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Il filosofo riluttante

Aperto da Kobayashi, 07 Ottobre 2017, 12:56:30 PM

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Kobayashi

Nelle ultime pagine di un suo breve testo dedicato agli effetti antropologici della rete ("Nello sciame. Visioni digitali"), il filosofo tedesco-coreano Byung-Chul Han parla di un articolo della rivista Wired che ipotizzava la fine della teoria. In sostanza l'autore dell'articolo (Chris Anderson) sosteneva che la disponibilità di un'enorme quantità di dati insieme alla potenza straordinaria degli attuali sistemi informatici di analisi avrebbero portato ad una conseguenza precisa: il rifiuto nel fare ipotesi sul perché di un certo fenomeno sostituito dal come.
In pratica non si perderà più tempo a interrogarsi sulla causa di un fenomeno. Ci sarà la correlazione statistica a mostrare l'esistenza di un legame tra certi fenomeni. Dal software utilizzato emergerà questa misteriosa correlazione che ci dice che cosa accade nella realtà.
 
Sempre nello stesso testo Han fa notare che pensare significa fondamentalmente separare l'essenziale dall'inessenziale.
Siamo costantemente bombardati da flussi di informazioni ma queste ondate di dati non stimolano affatto la riflessione, anzi, piuttosto la soffocano. Per poter pensare bisogna fare silenzio, "scollegarsi". Bisogna sapersi concentrare su una sola cosa, guardarla da tutti i punti di vista possibili, avere il tempo e la capacità di concentrazione per rimanere in compagnia di quella cosa e delle sue infinite sfumature per ore.
È così difficile che si finisce spesso per inventare un alter ego con cui poi costruire un dialogo sull'oggetto della propria ricerca. Una psicosi controllata senza la quale non ci sarebbe mai stata la storia della filosofia...
 
Quindi l'attività del pensare, così come la conosciamo, è destinata a sparire.
Volendo essere ottimisti però possiamo pensare che continuerà a sopravvivere una minoranza ribelle, così come "la morte di Dio" non impedisce l'esistenza di qualche comunità monastica cristiana.
A che cosa assomiglierà il filosofo del futuro?
Al monaco di oggi?
Non avendo una lingua in comune con gli altri esseri umani come potrà comunicare la propria verità?
Con il proprio corpo? Incarnando la propria visione del mondo accettandone i rischi e i paradossi così come i primi monaci, con il loro ascetismo e l'accettazione del martirio, hanno mostrato la (loro) verità del cristianesimo?

Apeiron

Il motivo per cui a mio giudizio la filosofia sembra destinata a sparire è che oggi si pensa (erroneamente  ;) ) di non averne bisogno e la si accomuna a discussioni da perditempo (così ho sentito dire da alcuni quando ho chiesto cosa ne pensassero della filosofia). C'è però anche un altro motivo per cui ciò avviene: una volta il "filosofo" era anche il "saggio", ossia l'immagine del filosofo coincideva con l'immagine di colui che vive perfettamente secondo i propri principi e non a caso le filosofie fin dal primo millennio a.c. (uso questa data perchè non sono a conoscenza di scritture più antiche di questo periodo di filosofia  ;) ) sia orientali che occidentali cercavano di trovare per esempio l'"uomo ideale, perfetto" ecc e di realizzarlo. Oggi questa fede nella "perfezione" la si è persa anche per motivi razionali in quanto ci siamo accorti quanto a volte certi uomini "perfetti" siano tremendamente difficili (se non impossibili) da trovare - e anzi la "produzione" di tali perfezioni andrebbe contro il progresso dell'umanità (per esempio Bertrand Russell criticava il giovane Ludwig Wittgenstein perchè se cercava solo di pubblicare scritti perfetti non avrebbe mai pubblicato niente - anche se lo stesso Russell riteneva come "obbiettivo" finale la perfezione). Motivo per cui la filosofia con i suoi canoni di perfezione (oggi non più magari di "uomo perfetto" ma comunque almeno di conoscenza, chiarificazione "perfette" ecc) è vista quasi come un intralcio dalla maggioranza. Molti a cui la filosofia piace però non riuscendo a sopravvivere a questa "corrente contraria" finiranno per arrendersi e abbandonare la filosofia.

Alla tua domanda "A che cosa assomiglierà il filosofo del futuro? Al monaco di oggi?" rispondo di sì! Perchè solo quei pochi che davvero danno importanza a queste "perfezioni" anche solo come obbiettivi a cui tendere senza necessariamente realizzare. Se poi resteranno saldi in questa "convinzione" probabilmente faranno come quegli antichi monaci e abbandoneranno la società.
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

green demetr

Citazione di: Kobayashi il 07 Ottobre 2017, 12:56:30 PM
Nelle ultime pagine di un suo breve testo dedicato agli effetti antropologici della rete ("Nello sciame. Visioni digitali"), il filosofo tedesco-coreano Byung-Chul Han parla di un articolo della rivista Wired che ipotizzava la fine della teoria. In sostanza l'autore dell'articolo (Chris Anderson) sosteneva che la disponibilità di un'enorme quantità di dati insieme alla potenza straordinaria degli attuali sistemi informatici di analisi avrebbero portato ad una conseguenza precisa: il rifiuto nel fare ipotesi sul perché di un certo fenomeno sostituito dal come.
In pratica non si perderà più tempo a interrogarsi sulla causa di un fenomeno. Ci sarà la correlazione statistica a mostrare l'esistenza di un legame tra certi fenomeni. Dal software utilizzato emergerà questa misteriosa correlazione che ci dice che cosa accade nella realtà.

Sempre nello stesso testo Han fa notare che pensare significa fondamentalmente separare l'essenziale dall'inessenziale.
Siamo costantemente bombardati da flussi di informazioni ma queste ondate di dati non stimolano affatto la riflessione, anzi, piuttosto la soffocano. Per poter pensare bisogna fare silenzio, "scollegarsi". Bisogna sapersi concentrare su una sola cosa, guardarla da tutti i punti di vista possibili, avere il tempo e la capacità di concentrazione per rimanere in compagnia di quella cosa e delle sue infinite sfumature per ore.
È così difficile che si finisce spesso per inventare un alter ego con cui poi costruire un dialogo sull'oggetto della propria ricerca. Una psicosi controllata senza la quale non ci sarebbe mai stata la storia della filosofia...

Quindi l'attività del pensare, così come la conosciamo, è destinata a sparire.
Volendo essere ottimisti però possiamo pensare che continuerà a sopravvivere una minoranza ribelle, così come "la morte di Dio" non impedisce l'esistenza di qualche comunità monastica cristiana.
A che cosa assomiglierà il filosofo del futuro?
Al monaco di oggi?
Non avendo una lingua in comune con gli altri esseri umani come potrà comunicare la propria verità?
Con il proprio corpo? Incarnando la propria visione del mondo accettandone i rischi e i paradossi così come i primi monaci, con il loro ascetismo e l'accettazione del martirio, hanno mostrato la (loro) verità del cristianesimo?

Che il pensiero sia in difficoltà è abbastanza evidente, anche senza dover arrivare alle intelligenze artificiali, che costruiscono modelli di fenomeni sicuramente più consistenti di quelli umani.

(Rimarrà sempre il fatto di quale modello scegliere. Quale sovvenzionare. Etc...etc...im quanto la manipolazione dei dati matematici è potenzialmente infinita nelle sue variazioni e campionamenti)

Per me la filosofia è sempre un modo del vivere, una riflessione non sul fenomeno, ma sull'impatto del fenomeno sul soggetto.

Al contrario del cristianesimo, la filosofia non si perderà mai nella negazione del soggetto, in nome di un Dio. (il che vuol dire semplicemente che quello è un discorso Altro per me)

Anche se quel nome di Dio fosse la Filosofia stessa.

Al di là di questo, sono comunque d'accordo, che il pensiero esisterà sempre e solo tramite la sua testimonianza terrena in acto. (mentale o agente che sia)

Ma il problema del fenomeno (sociale in primis) non è forse quello che per primo impedisce qualsiasi testimonianza che non sia nevrotica (psicotica...non esageriamo!).

E' il fenomeno in sè nel suo apparire, non la sua causa, che instaura la nevrosi.

Non è importante tanto capire la causa di quel fenomeno, ma innanzitutto riconoscere i fantasmi che crea (le forme mimetiche) la nevrosi, lo sdoppiamento in ciò che non siamo.

L'incisione sulla Sfinge vale sempre "conosci te stesso, per poter conoscere meglio gli altri".

Che varrebbe come dissipazione del fantasma di ciò che non siamo anzittuto.

Solo allora ritorna la questione del fenomeno in sè. Come politica e come potenza:
(controllo e potenziamento del fenomeno).

Vai avanti tu che mi vien da ridere

Kobayashi

Se ho capito bene quindi a te, caro Green Demetr, non interessa tanto il fenomeno quanto il suo effetto sulla soggettività. Se per esempio il fenomeno è qualcosa che ha a che fare con il potere, un'istituzione politica, la filosofia nella tua accezione deve occuparsi non tanto dell'analisi di quell'istituzione, ma delle trasformazioni che subisce l'Io del cittadino.
E queste trasformazioni sono manipolazioni che determinano una condizione di nevrosi perché la soggettività è ora abitata dai fantasmi generati appunto da queste manipolazioni.
Dunque il percorso del filosofo sarebbe un itinerario di analisi di queste immagini, di superamento dei propri fantasmi, di comprensione del fatto che questi fantasmi non sono Io, e poi... di ritorno al fenomeno? Guariti almeno parzialmente da questa nevrosi universale si ritorna ora al fenomeno, cioè, nell'esempio, all'istituzione politica, ... ma per fare? Per analizzarla da "sani"?

green demetr

Citazione di: Kobayashi il 10 Ottobre 2017, 09:33:48 AM
Se ho capito bene quindi a te, caro Green Demetr, non interessa tanto il fenomeno quanto il suo effetto sulla soggettività. Se per esempio il fenomeno è qualcosa che ha a che fare con il potere, un'istituzione politica, la filosofia nella tua accezione deve occuparsi non tanto dell'analisi di quell'istituzione, ma delle trasformazioni che subisce l'Io del cittadino.
E queste trasformazioni sono manipolazioni che determinano una condizione di nevrosi perché la soggettività è ora abitata dai fantasmi generati appunto da queste manipolazioni.
Dunque il percorso del filosofo sarebbe un itinerario di analisi di queste immagini, di superamento dei propri fantasmi, di comprensione del fatto che questi fantasmi non sono Io, e poi... di ritorno al fenomeno? Guariti almeno parzialmente da questa nevrosi universale si ritorna ora al fenomeno, cioè, nell'esempio, all'istituzione politica, ... ma per fare? Per analizzarla da "sani"?

Caro Kobayashi sì.

Questo perchè l'analisi non sia influenzata nei suoi aspetti critici da riflessioni completamente avviluppate su se stesse.
A mio parere è questo il percorso Nietzchiano, e già di per sè è una via ardua.

Una volta liberati dai proprio pregiudizi, si può fare un analisi spassionata del rapporto soggetto-società.

E' allora che nasce spontaneo, a mio avviso, il discorso comunitario sugli altri.

E' allora che si comincia a ragionare sulla necessità di legami che recuperino tutto il senso di quella necessità. Come si ragionava anche sul 3d del Dio Buono.

Ora per quel (poco) che ho capito di Nietzche, che senza dubbio questo passo l'ha compiuto, si tratterebbe del discorso sull'amicizia.

Ossia degli amici liberi. Ossia del traversamento del nichilismo.

Quindi non si tratta di cambiare le istituzioni, ma di affrontare questioni più radicali come il rapporto schiavo-padrone, e di uomini alla pari in rotta contro la propria annichilazione.
Che non è una questione meramente sociale, tutt'altro. (c'entrerebbe Dio etc...quindi con fenomeno intendo proprio qualcosa di più ampio al semplice potere istituzionale o "nascosto", alla Sini, che sia)

La nobiltà a cui si richiamo Nietzche non è in fin dei conti una mera condizione sociale.

Ahimè è questo che non ha mai funzionato in ogni tentativo politico in cui mi sono imbattuto.

Non è sostituendo la Legge in nome di un altra Legge, che si risolve la questione dello stare al mondo.

Infatti il Potere funziona proprio così, perchè sa benissimo che chi vuole potere, deve sacrificarsi al Potere.

E il potere è cieco e prende direzioni strane, come la Storia ci insegna.

Ma questo è solo un discorso generale amico mio, purtroppo "noi si sta come foglie al vento ed è subito sera." (Che fa eco ad un altro tuo pensiero)

ciao ;)
Vai avanti tu che mi vien da ridere

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