Il giudizio sintetico a priori

Aperto da Eutidemo, 02 Ottobre 2024, 12:58:41 PM

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iano

Citazione di: Scepsis il 29 Ottobre 2024, 20:59:48 PMGli assiomi sono i punti di partenza, dati e posti arbitrariamente (in quanto non devono essere dimostrati), mentre le affermazioni da dimostrare sono i punti di arrivo.
Corretto. Ma io intendevo, affermazione di cose ''a priori'', nel senso Kantiano.
Intendevo cioè suggerire che di fatto, cioè ai fini dello sviluppo della teoria, non fà differenza se assumiamo un ''a priori'' o un ''non a priori''.
La geometria si è resa indipendente dai concetti primitivi, ma la filosofia non sembra poter fare lo stesso balzo rendendosi indipendente dagli ''a priori''. Potrebbe però fare riferimento a degli '' a priori'' fino a prova contraria.

Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

iano

Citazione di: Scepsis il 29 Ottobre 2024, 20:59:48 PMGli assiomi inoltre sono arbitrari nel senso che sono liberamente individuabili, non sono l'espressione ed il prodotto della mente umana o di verita' divine, ma devono comunque essere tali da essere adeguati e sufficienti per rendere dimostrabile qualsiasi affermazione relativa al loro campo di applicazione
Intuisco una contraddizione in ciò che affermi.
O quantomeno non è una affermazione che riguarda la matematica pura, ma più la fisica matematica, cioè una matematica che nasca avendo  già come obiettivo un campo di applicazione preciso.
La matematica pura non nasce avendo un campo di applicazione in partenza, anche se non mi sento di escludere che ci sia una vocina interna che suggerisca ai matematici quali assiomi scegliere, se poi le loro teorie trovano applicazione inattesa nei problemi fisici del momento.

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Citazione di: Scepsis il 29 Ottobre 2024, 20:59:48 PMCon "Allo stesso modo secoli fa..." mi riferivo alla modalita' di risoluzione del problema, cioe' ad un allargamento dei confini della matematica rispetto a quelli tradizionalmente fissati, e non al contenuto dello stesso. Il tentativo di introdurre una nuova branca della logica matematica, definita meta matematica, sembrerebbe andare in questa direzione
Non credo di esserne a conoscenza, ma tieni conto che noi, diversamente da un computer, abbiamo bisogno di un metalinguaggio per fare matematica, e il metalinguaggio che usiamo è la lingua corrente.
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iano

#33
Citazione di: Scepsis il 29 Ottobre 2024, 20:59:48 PMGli assiomi sono i punti di partenza, dati e posti arbitrariamente (in quanto non devono essere dimostrati), mentre le affermazioni da dimostrare sono i punti di arrivo. Se posto ed individuato correttamente si era sempre pensato che un sistema iniziale di assiomi avrebbe potuto dimostrare (in positivo od in negativo) qualsiasi affermazione (quindi ipotesi o cogettura) di tipo matematico (in geometria i 5 postulati di Euclide non erano sufficienti a renderla "completa", ma i 21 di Hilbert si, ed Hilbert lo ha dimostrato). Il teorema di Godel ha dimostrato il contrario di quanto si pensava, vale a dire che non esiste un sistema di assiomi in grado di dimostrare qualsiasi affermazione matematica non perche' non e' stato ancora individuato, ma perche' tale sistema di assiomi necessariamente non puo' esistere.
Non ho niente da insegnarti in materia, e la comprensione dei teoremi di Godel non è ancora alla mia portata, ma facendo riferimento solo a ciò che scrivi, forse fai un pò di confusione.
In fatti Hilbert porta a compimento il lavoro di Euclide, il quale ha come applicazione predefinita il modo in cui noi percepiamo lo spazio fisico, fatto di cose per noi evidenti, e per questo agli assiomi di Euclide è richiesto di essere evidenti.
Godel fa invece riferimento alla logica e alla matematica pura, cioè quella che nasce senza avere un campo di applicazione predefinito, e nascendo per nessuna applicazione in particolare , ai suoi assiomi non è richiesta alcun evidenza, né alcun significato particolare, cioè quanto di più lontano di qualcosa che somigli ad un
''a priori''.
E' quando poi la teoria trova applicazione in fisica che gli elementi della teoria assumono un significato fisico.
Le dimensioni dello spazio a 4 dimensioni non sono larghezza, altezza, profondità e tempo, essendo questi un esempio dei significati che noi attribuiamo alle dimensioni quando facciamo un applicazione fisica particolare della teoria matematica. Potremmo applicare lo stesso spazio matematico ad un diverso campo della fisica laddove le quattro dimensioni assumerebbero diversi significati.
La matematica dopo Euclide, non nascendo più con in mente un particolare campo di applicazione, si presta ad ogni applicazione possibile ed eventuale.
Con il lavoro di Evariste De Galois, scritto la notte prima di essere ucciso in un duello a vent'anni, la geometria di Euclide è stata declassata a una delle tante geometrie possibili, caratterizzata ognuna dalle sue invarianze, laddove quella di Euclide si caratterizza in particolare per essere i suoi elementi ( figure geometriche) invarianti per traslazioni e rotazioni.


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Scepsis

Citazione di: iano il 29 Ottobre 2024, 21:41:37 PMIntuisco una contraddizione in ciò che affermi.
O quantomeno non è una affermazione che riguarda la matematica pura, ma più la fisica matematica, cioè una matematica che nasca avendo  già come obiettivo un campo di applicazione preciso.
La matematica pura non nasce avendo un campo di applicazione in partenza, anche se non mi sento di escludere che ci sia una vocina interna che suggerisca ai matematici quali assiomi scegliere, se poi le loro teorie trovano applicazione inattesa nei problemi fisici del momento.
Ci sono gli assiomi della geometria, quelli della logica e quelli della matematica. Con "campo di applicazione" mi riferivo per i primi alla geometria, per i secondi alla logica (e non ad un campo di applicazione concreto o riferito a qualche scienza), omettendo la matematica in quanto non "completa". Per questo scrivevo: "gli assiomi... devono comunque essere tali da essere adeguati e sufficenti per rendere dimostrabile qualsiasi affermazione relativa al loro campo di applicazione, se possibile (come nel caso della geometria e della logica, di cui si e' dimostrata la completezza)".
Citazione di: iano il 29 Ottobre 2024, 22:02:55 PMIn fatti Hilbert porta a compimento il lavoro di Euclide, il quale ha come applicazione predefinita il modo in cui noi percepiamo lo spazio fisico, fatto di cose per noi evidenti, e per questo agli assiomi di Euclide è richiesto di essere evidenti.
Godel fa invece riferimento alla logica e alla matematica pura, cioè quella che nasce senza avere un campo di applicazione predefinito, e nascendo per nessuna applicazione in particolare , ai suoi assiomi non è richiesta alcun evidenza, né alcun significato particolare, cioè quanto di più lontano di qualcosa che somigli ad un
''a priori''.
Certamente una cosa e' la geometria ed un'altra e' la matematica. Parlando della "completezza" della matematica ho aggiunto tra parentisi "(in geometria i 5 postulati di Euclide non erano sufficienti a renderla "completa", ma i 21 di Hilbert si, ed Hilbert lo dimostra)", solo per esemplificare il processo che avrebbe dovuto seguire anche la matematica per arrivare a dimostrare la propria "completezza" (che tutti davano erroneamente per scontata), cosi' come era stata dimostrata la "completezza" della geometria.
Relativamente alla geometria, gia' con gli assiomi di Euclide si raggiunge un certo grado di astrattezza per l'epoca in cui sono stati concepiti, con punti adimensionali, rette infinite, il concetto di rette parallele ricavabile dal quinto postulato, anche se niente di paragonabile allo spazio vettoriale hilbertiano con elementi non piu' dati da punti dello spazio euclideo, ma da vettori (costituiti ciascuno dagli infiniti componenti di una serie numerica convergente), tale da far perdere alla geometria ogni carattere di evidenza.

iano

#35
Citazione di: Scepsis il 30 Ottobre 2024, 20:18:51 PMCi sono gli assiomi della geometria, quelli della logica e quelli della matematica.
Non concordo su questo. La matematica è una sola, e diverse sono le sue teorie che possiamo arbitrariamente suddividere in categorie, delle quali la geometria e l'aritmetica  hanno solo una precedenza storica, che però non le rende essenzialmente diverse dalle altre teorie matematiche.
Non c'è una teoria che si applica al campo della geometria, ma un termine geometria che indica per ragioni storiche una particolare teoria matematica, che può essere applicata alla realtà ne più ne meno di qualunque atra teoria matematica.
Per la logica è da farsi un discorso a parte, che non sono in grado di affrontare,, anche se sò che ad essa si è tentato di ridurre la matematica, ma non sò con quale successo.
Non ci sono teorie astratte a altre meno astratte, ma teorie che nel tempo hanno assunto un maggior grado di astrazione, e il fatto che su alcune di esse, come geometria e aritmetica, il nostro intuito storicamente si esercita, non le rende meno astratte.

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Ipazia

La sintesi aritmetica si costituisce su una scomposizione anaitica delle parti ove "a priori" non c'è nulla.
(semmai è  una sintesi "a posteriori" applicabile dopo aver definito i numeri come multipli dell'unità a cui sono analiticamente riconducibili)
La dimostrazione 5+7=12 si regge sul dato analitico:
(1+1+1+1+1) +(1+1+1+1+1+1+1)=12
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

iano

#37
Citazione di: Ipazia il 02 Novembre 2024, 21:08:45 PMLa sintesi aritmetica si costituisce su una scomposizione anaitica delle parti ove "a priori" non c'è nulla.
(semmai è  una sintesi "a posteriori" applicabile dopo aver definito i numeri come multipli dell'unità a cui sono analiticamente riconducibili)
La dimostrazione 5+7=12 si regge sul dato analitico:
(1+1+1+1+1) +(1+1+1+1+1+1+1)=12
Un discorso un pò criptico per me, per cui non so dire se concordo.

Quello che io voglio dire è che, sebbene il concetto di numero derivi dal concetto quantità, oggi le parti si sono invertite, per cui il numero non indica una quantità, ma lo si può applicare ad una realtà fatta di quantità di cose.

Pitagora, teorizzando che la realtà fosse fatta di numeri, intesi sempre come quantità, crede perciò che un segmento debba essere fatto di segmenti unitari, di modo che si possa dire quanti ne contenga.
Per cui se ad esempio esso ne contiene più di due, ma meno di tre, si possa suddividere l'unità scelta in partenza, assumendo come nuova unità una sua parte, di modo che ad esempio si possa dire che il segmento contenga 5 unità, che sono 2,5 dell'unità precedentemente assunta.
Questa applicazione del numero come quantità ai segmenti però non funziona, con la scoperta dei numeri irrazionali, nella forma di incommensurabilità di alcuni segmenti.
Si scopre cioè che non è vero che la realtà è fatta di numeri razionali, e che ciò si possa quindi continuare ad affermare solo generalizzandone il concetto, che in questa generalizzazione però si distaccherà del tutto dall'intuito che abbiamo dei numeri, smettendo essi i panni dell' ''a priori''.

Detto in altro modo noi abbiamo intuito dei numeri naturali che ci appaiono perciò come concetto evidente, cosa a priori, che non abbisogna di essere definito perciò, ma al più nominato per indicare a quale ''a priori'' ci riferiamo.
Quindi, nel momento in cui decidiamo, senza che ve ne sia apparente necessità, di definire l'oggetto della nostra intuizione, andando oltre il nominarlo, siccome non possiamo dimostrare che essa coincida con la nostra intuizione, da quel momento in poi il numero diviene ciò che abbiamo definito, svincolato del tutto dalla nostra intuizione primaria.

Nel momento in cui la matematica, nel suo progredire, diventa il regno delle cose che vanno definite, l'intuito può ancora avervi luogo, ma non è più la sua sostanza.

I numeri irrazionali non sono irrazionali, ma semplicemente inimmaginabili, e li abbiamo chiamati cosi' in un periodo storico in cui credevamo che fosse possibile sempre immaginare ciò che risponde a ragione, un epoca in cui i razionali computer privi di immaginazione erano ancora da venire.

Anche quando i numeri erano soggetti esclusivi della nostra immaginazione, il far di conto comunque non lo era.

Che 2 per 2 fa 4 è cosa che posso pure immaginare ma resta il fatto che 4 è il necessario risultato di un calcolo e non il prodotto discutibile della mia immaginazione.
Non si rende perciò necessaria la condivisione di una percezione, anche quando questa ancor vi fosse, per convenire sul risultato, ma basta dire con Cartesio: calculamus!

Cartesio cerca di salvare il salvabile dopo il fallimento di Pitagora, ma alla fine fallisce in parte anche lui, perchè  non si può calcolare la sentenza di un tribunale, ma restando nel campo della matematica, dove Pitagora aveva fallito, lui ci ha azzeccato in pieno.
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Ipazia

Le operazioni aritmetiche hanno un fondamento naturalistico sempre riconducibile alle unità.  Pure le funzioni si dimostrano su basi analitiche : analisi matematica. Gli elementi dell'analisi matematica permettono l'elaborazione di strategie di calcolo sofisticate, ma si tratta di tecnica sviluppata da Cartesio a Leibniz,non di innatismo matematico.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

iano

#39
Citazione di: Ipazia il 09 Novembre 2024, 11:50:58 AMLe operazioni aritmetiche hanno un fondamento naturalistico sempre riconducibile alle unità.  Pure le funzioni si dimostrano su basi analitiche : analisi matematica. Gli elementi dell'analisi matematica permettono l'elaborazione di strategie di calcolo sofisticate, ma si tratta di tecnica sviluppata da Cartesio a Leibniz,non di innatismo matematico.
Giusto, quindi, se non vogliamo dire che la matematica un pò si scopre e un pò si inventa, ammettendone due tipi diversi, dei quali uno intuiamo e/o è derivante dalla nostra esperienza, e l'altro, che, quando pur si mostra utile ad essere applicato alla realtà,  in tal modo ci sorprende, come cosa inattesa, dovremo trovare il modo di trovarne una descrizione uniforme.
Quindi succede che se vogliamo descrivere i due tipi in un solo modo che li comprenda entrambi , non abbiamo scelta, e dovremo descrivere ciò che sembra essere innato al modo di ciò che non sembra esserlo, e questa operazione si dimostra essere fattibile, mentre l'inversa  non risulta essere tale.
Possiamo cioè rigurdare l'aritmetica come cosa che può applicarsi alla realtà, che perciò descriviamo come essere fatta di cose che si possono sommare, e non viceversa, che potendosi le cose sommare da ciò deriviamo l'aritmetica.
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iano

#40
Tale operazione di unificazione, in se comunque non necessaria, ha però secondo me utili risvolti psicologici, perchè se perfino
 l' ''ovvia'' aritmetica si riduce ad essere una pura applicazione come tante alla realtà, allora anche la più apparentemente  astrusa teoria matematica potremo provare ad applicare alla realtà senza remora alcuna.
Ma allora, se poniamo che una teoria matematica a priori valga l'altra , secondo quale criterio, non potendoci più appellare all'ovvietà, sceglieremo quale provare ad applicare, essendo esse producibili in modo ''innumerevole''?
In ciò il nostro intuito riacquista il suo valore, e nella misura in cui la matematica la produrremo e applicheremo noi continuerà di riffa o di raffa a fare testo, per cui diremo geni coloro che azzeccheranno una appropriata scelta, che risolva il problema che ci siamo posti.
L'intuito quindi, che per amore di uniformità abbiamo provato a mettere  alla porta, si trasforma per sopravvivere, e rientra dalla finestra. :)
In tal modo quindi ciò che sia da considerare a priori non si impone più necessariamente nella sua evidenza, ma saremo noi a decidere cosa porre a priori, valutandone a posteriori la relativa opportunità nell'averlo fatto.
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Ipazia

L'ovvia aritmetica assolve la funzione pratica di enumerare degli oggetti. Cosa che nessuna estrosa matematica potrebbe fare meglio. La moltiplicazione è una elaborazione sintetica della somma. Sottrazione e divisione sono funzioni contabili elaborate dai più antichi matematici, assai utili nel loro mestiere di carattere economico. Così come l'analisi matematica si sviluppò per rispondere ai bisogni teorici e di calcolo della fisica quando questa cominciò a ridurre i fenomeni a funzioni matematiche orientate a sviluppi tecnologici.
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