Il dramma dell'Etica di Spinoza, tra superstizioni, errori, violenze.

Aperto da PhyroSphera, 14 Agosto 2024, 09:12:33 AM

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PhyroSphera

La distinzione tra naturale e soprannaturale non fa più presa come un tempo. L'affermazione dell'uomo quale essere culturale è usata, anzi direi abusata, per negare l'altra dell'uomo quale essere naturale. Entrambe in realtà sono vere, così come è vera la distinzione tra fedi monoteiste, che fanno riferimento a un evento soprannaturale, e fedi politeiste, che si riferiscono ai misteri presenti dietro gli eventi naturali.
Al suo apparire la filosofia di Spinoza suscitò alcune reazioni indignate e non mancarono le violenze. Il potere rabbinico maledisse ufficialmente il filosofo portoghese, colpendo nell'anatema anche i suoi bisogni primari. Lo si riteneva colpevole. In definitiva però il Deus sive Natura di Baruch Spinoza non costituisce un attacco contro le dottrine monoteiste, che nel considerare il soprannaturale devono pur sempre includere il pensiero della naturalità. Il primo significato della parola latina 'sive' è: 'o se': Deus sive Natura sta a significare una proposta: se noi pensassimo Dio quale la natura stessa, la natura assoluta? Se facessimo questa ipotesi, ci accorgeremmo che dire Dio significa dire Natura! Questo indignò intelletti poco inclini all'acume, pensando costoro che così si stava confondendo Dio e mondo. Altri, che pure nutrivano la stessa incomprensione, invece ne apprezzarono perché ciò avrebbe permesso loro di divinizzare un'altra volta (o forse per la prima volta) le cose; altri ancora salutarono una grande liberazione, pensando che siffatta filosofia riducesse e finalmente facesse scomparire Dio nelle leggi naturali.

In definitiva la Natura cui inoltrava il filosofo portoghese non è quella cosmica, ma quella che è dietro all'ordine cosmico, dalla quale questo discende; e ciò non serve a smentire le fedi monoteiste, ebraismo compreso. Certo in tal modo si riporta il discorso alla essenza di Dio, oggetto principale dei culti pagani nonché politeisti; ma la stessa essenza è oggetto di necessaria meditazione per i credenti nell'unico Dio, pur non assurgendo a riflessione centrale.
La storia del pensiero teologico ebraico e giudaico fu segnata nel Medio Evo dalla nascita di un immanentismo, nella dottrina celebre della Cabala. Questa aboliva l'antagonismo con il pensiero degli dèi: essi sono in ogni cosa, la realtà è piena di dèi. L'universo è il corpo di Dio, Dio lo ha creato con sé stesso, non dal nulla. La storia antica degli ebrei li vede protagonisti di un conflitto coi pagani intorno; la religione ebraica visse della separazione e del giudizio nei loro confronti quando non nello scontro. L'ebraismo ha una concezione rigida dell'unità di Dio: i suoi fedeli non rivolgono niente delle proprie preghiere alla divinità di Dio. La Cabala invitava loro, anzi metteva loro a fronte di una nuova prassi: escludere dal proprio culto il Divino, ma non dalle proprie conoscenze o perlomeno non dalla propria cultura. Terminare il grave dissidio col mondo pagano, trasformare l'antagonismo in semplice alternativa o concorrenza: questo nuovo orizzonte non solo intellettuale veniva fermamente rifiutato dal potere sacerdotale prevalente tra giudei ed ebrei, dal Medio Evo alla Modernità.
Spinoza portava nella filosofia occidentale l'immanentismo della Cabala ebraica, dopo che nei suoi Dialoghi italiani Giordano Bruno aveva temerariamente detto di materia materiante a proposito di Dio Creatore. Non si trattava di un linguaggio fissato, di una terminologia, ed infatti la filosofia europea ne recepiva quale Dio Sostanza. Entro questo quadro, oltre che nei nuovi esiti del pensiero mistico e teologico ebraico, va collocata la filosofia di Spinoza. Questi appuntava la sua attenzione sull'aspetto immanente di Dio, sulla base naturale della realtà, dopo che Bruno aveva inoltrato alla trascendenza-immanenza di Dio attraverso il pensiero neoplatonico. Non si affermava metafisicamente ma eticamente: si dimostrava (geometricamente) la necessità di dovere includere, nella considerazione del reale e della stessa natura del mondo, il riferimento a Dio. Lungi dall'essere affermazione o proponimento di ateismo, si faceva valere il teismo anche nelle questioni naturali. Molti intendevano tutto al contrario.

Un'altra grande difficoltà interveniva nella vicenda della accoglienza della Etica spinoziana: era già presente in quegli anni una forte tendenza a concepire la Causa dell'universo in termini meccanici. Le fantasie a riguardo erano già degli antichi, alle prese col deus ex machina e le decadenze dei miti e dei culti nel tardo Impero Romano. Evidentemente, coloro che si sentivano a torto imprigionati nelle spire della etica geometricamente dimostrata concepivano la Causa in maniera arbitraria e per nulla necessaria. Causa come si direbbe in un tribunale, dove i coinvolti e parte in essa continuano ad essere liberi, o come si direbbe alle prese con le nuove mappe non statiche del sistema solare, le quali mettevano in scena un meccanismo celeste rigidamente definito (i pianeti venivano mossi o se ne indicava con frecce il movimento attorno al sole)? Chi propendeva per l'ultima visione, non riusciva a trovare in tale Etica niente di accettabile. Eppure il determinismo contenuto in essa è così estremo che per converso non risulterebbe filosoficamente possibile concepire detta Causa totalizzante! Insomma la questione dipendeva dalle differenti premesse culturali, o subculturali, di cui ci si avvaleva leggendo tale Opera. Questa poteva esser vista anche trascendendo i limiti coi quali il suo stesso autore la interpretava; ma non erano questi ad essere tragici, piuttosto quelli dei suoi persecutori e falsi intenditori. Difatti la questione non riguarda la critica filosofica nonché letteraria, ma l'ignoranza e l'avversione ingiustificate.

I lettori atei dell'Etica spinoziana nel corso degli anni ne tradivano del tutto scopi e contenuti e resero reali gli incubi dei rabbini ortodossi alle prese col famigerato libro del filosofo portoghese Spinoza. Davvero nacque il pregiudizio di un mondo esclusivamente naturale ove tutto sarebbe fatale e già determinato senza alcuna vera libertà per nessuno neppure per Dio. Ma maledire il suo autore - che in realtà aveva scritto altro - accompagnargli i pasti, le bevande, il sonno e il resto con una minaccia adatta a suscitare i criminali comuni che vagavano per strada in cerca di delitti, non aiutò la cultura europea a capire il da farsi. Il marxismo interpretò l'incubo dei falsi interpreti come una sconsolata ma necessaria accettazione della realtà... E così il dramma culturale e filosofico si protrasse fino ai nostri giorni, pur senza aver prevalso e prevalere. Una presenza che non è cosa da poco.

(Avevo intenzione di un messaggio assai breve, ma l'argomento e la passione non me lo ha consentito.)


Mauro Pastore

Alberto Knox

Se essere atei significa ridurre tutto a materia e ad assenza di pensiero, considerando il pensiero come un mero epifenomeno della materia destinato ad estinguersi quando la materia si decompone e considerando quindi la vita senza senso Allora si capisce immediatamente che Spinoza non poteva essere ateo , difatti egli sosteneva queste due verità .
la prima ; la natura, ovvero la sostanza infinita ,che io Spinoza, chiamo anche Dio oltre ad essere Res extensa è anche Res cogitans , oltre ad essere estensione , è anche pensiero.
la seconda; la mente, la sede del nostro pensiero , in quanto partecipa di Dio che è eterno e che è pensiero , è eterna.

Egli scriverà nella quinta parte della sua etica la seguente frase; la mente umana non può essere assolutamente distrutta assieme al corpo , ma di essa rimane qualcosa che è eterno. (etica 5;23) .
Noli foras ire , in teipsum redi, in interiore homine habitat veritas.

Ipazia

I rabbini ortodossi (e i preti cristiani) ci vedevano lontano più di Spinoza e il suo Deus sive Natura deflagrò in un'epoca matura per il passaggio successivo: Natura sine Deus.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

Alberto Knox

#3
Citazione di: Ipazia il 14 Agosto 2024, 15:48:34 PMI rabbini ortodossi (e i preti cristiani) ci vedevano lontano più di Spinoza e il suo Deus sive Natura deflagrò in un'epoca matura per il passaggio successivo: Natura sine Deus.
ma il passo successivo è stato fatto travisando le parole di Spinoza, prendendo spunti da delle parti travisandoli ad uso e consumo per giustificare il loro ateismo. Costoro infatti si guardano bene dallo specificare che Spinoza non ha mai detto che Dio non esiste ma che anzi ha affermato che è l'unica cosa che esiste! e si guardano dal riportare quelle parole che mettono in evidenza l'amore di Spinoza verso Dio che io ora riporto dall etica; "l'amore verso Dio deve occupare la mente in sommo grado". E ancora; "questo amore verso Dio è il bene piu alto che possiamo appetire secondo il precetto della ragione" e ancora ; "l'amore intellettuale di Dio che nasce dal terzo genere di conoscenza è eterno. " e ancora ; "da ciò comprendiamo chiaramente in cosa consiste la nostra salvezza, la nostra beatitudine, la nostra libertà , consiste nel costante ed eterno amore verso Dio" . In realtà, coloro che vedono nelle parole di Spinoza un incipt all ateismo commettono lo stesso errore di quei credenti integralisti cioè quello di concepire solo la loro idea di Dio e così quando questa loro idea di Dio viene negata essi individuano l ateismo . Contro l'interpretazione materialisitica ed atea nella filosofia di Spinoza fu lui stesso a rispondere ; "coloro che ritengono che il fondamento del trattato teologico politico sia l'identità di Dio/natura , natura intesa come massa o materia coorporea sono totalmente fuori strada, sono quindi fuori strada anche ora coloro che mi leggono all insegna del materialismo oggi dominante dove intendono la natura solo come materia e dimenticano che la natura è anche pensiero e infiniti altri attributi di cui noi non conosciamo l esistenza. La riduzione di Dio, la riduzione della natura a ciò che viediamo e che tocchiamo è quanto di più lontano da me! ognuno può pensare in questo modo, certo che sì, ma perfavore, evitino di appoggiare il loro ateismo sul mio nome" (lettera di Baruc Spinoza rivolta a un suo amico) .
Noli foras ire , in teipsum redi, in interiore homine habitat veritas.

baylham

Citazione di: Alberto Knox il 14 Agosto 2024, 20:54:32 PMma il passo successivo è stato fatto travisando le parole di Spinoza, prendendo spunti da delle parti travisandoli ad uso e consumo per giustificare il loro ateismo. Costoro infatti si guardano bene dallo specificare che Spinoza non ha mai detto che Dio non esiste ma che anzi ha affermato che è l'unica cosa che esiste! e si guardano dal riportare quelle parole che mettono in evidenza l'amore di Spinoza verso Dio che io ora riporto dall etica

In qualunque manuale di filosofia la concezione di Spinoza viene definita sinteticamente panteismo, non ateismo. Si evidenzia che il suo panteismo si distacca esplicitamente dalle principali concezioni religiose occidentali di allora.

Se molti hanno preso spunto dalla filosofia panteistica di Spinoza per giungere all'ateismo non comprendo quale sia il travisamento e la sua drammatica gravità. Personalmente considero la filosofia di Spinoza un progresso intellettuale rispetto alle precedenti concezioni, ma trovo delle serie contraddizioni logiche nel panteismo, che l'ateismo risolve.

Alberto Knox

Citazione di: baylham il 16 Settembre 2024, 10:27:20 AMSe molti hanno preso spunto dalla filosofia panteistica di Spinoza per giungere all'ateismo non comprendo quale sia il travisamento e la sua drammatica gravità.
attenzione però  , il panteismo di cui parli non coincide con la filosofia di Spinoza, coincide,invece,  con il panteismo degli stoici dove Dio coincide con tutte le cose , tutte le cose coincidono con Dio, Dio è tutto e tutto è Dio. E nella filosofia degli stoici questo è pienamente panteista. Qual'è dunque la differenza con il panteismo di Spinoza?  che tutto è in Dio, Dio contiene il tutto e questa concezione filosofica viene definita "panenteismo" . Dunque Spinoza era panteista o panenteista? tutte e due. In Spinoza sono coinvolti entrambi gli aspetti perchè nella sostanza di Spinoza è in tutto e tutto coincide con la natura . Ma la sostanza che è Dio contiene in se stessa attributi e modi , si manifesta in infiniti attributi e infiniti modi. Dunque dentro la sostanza che è Dio e che è il tutto vi sono gli attributi e i modi , il pensiero e estensione , le idee e i corpi che sono contenuti dalla sostanza. Abbiamo in Spinoza tanto il panteismo quanto il panenteismo perchè tutto coincide con Dio , Dio coincide col tutto (Deus sive natura) ma alcontempo Dio contiene la natura. La distinzione è dunque questa nel panteismo si fa coicidere il tutto a Dio nel panenteismo da anche una dimensione a Dio come grande contenitore di tutta la natura. è un estensione del panteismo .
Noli foras ire , in teipsum redi, in interiore homine habitat veritas.

Lou

Direi che non c'è nulla di più divino della natura. O nulla di più naturale del divino. Proprio di nulla non si parla. E questo basti a tutti gli dei, le dee e qualunque "Dio" e seguaci  e religioni di ogni specie , e pure l'ateismo o il l panteismo altro.. che non è il punto., Troppo avanti Spinoza in un monismo immanentista talmente potente da far fondere e rabbrividire e dio e la natura, viceversa è lo stesso. Son concetti che esplodono nell'etica spinoziana! Da reinventare, io penso sia questo il punto. Un insegnamento senza pari.
"La verità è brutta. Noi abbiamo l'arte per non perire a causa della verità." F. Nietzsche

Scepsis

Spinoza parte dallo stesso punto di inizio assunto da Cartesio, il cogito ergo sum, ma procede nella direzione esattamente opposta a quella assunta da quest'ultimo.
Cartesio, partendo dal cogito ergo sum, vuole rivoluzionare e rifondare le fondamenta della conoscenza umana e le scienze. Spinoza, partendo dal cogito ergo sum, si dirige verso una sfera non umana e non gnoseologica, ma metafisica, verso una concezione di Dio innovativa rispetto ai tradizionali canoni dell'Occidente (Hegel dira' che "con Spinoza per la prima volta l'intuizione orientale dell'identita' assoluta e' stata accostata immediatamente al modo di pensare europeo"), non piu' trascendente e volontaristica, ma assolutamente necessitata ed immanente. Quindi un Dio contenente ogni e qualsiasi cosa, materiale e non, aventi tutte pari dignita' in quanto necessarie emanazioni di Dio stesso, che in Esso si rispecchiano e si identificano.
Tale concezione non puo' non coinvolgere profondamente la sfera umana ed esistenziale: l'uomo avra' come piu' elevato e prioritario obbiettivo il raggiungimento della mistica
consapevolezza dell'unione tra ogni uomo (cosi' come tra ogni cosa) e Dio. Questa consapevolezza, se raggiunta, e' in grado di trasfigurare l'esistenza umana ed il suo significato, portandola ad una condizione di beatitudine e di identificazione con Dio e con il tutto. L'uomo e' cosi' in grado di superare ed eliminare il dolore e la paura propri della condizione umana, cosi' come tutte quelle limitazioni e tribolazioni che ogni individuo e' destinato inevitabilmente a subire nella sua esistenza.
I due aspetti, metafisico (con una nuova concezione di Dio) ed esistenziale (con una nuova collocazione e concezione dell'uomo, delle sue possibilita' e del suo rapporto con Dio), si intrecciano, conferendo reciprocamente valore e forza l'uno all'altro. I temi teoretici della metafisica spinoziana si sposano e favoriscono le soluzioni umane ed esistenziali individuate dal filosofo, cosi' come quest'ultime operano nei confronti dei primi, ed un aspetto senza l'altro non avrebbe potuto portare alla costruzione del complessivo sistema filosofico spinoziano.


A determinare il percorso del pensiero di Spinoza, caratterizzato dai due aspetti sopra detti (metafisico ed esistenziale), concorrono presumibilmente due elementi in particolare, da una parte la fascinazione generata dall'incontro con l'intuizione del cogito ergo sum (fascinazione assai diffusa e generalizzata nella sua epoca), dall'altra le dolorose esperienze personali che hanno profondamente segnato l'esistenza del filosofo, vissute per di piu' in un contesto storico tra i piu' caotici e sanguinosi, esperienze che hanno posto al centro della sua riflessione la dimensione umana ed esistenziale e la necessita' di una via di uscita dal dolore e dalla paura. A questo proposito, nella prefazione al "Trattato sull'emendazione dell'intelletto" (pubblicato postumo, ma iniziato presumibilmente nel 1656, anno della sua scomunica dalla chiesa ebraica) si legge: "dopo che l'esperienza mi insegno' che tutto quello che si incontra comunemente nella vita e' vano e futile, vedendo che tutto cio' da cui temevo e che temevo non aveva nulla in se' ne' di bene ne' di male se non in quanto il mio animo se ne commuovesse, stabilii finalmente di ricercare se vi fosse un vero bene che si comunicasse a chi l'ama e ne occupasse da solo l'animo respingendo tutte le altre cose: se ci fosse qualcosa, trovata ed ottenuta la quale, io potessi in eterno godere continua e somma letizia".


Relativamente al primo elemento (la fascinazione generata dall'incontro con l'intuizione del cogito ergo sum), si osserva che, nel quadro storico di un riscoperto neoplatonismo rinascimentale, con i suoi echi spirituali e panteistici, e di un rigoglioso e ed innovativo sviluppo scientifico, la scoperta dell'intuizione del cogito ergo sum e' stata probabilmente la scintilla che ha innescato un processo tale da portare alla metafisica ed al misticismo spinoziano, vale a dire ad identificare l'uomo (cosi' come ogni cosa) in Dio, in quanto emanazione ed espressione necessaria di quest'ultimo.
Di fatto gia' con il cogito ergo sum cartesiano si era determinato, in qualche modo, un avvicinamento dell'uomo e del suo pensiero a Dio, come mai prima nella storia.
Questo avvicinamento e' dato dalla capacita' dell'uomo di concepire una intuizione (il cogito ergo sum) potenzialmente in grado di opporsi e resistere, nella sua indubitabilita' e certezza, ad eventuali tentativi di falsificazione anche da parte di un Dio ingannatore. E' presumibilmente questa consapevolezza che porta Cartesio a sostituire quasi immediatamente l'immagine di un Dio ingannatore con quella di un genio maligno (piuttosto che il fatto che Dio, sommamente buono, non puo' volerci ingannare).
Nella trattazione cartesiana il cogito ergo sum e' l'unico concetto in grado di superare il dubbio metodico cartesiano, dubbio che dopo tale superamento non verra' piu' applicato ai successivi concetti elaborati ed esposti da Cartesio, in particolare quello delle idee chiare e distinte. Quest'ultime verranno dichiarate (senza dimostrazione e senza essere sottoposte all'esame del dubbio metodico) essere alla base della validita' e del valore del cogito ergo sum, e portate a fondamento della nuova concezione scientifica cartesiana. Il cogito ergo sum verra' invece svalutato (e non riconosciuto nella sua unicita') come uno dei tanti possibili esempi di idea chiara e distinta. E' come se Cartesio, avendo come principale obbiettivo la rifondazione della conoscenza umana e delle scienze, non si accorgesse (o preferisse ignorare, in quanto lontano dal suo obbiettivo) del valore e dell'unicita' del cogito ergo sum, e delle conseguenti implicazioni e suggestioni derivanti da tale concetto.
Implicazioni e suggestioni colte invece pienamente da Spinoza e che concorreranno all'elaborazione del suo sistema filosofico, in cui l'uomo arrivera' ad una mistica identificazione con Dio.


Relativamente al secondo elemento (le dolorose esperienze personali di Spinoza che lo hanno portato a porre al centro della sua riflessione la dimensione umana ed esistenziale), occorre necessariamente fare una premessa.
Il filosofo e' prima di tutto un uomo, che nell'elaborare il proprio sistema filosofico (per quanto apparentemente determinato dalla sola impersonale ricerca di una "Verita' " universale e generale) non puo' non considerare, anche inconsciamente, i propri personali valori umani, la propria intima concezione dell'esistenza, delle sue necessita' ed aspettative, del suo significato (a questo proposito si puo' dire che il paradiso esistenziale di Kant e', in qualche modo, l'inferno esistenziale di Hegel, e viceversa). Questi fattori potranno avere un ruolo piu' o meno grande nell'elaborazione di un sistema filosofico, essere piu' o meno espliciti o addirittura essere apparentemente assenti, ma non potranno comunque essere ignorati (consapevolmente o inconsapevolmente) tanto da portare all'ideazione di un sistema in contrasto con tali valori e tali concezioni: il "mare senza rive" del pensiero, del resto, offre infinite possibilita' di pervenire (anche inconsapevolmente) a sistemi che non confliggano, in ogni caso, con essi.
Vi sono poi pensatori che all'intima dimensione umana ed esistenziale, alle sue necessita' ed al suo significato attribuiscono un ruolo ed un peso centrale nella propria opera. Tra questi Socrate, Epicuro, Pascal e, sicuramente, Spinoza.


Spinoza visse in un'epoca segnata da conflitti tra i piu' sanguinosi della storia, la fine della guerra "dei trent'anni" (di origine religiosa) era ancora recente, e costellata da continui e violenti scontri tra parti contrapposte (in Olanda repubblicani contro orangisti, con il linciaggio da parte della folla dei fratelli De Witt, di cui Spinoza fu spettatore).
In questo contesto il filosofo si era trovato a nascere in una famiglia "marrana" di origini portoghesi, quindi ebrei a suo tempo convertiti piu' o meno a forza al cattolicesimo, e ritornati all'ebraismo una volta giunti ad Amsterdam (all'epoca definita la "nuova Gerusalemme" per la buona accoglienza riservata agli ebrei), dove Spinoza nacque.
In Portogallo i "marrani" erano odiati piu' degli stessi ebrei praticanti, e nel 1506 a Lisbona piu' di 2.000 marrani furono massacrati in due giorni dalla folla inferocita. Gli stessi ebrei non marrani, secondo la storiografia, tennero verso i marrani un variegato atteggiamento, che andava dalla solidarieta' alla piu' ferma condanna per il loro "tradimento", tanto da collaborare, in alcuni casi, alla loro persecuzione.
Spinoza visse lo stesso doppio rifiuto nella sua vita, ed affermo' come venisse emarginato dai cristiani in quanto ebreo, ed emarginato dagli ebrei in quanto eretico. Nella formula della sua scomunica da parte della sinagoga di Amsterdam si legge che ogni ebreo avrebbe dovuto evitare ogni rapporto con lui (per cui fu allontanato dalla famiglia) e tenersi "ad una distanza di 4 gomiti". La scomunica si tenne nello stesso luogo dove, anni prima, aveva assistito all'esecuzione di una pubblica flagellazione, considerata necessaria per riammettere all'ebraismo un individuo (suo lontano parente) precedentemente scomunicato. Se mai c'e' stato un uomo che, alla luce della sua esistenza, non poteva accettare delle religioni che in primo luogo giudicassero e condannassero, cosi' come dei sistemi politici discriminanti e negatori della liberta' di pensiero, questo e' stato Spinoza.
Le numerose costrizioni e limitazioni subite nella sua esistenza, vissute sempre con grande dignita' e forza morale, gli ispirano la volonta' di ricercare (usando le sue parole, precedentemente citate) "se vi fosse un vero bene che si comunicasse a chi l'ama e ne occupasse da solo l'animo, respingendo tutte le altre cose: se ci fosse qualcosa, trovata ed ottenuta la quale, io potessi in eterno godere continua e somma letizia".
L'isolamento (che finira' per deliberatamente mantenere e difendere, in quanto condizione di liberta') in cui necessariamente vive, se si esclude una ristretta cerchia di amici ed estimatori (nonche' il carteggio con illustri pensatori, tra cui Laibniz), gli permettera' una liberta' di pensiero assoluta, che portera' all'ideazione di un sistema filosofico ed una metafisica profondamente innovativi per l'Occidente. Il "vero bene" in grado di dare "continua e somma letizia" e di far superare dolori e paure verra' individuato in una concezione mistica dell'uomo e del mondo, in unione ed identificazione (come tutte le cose) con Dio.


Naturalmente parlare genericamente di misticismo e di identificazione con Dio e' troppo vago ed indeterminato, un dire tutto e niente, tante sono state le forme che ha assunto nella storia del pensiero, dal ritorno all'Uno di Plotino all'"eroico furore" di Giordano Bruno, questo profondo percepire un'intima unione con Dio, in grado di trasfigurare la vita (ed il senso ad essa attribuito) di chi a tale percezione si avvicina.
Comune alle varie forme di misticismo e' il piano intuitivo, estatico, al di la' ed al di sopra del piano razionale e concettuale, con cui si perviene all'unione con Dio (quest'ultimo, in quanto entita' unificante e suprema, tale da superare ed eliminare ogni distinzione, non puo' essere colto da cio' che peculiarmente analizza e quindi divide, cioe' il piano razionale). Altra caratteristica comune alle varie forme di misticismo e' la sensazione di beatitudine ed armonia che si accompagna all'identificazione con Dio, dove ogni contrasto e contrapposizione viene superata, ogni necessita' e passione eliminata, in uno stato di totale pacificazione con se stessi e con il tutto.
Questo stato di beatitudine e' insieme conseguenza (quindi con uno rapporto di causa effetto) ma anche elemento costitutivo ed imprescindibile dell'unione con Dio, e quindi concorre a determinare ed identificare il carattere da attribuire a Dio perche' questo risulti effettivamente tale (cioe' in grado di corrispondere alle nostre piu' intime e profonde aspirazioni, in quanto da considerare come da Dio stesso ispirate).


Da questo punto di vista le vicende personali di Spinoza, intrecciate con gli avvenimenti storici e l'evoluzione del pensiero propri del suo tempo, hanno probabilmente concorso a delineare in lui un concetto di beatitudine, o "letizia" come da lui definita, che non poteva accordarsi ad una unione con un tradizionale Dio trascendente e creatore, finalistico e dotato di volonta', quindi un Dio che giudica ed anche condanna ed esclude.
L'unione mistica con un Dio di questo tipo avrebbe in ogni caso comportato un abbandono (di abbandono e non di identificazione deve necessariamente parlarsi nel caso di un Dio trascendente), e quindi un atto di fiducia verso quest'ultimo. Ma Spinoza non aveva fiducia in un Dio di questo tipo, per lui sarebbe stato impossibile percepire una unione totale con un dio trascendente, che necessariamente e' "altro" ed "al di sopra" rispetto all'uomo, un Dio che giudica e potenzialmente condanna ed esclude, a differenza di un Dio immanente e necessitato di cui l'uomo e' parte integrante e con cui l'identificazione e' sempre e comunque totale, e l'inclusione garantita.
                      (continua in successivo messaggio)

Scepsis

            (continua da precedente messaggio)
Ma la beatitudine assicurata dall'unione con un Dio trascendente e dotato di volonta' sarebbe stata vista dal filosofo come "inadeguata" anche in un altro senso, a mio parere, oltre a quello sopra detto. Per Spinoza la beatitudine si configura come totale pacificazione ed armonia, totale assenza di contrapposizioni e contrasti (rispetto ad una vita cosi' piena di questi elementi), in totale identificazione con un Dio che tutto contiene. La garanzia assoluta perche' questo si verifichi e' che non vi sia alcun elemento esterno rispetto al Dio con cui ci si identifica, elemento esterno che potrebbe riproporre tali contrasti. Pertanto Dio deve risultare onnicomprensivo, contenente il tutto al suo interno e tale da non lasciare nulla al di fuori di se' (elemento quest'ultimo che e' poi anche la condizione perche' il Dio necessitato sia allo stesso tempo anche libero, secondo Spinoza).
Tra i possibili elementi "esterni" da considerare ed eliminare sono sicuramente compresi quelli relativi alla scelta ed alla possibilita', tra le principali fonti di lacerazione ed angoscia per l'uomo, e di inconsolabili rimpianti (temi da sempre presenti ma che assumeranno valore centrale in Kierkegaard, due secoli dopo). Chi e' in grado di eliminare alla radice le possibilita' non scelte, gli infiniti possibili che avrebbero potuto verificarsi e non lo sono stati, e' solo un Dio, e quindi un mondo, necessitato, in cui cio' che e' avvenuto (ed avverra')
non poteva (e non potra') che essere cosi', e pertanto anche il rimpianto non avrebbe senso.
Un Dio trascendente e dotato di volonta', e che quindi sceglie, non necessitato, non sarebbe stato in grado di fare questo, e avrebbe anzi riproposto Esso stesso, con la sua attivita' volontaristica, il nodo della scelta.
Per le ragioni sopra dette si ha il Dio necessitato di Spinoza e la conseguente mancanza del libero arbitrio per l'uomo: per mantenersi fedele ad un Dio che tutto contiene e ad una beatitudine non viziata da elementi esterni, il Dio (e l'uomo) di Spinoza deve avere tali caratteristiche, e l'uomo solo identificandosi con un Dio (ed un Tutto) di questo tipo consegue ad una piena ed assoluta beatitudine, realizza se stesso e trova il proprio autentico e compiuto significato.
La lettura che quindi do della filosofia di Spinoza e' pertanto opposta a quella formulata da Jacobi (strumentale e finalizzata ad un attacco al naturalismo di Herder e Goethe), che vedeva in essa, nel Dio necessitato e nella mancanza di libero arbitrio, la conseguenza di un approccio filosofico basato esclusivamente sulla dimostrazione e sulla logica: le caratteristiche sopra dette del pensiero spinoziano sono invece dettate da motivazioni in primo luogo umane ed esistenziali, pur se poi espresse in una formulazione geometrica (per il carattere obbiettivo ed intuitivo di quest'ultima), e pur se sempre rispettose e rigorosamente coerenti con l'ordine geometrico.


Si badi bene che la determinazione del carattere di Dio, da parte di Spinoza, non e' da considerarsi un processo strumentale finalizzato ad attribuire specifiche e predeterminate caratteristiche alla "beatitudine" derivante dall'identificazione con Dio, ma e' bensi' conseguente ad una rigorosa e profonda ricerca interiore tesa ad identificare e chiarire le piu' elevate necessita' ed aspettative spirituali dell'uomo, alla ricerca di cio' che caratterizza il suo rapporto con Dio (e quindi anche alla beatitudine connessa al rapporto mistico con Esso).


Anche gli stoici hanno sostenuto la tesi di un universo necessitato, in quanto governato deterministicamente dalla ragione (Logos): tutto cio' che e' avvenuto non poteva che avvenire cosi', come anche per il futuro, nel quadro di una concezione circolare dell'universo, con cicli che si ripetono sempre uguali ogni 36.000 anni ("l'eterno ritorno").
Questo costituisce, anche qui, una difesa contro l'angoscia della scelta e della possibilita', cosi' come del rimpianto.
Questa difesa dall'angoscia risulta apparentemente come una conseguenza della cosmologia e teologia stoica, ma ci si potrebbe domandare se, gia' allora, non siano quest'ultime ad essere state determinate (inconsciamente) da una esigenza di difesa dall'angoscia della scelta e del rimpianto, che in questa cosmologia e teologia trova una risposta (o perlomeno se questa esigenza abbia, in qualche modo, inconsapevolmente concorso alla determinazione di tale cosmologia e teologia).
L'universo necessitato degli stoici non li porta pero' ad una concezione fatalistica, passiva e rinunciataria della vita: se il passato e' stato cosi' e non poteva essere diversamente (e questo elimina il rimpianto), il futuro non e' conosciuto e conoscibile (se non, genericamente, per le divinazioni astrologiche) e pertanto l'uomo nella vita deve attivarsi con tutte le sue forze per realizzare se stesso e la propria natura, cioe' vivere liberamente secondo ragione, lontano dalla schiavitu' delle passioni. Il senso della liberta' negli stoici e' cosi' forte che ritengono che per un uomo, se non gli fosse possibile vivere liberamente secondo ragione, sarebbe preferibile la morte. Allo stesso modo Spinoza, sostenitore di un Dio ed un mondo necessitati, ha un senso cosi' forte della liberta' umana da rendersi protagonista di una rivendicazione di liberta' di religione, di pensiero e di espressione, tra le piu' radicali della storia.


Si osserva che in un tema cosi' intimo e personale come quello religioso non esistono soluzioni o formule migliori o superiori ad altre. Ognuno deve trovare, individualmente, le risposte piu' adatte a se', alla propria storia, alle proprie piu' profonde aspettative e valori. Non avrebbe senso stabilire delle gerarchie tra le varie religioni e le concezioni da queste rappresentate, mentre le convinzioni individuali su questo tema sono da valutarsi sul piano della profondita' della ricerca personale, dell'onesta intellettuale e rigore interiore con cui tale ricerca e' stata condotta, della capacita' di non trasformare le proprie convinzioni in uno strumento di costrizione ed oppressione per gli altri, della coerenza con cui le varie convinzioni vengono vissute, e questo a prescindere dal loro contenuto.
Da questo punto di vista le caratteristiche di profondita', onesta' intellettuale, rigore e coerenza delle convinzioni religiose di Spinoza sono da considerare indubitabili ed altissime, cosi' come quelle delle convinzioni religiose, opposte a quelle di Spinoza, di un suo contemporaneo, Blaise Pascal, cantore della miseria ed inadeguatezza dell'uomo e dell'incertezza che lo avvolge. La sua concezione della condizione e dell'esistenza umana lo portano naturalmente ad un Dio trascendente, cosi' come la diversa concezione della condizione e dell'esistenza umana portano naturalmente Spinoza ad un Dio immanente.
Se si fossero potuti incontrare (cosi' come Spinoza in vita incontro Laibniz) i due si sarebbero serenamente e profondamente confrontati, avrebbero riconosciuto reciprocamente e lealmente il valore l'uno dell'altro, ed alla fine, quasi sicuramente, ciascuno sarebbe rimasto esattamente con le stesse opinioni religiose (frutto di storie personali, valori ed aspettative che non si possono cambiare, a differenza di argomentazioni e ragionamenti).
Uno avrebbe continuato a vedere nell'identificazione con un Dio immanente e necessitato una vuota illusione, lontana dall'effettiva condizione umana, al fondo miserevole e totalmente incerta, caratterizzata da una abissale distanza da Dio che solo la fede e la Grazia riesce a colmare.
L'altro avrebbe continuato a considerare l'abbandono ad un Dio trascendente e dotato di volonta' una condizione dominata da una latente paura e angoscia, propria di chi non riesce a percepire la propria intima connessione con Dio ed il Tutto.
Entrambe, ed e' questo l'importante, si sarebbero certamente lasciati con profondo rispetto reciproco, dato il loro valore morale, e con onesto e sincero rimpianto per non aver convinto l'altro circa quella che ciascuno dei due riteneva, con grande onesta' intellettuale, l'autentica "via di salvezza" (esistenziale e metafisica) per l'uomo.


PhyroSphera

#9
Ho letto con interesse e un certo piacere il testo dell'utente "Scepsis". Il nome non fa una grinza, perché la sua relazione contiene un principio di scepsi.
L'inizio è del tutto rigoroso. Verissimo, Spinoza non si affidò alla gnoseologia. Inoltre non c'è dubbio che la sua visione sia, in un certo senso (non solo contemporaneo), metafisica.
Su questo punto mi sento di porre una specificazione: propriamente si tratta di un registro metafisico. Difatti la sua riflessione centrale fu proprio materialmente etica. Ciò significa che Dio egli lo incontrò in relazione alle necessità di assumere questo o quel comportamento, questa o quella scelta, non contemplativamente.
In tal quadro il cartesiano dubbio iperbolico fu assunto da Spinoza come pars destruens per la propria pars costruens, dato che la dimostrazione geometrica di Spinoza è in realtà aliena da quel dubbio radicale. Ciò perché il piano della sua ricerca era quello naturale. Su questo bisogna riflettere: non si tratta di considerare tale piano 'chiuso'. Così accade invece all'utente "Scepsis". Per tale ragione l'umanesimo ed esistenzialità che egli attribuisce alla filosofia di Spinoza non sono insiti in essa ma conferiti a causa di una chiusura, per la quale la naturalità è esclusivizzata fino ad alienare l'àmbito del soprannaturale. Da ciò, l'istituzione di un contrasto conoscitivo immanenza-trascendenza, attribuito al pensiero di Spinoza e a quello di Pascal e secondo la dicotomia necessità/libertà. Tali chiusura e riformulazione-interpretazione provocano un confinamento della propria esistenza culturale, intellettuale, sociale, fino al decadere dell'umanesimo in umanismo, assegnando alla libertà l'indicibile e l'ignoto.
Storicamente la linea di pensiero che dalle interpretazioni riduttive dell'opera di Spinoza giunse all'empirismo di Locke ma in particolare a quello di Hume corrisponde a siffatto schema, una limitatezza di orizzonti cui Kant rimediò formulando le forme a priori dello spazio e del tempo, intuite fuori dall'àmbito della esperienza. Io dico: certo sì comprendeva poco dell'universo, affacciandosi alla realtà noumenica da un accesso così stretto e dunque non si doveva pretendere troppo, come invece fu fatto anche dallo stesso I. Kant, il cui lavoro era work in progress — perciò si sarebbe dovuto applicare, volendo e dovendo, la critica concreta, rispetto a chi fuori da quella ristrettezza, a partire dall'ultima grande astratta Critica del giudizio. Il Sublime ed Infinito mostrano i limiti del giudizio razionale; da ciò si doveva muovere per una critica non invadente ed esatta del mondo religioso — ed anche di quello religioso-filosofico della Teodicea di Leibniz.
Ma un'altra linea segnò un vero e proprio disastro, da Spinoza a Hume a Hegel fino a Marx, passando per la sola Critica della ragion pura proprio di Kant.
La condizione sociale e religiosa di Spinoza, il quale come molti del suo tempo sentì il bisogno di una radicalità nel dubitare, era diversa da quella di Marx, che dubitava per combattere e rifiutare il quadro culturale, politico, civile, sociale occidentale. Mentre il Deus sive Natura era ancora integrabile nel detto quadro, ed era pure un'offerta di integrazione della naturalità nella religiosità monoteistica dominante, l'interpretazione dàtane da Marx era di una contrapposizione. La filosofia occidentale moderna accolse Spinoza non come oppositore; i filosofi di tradizione aristotelica-tomistica lo ritennero un antagonista. È vero che la cultura e civiltà ebraica visse ed esercitò anche un forte antagonismo: i poteri giudaici volevano ruolo guida. Da ciò, il rifiuto luterano, kantiano... fino alla contrarietà di Heidegger. Tuttavia diversamente Marx, che interpretò Spinoza facendosi estraneo alla logica occidentale dominante e suo oppositore: non il portoghese trapiantato in Olanda, K. Marx scorgeva in quella Etica, letta dunque a prescindere dal contesto europeo del giudaismo ed ebraismo, in una estraniazione. Ma, a dire tutto il vero, a dare forza a tale cammino era il riduttivismo. Marx non era un panteista orientaleggiante ma un ateo che muoveva da questa premessa senza valutarne. Quindi anche Marx chiudeva il proprio orizzonte esistenziale fino ad un umanismo e fino alla rivolta contro la propria stessa condizione, imputata all'ordine costituito occidentale e borghese. La penosa incongruenza che emargina la libertà, vista nel testo dell'utente di questo forum "Scepsis", era pure di Marx e in lui si tramutava nel fare irrompere un altro mondo, in una liberazione proveniente da un'altra libertà, che egli attribuiva al progresso ateo ma che si traduceva e tramutava in una inversione tra Occidente e Oriente. L'Etica di Spinoza sottratta a Leibniz e consegnata ad anonimo orientale... che nel Secolo XX era Confucio. La dimensione filosofica della saggezza e sapienza orientali se assunte primariamente nella cultura occidentale distruggono le vere radici della filosofia propriamente detta, impediscono al pensiero sradicato di essere indipendente, provocando la fine della filosofia occidentale. Se tal modulo ateo coinvolge l'Oriente medesimo, la filosofia orientale, nata propriamente dall'ellenismo e spinta in particolare dall'ispirazione indo-greco-buddhista dopo l'arrivo dell'esercito di Alessandro Magno in India, regredisce a sola dimensione filosofica, con grave disastro. Ma la catastrofe fu politica e sociale soprattutto, perché si sa che Marx si diede incautamente alla politica.

Io suggerisco: il non-arbitrio di cui disse Spinoza è solo la determinatezza della sfera naturale. Leibniz fu impeccabile nel mostrare che tale sfera contiene la libertà, dentro la stessa necessità. I rabbini autori della nota condanna non attribuirono al pensiero spinoziano questa possibilità, di essere interpretato così. Per la via che io ho suggerito, senza deridere il 'povero' Leibniz (una curiosità o forse di più: fu anche inventore del primo pallottoliere meccanico automatico, oltre che scienziato matematico, filosofo, teologo, praticante politico – quest'ultima espressione forse piacerà a sinistra) né accantonarne il lascito, si trova una linea di pensiero, storica e culturale, possibile per Occidente e Pianeta ancora stretti dalle dittature intellettuali dei comunismi marxiani, marxisti, postmarxisti.

Non pongo questo mio scritto con l'autorità di un professore ma di un semplice "maestro", al di fuori di ogni retorica; e si sa che sono proprio i maestri a dover precedere chi professa, al momento e occasione giusta.


MAURO PASTORE

PhyroSphera

#10
Ho appena terminato di aggiustare in alcuni punti il testo del mio ultimo messaggio - aggiungo: una ultimissima modifica proprio poc'anzi. Buona lettura e mi scuso per il disagio eventuale.

P.S.
Ovviamente nella espressione: 'che nel Secolo XX era Confucio', indico: il defunto Confucio.
Lo specifico proprio a scanso di equivoci.

MAURO PASTORE

Scepsis

Anch'io ho letto con interesse e piacere il tuo testo, PhyroSphera


Anni fa ci fu la riscoperta di Nietzsche, che in verita' non gli rese giustizia. Ora c'e' la riscoperta di Spinoza, e come in vita tutti lo respingevano, cosi' ora tutti cercano di "assoldarlo" nelle proprie fila, anche qui non rendendogli giustizia.
Il meccanismo e' sempre lo stesso, si cerca di edulcorare e sottacere alcuni aspetti del suo pensiero, enfatizzandone altri. Cosi' nel tempo si e' avuto uno Spinoza che a partire da Feuerbach (che lo definiva "il Mose' dei liberi pensatori e dei moderni materialisti"), e passando per Althusser e Toni Negri, viene spacciato come un anticipatore della lotta anti capitalistica. Prima vi era stato uno Spinoza naturalistico ed organicistico, antesignano del Romanticismo (Lessing, Herder, Goethe), ed uno negatore della liberta' e dei valori umani in nome di una filosofia basata esclusivamente sulla logica e la dimostrazione (Jacobi). Vi e' poi chi confina e riduce il Dio necessitato di Spinoza (il non arbitrio) ad una determinatezza della sfera naturale. Ma la natura del Deus sive Natura non e' solo l'attributo estensione ed i suoi modi, e' anche l'attributo pensiero ed i suoi modi, nonche' altri ed infiniti attributi che non siamo neanche in grado di concepire e che attestano l'ampiezza e l'onnicomprensivita' del Dio (e della natura) spinoziano.


Nella lotta per attribuirsi l'interpretazione autentica del pensiero di Spinoza, oltre al rischio necessariamente connesso alla soggettivita' del processo interpretativo (comunque inevitabile), vi e' anche quello di attribuire determinate caratteristiche a chi non condivide la nostra interpretazione, richiudendolo in un'immagine talvolta lontana dall'effettiva realta'. Una logica quindi piu' "politica" (nella dimensione amico-nemico), che di discussione e dibattito.
A tale proposito evidenzio che se io avessi avuto una visione atea e materialistica sull'argomento, avrei rivendicato tale visione apertamente e con grande orgoglio, ma non e' questa la mia visione.
Per spiegarla faccio riferimento all'ipotizzato incontro tra Spinoza e Pascal, in cui tre erano necessariamente i possibili esiti del contronto:
uno aveva ragione e l'altro necessariamente torto
nessuno dei due aveva ragione
tutti e due avevano ragione
Tu avresti certamente scelto il primo esito (e chi dei due avesse ragione e' intuibile), e avresti pensato che io avrei scelto il secondo esito, ma non e' cosi'.
Se questa fosse stata la mia scelta io avrei scritto alla fine dell'intervento "e con onesto e sincero rimpianto per non aver convinto l'altro circa quella che riteneva, con assoluta onesta' intellettuale, l'unica via di salvezza (esistenziale e metafisica) per l'uomo".
Avrei, cioe', in qualche modo sottolineato l'illusione di entrambi di essere depositari di una verita' unica ed esclusiva. Ma io non ho scritto questo, perche' non volevo intendere questo. Ho invece scritto ".....con grande onesta' intellettuale, l'autentica via di salvezza (esistenziale e metafisica) per l'uomo". "Autentica", che non presuppone unicita' ed esclusivita'. La mia scelta e' infatti il terzo esito (tutti e due avevano ragione).


Immagino che per te sia inconcepibile (come per me un Dio che si preoccupa di aspetti formali e minimali), ma nella mia concezione religiosa Dio riderebbe se, nel giudicare qualcuno, gli venisse obbiettato che quel qualcuno professa una certa visione di Lui (visione umana sempre assolutamente inadeguata e riduttiva, che sia immanente o trascendente), piuttosto che un'altra.
Di piu', nella mia concezione Dio vedrebbe come una macchia ed una colpa se qualcuno dovesse scegliere una determinata visione di Lui per amore del quieto vivere e per prudenza, pur avendo nel profondo del proprio animo una visione diversa, che colpevolmente soffoca ed ignora. Perche' Dio e' esigente e non si accontenta delle mezze misure, della prudenza, di chi nascondendosi a se stesso crede di nascondersi a Lui.


L'umanismo, termine con cui indichi una concezione umana che esclude a priori il soprannaturale, e che rivendicherei con grande forza se fosse la mia concezione, non e' pertanto la mia visione. E del resto una scelta di ateismo e di negazione totale e' di per se' una scelta metafisica, al pari di una scelta di una specifica metafisica positiva.
E' tra le pieghe e mille sfumature della metafisica negativa, anti dogmatica, ed un atteggiamento problematico di dubbio e di ricerca (scepsis, da intendersi come ricerca e non scetticismo preconcetto), che trovo eventualmente, se devo definirmi, la mia autentica collocazione.


Forse non ho sottolineato abbastanza quanto scritto nel precedente intervento:

"Si osserva che in un tema cosi' intimo e personale come quello religioso non esistono soluzioni o formule migliori o superiori ad altre. Ognuno deve trovare, individualmente, le risposte piu' adatte a se', alla propria storia, alle proprie piu' profonde aspettative e valori. Non avrebbe senso stabilire delle gerarchie tra le varie religioni e le concezioni da queste rappresentate, mentre le convinzioni individuali su questo tema sono da valutarsi sul piano della profondita' della ricerca personale, dell'onesta intellettuale e rigore interiore con cui tale ricerca e' stata condotta, della capacita' di non trasformare le proprie convinzioni in uno strumento di costrizione ed oppressione per gli altri, della coerenza con cui le varie convinzioni vengono vissute, e questo a prescindere dal loro contenuto."

Il contenuto delle convinzioni religiose di ognuno di noi, cio' che nasce dalle piu' intime profondita' del proprio spirito (se sincero e sentito), non e' giudicabile, e' uno spazio che non puo' e non deve essere violato da valutazioni di sorta. Puo' pero' essere esaminato il contesto esistenziale ed umano, quello culturale e storico, in cui tale convinzione e' sorta, per poterla comprendere (non giudicare) il piu' possibile.
Ed il comprendere ed il capire e' il compito della filosofia, per cui se un certo contesto esistenziale e' in linea con quanto ci si sarebbe aspettato, questo e' un punto di vista da prendere in considerazione per meglio capire le convinzioni religiose altrui. Ma tale contesto, a scanso di equivoci, non e' certo la causa determinante, pavloviana, di un certo tipo di religiosita' (Spinoza avrebbe potuto convertirsi al cristianesimo, ritornare all'ebraismo, convertirsi a sette ereticali ecc.). Scrivendo che Spinoza "non poteva che..." si sottolinea la concordanza (cosi' come da me valutata) tra storia personale e credo religioso, e non si afferma un inesistente rapporto di causa effetto tra il primo ed il secondo (ma questo lo davo per scontato.). Solo parlando di Jacobi sono stato piu' netto, ma questo per ribattere alle accuse di "disumanita'" mosse alla filosofia spinoziana, ribadendone il carattere profondamente umano.


Vedo che vengo assimilato ad una linea di pensiero che congiunge Locke, Hume e Marx, caratterizzata da uno schema che e' quello dell'ateismo e del materialismo. Avendo sopra chiarito e specificato la mia collocazione, questa assimilazione non costituisce certo un problema, ma e' impropria (anche in termini non esclusivamente religiosi).
Noto che i tre autori hanno avuto rapporti assai ridotti con il pensiero spinoziano, se non per una comunanza di temi affrontati. Locke ha dovuto affrontare sporadiche ed isolate accuse di spinozismo (assai frequenti all'epoca), mentre il rapporto di Marx con Spinoza si limita principalmente alla compilazione di tre quaderni di estratti dall'opera spinoziana (quasi privi di annotazioni), il primo quaderno dal Trattato Teologico Politico, gli altri due da 26 lettere inviate dal filosofo, redatti tutti e tre nel 1841 (l'autore aveva 23 anni), in vista della partecipazione ad un concorso per una cattedra universitaria

Scepsis

Citazione di: PhyroSphera il 14 Dicembre 2024, 11:43:12 AMIo suggerisco: il non-arbitrio di cui disse Spinoza è solo la determinatezza della sfera naturale. Leibniz fu impeccabile nel mostrare che tale sfera contiene la libertà, dentro la stessa necessità.
Leibniz e' stato un matematico e logico eccezionale: creo' il calcolo infinitesimale (piu' efficente di quello elaborato da Newton), anticipo' la logica simbolica cercando di matematizzare la logica, fu il primo a scoprire che i 5 postulati di Euclide non erano sufficienti per conferire "completezza" (come oggi viene definita) alla geometria euclidea.
Come filosofo pero', in cui cercava di mettere a frutto le sue capacita' logiche per elaborare sistemi coerenti e non contraddittori, si sono spesso avute pluralita' e sovrapposizioni di versioni, riformulazioni, successivi aggiustamenti e cambi di premesse e conclusioni.
Egli assume determinate ed ardite premesse ed idee (tale in generale il concetto di monade), su queste costruisce progressivamente un sistema che vorrebbe coerente, ma perviene poi, talvolta, a conclusioni indesiderate o contraddittorie. E' come se, partendo da un ipotizzato sistema ad N incognite ed N equazioni, si ritrovi poi, nel corso della sua elaborazione, a dover inserire nuove variabili impreviste, frutto della vivacita' del suo genio ma anche di compatibilita' ed equilibri da salvaguardare. Alla conclusione del processo perviene cosi' ad un sistema con N+1 incognite ed N equazioni, o con variabili funzioni di se stesse (e pertanto irrisolvibile), che determina riformulazioni ed aggiustamenti e l'avvio di un nuovo processo di elaborazione del sistema.


Prendo ad esempio il problema della materialita' della monade: inizialmente la monade individuale, in quanto elemento costitutivo primo, indivisibile e senza parti, viene considerato un punto immateriale (ed inesteso), in quanto Leibniz riteneva la materia divisibile all'infinito. Questo pero' lascia aperto il problema dell'esistenza della materia.
Egli abbandona allora l'immaterialita' della monade ed afferma che la sua componente materiale e' data dalla parte oscura della stessa (presente in ogni monade), quella che non raggiunge una chiarezza di percezione.
Relativamente alle monadi composte, e quindi gli oggetti materiali (formati da una pluralita' di monadi), questi sono inizialmente visti come "aggregato" di monadi, aggregato che pero' non ha una propria unita' ed una propria autonoma esistenza: l'unita' viene determinata da chi la osserva ("e' determinata dal nostro concepirla"), l'unita', e quindi l'oggetto, e' un "essere di ragione o piuttosto di immaginazione", un "fenomeno". Ma questa concezione e' troppo vicina a Berkeley, per cui viene poi abbandonata.
Agli oggetti viene allora assegnato un principio unificatore (entelechia) che fornisce agli stessi un "vincolo sostanziale" e quindi una propria unita'. Viene pero' poi fornito da Leibniz anche un altro ed alternativo principio unificatore del singolo oggetto, quella della monade dominante (che caratterizza e da' unita' all'oggetto), di cui le altre monadi possono essere considerate come il corpo.


Relativamente alla trattazione del libero arbitrio, Leibniz parte da tre punti fermi, considerati irrinunciabili: l'onniscenza e l'onnipotenza di Dio e la sua infinita bonta', da cui conseguono rispettivamente la prescienza (conoscenza del futuro) divina, un universo provvidenzialmente predeterminato da Dio ed un mondo reale che e' il migliore dei mondi possibili.
In una ipotetica equazione che potesse delineare tale trattazione i tre punti fermi sopra detti costituirebbero tre variabili esogene, date e predeterminate, ed il libero arbitrio una variabile endogena, il cui valore residuale e' attribuito dall'equazione stessa.
Ora, il problema e': quale puo' essere lo spazio lasciato al libero arbitrio dell'uomo, in un mondo determinato provvidenzialmente da Dio una volte per tutte all'inizio dei tempi, e scelto in quanto e' il migliore tra gli infiniti possibili ?
Al mondo provvidenziale e predeterminato e' tra l'altro connessa "l'armonia prestabilita" tra corpo ed anima (a cui si riferisce l'immagine dei due orologi che una volta regolati si muovono autonomamente in sincronia), e piu' in generale il rapporto tra le monadi, che pur non interagendo tra di loro (ma solo esclusivamente con Dio) hanno una loro preordinata armonia reciproca, frutto di un predeterminato comportamento loro attribuito da Dio al momento della creazione.
Leibniz sostiene che in un mondo cosi' rigidamente ordinato la libera scelta dell'uomo e' possibile e compatibile in quanto l'uomo ex post sceglie "liberamente", e senza intervento o influenza diretta di Dio, quanto Dio aveva destinato come scelta per lui ex ante, fin dal momento della creazione.
Questo perche' l'individuo effettua la sua scelta personale e "libera", tra le infinite scelte possibili, sulla base di una serie infinita di condizioni esterne ed interne all'individuo stesso che determineranno la sua scelta sulla scorta di una specifica ragione "sufficiente" adottata.
Tali infinite condizioni esterne ed interne sono perfettamente conosciute e previste da Dio, cosi' come la conseguente "libera" scelta dell'uomo (che potra' essere la piu' virtuosa, ma anche la piu' criminale). Di questa scelta, come di tutte le potenziali libere scelte effettuate da tutti gli uomini in ogni tempo (con le loro concatenazioni di causa effetto), Dio terra' conto nello scegliere e poi creare il migliore dei mondi possibili.
Una volta creato il mondo (il nostro mondo), questo procedera' su ferrei e rigidi binari, predeterminati inizialmente una volta per tutte.


Anche volendo accettare l'intera costruzione concettuale di Leibniz (con una previsione ex ante delle libere scelte umane, sulla cui scorta scegliere e creare un mondo in cui, ex post, tali scelte verranno poi realizzate), questa costruzione solleva vari interrogativi e questioni.
In questa sorta di compromesso e compatibilita' tra libero arbitrio dell'uomo e volonta' provvidenzialistica di Dio, qual e' il peso ed il ruolo assegnato a ciascuno dei due ?
Le scelte effettuate dall'uomo sono relative ad una data e specifica situazione, e quindi a date condizioni esterne ed interne a chi fa la scelta.
Cambiando la situazione, cambia la decisione da assumere ed anche, potenzialmente, la decisione precedentemente assunta. Qual e' il respiro e lo spazio concesso alle singole scelte dell'uomo di manifestare i loro effetti in un quadro dato, visto che poi e' Dio (e non il caso) che, sulla base del principio del "migliore dei mondi possibili", sceglie il mondo da creare, e quindi decide l'esito e le conseguenze della singola decisione umana, mediante le evoluzioni e le modificazioni delle situazioni ?
L'uomo in questo contesto e' come un attore che con le sue scelte pensa di poter recitare una certa parte, ma poi e' Dio che, come un regista, taglia, cancella o lascia inalterata quella parte, che la inserisce in una commedia (come creduto e sperato da chi la recita) o in un dramma shakespeariano, che, fuor di metafora, fa si' che una scelta fatta con le migliori intenzioni dia le conseguenze sperate o si traduca in un disastro.
Nel mondo provvidenzialistico di Leibniz sia il santo che il peggior delinquente scelgono (ex post) liberamente in uno scenario predeterminato (ex ante) da Dio, ed entrambe concorrono a realizzare il migliore dei mondi possibili, ma sulla base dello stesso principio il ruolo assunto da ciascuno dei due uomini avrebbe potuto essere scambiato con quello dell'altro, e questo fin dall'inizio, alla nascita, oppure nel corso della loro vita (cioe' l'apparentemente predestinato santo divenire nel corso della sua vita un delinquente, e l'apparentemente predestinato delinquente arrivare alla redenzione ed alla santita').
Anche in quest'ultimo scenario alternativo le singole e successive scelte assunte dai due uomini devono essere considerate libere, ma poiche' non e' il caso, ma e' il disegno provvidenzialistico di Dio a decidere se chi entra il seminario diventera' un santo oppure un Rasputin o uno Stalin, e se un soldato diventera' uno spietato mercenario oppure un San Francesco o un Sant'Ignazio di Loyola, ci si chiede quale sia l'effettiva liberta' dell'uomo non su singole, limitate e specifiche scelte, ma sul decidere effettivamente del suo destino di uomo, che non e' cio' che gli accadra', ma cio' che lui intimamente sara' e potra' essere.
Ed in questo senso il destino non e' determinato dalla somma di tante singole ed isolate scelte, ma dalle conseguenze e dal successivo contesto (che l'uomo non controlla) di tali scelte.


Altra questione sollevata dalla costruzione concettuale di Leibniz e' il fatto che il libero arbitrio, in quanto tale, dovrebbe essere caratterizzato dal fatto che, in ogni caso, si sarebbe potuto agire diversamente da come si e' fatto. Ma questo non e' compatibile con l'universo rigidamente predeterminato leibniziano, in cui non e' possibile, e neppure concepibile, che quanto previsto ex ante sulle scelte umane non si verifichi poi, ex post, nel mondo reale, ed in cui quindi non vi e' alcuno spazio per l'atto gratuito, totalmente imprevedibile, di cui parlano gli esistenzialisti come attestante la liberta' umana.


Le molteplici questioni ed interrogativi che potrebbero essere rivolti alla concezione del libero arbitrio di Leibniz troverebbero comunque una risposta tale da portare ad una situazione di stallo. Ad esempio sulla questione dello spazio concesso al libero arbitrio dell'uomo si evidenzierebbe come il sistema sia tale, comunque, da assicurare il migliore dei mondi possibili per l'individuo (oltre che, naturalmente, il fatto che contrapporre lo spazio dell'uomo e quello di Dio non sia accettabile, e che le ragioni dell'uomo siano meglio tutelate da Dio che dall'uomo stesso). Al libero arbitrio inteso come possibilita' di agire diversamente da come si e' fatto si risponderebbe che, al di la' della definizione formale, Dio e' ben in grado di sapere che cosa un uomo avrebbe liberamente scelto in una certa situazione (e che l'atto gratuito, imprevedibile, e' un'astrazione concettuale). E cosi' via.


Ma e' proprio il pervenire a questa situazione di stallo a costituire il problema. La costruzione concettuale leibniziana del libero arbitrio, con la sua astrattezza e macchinosita', sembra piu' finalizzata a portare, in modo difensivo, ad una situazione concettuale di stallo , piuttosto che a convincere, piu' a fornire conferme e rassicurazioni a chi e' gia' convinto del Dio di Leibniz che a conquistare chi dubita o nega. Quest'ultimi sono invece sconcertati o irritati dalle implicazioni della concezione leibniziana, con il concetto del "migliore dei mondi possibili" apparentemente utilizzato per rendere ragione delle ingiustizie e delle sciagure del mondo, e sicuramente utilizzato per rendere sostenibile e coerente il "sistema" del libero arbitrio di Leibniz (con riferimento all'ipotetica equazione relativa a tale sistema, sopra evidenziata, il "migliore dei mondi possibili" costituisce la condizione in grado di assicurare, in ogni caso, una soluzione ad essa).
Con il suo sistema Leibniz, di fatto, sostituisce Dio al caso ed al cieco destino. Per alcuni questo rende piu' sopportabili le sciagure e le ingiustizie della vita, comunque tali da determinare il miglior mondo possibile. Per altri questo non avviene, e trovano inaccettabile questo chiamare in causa un Dio che non semplicemente permette tali ingiustizie e sciagure, ma ne e' diretto fautore, seppure in cambio del "migliore dei mondi possibili". Altri ancora poi rifiutano la concezione ottimistica e consolatoria del mondo reale visto come il migliore tra quelli possibili, giudicando il mondo reale avere ampie possibilita' di miglioramento (da Dio stesso auspicato).


Naturalmente nessuno puo' dire come Spinoza avrebbe accolto e considerato la concezione del libero arbitrio di Leibniz, formulata dopo la sua morte. Ogni ipotesi a riguardo e' legittima.
Se l'incontro tra i due, effettivamente avvenuto un anno prima della morte di Spinoza, avesse potuto svolgersi qualche anno dopo (le prime importanti opere filosofiche di Leibniz datano sette anni dal decesso dell'altro), in quella sede forse Spinoza avrebbe espresso interesse, o addirittura condivisione per tale concezione. O forse avrebbero invece evitato l'argomento, parlando d'altro ed evitando ciascuno di lanciare sguardi interrogativi e perplessi. Spinoza relativamente alla concezione del libero arbitrio dell'altro. Leibniz relativamente alle condizioni della casa dove si teneva l'incontro, quella di Spinoza, letteralmente coperta di polvere di vetro (dell'impressione provatane parlera' nei suoi scritti , Spinoza era un molatore di lenti).
Ma queste sono solo ipotesi. La sola cosa certa e' che, nel congedarsi dal loro effettivo incontro, uno sarebbe rientrato nella sua casa piena di polvere di vetro, dove sarebbe presto deceduto, l'altro avrebbe avuto un futuro di meritata fama e di prestigiosi incarichi, con il plauso e l'ammirazione dei contemporanei e dei posteri a cui aveva offerto quello che chiedevano: una natura organicista, un Dio presciente ed onnipotente, il libero arbitrio ed un sistema certamente controverso, da alcuni ritenuto inaccettabile ed insostenibile



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