Il dramma dell'Etica di Spinoza, tra superstizioni, errori, violenze.

Aperto da PhyroSphera, 14 Agosto 2024, 09:12:33 AM

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PhyroSphera

#15
Citazione di: Scepsis il 23 Dicembre 2024, 14:20:00 PMLeibniz e' stato un matematico e logico eccezionale: creo' il calcolo infinitesimale (piu' efficente di quello elaborato da Newton), anticipo' la logica simbolica cercando di matematizzare la logica, fu il primo a scoprire che i 5 postulati di Euclide non erano sufficienti per conferire "completezza" (come oggi viene definita) alla geometria euclidea.
Come filosofo pero', in cui cercava di mettere a frutto le sue capacita' logiche per elaborare sistemi coerenti e non contraddittori, si sono spesso avute pluralita' e sovrapposizioni di versioni, riformulazioni, successivi aggiustamenti e cambi di premesse e conclusioni.
Egli assume determinate ed ardite premesse ed idee
Ho incluso solo parte del testo dell'interlocutore, che tutto intero era oltre la massima lunghezza consentita dal sito al momento del mio invio. Esso comunque è visibile prima, o cliccando sulla prima riga della citazione.


Dal punto di vista generale posso dire quanto segue.

La rigorosità e ferma coerenza delle nozioni scientifiche inquadrate da G. W. von Leibniz si coniuga davvero con una attività filosofica non contenibile in schemi fissi ma solo in prospetti provvisori o incompleti. Ciò però è interpretabile come un pregio del suo lavoro, che non a caso comprendeva anche la teologia, verso cui la ricerca filosofica non poteva presentarsi quale sistema chiuso e definitivo. Se ricondotta a quella di Spinoza e non viceversa, l'opera di Leibniz viene letta sincronicamente, ciò imponendo delle interpretazioni arbitrarie per far quadrare tutto, giacché il pensare al fondamento della natura implica una visione d'insieme degli oggetti studiati, da ricondurre ad una unità naturale, che però nell'Etica di Spinoza è soprattutto infinità. E' quindi operazione arbitraria e incongrua tale riconduzione, dato che la sostanza infinita spinoziana si presta ad allargare gli orizzonti, non a chiuderli. Ma questo agli interpreti atei non è mai piaciuto, volontari riformulatori ma, in virtù della dimostrazione geometrica praticata nella stessa Etica, destinati a non centrare l'obiettivo.

Il ricorso al sistema con N + 1 incognite ed N equazioni sarebbe utile per riferire del quadro filosofico in termini anche matematici, Leibniz però non era l'Autore dell'odierno Teorema d'Incompletezza pur essendo giusto precisare che il suo discorso non era conchiuso, il che come detto è un valore. Monadologicamente troviamo degli elementi molteplici la cui dimostrazione razionale resta affidata a un elemento ulteriore, la Monade suprema ovvero Dio, la cui esistenza viene dedotta dopo l'induzione delle altre monadi, questa condotta per via intellettuale e ragionativa, riflettendo intorno alla sostanza. Però non si continuava il lavoro di B. Spinoza, lo si conciliava con quello di R. Cartesio, introducendo una nuova filosofia, per la quale è del tutto inutile applicare il metodo di Hume che assevera causa ed effetto per il tramite dell'intùito o credere, dato che Leibniz ne anteponeva già, senza dover definire prima una realtà causale fittizia.

Res e Substantia, adeterminismo del dubbio iperbolico ovvero libertà del pensiero che è spirito, da una parte, dall'altra causalismo non meccanico in quanto sub specie aeternitatis (divina), questi due curiosi oggetti della speculazione moderna venivano fusi assieme con i concetti di monade e teodicea, cosmologicamente e teologicamente. Il punto è che la riflessione moderna accentrata sulla Critica della ragion pura e dimentica della pratica e del giudizio, non ha mai preso tanto sul serio la monadologia perché non ha mai preso tanto sul serio la teodicea, accusando un dogmatismo inaccettabile per il piano epistemologico in forza del rimproverare un naturalismo improponibile per il piano gnoseologico, e viceversa, senza con ciò aver dimostrato alcunché di inconsistente nell'oggetto avversato. La visione di Leibniz era a tutto campo, ma l'empirismo di Locke, posto contro quello di Berkeley, quindi l'attenzione esclusiva di Hume alla fisica dinamica e alla Teoria della gravitazione universale, creavano un accentramento su uno soltanto dei due poli di riflessione, quello materiale e naturale.
Da una parte il cartesianismo trasformava la distinzione psicologica cartesiana anima-corpo in separazione corpo/anima, dall'altra lo spinozismo mutava il Dio necessario spinoziano in necessità non necessariamente divina quindi fatalismo. A questo disastroso incipit che era nella cultura del tempo Leibniz poneva rimedio, fino a quando l'attenzione massima all'esperienza e ai risultati dell'esperienza non creava una scepsi all'interno del mondo accademico e filosofico occidentale e tutto ricominciava ugualmente; col negare lo 'spirito quale realtà ultima' (definito da Berkeley) non ne si negava il corrispondente materiale, generandosi un disastro intellettuale. Quello che rimaneva era insolvente, bisognoso d'altro, cui poneva rimedio la Critica di Kant nella sua globalità. Rifiutata quest'ultima, il bisogno d'altro divenne, da parte di taluni, il bisogno della fine dell'Occidente, già a partire dal Terrore in Francia e dopo seguitando con quello in Russia tramite Stalin, fino alla "rivoluzione culturale" di Mao in Cina e alla Cancel Culture di ambienti subculturali americani, emersa pubblicamente senza volontà dei suoi attuatori, già e più attivi da prima e sedotti a non restare in occulto.

Dunque monadologicamente si compiva la integrazione di natura e spirito ma ciò, preso a sé, non bastava per comporre il dissidio moderno tra necessità e libertà.
La monade è intersezione di materialità e spiritualità e ciò risolverebbe il dualismo cartesiano e il naturalismo spinoziano. Ma l'aver separato monade e dike, osservazione metaempirica e intuizione metafisica, quindi l'aver sottovalutato le prerogative e necessità del giudizio razionale rispetto al dato razionale, dava luogo al tramonto di una filosofia occidentale unita, sino poi al prospettarsi di una distruzione della filosofia occidentale tutta. Il fatto è che il recupero, da parte di Hume, della sfera superiore dell'essere, della intuizione e del sentimento, era entro un quadro culturale alienato, in una fede nel meccanismo universale che Kant smentiva ma restandone sulla scia: una liberazione senza tutta la libertà.
La sensazione e il sentimento sono in rapporto a materia e spirito, alla determinazione naturale e a quella spirituale, tra un destino che è fatto di ricorrenze vuote, di appuntamenti disposti in una ferrea rete di necessità, solo in parte conoscibile, e una provvidenza che si manifesta attraverso sorprese e dati non ricercati, evidenti da sé. Quelli che esaltarono la spiritualità idoleggiando Cartesio, fino ad Hegel; quelli che esaltarono la materialità, idolatrando l'Etica di Spinoza sino a Marx ed Engels... nel mezzo la concordanza riuscita a Leibniz, comprensibile con un pensiero filosofico a completo raggio d'azione, tra premesse superiori e conseguenze sottostanti, tra fede e scienza, religione e tecnica.

La risposta specifica nel prossimo messaggio.


MAURO PASTORE

PhyroSphera

#16
Citazione di: Scepsis il 23 Dicembre 2024, 14:20:00 PMLeibniz e' stato un matematico e logico eccezionale: creo' il calcolo infinitesimale (piu' efficente di quello elaborato da Newton), anticipo' la logica simbolica cercando di matematizzare la logica, fu il primo a scoprire che i 5 postulati di Euclide non erano sufficienti per conferire "completezza" (come oggi viene definita) alla geometria euclidea.
Come filosofo pero', in cui cercava di mettere a frutto le sue capacita' logiche per elaborare sistemi coerenti e non contraddittori, si sono spesso avute pluralita' e sovrapposizioni di versioni, riformulazioni, successivi aggiustamenti e cambi di premesse e conclusioni.
Egli assume determinate ed ardite premesse ed idee


Anche stavolta ho potuto includere solo parte del testo dell'interlocutore, che tutto intero era oltre la massima lunghezza consentita dal sito al momento del mio invio. Problemi tecnici. Esso comunque è visibile prima, o cliccando sulla prima riga della citazione.


Vengo ora a una vera e propria risposta a "Scepsi", dopo la precedente replica

Il non muovere da premesse, da parte del filosofo, il ricercare metafisico staccato dal proprio sfondo originario (non: originale), non consente di avvalersi della monadologia, restando questa priva delle cose necessarie. Dico di premesse che non sono deliberate e sono sempre presenti, secondo una filosofia dogmatica ma non soggettiva, una dogmaticità inevitabile, che l'Occidente incontrò compiutamente con la riflessione sulla volontà inaugurata da A. Schopenhauer, che ha senso nel semplice accogliere ciò che è da prima ed è misterioso, inspiegabile, innegabile.
Ai tempi di Leibniz si era aggiunta alla panoramica sulla necessità, con gli studi delle monadi, l'orizzonte ultimo degli studi sulla libertà, con la meditazione su una giustizia trascendente (dike). L'oggetto scaturisce dalla realtà inevitabile di qualcos'altro dal mondo, che si deduce dalle monadi e che si riconosce dall'evento del vivere, nel quale la libertà è senza ombra di dubbio esistente; e le due sfere si compenetrano, mostrandosi la libertà anche dalla necessità e viceversa, senza dramma.
Ci si pone innanzi l'alternativa del bene e del male, a fronte della quale siamo insufficienti, ignoranti, ma che siamo portati a praticare nonostante tutto, non da noi stessi e provvidenzialmente.
Nonostante tutto, siamo liberi nell'alternativa.
Come la fatalità naturale non esclude la libertà dell'agire morale, così il sopravanzare della provvidenza, misteriosamente attiva, non esclude la possibilità della scelta vitale...
L'interlocutore a questo punto individua un "blocco", un esser chiusi tra pareti senza che si spieghi veramente in cosa consista la nostra facoltà di esercitare l'arbitrio. Dio appare come ingombrante, decide tutto e noi non possiamo interagire.
La cosa però è in questi termini: esiste un oggetto della Provvidenza che non è il tutto.
La necessità naturale contiene la libertà morale, la libertà morale non è contenuta nel disegno eterno della provvidenza di Dio. Leibniz assai correttamente pensava a dei piani sovrapposti: qualsiasi cosa fa l'uomo, agisca male o bene, si verifica il disegno provvidenziale di Dio, che è altro e sempre buono e non ci corrisponde omologamente. Alla empietà, c'è la bontà; ugualmente alla santità; la giustizia è una e bivalente, sempre la stessa. Il provvedere di Dio non ci blocca; ci predetermina a sé stesso ma non determina le nostre azioni.

Contestualizzo.
In Europa è nata da molto tempo la Riforma protestante, che affermava la non libertà dell'arbitrio rispetto alla Grazia salvifica di Dio e precisava la dipendenza delle opere dalla fede. Il cattolicesimo non fece propria questa affermazione, passando dal rifiuto all'indifferenza. Tra i protestanti stessi essa era variamente formulata, declinata e interpretata, con gravi dissidi interni. Tra Lutero e Zwingli, tra calvinismo e luteranesimo; tra arminiani e calvinisti ortodossi. Se la Grazia dipende solo da Dio, come pensare l'atto di fede, il rapporto col bene e col male?
La soluzione di Leibniz non sostituiva le dottrine protestanti ma se ne situava in mezzo in qualità di mediazione.
La armonia prestabilita (da Dio) non pone la natura in antitesi alla sua origine; i nessi del mondo dei sensi e della esperienza sono discreti; tramite un coincidere, ciò che liberamente decidiamo - non ciò che arbitrariamente vogliamo - si può realizzare entro i rigidi accadimenti naturali, per armonia. La monade delle monadi è anche giustizia che provvede, ma pur essendo infinità non ci blocca, dato che è 'immensamente superiore'; il suo provvedere accade senza annullarci proprio per la potenza del tutto e in tutto maggiore e differente.

In forza di tale Provvidenza smisurata e non commisurabile a noi, sempre e dovunque attiva unitariamente per qualsiasi evenienza, non esiste nulla che non sia il meglio possibile; ma questa positività ci sfugge. Essa opera sempre e tramuta gli effetti - non i risultati delle nostre cattive scelte - in bene. La negatività ha campo senza effettivo ma con reale potere ed esiste. Il male è privazione, non qualcosa in sé esistente, giacché non è possibile con una decisione non idonea fermare la provvidenza di Dio. Ma questa agisce in modo incomprensibile. Il male non è giusto che accada, ma Dio lo fa servire pur non essendo utile in sé.
Nella pratica: anche la violenza più grave non realizza il vero scopo che la volontà cattiva intendeva perseguire, accade invece il disegno della stessa provvidenza, diversamente da quanto noi possiamo prevedere e capire.


Tutto ciò non avrebbe senso, anche religiosamente, se non se ne tenesse presente la temperie. Non si trova cioè niente di nuovo rispetto alle dottrine dei riformatori né di sensazionale per i cattolici, tranne che per la filosofia. In questo senso i rapporti tra fede e filosofia sono rovesciati rispetto al pensiero di Lutero: questi agiva dal basso, anche verso la filosofia; Leibniz dall'alto, sempre verso la filosofia; l'uno preparatore, l'altro definitore. Bisogna perciò comprendere che nella Teodicea di Leibniz c'è un nucleo teologico libero; esso non emerge sempre, si può considerare tutto filosoficamente senza sbagliare, ma così si resta fuori dall'oggetto vero e proprio della meditazione. Così era accaduto a Kant e così capita generalmente a tutti quelli che operano entro le premesse filosofiche contemporanee senza aver compreso che esiste una rivolta e incomprensione verso la tradizione del pensiero occidentale.



MAURO PASTORE


Visechi

Discussione davvero interessante e molto ben condotta, soprattutto grazie ai pregevoli interventi di SCEPSIS. L'ho letta interamente alcune volte, apprezzando le capacità argomentative mostrate nel ripercorrere il filo della storia che ha coinvolto il pensatore ebreo. Ho però rilevato alcuni passaggi che, a parer mio, andrebbero chiariti meglio, perché diversamente potrebbero creare confusione.
Nel post d'esordio, l'incipit dell'intera discussione, è scritto che SPINOZA fu colpito da un cherem durissimo da parte della comunità ebraica di Amsterdam. Era l'anno 1656 e molto bene fa SCEPSIS ad inquadrare perfettamente il contesto storico che fa da sfondo agli eventi. Nell'intervento in questione si sviluppa un intero ragionamento intorno alle ragioni che indussero il cherem ed a tal proposito si scrive: "... colpendo nell'anatema anche i suoi bisogni primari. Lo si riteneva colpevole. In definitiva però il Deus sive Natura di Baruch Spinoza non costituisce un attacco contro le dottrine monoteiste...". Successivamente, poche righe dopo, lo stesso utente, riferendo del particolare carattere della filosofia di SPINOZA, scrive: "In definitiva la Natura cui inoltrava il filosofo portoghese non è quella cosmica, ma quella che è dietro all'ordine cosmico, dalla quale questo discende; e ciò non serve a smentire le fedi monoteiste, ebraismo compreso."
Entrambi gli estratti pongono in correlazione diretta cherem ed attacco condotto dal filosofo al monoteismo ebraico, diversamente non si comprenderebbero le ragioni del ribadire il nesso causale cherem/eresia anti-monoteista. Poco dopo fa la sua comparsa la cabala. Bene si racconta riferendo e ponendo in contiguità SPINOZA e l'affermarsi in Europa della "dottrina celebre della Cabala", anche se nel filosofo l'interesse per questa dottrina misterica parrebbe fosse alquanto sfumato, pur essendoci con buone probabilità: "La storia del pensiero teologico ebraico e giudaico fu segnata nel Medio Evo dalla nascita di un immanentismo, nella dottrina celebre della Cabala. Questa aboliva l'antagonismo con il pensiero degli dèi: essi sono in ogni cosa, la realtà è piena di dèi. L'universo è il corpo di Dio, Dio lo ha creato con sé stesso, non dal nulla. La storia antica degli ebrei li vede protagonisti di un conflitto coi pagani intorno; la religione ebraica visse della separazione e del giudizio nei loro confronti quando non nello scontro.". Anche in questo caso si crea un nesso, a parer mio assolutamente artificioso, forse non voluto, fra moltiplicazione degli dèi e il pensiero di SPINOZA. Le mie perplessità derivano dal fatto che il cherem non fu pronunciato come risposta di un inesistente attacco portato al monoteismo dal filosofo di Amsterdam. La filosofia di SPINOZA ha rappresentato una feroce critica ed il rifiuto dell'ortodossia giudaica. Ciò implicava, in maniera assolutamente esplicita, il rigetto della legge mosaica, il rifiuto delle tradizioni, la negazione dell'importanza dei riti. Tutto ciò fu reso esplicito ed entrò fatalmente in conflitto con la comunità ebraica. Il cherem fu determinato esclusivamente da questo aspetto assai critico rispetto alla tradizione ebraica e in nessun passaggio si fa riferimento ad un vagheggiato attacco al monoteismo, come parrebbe dedurne l'estensore del commento in argomento. Insomma, mi parrebbe una forzatura voler far derivare l'anatema da un solo presunto attacco al monoteismo. Non ve n'è traccia nei documenti storici.

PhyroSphera

#18
Citazione di: Visechi il 20 Gennaio 2025, 21:14:05 PMDiscussione davvero interessante e molto ben condotta, soprattutto grazie ai pregevoli interventi di SCEPSIS. L'ho letta interamente alcune volte, apprezzando le capacità argomentative mostrate nel ripercorrere il filo della storia che ha coinvolto il pensatore ebreo. Ho però rilevato alcuni passaggi che, a parer mio, andrebbero chiariti meglio, perché diversamente potrebbero creare confusione.
L'attribuzione di una conduzione all'interlocutore "Scepsis" dipende dall'attestarsi sulla stessa scepsi che io stesso ho identificato, proprio nel rispondere a codesto interlocutore, i cui interventi stimo assai ma che non mi risultano guide.
Io penso che "Scepsi" sia legato a una scepsi inaccoglibile, e che per restar fedele al suo pseudonimo dovrebbe invertirsela, essendo lui a un guado. Ma non tutti sono nella sua situazione.
Coloro che sono proprio della linea Spinoza-Marx hanno da rinnegarsi o smettere proprio con la filosofia, in ogni caso hanno da prender atto della inaccettabilità etica e, vitalmente, della insostenibilità logica dell'esito antioccidentale e in ultima analisi antifilosofica, di cui ho già detto. La logica della vita rifiuta la fine segnata dal marxismo.

Citazione di: Visechi il 20 Gennaio 2025, 21:14:05 PMNel post d'esordio, l'incipit dell'intera discussione, è scritto che SPINOZA fu colpito da un cherem durissimo da parte della comunità ebraica di Amsterdam. Era l'anno 1656 e molto bene fa SCEPSIS ad inquadrare perfettamente il contesto storico che fa da sfondo agli eventi. Nell'intervento in questione si sviluppa un intero ragionamento intorno alle ragioni che indussero il cherem ed a tal proposito si scrive: "... colpendo nell'anatema anche i suoi bisogni primari. Lo si riteneva colpevole. In definitiva però il Deus sive Natura di Baruch Spinoza non costituisce un attacco contro le dottrine monoteiste...". Successivamente, poche righe dopo, lo stesso utente, riferendo del particolare carattere della filosofia di SPINOZA, scrive: "In definitiva la Natura cui inoltrava il filosofo portoghese non è quella cosmica, ma quella che è dietro all'ordine cosmico, dalla quale questo discende; e ciò non serve a smentire le fedi monoteiste, ebraismo compreso."
Entrambi gli estratti pongono in correlazione diretta cherem ed attacco condotto dal filosofo al monoteismo ebraico, diversamente non si comprenderebbero le ragioni del ribadire il nesso causale cherem/eresia anti-monoteista.
Le citazioni dal mio testo (con delle modificazioni non mie, a scopo di evidenziare non il mio pensiero) sono attuate e le relative frasi cannibalizzate dal 'replicante' "Visechi" (non so se è uno pseudonimo), che vorrebbe metterci dentro uno Spinoza antimonoteista che io non penso. Spinoza era un inclusivista assai ardito, includeva il politeismo nel monoteismo. La dottrina induista, per esempio, lo fa già di proprio, non è un dono del filosofo al mondo religioso.

Citazione di: Visechi il 20 Gennaio 2025, 21:14:05 PM
  Poco dopo fa la sua comparsa la cabala. Bene si racconta riferendo e ponendo in contiguità SPINOZA e l'affermarsi in Europa della "dottrina celebre della Cabala", anche se nel filosofo l'interesse per questa dottrina misterica parrebbe fosse alquanto sfumato, pur essendoci con buone probabilità: "La storia del pensiero teologico ebraico e giudaico fu segnata nel Medio Evo dalla nascita di un immanentismo, nella dottrina celebre della Cabala. Questa aboliva l'antagonismo con il pensiero degli dèi: essi sono in ogni cosa, la realtà è piena di dèi. L'universo è il corpo di Dio, Dio lo ha creato con sé stesso, non dal nulla. La storia antica degli ebrei li vede protagonisti di un conflitto coi pagani intorno; la religione ebraica visse della separazione e del giudizio nei loro confronti quando non nello scontro.". Anche in questo caso si crea un nesso, a parer mio assolutamente artificioso, forse non voluto, fra moltiplicazione degli dèi e il pensiero di SPINOZA.


Si crea un nesso? Col mio testo non si crea niente. Se si invertono le sequenze temporali, inventando un altro pensiero dal mio, ecco che l'idea cabalistica del Dio Uno frazionato in molteplicità di dèi - che sono manifestazioni di Dio, non questo singolo Dio nella sua unicità - si trasforma in un concetto di *un* Dio che si demoltiplica in tanti, secondo un modulo di pensiero pluralista che da enoteista si fa politeista.

Citazione di: Visechi il 20 Gennaio 2025, 21:14:05 PM Le mie perplessità derivano dal fatto che il cherem non fu pronunciato come risposta di un inesistente attacco portato al monoteismo dal filosofo di Amsterdam. La filosofia di SPINOZA ha rappresentato una feroce critica ed il rifiuto dell'ortodossia giudaica. Ciò implicava, in maniera assolutamente esplicita, il rigetto della legge mosaica, il rifiuto delle tradizioni, la negazione dell'importanza dei riti. Tutto ciò fu reso esplicito ed entrò fatalmente in conflitto con la comunità ebraica. Il cherem fu determinato esclusivamente da questo aspetto assai critico rispetto alla tradizione ebraica e in nessun passaggio si fa riferimento ad un vagheggiato attacco al monoteismo, come parrebbe dedurne l'estensore del commento in argomento. Insomma, mi parrebbe una forzatura voler far derivare l'anatema da un solo presunto attacco al monoteismo. Non ve n'è traccia nei documenti storici.
Insomma Visechi ritiene, contrariamente a me, che dalla filosofia di Spinoza venne (e viene) effettivamente un attacco al monoteismo.
Innanzitutto ho mostrato che Visechi costruisce una sequenza temporale non storica e parte da un presupposto enoteista. In secondo luogo ritiene che "rigetto della légge mosaica", "rifiuto delle tradizioni", "negazione dell'importanza dei riti" siano conseguenze intrinseche della filosofia di Spinoza contro una "ortodossia giudaica". Ebbene non è chiaro cosa possa essere una tale ortodossia, dato che il giudaismo è una modalità assai libera di vivere la stessa fede dell'ebraismo. Per tale ragione se si configurasse una ortodossia giudaica, essa davvero rigetterebbe Mosè e i Dieci Comandamenti e le Tradizioni ebraiche ed emarginerebbe i Riti degli ebrei. Esiste o perlomeno è esistito un giudaismo "indipendente" che davvero non recepisce questi elementi ma ovviamente non per buttarli via, ma col non averne bisogno. Il giudeo può esser tale in pochissimo o in altro compreso nelle Scritture che noi cristiani diciamo "veterotestamentarie", quindi senza neanche il Decalogo. Ma ciò non significa estraneità di verità. 
Visechi dice che la storia attesterebbe un reale attacco, da Spinoza, al monoteismo. Poco prima dice di "estensore del commento in argomento". Qui c'è una discussione, con un 'post' e relativi commenti, cioè un avvio di discussione e successive repliche. Io non mi avvalgo di estensori di commenti e non mi risulta che quelli siglati "scepsi" siano estensioni o che ce ne siano altre. Mi pare invece che Visechi voglia inglobare l'altrui pensiero senza accoglierlo, filosoficamente una contradictio in terminis.
Ma vengo al dunque: se uno attribuisce all'ebraismo la forma religiosa dell'enoteismo può venirne a capo solo degli episodi confusi e drammatici che precedettero la rivelazione di Mosè, nel cui sfondo idolatrico il Dio dell'Esodo e degli Eserciti era un Dio più potente degli altri, che Mosè rivelava l'unico reale contenente gli altri soltanto veri, veri nel manifestare in parte lo stesso Dio. Agli ebrei era comandato di astenersi dall'onorare le manifestazioni molteplici di Dio. Non così nella religione induista, definibile mista ma non nel senso che esistono più Dèi tutti reali. L'ebraismo, quale spiritualità organizzata in atti religiosi, nasce per sottolineare una esigenza di concentrazione, sulla realtà di Dio, senza doversi soffermare sulle tante verità su di Lui (su Dio). Ciò, storicamente, dipende dal bisogno di evitare il prevalere della frammentazione e quindi falsificazione, cioè l'inaccettabile idolatria e le relative violenze, come era ai tempi di Mosè. Dato che v'erano anche masse tentennanti tra idoli e realtà di Dio, si trova accolta nel movimento ebraico una tensione tra enoteismo e politeismo, da risolversi nel monoteismo, pena l'esclusione dal movimento stesso. Questa tensione non è accoglibile nel cristianesimo, perché in questo c'è la Rivelazione ultima; tuttavia le chiese cattoliche accettano anche la partecipazione di chi solo cristianizzato non cristiano, attratto, catalizzato dalla fede nel Cristo, nonché la presenza di chi solo interessato, quest'ultima evenienza accettata forse da tutte le chiese cristiane. Ma stare in una chiesa non significa appartenervi.
L'ebraismo quale vera e propria religione costituita è evento del Secolo XX, ma i contenuti sono i medesimi.

Vengo proprio al punto: se si ha chiaro quanto ho spiegato, si può sostenere che Spinoza avesse attaccato il monoteismo? Evidentemente no e difatti io non l'ho sostenuto.


Nota Bene:
Che fatica per commentare in mezzo alle indistinzioni e confusioni operate da "Visechi", che non ha avuto riguardo per la chiarezza dei miei messaggi né del fatto che i miei pensamenti non sono i suoi.



MAURO PASTORE

PhyroSphera

Citazione di: PhyroSphera il 21 Gennaio 2025, 17:40:05 PMNota Bene:
Che fatica per commentare in mezzo alle indistinzioni e confusioni operate da "Visechi", che non ha avuto riguardo per la chiarezza dei miei messaggi né del fatto che i miei pensamenti non sono i suoi.



MAURO PASTORE

Ho fatto delle migliorie al testo. In particolare la parola "pensamenti" è andata a sostituire "pensieri".
Il mio messaggio è rimasto identico, però. Medesimo significato.

MAURO PASTORE

Visechi

"L'attribuzione di una conduzione all'interlocutore "Scepsis" dipende dall'attestarsi sulla stessa scepsi che io stesso ho identificato, proprio nel rispondere a codesto interlocutore, i cui interventi stimo assai ma che non mi risultano guide.
 Io penso che "Scepsi" sia legato a una scepsi inaccoglibile, e che per restar fedele al suo pseudonimo dovrebbe invertirsela, essendo lui a un guado. Ma non tutti sono nella sua situazione"

Non ti crucciar, l'aver attribuito un merito per la chiarezza, la sintesi e la competenza all'intervento di Scepsis (con la "s" finale: è il nick che si è scelto, perché vuoi modificarlo, tendenze alla manipolazione ed intenzione di alienarlo da sé stesso?) non significa aver voluto sminuire la tua persona e i tuoi interventi, non ho alcun interesse a farlo, fra l'altro, per conseguire questo troppo facile risultato, non avrei necessità di far nulla, solo leggere quel che scrivi. Dai, su, non tenere il musetto imbronciato... già sei bravo pure tu, su su. Noto che non ti esimi, come tuo solito, dal concedere a noi miseri i tuoi mai richiesti e mai centrati suggerimenti (dovrebbe invertirsela, essendo lui ad un guado). Lo hai fatto più volte con me, te l'ho sempre fatto notare, lo fai adesso anche con Scepsis (con la "s" finale), addirittura senza neppure rivolgerti direttamente a lui. Insomma, aggiungi scorrettezza a scorrettezza.
 Per quanto riguarda il cacofonico pensiero riguardante il marxismo... transeat. Non ho alcuna voglia di mostrarti quanto deficitario sia il tuo singulto in relazione al pensiero marxista, come già ho dovuto fare per quello di Nietzsche, ma le lezioni si pagano, caro amico mio.


"Le citazioni dal mio testo (con delle modificazioni non mie, a scopo di evidenziare non il mio pensiero) sono attuate e le relative frasi cannibalizzate dal 'replicante' "Visechi" (non so se è uno pseudonimo), che vorrebbe metterci dentro uno Spinoza antimonoteista che io non penso. Spinoza era un inclusivista assai ardito, includeva il politeismo nel monoteismo. La dottrina induista, per esempio, lo fa già di proprio, non è un dono del filosofo al mondo religioso."
Ma che mi combini? Sei talmente alienato da te stesso che neppure più riconosci il maldestro tuo polpastrellare per articolare un "pensiero", pur che sia. Sei talmente avvinto dalla mortificazione per l'evidente default intellettivo che addirittura per alienarti ulteriormente da te stesso in maniera meno cruenta ascrivi a me manipolazioni del tutto inesistenti. Non capisco se lo fai per convincere della tua innocenza la sempre immaginata assemblea dei discenti, o se davvero sei sprofondato in maniera del tutto irrecuperabile nel baratro emotivo che ti convince della tua coerenza e ragione e della mia avversione nei confronti del tuo irrisorio pensiero. Non so, se puoi fammi sapere. In ogni caso, ti rassicuro, puoi verificare autonomamente e con i tuoi intonsi (perché poco utilizzati) occhi quanto fedelmente abbia riportato – io – gli stralci del tuo primo intervento posti fra apici ed in corsivo e da me utilizzati al solo fine di chiederti cortesemente un approfondimento di indagine. Non puoi adontarti per questa mia cortesissima richiesta che non aveva lo scopo di sminuire il tuo intervento.... Ribadisco che non c'è alcun bisogno di intervenire per ottenere questo risultato, fai davvero tutto da solo. Vedo che ti urtano le repliche (mi appelli con il participio sostantivato "replicante", io, invece, seppur abbia rilevato in svariate circostanze la tendenza ad alienarti da te stesso, non userò nei tuoi confronti il troppo facile appellativo di "alienato"). Ti adombri quando ti fanno notare défaillance discorsive. Meno sussiego, suvvia; più leggerezza... ti svelo un segreto (per te): non sei perfetto e sovente (quasi sempre), infiammato dall'incandescenza del tuo ipertrofico ego, ti sfugge qualche vistoso (che solo tu non vedi) svarione. Un'ultima cosa, per il momento: Visechi è un nick – così si definiscono – come anche il tuo PsycoSphera è un nick, così usa nel web. Non vado certo ad indagare chi si cela, quando si cela, dietro il nick. Perché mai sei così interessato a sapere chi si cela dietro il nick Visechi? Ti accontento non sono un intellettuale, ho tantissimo tempo a disposizione perché sono internato nel manicomio criminale di Aversa, non ho altro da fare se non occuparmi del pensiero altrui, perché, essendo psicopatico, amo indagare le menti delle persone che, fra una crisi e l'altra, fra un elettroshock e l'altro, interseco nel mio peregrinare nel web. Amen!

"Si crea un nesso? Col mio testo non si crea niente. Se si invertono le sequenze temporali, inventando un altro pensiero dal mio, ecco che l'idea cabalistica del Dio Uno frazionato in molteplicità di dèi - che sono manifestazioni di Dio, non questo singolo Dio nella sua unicità - si trasforma in un concetto di *un* Dio che si demoltiplica in tanti, secondo un modulo di pensiero pluralista che da enoteista si fa politeista."
 Cronos ti fa un baffo. Ti assicuro un'altra volta: nessuna inversione di sequenza temporale da parte mia. Ho riportato gli stralci in maniera testuale, ponendoli fra apici ed in corsivo e nella rigorosa sequenza temporale in cui li hai inseriti tu nel tuo post di esordio di questa discussione. Puoi andare a controllare così potrai renderti autonomamente conto della veridicità di quel che scrivo. Leggi con gli intonsi tuoi occhi e cerca di capire con l'altrettanto intonso tuo cervello. https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-filosofiche-5/il-dramma-dell-etica-di-spinoza-tra-superstizioni-errori-violenze/


Crei un nesso: si! Indiscutibilmente crei - tu – un nesso sequenziale, causale e logico fra cherem che colpì SPINOZA ed anti-monoteismo arbitrariamente da te – sempre tu -attribuito al medesimo. Mi sorge il sospetto che tu non sia neppure in condizione di comprendere quel che pensi e scrivi – totale alienazione.

"Insomma Visechi ritiene, contrariamente a me, che dalla filosofia di Spinoza venne (e viene) effettivamente un attacco al monoteismo.
 Innanzitutto ho mostrato che Visechi costruisce una sequenza temporale non storica"

Oltre ad incespicare vistosamente nella e fra la sintassi, ora mostri addirittura la totale incapacità di comprendere il significato di un testo, anche breve; oppure, come alternativa, mostri la volontà infantile di mistificare e sovvertire i pensieri altrui. Ho scritto chiaramente, ed è facile comprenderlo, che ritengo un azzardo ed un artificio creato da te – sempre ed ancora tu – l'aver voluto trarre dal Deus sive Natura di SPINOZA le ragioni per una difesa dall'accusa di avversione al monoteismo contenuta secondo te – tu, per l'ennesima volta tu – nel pesantissimo cherem che lo colpì nel 1656. Un artificio inutile, se proprio volevi ergerti a paladino del monoteismo; un artificio falso e stupido, se volevi trar occasione per argomentare in difesa di SPINOZA. Il cherem non conteneva quell'accusa che tu – proprio tu – hai voluto vederci. Erano ben altre le ragioni dell'anatema e SPINOZA mai mise in dubbio o sminuì il rigido monoteismo dell'ebraismo o giudaismo (da me utilizzati come sinonimi e come sinonimi interscambiabili sono comunemente noti. Ciò rappresenti anche una critica alla tua inutile prolusione sulla differenza fra giudaismo ed ebraismo).
Non hai mostrato alcunché, infatti ti invito a rileggere direttamente dal tuo intervento originario la scansione temporale dei miei tre estratti. —-> https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-filosofiche-5/il-dramma-dell-etica-di-spinoza-tra-superstizioni-errori-violenze/

"Visechi dice che la storia attesterebbe un reale attacco, da Spinoza, al monoteismo. Poco prima dice di "estensore del commento in argomento". Qui c'è una discussione, con un 'post' e relativi commenti, cioè un avvio di discussione e successive repliche. Io non mi avvalgo di estensori di commenti e non mi risulta che quelli siglati "scepsi" siano estensioni o che ce ne siano altre. Mi pare invece che Visechi voglia inglobare l'altrui pensiero senza accoglierlo, filosoficamente una contradictio in terminis."
Estensore: 3. Compilatore, redattore di uno scritto... (definizione dal vocabolario. Utile per gli ignoranti). Nessun altro commento.
Per il resto del tuo – tuo – ultimo commento, mi astengo dal replicare troppe stupidaggini!
 
Solo una prece: stai sereno, non c'è in ballo nessun Oscar letterario... levità e meno sussiego.
 P.S.: se necessario io so chiedere anche scusa

PhyroSphera

#21
Citazione di: Visechi il 21 Gennaio 2025, 22:34:45 PM"L'attribuzione di una conduzione all'interlocutore "Scepsis" dipende dall'attestarsi sulla stessa scepsi che io stesso ho identificato, proprio nel rispondere a codesto interlocutore, i cui interventi stimo assai ma che non mi risultano guide.
 Io penso che "Scepsi" sia legato a una scepsi inaccoglibile, e che per restar fedele al suo pseudonimo dovrebbe invertirsela, essendo lui a un guado. Ma non tutti sono nella sua situazione"

Non ti crucciar, l'aver attribuito un merito per la chiarezza, la sintesi e la competenza all'intervento di Scepsis (con la "s" finale: è il nick che si è scelto, perché vuoi modificarlo, tendenze alla manipolazione ed intenzione di alienarlo da sé stesso?) non significa aver voluto sminuire la tua persona e i tuoi interventi, non ho alcun interesse a farlo, fra l'altro, per conseguire questo troppo facile risultato, non avrei necessità di far nulla, solo leggere quel che scrivi. Dai, su, non tenere il musetto imbronciato... già sei bravo pure tu, su su. Noto che non ti esimi, come tuo solito, dal concedere a noi miseri i tuoi mai richiesti e mai centrati suggerimenti (dovrebbe invertirsela, essendo lui ad un guado). Lo hai fatto più volte con me, te l'ho sempre fatto notare, lo fai adesso anche con Scepsis (con la "s" finale), addirittura senza neppure rivolgerti direttamente a lui. Insomma, aggiungi scorrettezza a scorrettezza.
 Per quanto riguarda il cacofonico pensiero riguardante il marxismo... transeat. Non ho alcuna voglia di mostrarti quanto deficitario sia il tuo singulto in relazione al pensiero marxista, come già ho dovuto fare per quello di Nietzsche, ma le lezioni si pagano, caro amico mio.


"Le citazioni dal mio testo (con delle modificazioni non mie, a scopo di evidenziare non il mio pensiero) sono attuate e le relative frasi cannibalizzate dal 'replicante' "Visechi" (non so se è uno pseudonimo), che vorrebbe metterci dentro uno Spinoza antimonoteista che io non penso. Spinoza era un inclusivista assai ardito, includeva il politeismo nel monoteismo. La dottrina induista, per esempio, lo fa già di proprio, non è un dono del filosofo al mondo religioso."
Ma che mi combini? Sei talmente alienato da te stesso che neppure più riconosci il maldestro tuo polpastrellare per articolare un "pensiero", pur che sia. Sei talmente avvinto dalla mortificazione per l'evidente default intellettivo che addirittura per alienarti ulteriormente da te stesso in maniera meno cruenta ascrivi a me manipolazioni del tutto inesistenti. Non capisco se lo fai per convincere della tua innocenza la sempre immaginata assemblea dei discenti, o se davvero sei sprofondato in maniera del tutto irrecuperabile nel baratro emotivo che ti convince della tua coerenza e ragione e della mia avversione nei confronti del tuo irrisorio pensiero. Non so, se puoi fammi sapere. In ogni caso, ti rassicuro, puoi verificare autonomamente e con i tuoi intonsi (perché poco utilizzati) occhi quanto fedelmente abbia riportato – io – gli stralci del tuo primo intervento posti fra apici ed in corsivo e da me utilizzati al solo fine di chiederti cortesemente un approfondimento di indagine. Non puoi adontarti per questa mia cortesissima richiesta che non aveva lo scopo di sminuire il tuo intervento.... Ribadisco che non c'è alcun bisogno di intervenire per ottenere questo risultato, fai davvero tutto da solo. Vedo che ti urtano le repliche (mi appelli con il participio sostantivato "replicante", io, invece, seppur abbia rilevato in svariate circostanze la tendenza ad alienarti da te stesso, non userò nei tuoi confronti il troppo facile appellativo di "alienato"). Ti adombri quando ti fanno notare défaillance discorsive. Meno sussiego, suvvia; più leggerezza... ti svelo un segreto (per te): non sei perfetto e sovente (quasi sempre), infiammato dall'incandescenza del tuo ipertrofico ego, ti sfugge qualche vistoso (che solo tu non vedi) svarione. Un'ultima cosa, per il momento: Visechi è un nick – così si definiscono – come anche il tuo PsycoSphera è un nick, così usa nel web. Non vado certo ad indagare chi si cela, quando si cela, dietro il nick. Perché mai sei così interessato a sapere chi si cela dietro il nick Visechi? Ti accontento non sono un intellettuale, ho tantissimo tempo a disposizione perché sono internato nel manicomio criminale di Aversa, non ho altro da fare se non occuparmi del pensiero altrui, perché, essendo psicopatico, amo indagare le menti delle persone che, fra una crisi e l'altra, fra un elettroshock e l'altro, interseco nel mio peregrinare nel web. Amen!

"Si crea un nesso? Col mio testo non si crea niente. Se si invertono le sequenze temporali, inventando un altro pensiero dal mio, ecco che l'idea cabalistica del Dio Uno frazionato in molteplicità di dèi - che sono manifestazioni di Dio, non questo singolo Dio nella sua unicità - si trasforma in un concetto di *un* Dio che si demoltiplica in tanti, secondo un modulo di pensiero pluralista che da enoteista si fa politeista."
 Cronos ti fa un baffo. Ti assicuro un'altra volta: nessuna inversione di sequenza temporale da parte mia. Ho riportato gli stralci in maniera testuale, ponendoli fra apici ed in corsivo e nella rigorosa sequenza temporale in cui li hai inseriti tu nel tuo post di esordio di questa discussione. Puoi andare a controllare così potrai renderti autonomamente conto della veridicità di quel che scrivo. Leggi con gli intonsi tuoi occhi e cerca di capire con l'altrettanto intonso tuo cervello. https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-filosofiche-5/il-dramma-dell-etica-di-spinoza-tra-superstizioni-errori-violenze/


Crei un nesso: si! Indiscutibilmente crei - tu – un nesso sequenziale, causale e logico fra cherem che colpì SPINOZA ed anti-monoteismo arbitrariamente da te – sempre tu -attribuito al medesimo. Mi sorge il sospetto che tu non sia neppure in condizione di comprendere quel che pensi e scrivi – totale alienazione.

"Insomma Visechi ritiene, contrariamente a me, che dalla filosofia di Spinoza venne (e viene) effettivamente un attacco al monoteismo.
 Innanzitutto ho mostrato che Visechi costruisce una sequenza temporale non storica"

Oltre ad incespicare vistosamente nella e fra la sintassi, ora mostri addirittura la totale incapacità di comprendere il significato di un testo, anche breve; oppure, come alternativa, mostri la volontà infantile di mistificare e sovvertire i pensieri altrui. Ho scritto chiaramente, ed è facile comprenderlo, che ritengo un azzardo ed un artificio creato da te – sempre ed ancora tu – l'aver voluto trarre dal Deus sive Natura di SPINOZA le ragioni per una difesa dall'accusa di avversione al monoteismo contenuta secondo te – tu, per l'ennesima volta tu – nel pesantissimo cherem che lo colpì nel 1656. Un artificio inutile, se proprio volevi ergerti a paladino del monoteismo; un artificio falso e stupido, se volevi trar occasione per argomentare in difesa di SPINOZA. Il cherem non conteneva quell'accusa che tu – proprio tu – hai voluto vederci. Erano ben altre le ragioni dell'anatema e SPINOZA mai mise in dubbio o sminuì il rigido monoteismo dell'ebraismo o giudaismo (da me utilizzati come sinonimi e come sinonimi interscambiabili sono comunemente noti. Ciò rappresenti anche una critica alla tua inutile prolusione sulla differenza fra giudaismo ed ebraismo).
Non hai mostrato alcunché, infatti ti invito a rileggere direttamente dal tuo intervento originario la scansione temporale dei miei tre estratti. —-> https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-filosofiche-5/il-dramma-dell-etica-di-spinoza-tra-superstizioni-errori-violenze/

"Visechi dice che la storia attesterebbe un reale attacco, da Spinoza, al monoteismo. Poco prima dice di "estensore del commento in argomento". Qui c'è una discussione, con un 'post' e relativi commenti, cioè un avvio di discussione e successive repliche. Io non mi avvalgo di estensori di commenti e non mi risulta che quelli siglati "scepsi" siano estensioni o che ce ne siano altre. Mi pare invece che Visechi voglia inglobare l'altrui pensiero senza accoglierlo, filosoficamente una contradictio in terminis."
Estensore: 3. Compilatore, redattore di uno scritto... (definizione dal vocabolario. Utile per gli ignoranti). Nessun altro commento.
Per il resto del tuo – tuo – ultimo commento, mi astengo dal replicare troppe stupidaggini!
 
Solo una prece: stai sereno, non c'è in ballo nessun Oscar letterario... levità e meno sussiego.
 P.S.: se necessario io so chiedere anche scusa


Sul nickname "Scepsis", da me, dopo corretta menzione, ridotto a "Scepsi", può valere la regola che i nomi messi tra virgolette possono esser ripetuti non lettera per lettera purché si intuisca lo stesso riferimento. E' lecito parlare a modo proprio purché si capisca. L'ho fatto perché non mi interessava la distinzione scepsi/scepsis, non per fare confusione e non ci ho badato anche perché il testo siglato "Scepsis" non offre un pensiero ellenico, tale da rimandarmi al vocabolo con la s finale.
Il Visechi piuttosto rivela con la sua acida pignoleria di trarre conclusioni di troppo dai segnetti sui fogli. Una cosa pericolosa ma è ovvio da quanto scritto da me anche altrove che non sto a invocare o confermare internamenti - peraltro suppongo non sia vero che il Visechi sia un internato e che abbia quindi raccontato una sciocchezza, ma io non ero e non sono affatto desideroso di saperne. Si continua con lui mentre fa illazioni e offese; e se i manicomi criminali sono ancora aperti ciò è contro la légge, che ne specifica la non idoneità e tollerabilità in quanto manicomi e in quanto gli ospedali psichiatrici per i carcerati pure sono stati messi fuori légge e per motivi uguali.

Il Visechi dice che ha riportato le mie frasi fedelmente, ma quando si fa quel che fa lui, tanto più si è scrupolosi tanto peggio la si combina coi testi altrui. E' ovvio che l'assunzione indèbita è peggiore se ben fatta (non proibisco citazioni, si intenda!).
Lui dice che non confonde tempi, ma io non dicevo che lo fa filologicamente ma nell'approcciarsi alla storia della fede, religione e pensiero ebraico e giudaico. A lui non risulta differenza, ma la storia ne attesta e non solo.

Insomma il Visechi in fin dei conti dà ragione alla maledizione dei rabbini contro Spinoza, ma per lui non era accusa; pensa che valutare il suo sistema possibile per i monoteisti sia attaccare i monoteismi stessi - un classico delle interpretazioni atee intolleranti della sua Etica; poi contraddittoriamente esime Spinoza stesso dall'esser contro il monoteismo, invertendo funzioni e significati di ciò che è spinozismo e spinoziano, facendo riferimento smodato a un "tu" che non è proprio contenuto nei miei testi... e che corrisponderebbe alla realtà dei fatti, se la si personificasse. Poi pensa che io ho scritto post e commenti attuando un'estensione - ripeto, non ho fatto così - lo pensa dopo avermi attribuito pensieri non miei inserendo i link di miei post, che contengono in ogni caso altro da quel che lui elucubra.
Il motivo del fatto che egli dice falsità è proprio nel cambiar di posto lo spinozismo ateo con la filosofia spinoziana teista... ma - si badi! - tentando di violare conformazione della nostra cultura, a cominciare dalla lingua italiana.
E' la linea che traendo ingiusto profitto dalla pubblicazione e ricezione dell'Etica di Spinoza cerca di dimidiare la nostra cultura e imporre qualcos'altro, come se il mondo andasse meglio. Ne ho detto già - tra l'altro, io non sono spinoziano (ovvio: neanche pratico lo spinozismo che ho descritto e criticato).
Non c'è dubbio che quelli che praticano tale travisamento procedono secondo coincidenze e ragionamenti in vista di altro da imporre, senza prendere in considerazione l'altrui tesi. Molti sono espliciti: c'è qualcosa che per loro deve assolutamente terminare e forniscono prove fasulle contro l'Occidente, per esempio - come mostra il Visechi - contro le radici bibliche della nostra attuale civiltà europea ed occidentale.

Il Visechi dice di non essere un intellettuale, ma è intelligente per aggredire ai danni di posizioni filosofiche oneste e volontà di continuare ad esistere culturalmente, di continuare preservando risultati di sforzi anche estremi, millenari, necessari per l'esistenza non solo dell'Occidente.
Comunque se volesse passare dalla furbizia a una vera dimensione di comprensione intellettuale della filosofia occidentale, allora non avrebbe da fraintendere e confondere. Ma l'antioccidentalismo che ho criticato vuole distruggere anche senza capire, per sostituirsi ciecamente. Quel che io sto difendendo serve per la vita di vasta umanità e indirettamente giova a tutti, non vale per sfruttamenti. Se vengono meno certe distinzioni e attenzioni decadrebbe tutto della civiltà e della società, senza vera scienza né tecnica, e proprio per chi in bisogno di tutto questo!!


MAURO PASTORE

PhyroSphera

Ho reso più chiaro il mio ultimo testo; il mio pensiero è il medesimo.

MAURO PASTORE

green demetr

MORE GEOMETRICO


"Prop. 11.

Dio, ovvero una Sostanza che consta di infiniti attributi, ognuno dei quali esprime un'essenza eterna ed infinita, esiste necessariamente.

Dimostrazione: Chi nega questa proposizione provi, se è possibile, a pensare che Dio non esista. La sua essenza, in questo caso, non implicherà l'esistenza (Ass. 7). Ma questo è assurdo (Prop. 7). Dunque Dio esiste necessariamente."

cit B.S.

Caro Baruch a me non frega una mazza che la frase sia vera o falsa.
A me interessa il concetto che stai esprimendo.
Vedi per me Dio non è una sostanza.
Dio è conoscibile come una trascendenza, quindi è la trascendenza che al massimo è una sostanza. Ma la trascendenza non può essere DIO.
La trascendenza è una sostanza secondo il tuo ridicolo lessico per pipponi mentali.
Ti costava tanto dire direttamente che la trascendenza è un infinito?
Ma tu no, e io lo so, perchè per te DIO è la sostanza stessa.
Non è evidente amico mio? per te ciò che esiste, esiste.
Ma non capisci? esiste e basta? e da dove arriva il tremore?
ah già ma tu hai timore del tremore. Tutto li amico mio.
Per te il timore deve essere visto come un errore.
Ma senza timore niente tremore e senza tremore niente giudaismo.
O stolto fuori dalla comunità.

queste visioni robotiche del Dio mi hanno sempre fatto ridire, ma ridere, ridere, ridere.

strana l'ammirazione ognitempo e ogniautore abbiano avuto per lui.
non l'ho mai capita, nè mai la capirò.

(lo stesso Kierkagaard mi pare l'avesse...ma si sa kiekegaard aveva un problema, o meglio aveva la fortuna, di avere mille personalità, chissà quale di queste personalità ragionava con spinoza....io non ci riesco....mi farò accompagnare da kierkegaard al tempo giusto, con spinoza non ci riesco, lo detesto!).




Melancholia

green demetr

Citazione di: Scepsis il 04 Dicembre 2024, 20:34:14 PMEntrambe, ed e' questo l'importante, si sarebbero certamente lasciati con profondo rispetto reciproco, dato il loro valore morale, e con onesto e sincero rimpianto per non aver convinto l'altro circa quella che ciascuno dei due riteneva, con grande onesta' intellettuale, l'autentica "via di salvezza" (esistenziale e metafisica) per l'uomo.
Grazie per le delucidazioni.
Io sono sul fronte pascal, e comincio a capire perchè Kierkegaard ragionasse anche con Spinoza.
Credo che la visione edonista del Mondo sia quella corretta.
La visione irenaica è minata alle basi dal complesso di Edipo.
La mamma è buona. Ma la mamma è invece una puttana.

Non sono tanto d'accordo con te che la filosofia è semplicemente la conseguenza di una vita vissuta male.
In filosofia non si ragiona sull'occasione ma sul destino.
Poichè il destino è già di per sè una concezione filosofica.
Tu cosa pensi di questo? Per quale motivo devono rispettarsi?
In Kierkegaard infatti, sebbene sono alle prime righe, è già evidente invece il corretto modo di vedere: queste visioni si DEVONO FARE GUERRA, o è una cosa o è l'altra.
O il destino è salvifico (pascal) o non esiste (spinoza).
Non esiste infatti un mondo di pace, la visione di spinoza è di quello che pensa che la mamma in fin dei conti è buona.
Avrebbe dovuto leggere Leopardi, ma non era ancora nato suppongo, il giacomino intendo.

Inoltre io trovo che vi è una violenza sottesa in Spinoza, che mi è massimamente antipatica.
Lui sembra voler dire che si che la mamma è buona, e GUAI a chi dice il contrario, ed ha pure il coraggio di chiamarla libertà di pensiero....
A me sembra un gulag, come lo sono tutti i moralisti assoluti,
Tu cosa pensi?
Aituami a capire, perchè ci deve essere rispetto?
Dove Spinoza è grande? in quale passaggio?
Melancholia

green demetr

:D Ma dove sono i difensori di Spinoza?

Che succede a delle semplici domande non sapete rispondere?

Che pena oh che pena 8)
Melancholia

Scepsis

Ho visto solo da poco il tuo intervento, Green Demetr, ed e' stato anche un caso, perche' possono passare anche varie settimane prima che acceda al forum (non ho, purtroppo, molto tempo a disposizione, specie in questo periodo).

Spinoza non pensa che il mondo e la mamma siano buoni, e' esattamente il contrario, il mondo gli e' gia' crollato addosso e vive accampato sulle sue macerie, andando spesso a trovare la madre nella casa di tolleranza dove lavora (di cui e' perfettamente a conoscenza).
La sua non e' una visione consolatoria, in cui ci si rifugia dietro un mondo illusorio ma comunque capace di rassicurarci e consolarci. Prende invece atto, fino in fondo, della sua reale condizione esistenziale e sociale, costellata da vicissitudini e difficolta', e l'affronta volendo evitare in ogni modo che questa possa limitare la sua liberta' interiore, la sua capacita' di guardare al mondo apertamente e liberamente, che possa pertanto, in ultima analisi, condizionare ed influenzare il suo pensiero e la sua opera. E' per quest'ultime che in primo luogo combatte, piu' che per se stesso.
Capisce che solo dentro di se' trovera' la forza per mantenere il proprio equilibrio e la propria liberta' interiore, con una ricerca incessante, assolutamente rigorosa, di una serenita' che possa assicurargli una incondizionata liberta' di pensiero, non limitata e condizionata dalle difficolta' della vita e non avvelenata da rimpianti e recriminazioni.
Serenita' che in effetti trova (come concordemente attestato dai contemporanei), o meglio conquista. Una serenita' avente caratteri in qualche modo simili all'apathia stoica. Per la propria liberta' Spinoza rinunciera' a prestigiosi incarichi universitari, continuando per tutta la vita a svolgere il suo mestiere di molatore di lenti.
Spinoza nella sua concezione religiosa e metafisica non poteva accettare niente che non fosse in linea con la sua ricerca e difesa della propria liberta' interiore (e quindi serenita'), sentite come profondamente giuste e legate alle piu' elevate aspettative dell'uomo. Elevate al punto che la concezione di Dio non poteva non risultare adeguata a tali aspettative.
Pertanto in Spinoza non si ha un utilizzo strumentale della religione, a difesa delle proprie personali necessita' e strumento di rassicurazione, ma invece un destinare l'ambito religioso quale luogo delle proprie piu' alte aspettative, indipendentemente da dogmi e tradizioni.

Con Spinoza le apparenze ingannano.
La sua vita, che vuole ordinata e controllata fino all'estremo, e' la sua risposta e la sua sfida ad un mondo che lo ha portato ad un passo dal caos, esistenziale e sociale.
L'assoluta imperturbabilita' e la serenita' che caratterizzano la sua esistenza, a fronte di vicende che lo hanno profondamente colpito, non sono atteggiamenti frutto di buon carattere o di una naturale e congenita noncuranza, ma sono condizioni conquistate con una strenua ricerca interiore e destinate alla liberta' del proprio pensiero.
Persino il suo lavoro di molatore di lenti, apparentemente normale e tranquillo, e che scegliera' di non abbandonare mai (pur potendolo), e' in realta' profondamente malsano.
Allo stesso modo il suo Dio, dispensatore di serenita' e letizie, in un mondo in cui la serenita' e' un qualcosa da conquistare, nonostante tutto e tutti, e' un Dio che porta in realta' la spada, e non la pace.


Il rispetto reciproco tra Pascal e Spinoza e' la conseguenza del loro spessore intellettuale, ai due non importa nulla della condivisione (in se') delle proprie idee da parte dell'altro, ma sono ben piu' interessati alle rispettive idee, problematiche e scenari, tanto piu' se diverse dalle proprie.
Il rispetto reciproco enunciato e' inoltre legato (con un implicito "nonostante") a quanto precedentemente affermato, che nessuno dei due avrebbe presumibilmente convinto l'altro delle proprie opinioni religiose, nell'ipotizzato incontro, questo perche' aventi valori e giudizi di valore troppo diversi, frutto di esistenze profondamente diverse.
Da una filosofia (e tanto piu' da una concezione religiosa) si viene convinti non tanto dalle sue concatenazioni logiche e dai suoi sviluppi concettuali (a cui possono sempre opporsi altre ed opposte argomentazioni logiche, ugualmente valide), ma dai presupposti da cui la filosofia parte e dalle conclusioni a cui arriva, qualora le si condivida. Ma tale condivisione avverra' sulla base dei giudizi di valore implici (anche in modo piu' o meno latente) nelle premesse e nelle conclusioni, ed a loro volta condivisi.
I giudizi di valore possono considerarsi come degli immediati e basilari elementi di giudizio , sentiti (istintivamente e di per se') come profondamente giusti ed irrinunciabili, diversi da individuo ad individuo ed inevitabilmente acquisiti e fatti propri sulla base delle specifiche esistenze e delle esperienze vissute da ognuno. Tali fondamentali giudizi di valore determineranno la valutazione di cio' che puo' essere considerato indubitabilmente positivo ed auspicabile da un individuo ed invece totalmente negativo ed inaccetabile da un altro, e pertanto orienteranno la formazione dei rispettivi e personali sistemi di valori.
Giudizi di valore e sistemi di valori concorreranno poi in misura maggiore o minore (o risulteranno apparentemente assenti) all'ideazione di una determinata filosofia, assieme naturalmente a molti altri elementi.
Una filosofia non e' "la conseguenza di una vita vissuta male", ma e' la conseguenza "anche" di una vita (comunque sia stata vissuta) che, in quanto tale, determina inevitabilmente l'acquisizione di giudizi di valore e sistemi di valori. A volte questi saranno quasi irrilevanti nell'ideazione di una certa filosofia (ma mai totalmente assenti, al punto da risultare in contrasto con essa), a volte invece assumeranno una forte importanza e orienteranno significativamente il corso del pensiero dell'autore. Ed e' questo il caso, a mio parere, di Spinoza.

Relativamente a quanto sopra faccio un esempio, utilizzando delle affermazione volutamente forzate ed estreme (da non prendere pertanto alla lettera). Se Kant, che condivideva con Hume la negazione dell'innatismo, l'inconoscibilita' della cosa in se', l'inaccetabilita' della metafisica e la soggettivita' dello spazio e del tempo, decide ad un certo punto di sostituire all'"abitudine", alle "credenze" ed all'"immaginazione" humiana le proprie forme e categorie a priori, questo avviene anche (ma naturalmente non esclusivamente o necessariamente) perche' l'ex studente del Collegium Fredericianum, di famiglia pietista, giudica incomparabilmente piu' importante debellare lo scetticismo totale di Hume rispetto al rischio (ed alle conseguenti accuse) di ripristinare di fatto l'innatismo e la metafisica tramite l'a priori. E questa valutazione e' in qualche modo il frutto di precisi giudizi di valore e sistemi di valori fatti propri da Kant.
A conferma dell'importanza di quest'ultimi nell'orientare il pensiero filosofico e' la valutazione della filosofia kantiana e della sua capacita' per lo meno di superare il pensiero humiano espressa da chi, per formazione, vita e cultura, aveva giudizi di valore e valori profondamente diversi da quelli di Kant. Nel 1948 Bertrand Russell, logicista e di scuola anglosassone, scriveva: "Lo dico deliberatamente, a dispetto dell'opinione che molti filosofi hanno in comune con Kant, che la sua Critica della Ragion Pura rispondesse ad Hume. In realta' questi filosofi, almeno Kant .... , rappresentano un tipo di razionalismo pre-humiano, e possono essere confutati con gli argomenti di Hume".

Scepsis

Si richiede in qualche modo di scegliere tra trascendenza ed immanenza, tra Pascal e Spinoza, tra "destino" e non. Comprendo che alla base della richiesta e' anche la convinzione che le due alternative non possano essere "contemplate" ed osservate dall'esterno, posizione da cui nulla puo' essere effettivamente compreso delle due opzioni e da cui e' impossibile percepirne il senso profondo, dischiuso solo da una convinta adesione, da un "salto" incondizionato e senza remore (adesione che pero' non puo' nascere ne' da una semplice argomentazione razionale, ne' da un non convinto ed infondato atto di volonta').
In questo senso la non scelta potrebbe immaginarsi come un procedere sullo stretto piede di due montagne vicine, nell'oscurita' di un'ombra quasi costante che solo l'ascesa verso una delle due vette potrebbe dileguare. Dalla cima della montagna scelta si vedrebbe poi il piede della montagna, avvolto nell'ombra, e la cima dell'altra montagna (inevitabilmente piu' bassa, qualsiasi sia stata la scelta).
E se invece di un procedere sul piede di due montagne la non scelta fosse un procedere sul crinale di un'unica montagna, un procedere visto non come provvisorio, non come temporanea condizione prima di una inevitabile discesa (o caduta) verso un versante o l'altro ? O se, meglio ancora, invece di procedere tra due montagne, od una sola, la non scelta fosse un procedere su di una strada in pianura, affiancata da altre due strade ? Un procedere quindi su di una strada avente dignita' simile alle altre due, con un proprio e specifico senso della spiritualita', assai meno definito in termini di caratteristiche positive di Dio, di cio' che potremmo chiederGli e di cio' che potrebbe chiederci, un Dio formalmente piu' indefinito ma che potremmo sentire, in modi e forme sue proprie, comunque vicino a noi, alle nostre aspettative ed alle nostre necessita'. Naturalmente qui si sta parlando non di una religione, ma di un senso della religiosita'.
Sono consapevole che un Dio di questo genere, nella sua indeterminatezza teologica e nella sua possibile "evanescenza" nella percezione della sua presenza, e pertanto nella sua natura costitutiva, potrebbe non essere considerato tale dai sostenitori delle due concezioni, trascendente ed immanente, ma solo una semplice astrazione priva dei requisiti necessari per ritenerlo e "sentirlo" tale.
I primi chiederebbero che fine farebbe, in questo caso, il timore e tremore proprio del rapporto che puo' aversi solo con un Dio trascendente, timore e tremore che costituisce l'essenza piu' profonda della nostra condizione umana che nel Dio trascendente trova risposta, espressione e senso. Il rapporto con un Dio, pertanto, per essi, puo' essere concepito solo in termini trascendenti, al di fuori dei quali l'uomo e la sua interiorita' non possono trovare piena ed autentica espressione cosi' come, analogamente, un Dio non puo' essere concepito come propriamente tale.
Obiezioni dello stesso tenore, ma dal contenuto naturalmente diverso, verrebbero sollevate dai sostenitori di un Dio immanente, legate al senso di identificazione e di superamento di ogni contrapposizione, propri esclusivamente del rapporto con un Dio immanente.


Si osserva preliminarmente che la posizione della non scelta, cosi' come formulata in precedenti interventi, pure se non priva di problemi comporta quanto meno il non dover escludere e negare la verita' di una delle due concezioni, cosi' come invece entrambe costitutivamente fanno rispetto all'altra, con la conseguenza per queste di dover negare i fondamenti, e pertanto (di fatto) il valore della piu' profonda spiritualita' e delle convinzioni di milioni di uomini.
Con la non scelta, per come e' stata formulata, le due concezioni costituiscono strade diverse, ma ugualmente valide, per arrivare a Dio, se la concezione e' profondamente ed autenticamente sentita, ciascuna delle due con proprie e specifiche caratteristiche.
Dio, nella Sua imperscrutabilita' e vastita', considerera' le due concezioni come strade entrambe valide per arrivare fino a Lui, due modi, sempre totalmente e necessariamente inadeguati e limitati, per avvicinarsi a Lui, illudendosi di comprenderLo.
I sostenitori di una concezione crederanno autenticamente ed assolutamente in essa, con la stessa certezza con cui ritengono che due rette perpendicolari ad una terza non si incontreranno mai (credendo possibile esclusivamente uno spazio piano), cosi' come i sostenitori dell'altra crederanno autenticamente ed assolutamente a questa, con la stessa certezza con cui ritengono che due rette perpendicolari ad una terza prima o poi si incontreranno (credendo possibile esclusivamente uno spazio curvo).


Sostenuta la validita' sia della trascendenza che dell'immanenza come strade che possono avvicinarci a Dio, si tratta di vedere se la non scelta, che non prevede l'adesione ad una delle due concezioni sopra dette (pur sostenendo la validita' di entrambe), possa essere considerata a sua volta una terza strada, un senso della religiosita' in qualche modo anch'esso valido ed accettabile in termini religiosi e spirituali.
Come gia' evidenziato, rispetto alla scelta trascendentale ed a quella immanente, la non scelta comporta necessariamente l'adozione di una concezione di Dio assai piu' indefinita ed indeterminata in termini teologici, nonche' una sua presenza potenzialmente percepita come piu' "evanescente", tanto da far porre la questione se, con queste caratteristiche, tale Dio possa essere considerato effettivamente tale (e non una semplice astrazione).
Ricorrendo all'immagine delle certezze geometriche come analogia delle certezze religiose, sopra utilizzata, nel caso della non scelta tali certezze si limiterebbero ad un punto nello spazio (una definizione e non un assioma). Eventualmente due punti, solo essendo sicuri che tutti accettassero che per quei due punti non passa una sola ed unica retta (ma tante quante i possibili gradi di curvatura dello spazio).


Giunti a questo punto la giusta ed appropriata conclusione dovrebbe essere che la valutazione sui limiti e l'ampiezza di cio' che puo' rientrare ed essere accettato come Dio (in relazione alla non scelta) non puo' che essere affidato a cio' che viene "sentito" personalmente ed individualmente da ciascuno, e che la questione non e' in alcun modo concettualizzabile nella sua piu' autentica e profonda dimensione. Oltre non si dovrebbe ne' potrebbe andare. Si cerchera' invece di provare a verificare se considerazioni e valutazioni propri di un approccio concettuale, pur nella loro inadeguatezza, possano in qualche modo fornire delle indicazioni e degli spunti di riflessione sulla questione sopra posta, con riferimento alla indeterminatezza teologica ed alla possibile "evanescente" presenza di Dio connesse alla non scelta.

Sulla indeterminatezza teologica della non scelta potrebbe essere utile considerare se la concezione sia trascendente che immanente di Dio abbia presentato e presenti un'unica ed invariata formulazione o se questa evidenzi evoluzioni e differenziazioni nel tempo e nello spazio (tra Chiese, tra correnti di pensiero nella stessa Chiesa), ed in che limiti.
Il Dio trascendente ed unico del Cristianesimo ha in effetti presentato vari livelli di conoscibilita', sia nel corso del tempo che all'interno della stessa fase storica.
Relativamente alla conoscibilita' di Dio due tendenze si sono sempre contrapposte, quella di una metafisica positiva ed il piu' possibile chiarificatrice, e quella di una metafisica negativa che nel mistero e nell'inconoscibilita' di Dio vedono la Sua essenza piu' profonda, e considerano il tentativo di chiarire questo mistero come un allontanamento dalla sua effettiva comprensione (un monaco medioevale dira': cio' che volete aprire, voi cosi' lo distruggete). Questa contrapposizione e' presente fin dall'origine, con Giustino ed Origene che ripropongono temi platonici ed aristotelici a fronte di Tertulliano che afferma "credo quia absurdum est".
Il contrasto prosegue nel tempo, da una parte con Sant'Anselmo d'Aosta e la sua prova ontologica e con San Tommaso d'Aquino ed i domenicani, e la loro pretesa aristotelica di poter conoscere Dio e dimostrarNe l'esistenza, e dall'altra con chi a questi cerca di opporsi, come i francescani Bonaventura da Bagnoregio (con il suo "itinerario della mente verso Dio" alla cui conclusione si comprendera' di non comprenderLo, giunti alla "perfetta illuminazione della mente") e Guglielmo d'Occam, con il suo Dio inconoscibile nella Sua essenza ed a cui si puo' giungere solo con un atto d'amore e di fede.
Si avranno poi il mistico Eckhart, in cui Dio, ineffabile, e' "negazione della negazione", e quindi assoluto ed al di la' di ogni determinazione concettuale, pertanto conoscibile solo annullando ogni facolta' conoscitiva, e Nicolo' Cusano, che rende ragione dell'inconoscibilita' dell'infinito e quindi di Dio affermando come, in tale ambito, si abbia la coincidentia oppositorum e la coincidentia contradictoriorum, e come di Dio si possa solo dire cio' che non e'.
Con Pascal e le correnti che a lui si riferiranno, fino all'esistenzialismo, la conoscenza di Dio non puo' derivare in nessun modo da un piano razionale, come invece la metafisica positiva tradizionale aveva fino ad allora sostenuto, e non puo' che derivare da un riferirsi alla propria interiorita' e dalla consapevolezza della propria intima condizione umana.
La concezione del grado di conoscibilita' di Dio all'interno del Cristianesimo ha pertanto evidenziato nel tempo un'ampia differenziazione, presentando elevati livelli di indeterminazione nell'ambito della metafisica negativa. L'indeterminazione di Dio connessa alla non scelta e' naturalmente assai piu' elevata di quella presente nella metafisica negativa, ma nel valutarla si possono comunque tener presenti i livelli raggiunti da tale metafisica gia' all'interno del Cristianesimo.


Relativamente alla percezione della presenza di Dio da parte dell'uomo, con riferimento alla presenza del Dio della non scelta potenzialmente percepita come piu' "evanescente",
vorrei far riferimento ad un pensiero di Pascal, che diceva piu' o meno che l'uomo ha bisogno di credere in qualcosa che non sia fuori di lui, ma invece dentro di lui, e che pero' non sia lui stesso. Questo concetto mi sembra racchiuda tutta l'essenza del problema della percezione di Dio da parte dell'uomo, della Sua presenza o assenza, della Sua vicinanza o lontananza.
Storicamente il credere in qualcosa fuori di se' e' proprio del paganesimo pre Cristiano, in una condizione umana caratterizzata dalla paura e dall'angoscia verso il mondo esterno e quello interiore, da cui la divinita' avrebbe dovuto proteggere l'uomo. Tale protezione comportava un Dio potente e quindi profondamente diverso ed "altro" dagli uomini, e pertanto ad essi lontano. Ma questa lontananza alimentava il senso di estraneita' provato dall'uomo verso il Dio, e quindi il suo senso di solitudine, come attestato ad esempio dalle tragedie greche.
Pertanto cio' che riduceva la sua paura (la lontananza da se' del Dio, e quindi la sua potenza), aumentava contemporaneamente la sua solitudine (data dall'estraneita' provata verso un Dio cosi' lontano).

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Scepsis


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Con il Cristianesimo e la sua Rivelazione l'uomo puo' finalmente credere in qualcosa dentro di lui (come dice Pascal), e dentro la sua anima. Puo' cosi' ridurre la lontananza verso Dio e quindi il senso di solitudine. Ma questo processo di avvicinamento tra Dio e uomo non puo' procedere fino al punto di avvicinarli tanto da identificarli, Dio perderebbe la Sua natura e le Sue caratteristiche e l'uomo non avrebbe piu' un Dio a cui affidarsi (l'uomo ha bisogno di credere in qualcosa che non sia lui stesso, come affermato da Pascal).
In modo speculare a quanto sopra scritto, in questo caso cio' che riduce la solitudine dell'uomo (la diminuzione della lontananza da Dio) aumenta la sua paura: non c'e' piu' un Dio a difenderlo, o quanto meno al ridursi della lontananza Dio e' percepito sempre meno come "altro" da se' da parte dell'uomo, quindi meno potente e pertanto meno in grado di difenderlo (in particolare dalle paure interiori e dall'angoscia).
Il grado di vicinanza con Dio, cosi' come percepito dall'uomo, deve attestarsi su un livello tale da garantire sia un accettabile livello di paura che un accettabile livello di solitudine (dove paura e solitudine sono tra loro inversamente proporzionali).


Il grado di vicinanza con Dio, e quindi la commistione tra paura e solitudine, e' un elemento che caratterizza ogni religione ed ogni corrente al suo interno, si pensi al Dio lontanissimo ed inappellabile dei manichei, con una salvezza rigidamente predeterminata (contro cui combattera' Sant'Agostino), o all'opposto al Dio vicinissimo di Pelagio, in cui la salvezza veniva stabilita esclusivamente dall'uomo mediante le sue opere, esautorando di fatto Dio da ogni ruolo (anch'esso combattuto da Sant'Agostino, ma per ragioni opposte).
Con Pascal il grado di vicinanza con Dio e' determinata dall'azione congiunta della vicinanza all'uomo di Gesu' Cristo e dalla lontananza dall'uomo (e dalle sue miserie) di Dio.


Il grado di vicinanza con Dio pero' non e' un qualcosa che attiene solo alle singole religioni,
ma e' anche (e forse soprattutto) un problema del singolo individuo, che dovra' scegliere il livello di vicinanza/lontananza, e quindi la combinazione tra paura e solitudine, nel suo rapporto con Dio.
Tanto piu' l'uomo collochera' Dio vicino a se', ponendolo quindi tanto meno "altro" da se', tanto piu' rischiera' di farNe una presenza "evanescente", irrilevante, che si identifichera' sempre piu' con la propria interiorita' fino al punto di non poterle piu' distinguere. Una presenza comoda e rassicurante perche' sempre piu' simile a se', a cui ci si abitua e che sempre piu' viene data per scontata. Una presenza, pertanto, a cui ci si abitua perche' poco ingombrante ed esigente. E questa e' un'abitudine a cui e' difficile rinunciare perche' ci rassicura e ci impedisce di vedere se e quando la presenza dell'"altro" da se' ci ha eventualmente abbandonato. In questo caso occorrera' alla fine pervenire a questa dolorosa consapevolezza, prendendo coscienza di essere rimasti soli con noi stessi e di non riuscire piu' a scorgere nulla al di fuori di noi e della nostra interiorita'.


In modo speculare a quanto sopra detto, tanto piu' l'uomo collochera' Dio lontano da se', "altro" da se', tanto piu' rischiera' di farne una presenza totalmente estranea a se' ed alla propria interiorita', con quest'ultima che alla fine verra' totalmente negata per potersi adeguare ad un Dio sempre piu' esigente, lontano ed imperscrutabile.
Cosi' come nel caso di un Dio troppo vicino, anche qui abbiamo un processo di rassicurazione, consistente nel porre Dio sempre piu' lontano da noi, un Dio con richieste sempre piu' difficili e pressanti. Lo sforzo e la fatica per poter soddisfare tali richieste saranno la prova e la conferma della nostra capacita' di adeguarci a Lui ed essere all'altezza delle Sue aspettative. L'eventuale incomprensibilita' delle prove a cui ci si sottopone verra' considerata solo come una ulteriore prova, comunque da superare. Quanto dentro di noi sembra opporsi alle crescenti richieste verra' progressivamente negato ed abbandonato, fino a che le richieste non saranno cosi' ampie e totali che l'uomo abbandonera' e neghera' completamente se stesso e la propria interiorita'.
Come nella situazione opposta, anche qui si avra' un'abitudine, ma non sara' una comoda abitudine, bensi' un'abitudine alla fatica ed al sacrificio, comunque difficile da abbandonare perche' la connessa negazione di se' evita dolorose domande e confronti con se stessi.
Se l'uomo riuscira' a risvegliarsi dall'oblio di se', vedra' che la presenza dell' "Altro" da se' lo ha da tempo abbandonato, progressivamente sostituito da ferree e vuote regole e formalita' a cui ha sacrificato la propria autentica interiorita', sostituita da una posticcia. Anche qui l'uomo rimarra' solo con se stesso, in questo caso per un Dio troppo lontano da se', in cui si e' annullato.
Su quanto sopra faccio una precisazione. Il processo sopra descritto e' di tipo drammatico, legato ad una fanatica adesione a regole e richieste estreme. Ma la stessa negazione ed oblio di se' e della propria interiorita', con la stessa conseguente assenza di un autentico "Altro" da se', potrebbe essere connaturata e da sempre presente in un individuo che non interroga e chiama in causa, in alcun modo, il proprio se' piu' intimo e profondo, totalmente ignorato, ed in cui il problema dell' "Altro" da se' non viene neanche posto e considerato, sostituito e nascosto da una passiva ed acritica accettazione di regole religiose viste e vissute solo come vuote regole formali. E questo, di fatto, non e' che un altro modo di collocare Dio lontanissimo da se' da parte dell'uomo.


Per quanto sopra detto, ed in relazione al problema di una presenza di Dio potenzialmente percepita come piu' "evanescente" nel caso della non scelta, si rileva come il problema della percezione della presenza di Dio, legata alla Sua maggiore o minore vicinanza all'uomo, sia comune ad ogni credo religioso ed, al loro interno, ad ogni singolo individuo.
E' evidente che nel caso della non scelta i rischi di non percepire l' "Altro" da se' siano piu' legati ad una Sua eccessiva vicinanza, piuttosto che ad una eccessiva lontananza, ma il rischio in genere, come gia' detto, e' comunque insito in ogni religione ed in ogni individuo. Proprio il ruolo svolto da ciascun individuo nel collocare Dio alla giusta distanza da se', evitando quegli eccessi di collocazione che porterebbero a perderLo, potrebbe suggerire come l'adesione di ognuno al credo od al senso religioso che sente come piu' adeguato e congeniale a se' possa favorire quella giusta scelta di collocazione individuale, tale da assicurare una autentica presenza di Dio, oltre ogni abitudine od acritiche accettazioni

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