere immutabile di Parmenide lascia allora campo ad un "assoluto" che permane NEL divenire. E l'ignoranza
diventa allora ignoranza di "ciò che davvero conta" (cioè dell'immutabile, o assoluto) rispetto a "ciò che non conta"(il
diveniente, il relativo).
Ti ringrazio dell'interessante spunto di riflessione.
saluti

Socrate78

Però l'Uno se è concepito come immanente alla realtà si prenderebbe tutte le miserie del mondo, non è forse così? Se è immanente non sarebbe affatto nobile, dell'uno farebbero parte le malattie genetiche, i peggiori virus, l'inquinamento e per finire la cattiveria stessa sarebbe parte dell'uno, da scrivere con la minuscola a questo punto. Ed ecco allora che se tutto è sacro allora nulla lo è sul serio. Se l'Uno esiste davvero ed è qualcosa di bello, di nobile, esso dev'essere trascendente al mondo, forse il mondo potrebbe esserne un pallido riflesso, ma l'Essere assoluto dev'essere come un Sole che splende al di fuori della realtà stessa.

bobmax

@0xdeadbeef
Che il male sia "non verità" è il requisito etico che coinvolge la nostra essenza.
Siamo chiamati in causa direttanente, perché qui si gioca il destino dell'Essere.

È probabilmente l'unica nostra scelta davvero libera: credere nel Bene assoluto.

Una fede assurda per la nostra mente razionale.

Ma qui siamo al Fondamento, che non sottostà ad alcuna logica.

Il male gratuito ignora il Fondamento, e quindi è in sostanza non essere.
Tardi ti ho amata, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amata. Tu eri con me, mentre io ero lontano da te.

bobmax

@Socrate78
Sì, tutte le miserie del mondo sono nell'Uno.

Ma l'Uno è anche ciò che toglie i peccati del mondo. Appunto, prendendoli su di sé. Proprio in quanto unico responsabile.
In quanto non vi è libertà se non nell'Uno.

Se non vi fosse il male la realtà sarebbe solo vuoto meccanismo.
Ma il male ci chiama in causa.

E così abbiamo l'occasione, proprio in quanto siamo l'Uno, di far in modo che il Bene sia.
Sta infatti solo a noi che avvenga l'impossibile: che il male sia irrealtà.
Tardi ti ho amata, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amata. Tu eri con me, mentre io ero lontano da te.

Socrate78

L'Uno però così concepito, come Colui che toglie i peccati del mondo prendendoli su di sé, rimanda al Dio cristiano, che tuttavia normalmente è visto come trascendente, non come immanente. Il concetto del prendere i peccati su di sé esiste solo nella cultura giudaico-cristiana, non mi risulta sia presente anche in altre visioni del mondo, che pure introducono il concetto di Uno. Mi sembra quindi che il tuo discorso abbia un grosso limite dovuto al fatto che viene pensato in termini cristiani qualcosa che invece rimanda ad altri universi ideologici e religiosi.

bobmax

Sono convinto che l'essenza spirituale sia sempre la stessa.
Nel suo manifestarsi assume però connotati diversi. Ciò è dovuto alla sua inevitabile corruzione quando si cerca di esprimerla. Perché non è un "qualcosa".

Nel fondo di ogni religione o filosofia vive l'Uno.

Ma già la distinzione tra trascendente e immanente (pur necessaria nel nostro esserci) diventa un ostacolo.

Il grande filosofo Gesù parlava di figli di Dio, ma è stato subito mal interpretato: non era solo lui ad essere Dio, bensì tutti noi.

Noi, qualsiasi cosa significhi "noi", siamo Dio.

Tuttavia, per diventare ciò che siamo, dobbiamo accettare la nostra essenza nell'esserci mondano: il nostro essere nulla!
Tardi ti ho amata, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amata. Tu eri con me, mentre io ero lontano da te.

0xdeadbeef

A Socrate78 e Bobmax
A mio modo di vedere trascurate proprio quello che nel mio ultimo intervento ho accennato; e cioè che Socrate "sembra",
con il suo "il male deriva dall'ignoranza", porsi tra Parmenide e Platone (come del resto è temporalmente parlando).
Secondo il, diciamo, Socrate più antico il male non è; è apparenza; solo il bene è reale, ed è questo che gli permette di
dire: "il male deriva dall'ignoranza", cioè dall'ignoranza di non saperlo reale.
C'è però, dicevo, un Socrate più moderno, platonico. Un Socrate per il quale il male esiste, è reale, ma è una realtà
sottoposta al bene, che è qualitativamente superiore.
Dunque, secondo "questo" Socrate il male sarebbe ignoranza in quanto ignoranza di ciò che è preferibile.
Io, com dicevo, sono dell'idea che Socrate "anticipi" Platone; e lo anticipa proprio perchè l'affermazione "il male
deriva dall'ignoranza" mi sembra maggiormante spiegabile e comprensibile alla luce del successivo pensiero platonico.
Quindi un Socrate che, affermando il male come reale ma, allo stesso tempo, affermandone la subordinazione al superiore
pensiero del bene è un Socrate che, implicitamente, opera quel "parricidio" (nei confronti di Parmenide) che la storia
attribuisce a Platone.
Ma questo, tanto per tornare al merito della nostra discussione, altro non significa che Socrate "supera" l'idea dell'Uno
come Essere immanente per affermare una realtà trascendente, iperuranica, che sarà poi "Dio" come noi lo intendiamo.
saluti

sgiombo

Secondo me il bene e il male come scopi dell' azione non si dimostrano ma invece si sentono o "si avvertono" dentro di sé come tendenze ad agire.
(Non ripeto quanto già scritto un' infinità di volte, anche molto recentemente, sull' origine e naturale e le declinazioni storiche, culturali di questa caratteristica dell' "etologia umana" che é a mio parere in ultima istanza l' etica, perché la verità o la fondatezza di una tesi non sono proporzionali al numero di volte che viene ribadita e perché non mi sembrano nemmeno, in fondo, riguardare la questione posta da Socrate78).

Secondo me dunque si può fare il male per ignoranza, perché non si conoscono i mezzi adeguati a realizzare uno scopo buono voluto e si ottiene un male indesiderato.
Si fa il male sostanzialmente per ignoranza anche quando si "calcola" (termine meramente metaforico perché trattasi di questioni non propriamente quantizzabili almeno in larga misura -orrendo gioco di parole di cui mi scuso; magari lo si potesse fare!- ma comunque da "confrontare fra loro" per scegliere il meglio o meno peggio possibile) erroneamente il "bene complessivo" e il "male complessivo" ragionevolmente ottenibili con una scelta piuttosto che con altre scelte ad essa alternative.
Infatti, mentre nel pensiero si può almeno in qualche modo cercare di considerare l' "assoluto" (che infatti é un concetto non assurdo, dotato di n significato "sostanzialmente comprensibile" anche se non facilmente e con qualche inevitabile margine di incertezza), nella realtà (o almeno nella realtà umanamente conoscibile e praticabile, nella pratica umana) tutto é relativo, il bene e il male assoluto non esistono ma sono sempre in qualche pur limitata misura "venati del proprio contrario", e dunque ogni scelta non può essere mai assolutamente buona o assolutamente malvagia ma sempre solo più o meno buona o più o meno malvagia, e non di rado al massimo ci si può proporre di ottenere soltanto il "meno peggio".
Oppure si può anche fare il male ben comprendendo (veracemente) le conseguenze delle proprie azioni e i "rapporti" fra le loro diverse, non univoche, in parte reciprocamente contrastanti conseguenze. In questi secondi casi ovviamente non si fa il male per ignoranza ma per "intrinseca malvagità", perché le circostanze ci hanno condotto a (essete tali da) preferire scopi che in parte universalmente, in parte in maniera storicamente e socialmente condizionata, variabile, transeunte, di fatto (ma non "di dritto": non perché dimostrabili logicamente, né perché rivelati da alcuna divinità) sono avvertiti e valutati, pensati (poiché l' uomo, oltre ad agire e pensare alle proprie azioni, come fanno anche altri animali, pensa anche astrattamente e in relativa indipendenza dalle sue azioni per o meno immediate) come gretti, meschini, malvagi piuttosto che scopi avvertiti come generosi, magnanimi, buoni.
Generalmente e almeno fino a un certo punto secondo l' etica di fatto avvertita (e non dimostrata) in parte universalmente in parte particolarmente e variabilmente) si tende a considerare con almeno una certa indulgenza i casi di male fatto per ignoranza (a meno che l' ignoranza stessa non possa essere fatta derivare da scelte a loro volta non sbagliate per ignoranza ma consapevolmente e deliberatamente cattive: un medico che sbaglia diagnosi o terapia perché ignorante per il fatto di non aver deliberatamente voluto studiare con il necessario impegno), sempre severamente e "senza attenuanti" i casi d male fatto per deliberate scelte malvagie "tecnicamente corrette", non errate per ignoranza. 

Non credo queste mie convinzioni siano argomentabili più di tanto (ma nemmeno altre ad esse alternative): le propongo semplicemente alla riflessione personale di chi le legge, come cerco da parte mia di sottoporre alla mia autonoma riflessione quelle alternative che mi vengono proposte.


CitazioneCitazione di Bobmax:

Sta infatti solo a noi che avvenga l'impossibile: che il male sia irrealtà.

Questa é un' affermazione contraddittoria.
Se l' "Uno" contiene, oltre che tutte le ricchezze anche "tutte le miserie del mondo" (come anche se, conformemente al manicheismo" non esiste l' Uno" ma esistono due "principi ultimi" (due divinità), Bene e Male in eterna lotta senza un vincitore definitivo), allora che il male non sia realtà non é impossibile, e dunque non può stare in noi fare in modo che ciò che é impossibile avvenga (non credo sia possibile leggere l' ultima frase come un' iperbole, una metafora o un' altra figura retorica, ma solo letteralmente).

InVerno

Citazione di: Socrate78 il 19 Ottobre 2018, 15:35:48 PMEsiste però anche un male che non deriva da ignoranza, ma da indole negativa, ed è quello di chi gode della sofferenza altrui per il puro e semplice gusto di farlo: in quel caso la teoria socratica sembra vacillare di molto, perché non riesce a ricondurre al concetto di ignoranza questo tipo di malvagità.
No, perchè? Lo dici tu stesso, "gode" della sofferenza altrui. Quindi per lui è il "bene" se intendi il godimento come uno stato di bene-essere. Il punto è che questo benessere è illusorio e poco duraturo, o perlomeno ci adoperiamo affinchè sia tale costruendo prigioni e inferni. Un assassino potrà pure pensare che uccidere un altro gli provochi godimento, quando poi si trova i carabinieri fuori dalla porta si renderà conto di aver ignorato l'esistenza delle forze dell'ordine.
Non ci si salva da un inferno, sposandone un altro. Ipazia

0xdeadbeef

Citazione di: InVerno il 20 Ottobre 2018, 10:50:49 AMNo, perchè? Lo dici tu stesso, "gode" della sofferenza altrui. Quindi per lui è il "bene" se intendi il godimento come uno stato di bene-essere. Il punto è che questo benessere è illusorio e poco duraturo, o perlomeno ci adoperiamo affinchè sia tale costruendo prigioni e inferni. Un assassino potrà pure pensare che uccidere un altro gli provochi godimento, quando poi si trova i carabinieri fuori dalla porta si renderà conto di aver ignorato l'esistenza delle forze dell'ordine.


Beh, la storia è piena di assassini che non hanno pagato per i loro crimini (ma che, anzi, ne hanno tratto grandi vantaggi).
Il tuo ragionamento dunque presuppone che il male sia ignoranza in quanto ignoranza della forte probabilità di finire in
galera (di essere comunque punito)?
Permettim di dire che questo non era sicuramente quel che pensava Socrate...
saluti

sgiombo

Citazione di: 0xdeadbeef il 20 Ottobre 2018, 10:18:25 AM
A Socrate78 e Bobmax
A mio modo di vedere trascurate proprio quello che nel mio ultimo intervento ho accennato; e cioè che Socrate "sembra",
con il suo "il male deriva dall'ignoranza", porsi tra Parmenide e Platone (come del resto è temporalmente parlando).
Secondo il, diciamo, Socrate più antico il male non è; è apparenza; solo il bene è reale, ed è questo che gli permette di
dire: "il male deriva dall'ignoranza", cioè dall'ignoranza di non saperlo reale.
C'è però, dicevo, un Socrate più moderno, platonico. Un Socrate per il quale il male esiste, è reale, ma è una realtà
sottoposta al bene, che è qualitativamente superiore.
Dunque, secondo "questo" Socrate il male sarebbe ignoranza in quanto ignoranza di ciò che è preferibile.
Io, com dicevo, sono dell'idea che Socrate "anticipi" Platone; e lo anticipa proprio perchè l'affermazione "il male
deriva dall'ignoranza" mi sembra maggiormante spiegabile e comprensibile alla luce del successivo pensiero platonico.
Quindi un Socrate che, affermando il male come reale ma, allo stesso tempo, affermandone la subordinazione al superiore
pensiero del bene è un Socrate che, implicitamente, opera quel "parricidio" (nei confronti di Parmenide) che la storia
attribuisce a Platone.
Ma questo, tanto per tornare al merito della nostra discussione, altro non significa che Socrate "supera" l'idea dell'Uno
come Essere immanente per affermare una realtà trascendente, iperuranica, che sarà poi "Dio" come noi lo intendiamo.
saluti

Considerazioni di storia della filosofia che trovo interessantissime e condivisibili.

L' osservazione che propongono non é un' obiezione ad esse, che trovo convincenti, ma una valutazione sulle tesi del "secondo Socrate", poi sviluppate da Platone e "conservate" in sostanza anche nel cristianesimo malgrado il passaggio da una concezione del bene immanente, "quasi naturalistica", almeno in Socrate, a quella di un Bene divino, trascendente (ma non in assoluto: provvidenza, miracoli, ecc.).

Secondo me questa concezione del "male come reale ma, allo stesso tempo, affermandone la subordinazione al superiore pensiero del bene" é logicamente inconsistente.
Per ma a rigor di logica possono darsi soltanto in reciproca alternativa:

a) "a là Bobmax" (salvo elementi di incoerenza logica secondo me da evitare), un' "unità buona-cattiva" (l' "Uno che contiene tutte le miserie del mondo");

b) alla maniera del manicheismo, il Bene e il Male in eterna lotta senza vincitori definitivi, non essendovi alcuna "subodinazione" e complementarmente nessuna "superiorità" fra l' uno e l' altro.

c) Alla maniera di Nietzche (?) e del nichilismo, né bene né male ma "indifferenza" etica nel mondo; ovvero (é la stessa cosa):

d) esistenza unicamente del bene (Bene) o unicamente del male (Male), concetti umanamente indiscernibili l' uno dall' altro ("omnis determinatio est negatio", Spinoza).

Ma non saprei attribuire un significato sensato alla presenza nel mondo di bene e male (o di  Bene e Male) tali che uno dei due principi (o enti divini) sia superiore all' altro (che, alla maniera del cristianesimo, l' abbia creato -perché allora si cade inevitabilmente nell' ipotesi "a" di un "Uno" tanto buono quanto attivo- e/o che lo sconfigga prima o poi definitivamente,  "apocalitticamente", perché allora in sostanza si cadrebbe nell' ipotesi "c" ovvero "d": la determinazione subordinata (creata  e apocalitticamente annullata dalla superiore) é qualcosa di effimero, non sostanziale, più apparente che reale.
In sostanza la "parentesi" dell' esistenza del male subordinato al bene (o del Male creato e poi annichilito dal Bene) mi sembra contraddittoria, almeno se non intesa come mera apparenza ingannevole (credenza falsa).

sgiombo

Citazione di: InVerno il 20 Ottobre 2018, 10:50:49 AM
Citazione di: Socrate78 il 19 Ottobre 2018, 15:35:48 PMEsiste però anche un male che non deriva da ignoranza, ma da indole negativa, ed è quello di chi gode della sofferenza altrui per il puro e semplice gusto di farlo: in quel caso la teoria socratica sembra vacillare di molto, perché non riesce a ricondurre al concetto di ignoranza questo tipo di malvagità.
No, perchè? Lo dici tu stesso, "gode" della sofferenza altrui. Quindi per lui è il "bene" se intendi il godimento come uno stato di bene-essere. Il punto è che questo benessere è illusorio e poco duraturo, o perlomeno ci adoperiamo affinchè sia tale costruendo prigioni e inferni. Un assassino potrà pure pensare che uccidere un altro gli provochi godimento, quando poi si trova i carabinieri fuori dalla porta si renderà conto di aver ignorato l'esistenza delle forze dell'ordine.


Secondo me

"benessere", "godimento" =/= "bene"

e

"malessere", "dolore" =/= "male".

Un assassino potrà godere quanto si vuole nell' uccidere un innocente, ma sarà comunque malvagio (un malvagio contento) anche se la farà franca; e se invece finirà in galera potrà soffrire quanto si vuole, ma sarà comunque un malvagio scontento ma non per questo meno malvagio.
E un generoso perseguitato da un malvagio potrà soffrire quanto si vuole subendone le angherie ma sarà comunque magnanimo (un magnanimo infelice; se non é uno stoico conseguente per il quale "la virtù é premio a se stessa"); e se invece avrà conseguenze piacevoli dalla sua generosità (o anche in generale, da qualsiasi altra causa) sarà comunque un magnanimo felice ma non per questo meno virtuoso.

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