IL male morale deriva dalla ragione o dal cuore?

Aperto da Socrate78, 25 Agosto 2020, 09:13:12 AM

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Phil

Citazione di: Ipazia il 29 Agosto 2020, 10:19:42 AM
la convinzione dei relativisti etici che l'individuo sia un'entità autonoma rispetto alla società che lo imprinta fin dalla nascita e che perfeziona sempre più, tecnoscientificamente, tale capacità di condizionamento.
Stavolta non faccio l'avvocato dei relativisti, ma, a dimostrazione di come il relativismo sia coerentemente restio ad assolutizzazioni interpretative, faccio l'avvocato almeno di me stesso, considerando che tendo sempre a relazionare il soggetto al contesto, essendo il (mio?) relativismo più un contestualismo (re-latus) che un solipsismo (corsivi agevolanti):
Citazione di: Phil il 23 Agosto 2020, 11:41:31 AM
non è infatti un assoluto etico «indipendente da ciò che è altro da sé»(cit.), perché è dipendente essenzialmente dal soggetto che lo pone (soggetto che è altro rispetto a tale "assoluto"), è dipendente dalla tradizione che condiziona culturalmente l'imprinting del soggetto (altri tradizioni propongono altri assoluti)
e
Citazione di: Phil il 24 Agosto 2020, 17:25:48 PM
Non credo che, divinità a parte, ci siano fondamenti particolarmente solidi a disposizione, che non siano l'evoluzione delle norme e consuetudini in una determinata società (autoreferenza vecchia come l'uomo) e le capacità interpretative del singolo
Da queste citazioni si può intuire anche l'origine del male morale, almeno secondo me: non un male ontologico o incarnato o trascendete, ma mero contenuto (senso) di un giudizio di valore che attribuisce la "qualità" «male» a fatti o attitudini di cui si parla. Sono i paradigmi etici ad originare sia il male che il bene (senza voler tornare ad interrogare fallimentarmente sul loro fondamento), con tutti i valori che ne derivano, necessari alla strutturazione di una società, ma non necessariamente da ipostatizzare fittiziamente in assoluti incontrovertibili solo per l'essere assolutamente (o a maggioranza) condivisibili.

Ipazia

Riprendendo il post di Jacopus la correlazione tra modelli pedagogici molto caricati affettivamente e contenuti ideologici "forti" è assai antica e riscoprirla è un po' la storia dell'acqua calda. Analogamente, è caratteristica delle religioni più intrusive ed universalistiche presentarsi sempre come religioni dell'amore, mentre spiritualità meno ecumeniche, come quella orientale, insistono poco su questo tasto e propongono una visione più realistica della realtà incentrata sulla consapevolezza personale.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

Ipazia

Citazione di: Phil il 29 Agosto 2020, 11:21:13 AM
Da queste citazioni si può intuire anche l'origine del male morale, almeno secondo me: non un male ontologico o incarnato o trascendete, ma mero contenuto (senso) di un giudizio di valore che attribuisce la "qualità" «male» a fatti o attitudini di cui si parla. Sono i paradigmi etici ad originare sia il male che il bene (senza voler tornare ad interrogare fallimentarmente sul loro fondamento), con tutti i valori che ne derivano, necessari alla strutturazione di una società, ma non necessariamente da ipostatizzare fittiziamente in assoluti incontrovertibili solo per l'essere assolutamente (o a maggioranza) condivisibili.

Il fondamento fallimentare ontologicamente (ma non logicamente) è la morte, il fondamento ontologico ed etico opposto è la vita. Su questa coppia dialettica si fonda tutto l'universo antropologico, etica in primis. Fossimo immortali il nostro orizzonte etico, sul fondamento dell'immortalità esistenziale, sarebbe totalmente diverso. Più o meno come quello immaginato dai nostri antichi maestri per gli dei olimpici, indaffarati a trovare passatempi (ovvero noi mortali) per la loro forse anche noiosa immortalità.

Tale fondamento etico è presente in tutte le tavole della legge divina ed umana fin dalla notte dei tempi. E tale vale anche oggi, con la centralità tecnoscientifica del prolungamento della vita umana. Che definii (mica solo viator ha il monopolio delle definizioni): il bene assoluto incontrovertibile dell'universo antropologico. Ovviamente il corrispettivo male è la morte.

Inclusa quella dell'anima per i credenti o nell'anima per esistenzialisti, nichilisti e metafisici vari.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

viator

Salve anthonyi. Citandoti : "Io non la faccio così facile, provaci tu a raccontare in giro che hai conosciuto un tipo che ha affermato di essere il figlio di Dio, che ha fatto dei miracoli, e che dopo morto è risuscitato e ti ha detto di andare a raccontare tutto questo in giro e vedi quanti ci credono. Naturalmente la prova del nove l'avrai quando quelli che ti credono fanno qualcosa per te, per aiutarti nella tua funzione profetica.
Gli uomini sono diffidenti, possono anche desiderare la vita eterna, e magari ascoltano chi gliela propone, ma poi quando sentono parlare di soldi subentra quel pensiero malizioso: "Ma non è che questo è un truffatore!"
Invece la Chiesa, nel nome di Cristo, di soldi dai fedeli è riuscita sempre a farsene dare tantissimi, tutti spesi a costruire cattedrali."

Suvvia, io e te sappiamo che è ridicolo paragonare strumenti e tattiche di una istituzione plurimillenaria gonfia di sapere, con quelli di qualche dongiovanni da strada o venditore di patacche in similoro.

Le chiese offrono gratis la vita eterna. Come resistere? Chiedono solo di entrare a far parte di un gregge, poi per  tutto il resto sarà sufficiente affidarsi ai Pastori. ! Saluti.
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

anthonyi

Citazione di: viator il 29 Agosto 2020, 21:13:46 PM
Salve anthonyi. Citandoti : "Io non la faccio così facile, provaci tu a raccontare in giro che hai conosciuto un tipo che ha affermato di essere il figlio di Dio, che ha fatto dei miracoli, e che dopo morto è risuscitato e ti ha detto di andare a raccontare tutto questo in giro e vedi quanti ci credono. Naturalmente la prova del nove l'avrai quando quelli che ti credono fanno qualcosa per te, per aiutarti nella tua funzione profetica.
Gli uomini sono diffidenti, possono anche desiderare la vita eterna, e magari ascoltano chi gliela propone, ma poi quando sentono parlare di soldi subentra quel pensiero malizioso: "Ma non è che questo è un truffatore!"
Invece la Chiesa, nel nome di Cristo, di soldi dai fedeli è riuscita sempre a farsene dare tantissimi, tutti spesi a costruire cattedrali."

Suvvia, io e te sappiamo che è ridicolo paragonare strumenti e tattiche di una istituzione plurimillenaria gonfia di sapere, con quelli di qualche dongiovanni da strada o venditore di patacche in similoro.

Le chiese offrono gratis la vita eterna. Come resistere? Chiedono solo di entrare a far parte di un gregge, poi per  tutto il resto sarà sufficiente affidarsi ai Pastori. ! Saluti.

Il problema, Viator, è che se raccontare la resurrezione del fondatore è una strategia così vincente, perché nessun altro ci ha provato dopo del Cristianesimo. Nella storia delle religioni abbiamo narrazioni di individui resuscitati dal profeta di turno, ma mai il caso di una autoresurrezione, e come se su quella parte della religione cristiana ci fossero delle Royalties che non possono essere violate.


Phil

Citazione di: Ipazia il 29 Agosto 2020, 12:49:22 PM
Tale fondamento etico è presente in tutte le tavole della legge divina ed umana fin dalla notte dei tempi. E tale vale anche oggi, con la centralità tecnoscientifica del prolungamento della vita umana. Che definii (mica solo viator ha il monopolio delle definizioni): il bene assoluto incontrovertibile dell'universo antropologico. Ovviamente il corrispettivo male è la morte.
Su tale bene/male assoluto incontrovertibile, avevo già previdentemente anticipato una considerazione:
Citazione di: Phil il 29 Agosto 2020, 11:21:13 AM
tutti i valori che ne derivano, necessari alla strutturazione di una società, ma non necessariamente da ipostatizzare fittiziamente in assoluti incontrovertibili solo per l'essere assolutamente (o a maggioranza) condivisibili.
ovvero: una certa valorizzazione della vita è indubbiamente costitutiva del vivere sociale umano, sin dalla notte dei tempi e sin dai culti più antichi; tuttavia, tale valorizzazione (fondata sull'esigenza pragmatica della convivenza) non fonda, in veste di valore assoluto, l'etica tout court, tantomeno in modo incontrovertibile e/o ontologico, perché, nonostante le velleità universali, si dimostra, di fatto, un "fondamento assoluto" sempre e solo per qualcuno e in una determinata cultura (e abbiamo già dissertato di come tale uso rafforzativo di «assoluto», individuale o comunitario che sia, abbia ben poco di assoluto, almeno filosoficamente parlando).
Per avere prove storiche tangibili sulla "faziosità" e sulla "debolezza intrinseca" della suddetta tendenza ad «ipostatizzare fittiziamente [...] assoluti incontrovertibili solo per l'essere assolutamente (o a maggioranza) condivisibili»(cit.) occorre riflettere metaeticamente (al di là di ciò che io giudico «bene» o «male») su: pena di morte («è bene che lui muoia»), kamikaze ed eroi («è bene che io muoia»), eutanasia («è bene che lui muoia»), guerre («è bene che loro muoiano»), suicidio («è bene che io muoia»), etc. in cui il sedicente "bene assoluto incontrovertibile" viene umanamente controvertito in nome di un altro "bene morale", ritenuto tale senza che una controprova possa falsificarlo incontrovertibilmente («bene» che dunque si rivela figlio dei paradigmi umani che lo pongono, non di assoluti ontologici irrefutabili), un "bene" da sempre controvertito da singoli e da moltitudini, e non sempre basandosi solo su sofismi riguardo cosa significhi «una vita degna di essere vissuta».
Il valore della vita, soprattutto in alcune situazioni, che per fortuna non fanno parte della quotidianità di tutti (ma non è detto debbano capitare sempre agli altri o che non debbano essere comprese nel criterio di incontrovertibilità), è evidentemente un problema filosofico, non un fondamento incontrovertibile.

P.s.
Chiaramente, all'interno della propria morale, il valore della vita può essere assunto come incontrovertibile, assoluto, etc. l'importante, almeno secondo me, è essere consapevoli, parafrasando il noto motto, di "dove finisce il mio paradigma e dove iniziano quelli degli altri" (e di cosa sia davvero «incontrovertibile», al di là del nostro parlarne con giudizi di valore anelanti l'assoluto).

anthonyi

Citazione di: Phil il 29 Agosto 2020, 22:32:24 PM
Citazione di: Ipazia il 29 Agosto 2020, 12:49:22 PM
Tale fondamento etico è presente in tutte le tavole della legge divina ed umana fin dalla notte dei tempi. E tale vale anche oggi, con la centralità tecnoscientifica del prolungamento della vita umana. Che definii (mica solo viator ha il monopolio delle definizioni): il bene assoluto incontrovertibile dell'universo antropologico. Ovviamente il corrispettivo male è la morte.
Su tale bene/male assoluto incontrovertibile, avevo già previdentemente anticipato una considerazione:
Citazione di: Phil il 29 Agosto 2020, 11:21:13 AM
tutti i valori che ne derivano, necessari alla strutturazione di una società, ma non necessariamente da ipostatizzare fittiziamente in assoluti incontrovertibili solo per l'essere assolutamente (o a maggioranza) condivisibili.
ovvero: una certa valorizzazione della vita è indubbiamente costitutiva del vivere sociale umano, sin dalla notte dei tempi e sin dai culti più antichi; tuttavia, tale valorizzazione (fondata sull'esigenza pragmatica della convivenza) non fonda, in veste di valore assoluto, l'etica tout court, tantomeno in modo incontrovertibile e/o ontologico, perché, nonostante le velleità universali, si dimostra, di fatto, un "fondamento assoluto" sempre e solo per qualcuno e in una determinata cultura (e abbiamo già dissertato di come tale uso rafforzativo di «assoluto», individuale o comunitario che sia, abbia ben poco di assoluto, almeno filosoficamente parlando).
Per avere prove storiche tangibili sulla "faziosità" e sulla "debolezza intrinseca" della suddetta tendenza ad «ipostatizzare fittiziamente [...] assoluti incontrovertibili solo per l'essere assolutamente (o a maggioranza) condivisibili»(cit.) occorre riflettere metaeticamente (al di là di ciò che io giudico «bene» o «male») su: pena di morte («è bene che lui muoia»), kamikaze ed eroi («è bene che io muoia»), eutanasia («è bene che lui muoia»), guerre («è bene che loro muoiano»), suicidio («è bene che io muoia»), etc. in cui il sedicente "bene assoluto incontrovertibile" viene umanamente controvertito in nome di un altro "bene morale", ritenuto tale senza che una controprova possa falsificarlo incontrovertibilmente («bene» che dunque si rivela figlio dei paradigmi umani che lo pongono, non di assoluti ontologici irrefutabili), un "bene" da sempre controvertito da singoli e da moltitudini, e non sempre basandosi solo su sofismi riguardo cosa significhi «una vita degna di essere vissuta».
Il valore della vita, soprattutto in alcune situazioni, che per fortuna non fanno parte della quotidianità di tutti (ma non è detto debbano capitare sempre agli altri o che non debbano essere comprese nel criterio di incontrovertibilità), è evidentemente un problema filosofico, non un fondamento incontrovertibile.

P.s.
Chiaramente, all'interno della propria morale, il valore della vita può essere assunto come incontrovertibile, assoluto, etc. l'importante, almeno secondo me, è essere consapevoli, parafrasando il noto motto, di "dove finisce il mio paradigma e dove iniziano quelli degli altri" (e di cosa sia davvero «incontrovertibile», al di là del nostro parlarne con giudizi di valore anelanti l'assoluto).

Il valore della vita umana è sicuramente un fondamento dell'etica, e in esso deve essere compresa anche la qualità della vita stessa.
Tenere in vita un uomo, per poterlo torturare e interrogare, non può essere considerato un atto moralmente superiore alla sua immediata uccisione.
Più che discutere sull'assolutezza di tale valore, bisogna considerare che la vita umana è relativa, ci sono tanti uomini, il cui singolare diritto alla vita a volte entra in contrasto con il diritto alla vita, e con la qualità della vita, degli altri.
L'abbiamo visto nel Lockdown, dove l'esigenza di salvare la vita e la qualità della vita di alcuni (Perché ci stiamo accorgendo dei profondi danni che fa il Covid-19 anche ai malati che non muoiono), è stata pagata con l'impoverimento e la riduzione della socialità di tutti.
Lo vediamo nel problema della pianificazione demografica, dove la restrizione delle opportunità riproduttive (Cioè opportunità di creazione di nuova vita umana), e condizione essenziale per il mantenimento della vita e della qualità della vita presente.

Ipazia

Le eccezioni poste da phil al paradigma etico fondato sulla vita umana, se analizzate a fondo, non fanno altro che confermare la regola e la morte costituisce lo sfondo in cui tali eccezioni si muovono, giustificate da quanto ha già accennato anthonyi.

Il paradigma non si muove nell'olimpo immortale, ma nella dialettica vita-morte, in cui la morte individuale finisce sempre col vincere, per cui è un paradigma "relativo". Ma è la relatività più assoluta di cui disponiamo e i salti mortali che facciamo per tenercela stretta, valorizzarla, prolungarla, risalgono alla notte dei tempi.

Veniamo succintamente alle eccezioni: la pena di morte è a tutela della vita sociale, il seppuku è la massima autopunizione di chi ha fallito nella vita sociale e richiede un contesto etico particolarmente forte, il martire aspira ad una vita superiore: la vita eterna, suicidio/eutanasia ha molteplici motivazioni il cui comune denominatore è una sofferenza estrema che solo la morte può lenire, anche la guerra ha molteplici motivazioni: dallo "spazio vitale" (Lebensraum) alla legittima difesa della vita di una popolazione.

La morte in alternativa alla vita è sempre uno stato di eccezione che non può essere contrapposto alla vita come fondamento etico, ma posto come ultima ratio negativa laddove la vita, per motivi fisici, materiali, psicologici, spirituali, ideologici, non è più possibile. Va pure detto che nell'evoluzione civile si è operato molto, tanto a livello individuale che collettivo, teorico che pratico, per limitare l'estrema ratio mortale.

Non è che la vita, in generale e in particolare umana, abbia la vita facile - mi si scusi il bisticcio - e questo la rende fragile anche come fondamento etico, ma essendo il massimo bene (nel duplice senso del termine) di ogni organismo vivente (no life no party), ci si ingegna per offrirle le migliori opportunità. Il primo ostacolo è la morte: è un bene a tempo determinato. Il secondo è la conflittualità in cui si trova a vivere. Anche qui le strategie biologiche, fisiche, psicologiche e illusionali sono molteplici per ottimizzare la situazione. Tale ottimizzazione si chiama etica.

Mi fermo qui, ma il discorso sul bene - materiale ed etico - fondativo "vita" è ancora molto lungo.

(P.S. in topic: da questo punto di vista il male morale non può che derivare dalla morte. Del corpo, e pure dello "spirito")
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

Phil

Citazione di: anthonyi il 30 Agosto 2020, 08:16:40 AM
Più che discutere sull'assolutezza di tale valore, bisogna considerare che la vita umana è relativa, ci sono tanti uomini, il cui singolare diritto alla vita a volte entra in contrasto con il diritto alla vita, e con la qualità della vita, degli altri.
Concordo che questo sia il taglio più intellettualmente onesto (e più pragmaticamente solido) da dare al discorso etico che, per me, ha come conseguenziale e disincantato esito l'abbandono di categorie come «assoluto», «incontrovertibilità», etc. riferite tradizionalmente ai fondamenti del pensare etico. Una volta che ci facciamo carico della debolezza dei fondamenti di ogni etica secolare (il discorso religioso è differente), debolezza che emerge anche dall'elaborazione delle eccezioni proposta da Ipazia, in cui l'eticità assume le forme del "mors tua" e/o "mors mea", concedendo alla morte l'accesso all'ambito del bene (falsificando dunque la concezione della vita come bene assoluto), allora si può scendere dal piano metaetico a quello etico, individuale e sociale, con adeguata consapevolezza filosofica per declinare la propria "etica su palafitte" (parafrasando Popper).

niko

Scusate se sarò aforistico ma al momento non mi viene un discorso lungo su questo tema.


Vorrei solo dire che secondo me "etica" non è affatto la preferenza acefala e fisiologica della vita sulla morte (e questi cupi giorni di dittatura sanitaria ce lo dovrebbero insegnare bene), ma esperienza di libera scelta tra vita e morte, tra ciò che è desiderabile perché fa smettere di volere (il bene nel senso comune del termine) e ciò che è desiderabile perché fa volere all'infinito (il male, che, a ben vedere, anch'esso, per la vita, è un bene).


Nel bene c'è vero appagamento, e quindi, si suppone, almeno temporaneamente e situazionalmente, la morte, la fine, della volontà una volta conseguito il bene; insomma la fine grazie al raggiungimento del fine.


viceversa nel male diciamo che c'è un appagamento -a vario titolo- falso, ma ciò significa che in esso, e grazie ad esso, la volontà vive, e potenzialmente vive per sempre. La non-fine del desiderio che originariamente ci ha spinto al male, perché si è mancato il fine.


Il chiasmo bene-vita/male-morte è esattamente rovesciato, se con vita si intende volontà, se come realtà ontologica della vita si assume la multiforme e varia volontà.
Per la volontà vale l'opposto: bene-morte/male-vita.

Scegliere tra bene e male vuol dire determinare la durata e il destino della propria volontà. Questa scelta è etica, non parte da premesse scontate e non ha un esito scontato.



Ci hanno detto che potevamo scegliere tra la pace e il climatizzatore, non abbiamo ottenuto nessuno dei due.

viator

 Salve niko. Citandoti : "Scegliere tra bene e male vuol dire determinare la durata e il destino della propria volontà. Questa scelta è etica, non parte da premesse scontate e non ha un esito scontato".
Scegliere tra bene e male vuol dire determinare la durata e il destino della propria volontà. Questa scelta è etica, non parte da premesse scontate e non ha un esito scontato".


Stai interpretando i concetti di bene e male dal punto di vista esclusivamente umano. Con esito appunto per nulla scontato.


Ma l'affermare che – in ambito sovraumano – la vita sia il bene supremo, significa solo prendere appunto atto che essa vita esprime il bene ad un livello appunto superiore all'umano.


In parole semplici, la dimensione vitale è CIO' CHE CI CONTIENE ASSAI PIU' DI QUANTO NOI SI POSSA CONTENERE ESSA. Ma a noi vien così facile e gratificante pensare l'opposto complementare, cioè che noi siamo il contenitore e la vita il contenuto !!. Saluti.







Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

Socrate78

IL bene vero si raggiunge secondo me eliminando molte passioni soprattutto l'IRA, se si elimina la passione dell'ira si eliminano tutta una serie di mali, come l'insultare gli altri, le aggressioni (che possono arrivare sin al caso estremo dell'omicidio), l'odio che si coltiva dentro il cuore deriva appunto dall'adirarsi contro qualcuno o contro qualcosa. Bisogna poi eliminare anche la superbia, da cui deriva il disprezzo e l'arroganza e quindi tutti gli atteggiamenti negativi che derivano da tali passioni. La superbia è un'altra causa di odio, poiché porta a sentirsi superiori e quindi indirettamente ad odiare chi non condivide le nostre idee, il razzismo in ogni sua forma ad esempio deriva proprio dalla superbia.
Bisogna invece potenziare l'amore verso la vita in ogni sua forma (anche quindi l'amore verso gli animali e le piante), vivere per donare gioia, felicità, per migliorare la crescita intellettuale e morale delle persone, fare il bene anche a costo di danneggiare persino noi stessi eliminando il calcolo dei costi e dei benefici, ed eliminare il più possibile tutti i pensieri tristi e pessimisti che ispirano la sfiducia verso i nostri simili e che bloccano quindi l'azione verso il bene. La regola è: Amare la vita ed odiare la morte", ecco la vera regola a mio avviso, dove per "morte" si intende tutto ciò che fa morire l'anima, cioè l'odio, la superbia, il pessimismo, la sfiducia, il disprezzo, ecc.

niko

#42
Citazione di: viator il 30 Agosto 2020, 18:22:02 PM
Salve niko. Citandoti : "Scegliere tra bene e male vuol dire determinare la durata e il destino della propria volontà. Questa scelta è etica, non parte da premesse scontate e non ha un esito scontato".
Scegliere tra bene e male vuol dire determinare la durata e il destino della propria volontà. Questa scelta è etica, non parte da premesse scontate e non ha un esito scontato".


Stai interpretando i concetti di bene e male dal punto di vista esclusivamente umano. Con esito appunto per nulla scontato.


Ma l'affermare che – in ambito sovraumano – la vita sia il bene supremo, significa solo prendere appunto atto che essa vita esprime il bene ad un livello appunto superiore all'umano.


In parole semplici, la dimensione vitale è CIO' CHE CI CONTIENE ASSAI PIU' DI QUANTO NOI SI POSSA CONTENERE ESSA. Ma a noi vien così facile e gratificante pensare l'opposto complementare, cioè che noi siamo il contenitore e la vita il contenuto !!. Saluti.


La vita non può essere il bene supremo, perché la vita non è niente in sé... la vita è differire di un qualcosa di indefinito dall'inorganico e dalla morte, essendo essenzialmente differenza dalla morte, la vita deve necessariamente assumere vita e morte, se stessa ed il suo opposto complementare, come due beni, è una struttura se vogliamo trinitaria: laddove un bene è a ben guardare nient'altro che una differenza, si compone giocoforza di due sotto-beni che sono i termini che nella differenza differiscono, pensare che uno dei due termini che differiscono sia il sommo bene, è un tipico errore prospettico: il sommo bene è che si dia ad ogni costo la differenza, e quindi che i due beni non-sommi, vita e morte, ci siano entrambi.


Noi pensiamo che l'unico problema si avrebbe se la morte prevalesse sulla vita, se fosse fatto il deserto e la vita sparisse, non vediamo che se la vita prevalesse sulla morte, lo stesso identico problema ci sarebbe lo stesso, perché, in termini astratti, l'estensione infinita della vita nel suo ambiente distrugge la vita come differenza, in quanto una vita non più frenata dalla morte, sussumendo e colonizzando l'ambiente spaziale e temporale in cui si trova, necessariamente a un certo punto lo omologa e lo uniforma fino ad escludere anche se stessa come differenza e rifare qualcosa di equivalente allo stesso deserto che avevamo nel primo esempio, in cui era la morte prevalere sulla vita; andando un po' più sul concreto, senza la possibilità della morte un gruppo di viventi distrugge qualunque ambiente in cui si trovi e infine si distrugge a vicenda, a questo proposito si può fare l'esperimento mentale del provare a mettere un qualcosa che si espande all'infinito dentro un contenitore finito, "chiudere il tappo" e stare a vedere che succede: succede che prima o poi la cosa che si espande all'infinito urta -doppiamente- e contro se stessa e contro i limiti del contenitore finito in modo infinitamente distruttivo, a un livello cosmico e di presenza nel mondo, la morte ci salva il culo in un modo che difficilmente riusciamo anche solo a immaginare, e a un certo livello di compressione e espansione incontrollata, la priorità assoluta della vita diventerebbe reinstaurare la morte per continuare a vivere.


Degli esseri ipotetici che non morissero più di morte naturale al momento giusto, che prolungassero artificiosamente la loro vita, potrebbero illudersi quanto vogliono di essere divenuti immortali solo perché eternamente giovani, ma prima o poi morirebbero di morte violenta e di esaurimento delle risorse, la loro stessa prassi e autointerazione li porterebbe a reinstaurare quella morte che hanno creduto di cancellare magicamente o tecnologicamente; l'unica vera immortalità potrebbe essere dunque solo un'immortalità fisica accompaganata da un sempre disponibile bagaglio di conoscenze pratiche e spirituali per gestire una vita ormai infinita svolgentesi in un ambiente finito, quindi un qualcosa di fisicamente immaginabile accompagnato da un qualcosa di gnoseologicamente e psicologicamente inimmaginabile per il punto di coscienza e di conoscenza in cui siamo.


Quindi questo bene che è la morte, esiste oggettivamente per la vita, ed esiste dentro di noi, la vita ha le sue strategie fisiche e psichiche per farcelo desiderare, basti pensare all'orgasmo come piccola morte; l'istinto di morte altro non è che la comprensione che scopo universale della volontà è il non volere, quindi vogliamo il bene non in quanto bene, ma in quanto acquieta la volontà, e a queste condizioni siamo sempre al limite con un atteggiamento ascetico, con il volere la morte; accanto a questo istinto esiste anche qualcosa che potrei chiamare l'istinto della pura vita, che è il volere volere, il sapere, come altro principio universale, che non ce ne faremo nulla di nessun possibile oggetto del desiderio se non saremo vivi e volenti al momento del suo ottenimento, dell'incontro con esso, e quindi l'oggetto del desiderio che promette gratificazione totale, tipicamente qualsiasi cosa che venga spacciata come un bene metafisico e sommo, è per definizione un falso oggetto del desiderio; bisogna orientarsi sui cosiddetti beni minori, sui beni in cui c'è compresenza del male, perché qualsiasi conquista deve lasciare al conquistatore un grado minimo di insoddisfazione per continuare ad essere e sentirsi vivo, nel senso di volente, e quindi godersi la conquista in un modo esperienzialmente immaginabile. Il che può portare anche a darsi obbiettivi impossibili e fallimentari nel perseguimento dei quali la volontà non si acquieterà mai, per "fregare" la morte e volere all'infinito, (basti pensare all'atteggiamento dei drogati, degli avidi, degli ossessionati, di quelli che vogliono sempre di più) e questo è quello che tipicamente a un livello superficiale è di solito identificato col male, ma è l'altro grande bene della vita, la vita che vuole acefalamente se stessa e non la morte, il che va bene finché questo bene è controbilanciato dall'altro, finché non diventa un assoluto.
Ci hanno detto che potevamo scegliere tra la pace e il climatizzatore, non abbiamo ottenuto nessuno dei due.

Ipazia

Citazione di: niko il 30 Agosto 2020, 22:45:14 PM
La vita non può essere il bene supremo, perché la vita non è niente in sé... la vita è differire di un qualcosa di indefinito dall'inorganico e dalla morte, essendo essenzialmente differenza dalla morte, la vita deve necessariamente assumere vita e morte, se stessa ed il suo opposto complementare, come due beni, è una struttura se vogliamo trinitaria: laddove un bene è a ben guardare nient'altro che una differenza, si compone giocoforza di due sotto-beni che sono i termini che nella differenza differiscono, pensare che uno dei due termini che differiscono sia il sommo bene, è un tipico errore prospettico: il sommo bene è che si dia ad ogni costo la differenza, e quindi che i due beni non-sommi, vita e morte, ci siano entrambi...

Citazione di: Phil il 30 Agosto 2020, 13:26:34 PM
Una volta che ci facciamo carico della debolezza dei fondamenti di ogni etica secolare (il discorso religioso è differente), debolezza che emerge anche dall'elaborazione delle eccezioni proposta da Ipazia, in cui l'eticità assume le forme del "mors tua" e/o "mors mea", concedendo alla morte l'accesso all'ambito del bene (falsificando dunque la concezione della vita come bene assoluto), allora si può scendere dal piano metaetico a quello etico, individuale e sociale, con adeguata consapevolezza filosofica per declinare la propria "etica su palafitte" (parafrasando Popper).

"L'accesso della morte all'ambito del bene" si dà tanto in natura che in metafisica ed etica, sussumendo la morte all'ambito della vita. In natura nel rispetto dei cicli vitali che liberano spazio per nuove vite individuali, in metafisica attingendo al pensiero di Epicuro sulla morte nella lettera a Meneceo, e in etica attuando le tecniche corrette di contrasto senza accanimento.

La natura è il primo maestro di tale sussunzione e ancora una volta la fallacia naturalistica la vince sulla supponenza umana, dettando la via dell'ereditarietà genetica che bypassa l'individuo eternando la specie. Anche in ambito religioso la morte non è nient'altro che un passaggio verso una forma di vita più elevata. Occidente ed Oriente sono sostanzialmente d'accordo, pur con modalità diverse, su ciò. Ambito religioso peraltro molto più gravido di intenzioni umane che divine, esperite con un relativismo davvero satanico. Ma comunque convergenti tutte verso la vita eterna illuminata.

In ambito secolare integrale la debolezza è più apparente che reale, perchè anche l'umano ha affiancato la natura in un suo percorso razionale verso l'immortalità attraverso gli strumenti che hanno generato la vita culturale, patrimonio dell'umanità che si trasmette di progenie in progenie insieme al codice genetico. La cultura è debole o forte ? Ai posteri ... Per ora ci viviamo dentro. Noi, come i nostri maestri più antichi. Su questa cultura immortale si (ri)costituisce il nostro ethos e si conficcano i paletti di ogni etica esperibile, piramide o palafitta che sia.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

Phil

Indugio ancora solo su una precisazione fondamentale:
Citazione di: Ipazia il 31 Agosto 2020, 08:27:59 AM
"L'accesso della morte all'ambito del bene" si dà tanto in natura che in metafisica ed etica, sussumendo la morte all'ambito della vita. In natura nel rispetto dei cicli vitali che liberano spazio per nuove vite individuali, in metafisica attingendo al pensiero di Epicuro sulla morte nella lettera a Meneceo, e in etica attuando le tecniche corrette di contrasto senza accanimento.

La natura è il primo maestro di tale sussunzione
in natura non c'è bene/male, ma solo funzionamento; è la lettura antropomorfica che legge nella natura il bene (come, appunto, da fallacia naturalistica, ovvero derivare prescrizioni da descrizioni). Quando diciamo che la prosecuzione della specie o l'istinto di sopravvivenza o l'evoluzione della specie sono un bene, teleologicamente orientato al meglio, (oltre a non parlare affatto di etica, ma solo di meccanicismo) stiamo interpretando umanamente la natura, come fosse programmata da umani, o comunque su valori umani. In fondo, se riusciamo a lasciare fra parentesi la nostra "istintiva" tendenza a pensare che tutto si basi sulle nostre categorie (piuttosto che l'inverso), riconosceremo che «l'accesso della morte all'ambito del bene» è un questione esclusivamente umana ed interpretativa, non ontologica (religione a parte). Nella natura (e qui l'uomo è compreso, ma siamo al di là dell'etica, quindi bisogna dirlo piano) la morte è solo un cambiamento di stato, un funzionamento come l'orbita dei pianeti o lo scambio di elettroni fra atomi. Possiamo farne una questione di bene/male assecondando ciò che ci bisbiglia il nostro istinto di sopravvivenza, come possiamo pensare che una palafitta sia salda e maestosa come una piramide; anzi, in questo contesto, più che «possiamo», «dobbiamo», perché altrimenti (citando da altro topic)
Citazione di: Phil il 07 Settembre 2019, 17:01:45 PM
che fine fa allora l'etica (intesa in senso forte)? Se non possiamo fondarla nel cielo dobbiamo fondarla sulla terra, seguendo quel dovere autoreferenziale che è a sua volta etico: è sommamente immorale non avere una morale, il primo metaimperativo etico è averne una.
Tuttavia, la consapevolezza di certi (s)fondamenti non esclude il poter comunque stare al gioco della società (seppur con l'intima consapevolezza di chi deve può distinguere fra meccanismi naturali e principi etici, descrizioni e prescrizioni, etica e scienze delle natura, piramidi e palafitte).

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