Menu principale

Il linguaggio

Aperto da Jacopus, 07 Aprile 2024, 23:38:12 PM

Discussione precedente - Discussione successiva

Jacopus

Cos'è il linguaggio? Ad un primo livello è la rappresentazione simbolica (di solito fonetica, ma esiste anche la lingua dei segni) dì qualcos'altro. La parola "ponte" indica il "ponte" reale che attraversiamo. A questo livello di rappresentazione simbolica il linguaggio e successivamente la sua registrazione (scrittura), sono stati essenziali per lo sviluppo e il progresso di homo sapiens. Non credo che vi sia invenzione più importante di questa.
Ad un secondo livello però, il linguaggio ed ancor di più la scrittura, non sono più soltanto una efficace mappa della realtà ma diventano a loro volta strutture di una realtà parallela. Al punto che si può scrivere e parlare di mondi del tutto irreali come quello di Harry Potter o quello di Frodo Baggins. Da mappa della realtà il linguaggio/scrittura diventa mappa di una mappa, creando il primo prototipo di realtà virtuale. A questa dimensione è forse possibile ricondurre il potere "magico", che nelle società tradizionali veniva attribuito in particolari occasioni o secondo particolari procedure alla parola. La parola che crea il mondo: "all'inizio era il Verbo". In questa duplice funzione sta l'ambiguità del linguaggio/scrittura: mappa che trasmette il sapere, rendendoci così virtualmente immortali come specie e permettendoci il ns sviluppo straordinario, ma anche mappa di mappe e quindi possibile realizzazione di labirinti virtuali o Torri di Babele, dalle quali diventa impossibile distinguere la realtà che originariamente il linguaggio/scrittura serviva a mappare.
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

iano

#1
Possiamo descrivere la realtà, tracciandone una mappa col linguaggio solo dopo aver preso coscienza dell'uso che ne facciamo, oppure anche no?
Secondo me è possibile  che prima di averne preso coscienza abbiamo tracciato col linguaggio una mappa della realtà che è la realtà come ci appare, scambiabile facilmente con la realtà stessa, non essendo stata cosciente la nostra tracciatura.
Quando la tracciatura della mappa è invece divenuta più cosciente  è stato sempre meno possibile scambiarla con la realtà,  che quindi ci appare sempre più come una mappa a tutti gli effetti, cioè una realtà virtuale.
Quindi in sostanza abbiamo sempre a che fare con mondi virtuali, e tanto più virtuali  quanto più siamo consapevoli di averli tracciati noi, e tanto più ''reali'' quanto meno consapevoli di averli tracciati.
Ecco perchè i mondi tracciati dalla fisica attuale ci sembrano sempre più astratti, cioè sempre più simili a mappe, perchè abbiamo piena consapevolezza di averli tracciati noi, per quanto sarà impossibile per il singolo individuo risalire a tutto il disegno, essendosi trattata di un opera collettiva di uomini presenti e passati, e da qui l'impossibilità di comprendere del tutto la cosa.
Ma una linea buona per la comprensione è che non c'è nulla da comprendere, perchè le mappe vanno seguite, non comprese.

Viviamo così la contraddizione di una scienza che descrive sempre meglio la realtà quanto più sembra allontanarsene, perchè viviamo da sempre in un mondo di parole, ma con una consapevolezza cresciuta col tempo.
All'inizio era il verbo, ma nessuno ne aveva consapevolezza, finché qualcuno non lo ha messo per iscritto, e come questo qualcuno sia potuto arrivare a questa consapevolezza, facendo questa affermazione, mi lascia del tutto stupito.
In ogni caso la nostra storia da allora in poi è la storia, ancora in corso, della dimostrazione di quella affermazione, e quanto più la dimostrazione sembra funzionare tanto più proviamo insoddisfazione, perchè l'uscita dall'eden non è stata una rovinosa caduta, ma una lenta discesa ancora non conclusa.
La conoscenza è il peccato ancora in corso che ce ne estromette lentamente, ma in modo inesorabile, e tutto era stato già messo per iscritto, seppur con la drammaticità di un atto unico, che invece ancora viviamo.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

iano

#2
La coscienza in sè non è necessaria, in quanto un modo diverso, ma non indolore, di fare le cose.
Noi osserviamo la morte fin dal momento in cui nasciamo, mentre c'è che chi, come fosse vissuto in un eden, se ne accorge solo un attimo prima di morire.
Io preferisco, in quanto uomo, avere la mia consapevolezza, per quanto dolorosa, ma questo, o il suo contrario, non sono  valori in sè, ma solo ciò che ci caratterizza come esseri viventi con un diverso modo di fare, secondo come ha deciso l'evoluzione.
Ci è andata bene, ma ci poteva andare anche male, e la questione rimane ancora aperta.
Però non credo che la soluzione sia rinunciare a quel che si è, per tornare a quel che eravamo.
L'evoluzione non si sà dove vada, ma è improbabile che torni indietro sui suoi passi solo perchè noi lo decidiamo.
Inoltre, se potessimo pure deciderlo, che scelta potremmo fare banalmente se non per l'unico percorso evolutivo che  conosciamo, quello che abbiamo già fatto, decidendo di ripercorrerlo al contrario?
Peccheremmo quantomeno di fantasia, e questo mi sembrerebbe come un modo di rimediare al presunto peccato originale con un altro ancor peggiore.
A meno che non si tratti di frenare prudentemente l'evoluzione, dato che neanche la velocità è di per sè un valore.
Infatti, se ci pensate, l'evoluzione sta andando così veloce, che è la prima volta che una generazione, la nostra, ne è diretta testimone.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

Ipazia

Benvenuti nell'universo antropologico: en archè en o logos.

Augurandovi salute al netto di tutti i feticismi mappali e  insidie del traduttore automatico  ;D
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

Pensarbene

Parlare è comunicare significati che non è possibile comunicare in altri modi.
Oppure, che comunicare un altri modi sarebbe più  difficile e meno chiaro.
Di per sè l'essere umano comunica anche quando non comunica,nel senso che non può fare a meno di essere e quindi manifestare il suo essere  umano.
Parlare,non parlare, gesticolare, restare immobile,cantare,muoversi...Il parlare,lo scrivere,il rappresentare,il simbolizzare,il ragionare...
Tutti questo fa l'umano e umanizza.
Quindi bisogna parlare di umanizzazione e non di virtualizzazione.
La virtualizzazione è una illusione e una fuga dall'umano e dall'umanizzazione connessa alle macchine.
Una cugina illusoria della fantasia e dell'immaginazione creativa: l'AI attuale ne è l'esempio più sfacciato,noioso e mostruoso.
Un non essere che sembra un essere migliore dei veri esseri, una porcheria diabolica.








 

Alberto Knox

Citazione di: Pensarbene il 08 Aprile 2024, 04:43:22 AMTutti questo fa l'umano e umanizza.
Quindi bisogna parlare di umanizzazione e non di virtualizzazione.
La virtualizzazione è una illusione e una fuga dall'umano e dall'umanizzazione connessa alle macchine.
Stavolta il ragazzo ha "pensatobene". Umanizzazione che non guarda le cose per come sono ma guarda le cose per come devono essere utlizzate. Scriverà Heidegger;  "inquietante non è solo che l'intero pianeta si risolve in un enorme apparato tecnico, ancora più inquietante è che non siamo affatto preparati a questa radicale trasformazione del mondo. Ma ancora più inquietante (e siamo al terzo grado di inquietudine) è che non abbiamo un pensiero alternativo a un pensiero che sa fare solo il conto, un pensiero che sa solo calcolare".  Questa mi sembra la visione della situazione contemporanea. Anche un opera d 'arte non è arte finchè non entra nel mercato. Non abbiamo un pensiero che sappia capire che cos'è il bello che cos'è il giusto, che cos'è il sacro. Abbiamo solo un pensiero capace di percepire solo ciò che è utile. Non abbiamo, dice Heidegger un linguaggio alternativo al linguaggio metafisico che ha partire da Platone non ha fatto altro che preoccuparsi di salvare le cose del mondo e metterle a disposizione dell uomo. E questo linguaggio cominciato da Platone e proseguito nel medioevo , riformulato in maniera più stringente da Cartesio il quale dice che con la scienza l'uomo diventa padrone e possessore del mondo. La stessa essenza dell umanesimo che si potrebbe pensare in antitesi con la tecno/scienza è invece propio la scienza , perchè attraverso la tecnoscienza l uomo diventa padrone e signore del mondo. Quindi non solo si riconferma l'intenzione metafisica di salvare le cose del mondo ma sopratutto si riconferma che lo scopo della filosofia non è stato altro che irrobustire sempre di più questa intenzione di Platone di rendere l'uomo padrone del mondo e di portarla a compimento. C'è un modo per riscattarsi da questa concenzione ? c'è un primo inzio dice Heidegger,  l'inizio dei filosofi che sono nati prima di Platone e che si sono occupati della natura non concependola come pensiero calcolante come fa oggi il pensiero moderno che vede la natura come materia prima , come deposito di accomulo di risorse dal quale attingere in qualsiasi momento, noi non abitiamo più la natura , noi abitiamo la tecnica. Perchè l'impostazione mentale è quella di guardare all universo solo sotto il profilo dell utilità.
Noli foras ire , in teipsum redi, in interiore homine habitat veritas.

Jacopus

Bell'intervento Alberto. La frase di Heidegger è molto nota e ripetuta spesso ma ciò non toglie che sia anche molto vera. La tecnica nasce dal linguaggio? Direi di sì. La tecnica è solo "male"? Direi di no. Senza tecnica, stasera non avrei mangiato delle deliziose linguine al pesto ma una sbobba inguardabile (e sarei già stato fortunato).
Linguaggio e tecnica sono ambivalenti, e forse non riusciamo ancora a gestirli bene, poiché l'uomo è un animale non ancora del tutto stabilmente determinato (Nietzsche).
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

Ipazia

L'impostazione mentale dominante è più economicistica, che tecnica. La tecnica è solo il mezzo per ottenere il risultato. È un utilitarismo finizzato all'economia capitalistica, ovvero al profitto, non ad una economia di sussistenza, come nelle epoche precapitalistiche. E poiché, contrariamente alla sussistenza, il profitto non ha limiti, il danno arrecato dall'intervento tecnico è infinitamente superiore a quello che sarebbe necessario per sopravvivere.

Le nostre discariche in terra, acqua e atmosfera, sono la misura della patologia di tale uso della tecnica.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

Pensarbene



Citazione di: Alberto Knox il 09 Aprile 2024, 20:56:51 PM
Stavolta il ragazzo ha "pensatobene".  
come sempre o quasi sempre daltronde :-\
 

InVerno

Assumere che la funzione primaria del linguaggio sia quella comunicativa è come assumere che la funzione primaria di una mazza da baseball sia difendersi dai ladri. Per il 99% del tempo il linguaggio è usato come struttura del monologo interiore, e chiaramente non si è evoluto per essere efficiente nella comunicazione, anzi è proprio dove fallisce più spesso. Qualcuno ogni tanto si lamenta che qui sul forum gli utenti più che dialogare monologano, esattamente, senza uno sforzo "immane" il linguaggio anche quando sembra dialogo è monologo. In un mondo ossessionato dalla comunicazione c'è un chiaro bias nel considerare il linguaggio come strumentale a questa attività, io mantengo la convizione invece che sia una forma di automedicazione della psiche, tanto più usato e abusato quanto più l'animo è rotto. Molte discipline orientali considerano la cessazione del monologo interiore come forma di integrità acquisita attraverso la meditazione, il momento in cui la stampella non serve più e dal silenzio si giunge alla serenità, in realtà anche la mistica cristiana.
Non ci si salva da un inferno, sposandone un altro. Ipazia

Ipazia

Che senso avrebbe scrivere qui se bastasse il monologo interiore ? Anche il più autoreferenziale dei partecipanti lo fa per diffondere il suo verbo ad altri, non certo a se stesso, per cui non ha bisogno di questa via traversa. Anch'egli vuole un feedback, se scrive qui. E attraverso il feedback riscontra l'efficacia della sua comunicazione, che non avrebbe nel monologo interiore.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

Phil

Citazione di: InVerno il 11 Aprile 2024, 20:02:30 PMAssumere che la funzione primaria del linguaggio sia quella comunicativa è come assumere che la funzione primaria di una mazza da baseball sia difendersi dai ladri.
Credo che il "passo falso" sia il ritenere che ci debba essere una funzione primaria a priori: una mazza da baseball in un campo da baseball ha la funzione primaria di colpire la palla, ma se la teniamo ai piedi del letto e non sappiamo nemmeno giocare a baseball, allora il fatto che si chiami «da baseball» è solo questione di "nominalismo" (perché di fatto la sua funzione è primariamente altro dal baseball, infatti la terremmo lì anche se avesse un altro nome).
Resta innegabile che il linguaggio sia anche monologo, interiore o esteriore (la poesia solitamente ed "essenzialmente" è tale); tuttavia quando parlo con il fornaio probabilmente è dialogo.
"Primariamente" direi che il linguaggio è la tecnica delle parole (così come la tecnica è il linguaggio con cui "parliamo" con il mondo circostante) e come molte tecniche può essere usata su/per se stessi, ma anche su o con gli altri: posso tatuare me stesso, ma anche tatuare un altro, tatuarmi con altri (fianco a fianco), tatuarmi per gli altri, etc.

InVerno

Hai ragione, Phil, speculando a riguardo della "ragione a priori" del linguaggio forse potremmo giungere a diverse conclusioni, ma perchè discuteremmo probabilmente della sua origine. In realtà il mio pensiero era collegato più strettamente al successivo, avrei forse dovuto sostituire il punto con un punto e virgola per farlo intendere meglio, purtroppo il linguaggio fa schifo a comunicare, ma io ho capito benissimo quello che intendevo.  Ovvero quale sia il "driver" che ha determinato la sua evoluzione, perchè checchè sia la sua origine dopo millenni di evoluzione sociale è diventato qualcosa con dei limiti definiti dalla sua stessa evoluzione nel tempo. Se la mazza da baseball fosse evoluta con la funzione primaria di spaccare crani probabilmente avrebbe quattro spigoli, ma siccome è comoda una superficie tonda per dare diverse traiettorie ad una pallina è tonda. Due universi paralleli, uno dove il baseball è lo sport nazionale e l'altro dove tutti sono guardie e ladri, produrrebbero due mazze diverse per ragioni a priori diverse, ma i loro abitanti rimarrebbero confinati nelle limitazioni pratiche delle due diverse mazze. Dialogare è possibile, facendo entrare l'altro nel nostro teatrino, un mini-me che si veste da Ipazia (con le informazioni che ho di lei) e con cui penso a voce alta, o a cui scrivo parte dei miei pensieri, con cui dialogo, si dice. Non sono convinto che questo però coincida con un mondo continuamente in competizione e voglia di "convincere" l'altro, questo forum in teoria dovrebbe esserlo, ma è un luogo dedicato e specifico, alcuni semplicemente non se ne rendono conto e continuano a monologare come fanno per il 99% del tempo "a casa".
Non ci si salva da un inferno, sposandone un altro. Ipazia

bobmax

L'esistenza è comunicazione.
Infatti tutto ciò che esiste, esiste in quanto comunicazione.
La comunicazione lascia intendere che vi sia una origine e una meta della comunicazione. Cioè che la comunicazione consista in informazioni che vanno da uno all'altro.

Ma i poli della comunicazione sono sempre soltanto presupposti.
Perché possiamo indagarli quanto vogliamo, sempre ci ritroviamo con una comunicazione, che rimanda a "qualcosa" che dovrebbe comunicare.
Ma che è inevitabilmente irraggiungibile.
C'è davvero?

Anche il pensiero è comunicazione.
Infatti per pensare mi devo scindere, per poter dialogare tra me e me.
Parlo e mi ascolto, affermo e controbatto, dubito e divento certo, sempre si tratta di comunicazione.
Dove io, uno e bino, sono soltanto presupposto.

Quindi la comunicazione è la stessa esistenza.
Che non consiste in qualcosa che eventualmente comunica, ma è esistenza proprio in quanto comunicazione.

Perciò il linguaggio esiste non solo come strumento possibile di comunicazione.
È esso stesso comunicazione.
Il simbolo è esso stesso comunicazione.
Al di là del significato che gli si attribuisce.

Chi nega l'esistenza di Dio (ma anche chi l'afferma) dovrebbe a mio avviso considerare quale sia la propria stessa esistenza, visto che si tratta sempre e solo di comunicazione.
Tardi ti ho amata, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amata. Tu eri con me, mentre io ero lontano da te.

Phil

Citazione di: InVerno il 12 Aprile 2024, 08:53:51 AMchecchè sia la sua origine dopo millenni di evoluzione sociale è diventato qualcosa con dei limiti definiti dalla sua stessa evoluzione nel tempo. Se la mazza da baseball fosse evoluta con la funzione primaria di spaccare crani probabilmente avrebbe quattro spigoli, ma siccome è comoda una superficie tonda per dare diverse traiettorie ad una pallina è tonda.
Interessante la questione del limite in rapporto alla temporalità: c'è stato un momento in cui la mazza ha iniziato ad essere meno adeguata per quello che era/è il suo gioco?
L'esempio del panettiere non era totalmente ingenuo: per il nostro "pane quotidiano", il linguaggio solitamente risulta adeguatamente efficace; inizia ad esserlo meno quando dal linguaggio delle elementari passiamo a quello delle superiori, ossia quando iniziamo ad ibridarlo e complicarlo ben oltre la transazione economica alla cassa del panificio. Notoriamente, i filosofi sono la stirpe che più si è alienata dal panificio, sono la stirpe di Babele, sotto le mentite spoglie di portatori di chiarezza (e, a proposito di lingue, sappiamo come si dice «portatore di luce» in latino... almeno i poeti sono solitamente meno presuntuosi e hanno velleità meno ecumeniche). Alcuni di loro, circa un secolo fa, provarono a razionalizzare il linguaggio per ridurre i fraintendimenti e facilitare il gioco, ma probabilmente era già tardi e il fatto che la tecnologia abbia poi dato a tutti un megafono con licenza di straparlare, non ha aiutato a rendere il gioco meno caotico.
Concordo sul fatto che, in ambito "impegnato", spesso non si giochi totalmente lo stesso gioco dell'interlocutore, perché pensiamo di sapere quale sia il suo gioco, ma in fondo è solo la precomprensione che ne abbiamo (se il linguaggio è mediazione fra significati mentali e mondo esterno, fra te e Ipazia ci sono almeno due mediazioni, il cui incontro richiede un'ulteriore mediazione... ci starebbe una battutaccia su un paio di guerre in corso, ma meglio lasciare la mazza da baseball nel suo fodero).
Il problema più dirompente si verifica quando un parlante con la mazza da baseball incontra uno con la mazza da golf e provano caparbiamente a voler giocare assieme; difficile ne scaturisca una bella partita, più probabile che entrambi finiscano con ricorrere all'uso "non prioritario" del rispettivo arnese (spesso accusando l'altro di, appunto, "non capire una mazza"). Eppure per giocare sembrerebbe necessario essere in due: se nessuno ci lancia una palla, che ce ne facciamo della mazza? E qui la tua tesi dell'autoreferenzialità della comunicazione calza a pennello: il gioco più funzionale e "istintivo" è infatti quello in cui si gioca da soli (come dimostrano i bambini), per il bisogno di giocare, per conoscersi, per riflettere, proprio come palleggiare contro uno solido specchio con la nostra racchetta da tennis: giochiamo con(tro) il nostro alter-ego, e se la pallina non c'è, ce la immaginiamo e la partita va avanti lo stesso.

Discussioni simili (4)