Il concetto junghiano di "archetipo".

Aperto da Carlo Pierini, 04 Luglio 2018, 00:30:24 AM

Discussione precedente - Discussione successiva

Carlo Pierini

Freud è stato il primo ricercatore che ci ha fatto intravvedere la possibilità di rendere in qualche modo reale l'imperativo che Socrate sintetizzava nel suo famoso "Conosci te stesso", cioè la possibilità di estendere la nostra conoscenza anche a quella realtà così sfuggente e apparentemente ineffabile che noi chiamiamo "mente" o "psiche". 
Ma così come, per esempio, Newton sviluppò l'idea originaria di Copernico-Keplero fino a trasformare la loro descrizione solo-cinematica del Sistema Solare in una più generale "dinamica dei corpi celesti", Jung ha fatto qualcosa di analogo nel campo della psicologia, sviluppando il paradigma freudiano e portando alla luce uno strato più profondo dell'inconscio che va oltre la dimensione dell'inconscio personale e che la trascende: l'inconscio collettivo, al cui centro egli ha dato il nome di "Sé" e di cui ha evidenziato la natura di una vera e propria "mente ALTRA" in noi, dotata di una sua consapevolezza e di una sua volontà indipendenti dalla consapevolezza e dalla volontà dell'Io, ma in qualche modo inter-agenti con l'Io. Ha conferito, cioè, una realtà psichica a ciò a cui il mito cristiano si riferisce nell'idea di un "Regno di Dio che è dentro di noi".
Scrive Jung:
 
"Dapprima il concetto di inconscio si limitò a designare la situazione di contenuti rimossi o dimenticati. Per Freud l'inconscio, benché almeno metaforicamente compaia già come soggetto attivo, in sostanza non è altro che il punto ove convergono questi contenuti rimossi e dimenticati, e deve ad essi soli la sua importanza pratica. Conseguentemente, secondo questo modo di vedere, esso è esclusivamente di natura personale, benché d'altra parte Freud ne abbia riconosciuto la modalità di pensiero arcaico-mitologica.
Un certo strato per così dire superficiale dell'inconscio è senza dubbio personale: noi lo chiamiamo "inconscio personale". Esso poggia però sopra uno strato più profondo che non deriva da esperienze e acquisizioni personali, ma è innato. Questo strato più profondo è il cosiddetto "inconscio collettivo". Ho scelto l'espressione "collettivo" perché questo inconscio non è di natura individuale, ma universale e cioè, al contrario della psiche personale, ha contenuti e comportamenti che (cum grano salis) sono gli stessi dappertutto e per tutti gli individui. In altre parole, è una entità unica per tutti gli uomini e costituisce un sostrato psichico comune, di natura sopra-personale, presente in ciascuno.
La sua esistenza psichica si riconosce soltanto dalla presenza di "contenuti capaci di divenire coscienti"; possiamo perciò parlare di un inconscio solo in quanto siamo in grado di indicarne i contenuti quando questi si manifestano alla coscienza (sogni, visioni, intuizioni, ispirazioni, ecc.) sotto forma di immagini tipiche universalmente diffuse nella storia della cultura: gli archetipi.
L'espressione "archetipo" si trova già in Filone di Aressandria con riferimento all'immagine di Dio nell'uomo. [...] Nel "Corpus hermeticum" Dio è chiamato "la luce archetipica". In Dionigi l'Areopagita l'espressione si trova ripetutamente: nel "De coelesti hierarchia", II,4: "Gli archetipi immateriali", come nel "De divinis nominibus", II, 6. In sant'Agostino l'espressione "archetipo" non si trova, ma se ne trova l'idea; così nel De diversis quaestionibus, LXXXIII, 46: "Idee originarie... che non sono state create..., che sono contenute nell'intelligenza divina". "Archetipo," è una parafrasi esplicativa dell'éidos platonico. 
Ai nostri fini tale designazione è pertinente e utile poiché ci dice che, per quanto riguarda i contenuti dell'inconscio collettivo, ci troviamo davanti a tipi arcaici o meglio ancora primigeni, cioè immagini universali presenti fin da tempi remoti. L'espressione "représentations collectives", che Lévy-Bruhl usa per designare le figure simboliche delle primitive visioni del mondo, si potrebbe usare senza difficoltà anche per i contenuti inconsci, poiché significa più o meno la stessa cosa. Nelle tradizioni primitive della tribù gli archetipi si presentano modificati in una speciale accezione. Certamente non si tratta più di contenuti dell'inconscio: essi si sono ormai trasformati in formule consce, perlopiù tramandate in veste di insegnamenti esoterici, tipiche forme di trasmissione di contenuti collettivi originariamente derivanti dall'inconscio".   [JUNG: Archetipi e inconscio collettivo - pgg. 3-4]

Carlo Pierini

#1
Qualche altra puntualizzazione sull'archetipo:

<<In epoche passate, nonostante eventuali divergenze di opinioni e l'orientamento aristotelico, nessuno aveva troppa difficoltà ad afferrare il concetto platonico secondo cui l'idea preesiste ed è superiore ad ogni realtà fenomenica. "Archetipo" è un termine che si trova già nell'antichità ed è sinonimo di "idea" in senso platonico. Quando, per esempio, nel corpus hermeticum (III secolo) Dio è designato come la "Luce archetipica", ciò significa che Egli è l'immagine primordiale di ogni luce, preesistente e superiore a ogni fenomeno luminoso. Se fossi un filosofo, potrei portare avanti l'argomentazione platonica e sostenere: da qualche parte, "in un luogo celeste" esiste un'immagine primordiale della madre, preesistente e superiore a ogni fenomeno "materno".(...) 
Viviamo da circa duecento anni in un'epoca in cui è ormai impopolare, se non incomprensibile, ammettere che le idee possano essere altro che nomi. Chi, alquanto anacronisticamente, condivida ancora la concezione platonica, è costretto con suo disappunto a costatare che l'essenza "celeste", metafisica, dell'idea è relegata nell'ambito incontrollabile della credenza e della superstizione oppure caritatevolmente affidata al poeta. Nella secolare controversia sugli universali, il punto di vista nominalistico ha ancora una volta "sconfitto" il punto di vista realistico, e l'immagine originaria si è volatilizzata in flatus vocis. Questo capovolgimento è stato accompagnato, anzi in buona parte prodotto, dalla clamorosa apparizione dell'empirismo, i cui vantaggi si sono imposti con fin troppa evidenza all'intelletto. Da allora, l'"idea" non è più un a priori, ma un elemento secondario e derivato. È naturale che anche il nuovo nominalismo rivendichi senz'altro una validità universale, benché esso si basi su una tesi determinata e perciò limitata, legata a un dato temperamento che dice: "È valido ciò che viene dall'esterno ed è verificabile. Il caso ideale è quello in cui c'è possibilità di conferma sperimentale". L'antitesi dice invece: "È valido ciò che viene dall'interno e non è verificabile". La fragilità di quest'ultima argomentazione è evidente. La materialità della filosofia greca della natura, nella sua connessione con l'intelletto aristotelico, ha riportato su Platone una vittoria tarda ma significativa. Ma ogni vittoria porta in sé il germe di una futura sconfitta>>.  [JUNG: Archetipi e inconscio collettivo - pg. 78]

<<Poiché tutto lo psichico è preformato, lo sono anche Ie sue singole funzioni, in particolare quelle che emanano direttamente da disposizioni inconsce. Ad esse appartiene anzitutto la "fantasia creativa". Nei prodotti di fantasia le "immagini primordiali" diventano visibili e il concetto di archetipo trova qui la sua applicazione specifica. Non è merito mio l'aver fatto per primo questa osservazione. La palma spetta a Platone. Il primo a sottolineare, nel campo dell'etnopsicologia, la presenza universale di determinati "pensieri primordiali" fu Adolf Bastian. Più tardi furono due ricercatori della scuola di Durkheim, Hubert e Mauss, a parlare di vere e proprie categorie della fantasia. La preformazione inconscia sotto forma di "pensare inconscio" è stata riconosciuta nientemeno che da Hermann Usener. Se io ho una parte in tali scoperte, essa consiste nell'aver dimostrato che la diffusione universale degli archetipi non avviene soltanto in virtù della tradizione, del linguaggio, della migrazione, ma che gli archetipi si possono riprodurre spontaneamente sempre e ovunque, in forme e modalità indipendenti dalle influenze esterne.
La portata di quest'osservazione non dev'essere sottovalutata. Essa significa che in ogni psiche sono presenti - inconsce e ciò nonostante attive, cioè vive - forme, disposizioni, idee in senso platonico, le quali istintivamente preformano e influenzano i nostri pensieri, sentimenti, azioni.
Mi accade continuamente di imbattermi nell'equivoco secondo cui gli archetipi sarebbero contenutisticamente determinati, sarebbero cioè una sorta di "rappresentazioni" inconsce. Devo perciò ancora una volta sottolineare che essi non sono determinati dal punto di vista del contenuto, bensì soltanto in ciò che concerne la forma, e anche questo in misura assai limitata. Che un'immagine primordiale sia contenutisticamente determinata lo si può dimostrare solo quand'è divenuta cosciente e si è perciò arricchita del materiale dell'esperienza cosciente. La sua forma è piuttosto paragonabile, come ho spiegato altrove, al sistema assiale di un cristallo il quale per così dire preforma la struttura del cristallo stesso nell'acqua madre, senza possedere un'esistenza materiale sua propria. Questa si esprime soltanto nel modo in cui si cristallizzano ioni e molecole.
L'archetipo è in sé un elemento vuoto, formale, nient'altro che una facultas praeformandi, una possibilità data a priori della forma di rappresentazione. (...) Difficilmente si può dimostrare la presenza in sé degli archetipi, così come degli istinti, fintantoché essi non si manifestano concretamente. Quanto alla determinatezza della forma, il paragone con la formazione del cristallo è illuminante, giacché il sistema assiale determina unicamente la struttura stereometrica, non la forma concreta dell'individuo cristallino. Questo può essere piccolo o grande, oppure variare a seconda della diversa conformazione delle sue superfici o del reciproco concrescimento. Costante è solo il sistema assiale nelle sue proporzioni per principio invariabili. Lo stesso vale per I'archetipo: esso può essere in linea di principio denominato e possiede un nucleo di significato invariabile: questo però determina il suo modo di manifestarsi solo in teoria, mai in concreto. Così, per esempio, il "modo" in cui I'archetipo materno si manifesta volta per volta sul piano empirico non può essere dedotto unicamente dall'archetipo stesso, ma poggia anche su altri fattori>>.  [JUNG: Archetipi e inconscio collettivo - pp. 80/82]

Jacopus

Premetto che conosco Jung attraverso Wikipedia, pur avendo in casa un paio di suoi libri. Detto questo il concetto di archetipo è stimolante cosí come quello di inconscio collettivo. La mia interpretazione di queste dinamiche è però ristretta ai fatti storici individuali e collettivi.
Tanto per intenderci e consapevole di dire delle castronerie, l'archetipo della famiglia per un italiano medio sarà diverso dall'archetipo di famiglia dell'inglese medio. Non riesco a pensare agli archetipi come a immagini universali sedimentate per sempre nella nostra mente. La nostra mente è il nostro cervello, organo plastico che rielabora per le sue strategie la realtà storica individuale e collettiva di cui è in grado anche di intuire certi passaggi non detti.
Tutto ciò in un'ottica pienamente umana e "finita" "visto che ho sempre avuto il sospetto che gli archetipi profumino d'incenso anche se attraverso metodi aggiornati.
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

Kobayashi

Anche se l'inconscio collettivo fosse reale, mi pare che la tendenza sia sempre quella di pensarlo come qualcosa di positivo. E se invece fosse un ricettacolo di tendenze irrazionali, magiche etc., che alla fine rappresentano solo un ostacolo alla propria consapevolezza e che infatti vengono oggettivate nei simboli della religione?
Perché non fare come con il cosiddetto inconscio individuale che deve essere "lavorato" solo quando contiene forze che ci impediscono di vivere liberi?
Nostalgia di credenze antiche irrecuperabili così come l'inconscio individuale prende forza dall'incapacità di staccarsi dal mondo potente e vivido (ma pieno di trappole) dell'infanzia...

Carlo Pierini

JACOPUS
Premetto che conosco Jung attraverso Wikipedia, pur avendo in casa un paio di suoi libri. Detto questo il concetto di archetipo è stimolante cosí come quello di inconscio collettivo. La mia interpretazione di queste dinamiche è però ristretta ai fatti storici individuali e collettivi.
Tanto per intenderci e consapevole di dire delle castronerie, l'archetipo della famiglia per un italiano medio sarà diverso dall'archetipo di famiglia dell'inglese medio. Non riesco a pensare agli archetipi come a immagini universali sedimentate per sempre nella nostra mente. La nostra mente è il nostro cervello, organo plastico che rielabora per le sue strategie la realtà storica individuale e collettiva di cui è in grado anche di intuire certi passaggi non detti.
Tutto ciò in un'ottica pienamente umana e "finita" "visto che ho sempre avuto il sospetto che gli archetipi profumino d'incenso anche se attraverso metodi aggiornati.


KOBAYASHI
Anche se l'inconscio collettivo fosse reale, mi pare che la tendenza sia sempre quella di pensarlo come qualcosa di positivo. E se invece fosse un ricettacolo di tendenze irrazionali, magiche etc., che alla fine rappresentano solo un ostacolo alla propria consapevolezza e che infatti vengono oggettivate nei simboli della religione?
Perché non fare come con il cosiddetto inconscio individuale che deve essere "lavorato" solo quando contiene forze che ci impediscono di vivere liberi?
Nostalgia di credenze antiche irrecuperabili così come l'inconscio individuale prende forza dall'incapacità di staccarsi dal mondo potente e vivido (ma pieno di trappole) dell'infanzia...


CARLO
Anch'io la pensavo come voi. Da giovane "sessantottino" ho militato in diverse formazioni di sinistra (PCI, Manifesto di Pintor-Rossanda, Lotta Continua, Partito Radicale) e sono stato un "teorico" del materialismo-agnosticismo. Fin quando, "...nel mezzo del cammin della mia vita" ebbi delle esperienze personali "archetipiche", le più significative delle quali le ho raccontate sinteticamente nei seguenti thread:


https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-filosofiche-5/un'altra-'visione'-archetipica/

https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-filosofiche-5/un-sogno-archetipico/

https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-filosofiche-5/gli-archetipi-esistono-io-li-ho-'visti'!/

...se ne avete voglia, dategli un'occhiata e capirete quanto sia difficile farle rientrare nell'alveo del paradigma materialista.

Lou

#5
Citazione di: Kobayashi il 12 Ottobre 2018, 08:55:21 AM
Anche se l'inconscio collettivo fosse reale, mi pare che la tendenza sia sempre quella di pensarlo come qualcosa di positivo. E se invece fosse un ricettacolo di tendenze irrazionali, magiche etc., che alla fine rappresentano solo un ostacolo alla propria consapevolezza e che infatti vengono oggettivate nei simboli della religione?
Perché non fare come con il cosiddetto inconscio individuale che deve essere "lavorato" solo quando contiene forze che ci impediscono di vivere liberi?
Nostalgia di credenze antiche irrecuperabili così come l'inconscio individuale prende forza dall'incapacità di staccarsi dal mondo potente e vivido (ma pieno di trappole) dell'infanzia...
L'inconscio collettivo è anche, ma non solo, un ricettacolo di tendenze irrazionali, non ritengo che Jung abbia mai esistato ad affermarlo e lasciato dubbi su questo aspetto.
"La verità è brutta. Noi abbiamo l'arte per non perire a causa della verità." F. Nietzsche

Carlo Pierini

#6
Citazione di: Lou il 12 Ottobre 2018, 18:26:18 PM
Citazione di: Kobayashi il 12 Ottobre 2018, 08:55:21 AM
Anche se l'inconscio collettivo fosse reale, mi pare che la tendenza sia sempre quella di pensarlo come qualcosa di positivo. E se invece fosse un ricettacolo di tendenze irrazionali, magiche etc., che alla fine rappresentano solo un ostacolo alla propria consapevolezza e che infatti vengono oggettivate nei simboli della religione?
Perché non fare come con il cosiddetto inconscio individuale che deve essere "lavorato" solo quando contiene forze che ci impediscono di vivere liberi?
Nostalgia di credenze antiche irrecuperabili così come l'inconscio individuale prende forza dall'incapacità di staccarsi dal mondo potente e vivido (ma pieno di trappole) dell'infanzia...

LOU
L'inconscio collettivo è anche, ma non solo, un ricettacolo di tendenze irrazionali, non ritengo che Jung abbia mai esistato ad affermarlo e lasciato dubbi su questo aspetto.

CARLO
Il termine "irrazionale" ha due significati distinti:
1 - ciò che non proviene dall'attività razionale;
2 - ciò che contraddice le regole della ragione
Se intendiamo i contenuti provenienti dall'inconscio secondo il significato 1), essi sono squisitamente irrazionali; se invece li intendiamo secondo il significato 2) essi sono quanto di più razionale si possa concepire, come sono razionali tutti gli eventi della natura.
Altra cosa è, invece, stabilire con certezza che il soggetto che ha a che fare con quei contenuti sia all'altezza di comprenderne il significato, cioè di coglierne fino in fondo la razionalità.
Scrive Jung:

"Come si sa per esperienza, la psiche oggettiva (l'inconscio) ha una indipendenza estrema. Se non l'avesse, non potrebbe esercitare la sua funzione peculiare: la compensazione della coscienza. La coscienza è ammaestrabile come un pappagallo, non così l'inconscio. Per questa ragione Sant'Agostino ringraziò il Signore di non averlo reso responsabile dei propri sogni. L'inconscio è e rimane una parte della natura che non può venir né corretta né corrotta; i suoi segreti possono soltanto essere intravisti, non manipolati".  [JUNG: Psicologia e alchimia - pg.52]

"Se i sogni producono compensazioni così essenziali, perché allora non sono comprensibili? La risposta è che il sogno è un fatto naturale, e la natura non manifesta la minima tendenza a mettere a disposizione i suoi frutti per così dire gratis e in conformità con le aspettative dell'uomo. Si obietta spesso che la compensazione è inefficace se il sogno non è stato capito. La cosa però non è così sicura, perché sono molte le cose che operano efficacemente senza essere pienamente comprese. Senza dubbio però la nostra comprensione può accrescere considerevolmente l'efficacia, cosa questa spesso necessaria, poiché l'inconscio non può essere sentito. "Quod natura relinquit imperfectum, ars perficit" (ciò che la natura lascia imperfetto, lo compie l'arte), dice un proverbio alchimistico".   [JUNG: La dinamica dell'Inconscio - pg.316]

Kobayashi

Citazione di: Lou il 12 Ottobre 2018, 18:26:18 PM
Citazione di: Kobayashi il 12 Ottobre 2018, 08:55:21 AMAnche se l'inconscio collettivo fosse reale, mi pare che la tendenza sia sempre quella di pensarlo come qualcosa di positivo. E se invece fosse un ricettacolo di tendenze irrazionali, magiche etc., che alla fine rappresentano solo un ostacolo alla propria consapevolezza e che infatti vengono oggettivate nei simboli della religione? Perché non fare come con il cosiddetto inconscio individuale che deve essere "lavorato" solo quando contiene forze che ci impediscono di vivere liberi? Nostalgia di credenze antiche irrecuperabili così come l'inconscio individuale prende forza dall'incapacità di staccarsi dal mondo potente e vivido (ma pieno di trappole) dell'infanzia...
L'inconscio collettivo è anche, ma non solo, un ricettacolo di tendenze irrazionali, non ritengo che Jung abbia mai esistato ad affermarlo e lasciato dubbi su questo aspetto.


Volevo porre un interrogativo riguardo la parte "positiva" dell'inconscio.
In termini rudimentali il ragionamento di Jung consiste nel pensare che attraverso gli archetipi l'uomo possa collegarsi ai contenuti dell'inconscio collettivo. Questo lavoro conduce ad un arricchimento dell'individuo. Guarigione e completezza.
Questo ragionamento mi sembra che segua sempre lo stesso schema di tutto il pensiero moderno per cui alla crisi del presente si risponde con la ricerca di una dimensione originaria che nei secoli è andata smarrita e che nella sua riattivazione è in grado di mostrare quale sia la condizione vera e universale dell'umanità.
E alla base del ragionamento mi sembra ci sia essenzialmente solo desiderio.
Voglio dire, il desiderio che la ricchezza delle discipline spirituali antiche possa ancora produrre qualche effetto nella coscienza del povero uomo contemporaneo, che nonostante la sua buona volontà, dallo studio dell'alchimia, per esempio, non otterrà che un'erudizione piena di ammirazione e nostalgia, ma nessuna significativa trasformazione.

paul11

spezzo una lancia a favore di Carlo P.
Jung nell'individuazione collega le tappe della " trasformazione" umana sia con i concetti alchemici che che con gli archetipi :
nigredo - Ombra
albedo - Anima
citrinitas- Vecchio saggio e Grande Madre
rubedo- il Sè

Carlo Pierini

Citazione di: Kobayashi il 13 Ottobre 2018, 10:30:22 AM
Volevo porre un interrogativo riguardo la parte "positiva" dell'inconscio.
In termini rudimentali il ragionamento di Jung consiste nel pensare che attraverso gli archetipi l'uomo possa collegarsi ai contenuti dell'inconscio collettivo. Questo lavoro conduce ad un arricchimento dell'individuo. Guarigione e completezza.
Questo ragionamento mi sembra che segua sempre lo stesso schema di tutto il pensiero moderno per cui alla crisi del presente si risponde con la ricerca di una dimensione originaria che nei secoli è andata smarrita e che nella sua riattivazione è in grado di mostrare quale sia la condizione vera e universale dell'umanità.

CARLO
Non è esattamente così. E' l'inconscio che si manifesta all'uomo attraverso dei simboli archetipici il cui contenuto, se compreso, mostra una profonda saggezza e una conoscenza intima della vita del soggetto a cui essi si manifestano. Scrive Jung:

"Il confronto con l'inconscio ha perlopiù inizio nell'ambito dell'inconscio personale, basato sui contenuti acquisiti personalmente, e prosegue poi attraverso i simboli archetipici, che rappresentano l'inconscio collettivo. Il confronto ha lo scopo di superare la dissociazione. Per giungere a questa meta terapeutica, la natura o l'intervento esterno del medico inducono la collisione e il conflitto tra gli opposti, senza il quale non è possibile alcuna riunificazione. Ciò comporta non solo prender coscienza del conflitto, ma anche vivere una esperienza eccezionale: il riconoscimento di un'entità estranea al proprio interno, ovvero di una volontà autonoma obiettivamente esistente. Gli alchimisti, con sorprendente lungimiranza, chiamarono Mercurio quest'entità dalla natura difficilmente afferrabile. E' egli stesso la fonte di tutte le opposizioni, poiché è duplex e utriusque capax. Quest'entità elusiva rappresenta in ogni particolare l'inconscio, al confronto col quale conduce ogni corretta interpretazione dei simboli. Il confronto con l'inconscio è sia un'esperienza irrazionale sia un processo conoscitivo".    [JUNG: Studi sull'Alchimia - pg.367]

"Il fatto che dall'oscuro regno della psiche si faccia incontro al malato qualcosa di estraneo, che non è "io" e si trova perciò al di là del suo arbitrio personale, agisce a volte come una grande illuminazione. Ritrovato l'accesso alle fonti della vita psichica [la psiche sana e incorrotta], il malato comincia a guarire. [...]
Spesso è semplicemente la profonda impressione che un paziente riceve dal modo autonomo in cui i sogni trattano i suoi problemi. Altre volte dal modo in cui la fantasia vira inaspettatamente. Altre ancora, questa azione personale della psiche si eleva fino alla percezione di una voce interiore, o di visioni, fino a raggiungere una vera esperienza primigenia dello spirito. Tale esperienza compensa sempre le sofferenze di un cammino sbagliato".  [JUNG:Psicologia e religione -pg.327]

"La numinosità dell'archetipo ha spesso una qualità mistica e un'effetto analogo sull'animo. Esso mobilita concezioni filosofiche e religiose proprio in persone che si credono mille miglia lontane da simili "attacchi di debolezza".  [JUNG: La dinamica dell'Inconscio - pg.223]

"All'origine delle grandi confessioni religiose, come pure dei movimenti mistici di minore portata, troviamo singole personalità storiche la cui vita fu contrassegnata da esperienze numinose. Numerose indagini condotte su eventi di questo genere mi hanno convinto che in tal caso si presentano alla coscienza contenuti inconsci che le si impongono nella medesima maniera in cui essa viene sopraffatta dalle irruzioni dell'inconscio nei casi patologici osservabili in campo psichiatrico. Gesù stesso apparve ai suoi discepoli sotto questa luce, secondo le parole di Marco 3.21 ("Allora i suoi, sentito questo, uscirono per andare a prenderlo, poiché dicevano: "È fuori di sé."). I cosiddetti "ispirati" presentano però una differenza significativa rispetto ai casi meramente patologici: presto o tardi trovano un seguito più o meno ampio, ed estendono perciò la loro influenza durante i secoli. Il fatto che poi quest'effetto a lungo termine esercitato dai fondatori di una religione si basi anche sulla loro straordinaria personalità spirituale, sulla vita esemplare e suI carattere etico del loro apporto non ha alcuna importanza nel contesto di cui ci stiamo occupando. La personalità è soltanto una radice del successo, e in passato ci furono - e ancora ne nascono continuamente - autentiche personalità religiose che non hanno trovato consenso. Si pensi solo a Eckhart. Ma se esse ottengono successo, questo criterio dimostra che la "verità" da loro espressa incontra il consenso generale, ossia che esse esprimono qualcosa che "è già nell'aria" e che perciò hanno "parlato col cuore" agli altri individui. E ciò capita, come sappiamo sin troppo bene, tanto nel bene quanto nel male, nella verità e nella falsità.
Il saggio che non è ascoltato passa per folIe, e il folle che si fa primo e più eloquente araldo della follia generale è considerato un profeta e un Führer. Per fortuna talvolta succede anche il contrario, altrimenti l'umanità sarebbe già perita da gran tempo a causa della sua stoltezza".         [JUNG: Mysterium coniunctionis - pg.548]

Lou

#10
Citazione di: Kobayashi il 13 Ottobre 2018, 10:30:22 AM
Citazione di: Lou il 12 Ottobre 2018, 18:26:18 PM
Citazione di: Kobayashi il 12 Ottobre 2018, 08:55:21 AMAnche se l'inconscio collettivo fosse reale, mi pare che la tendenza sia sempre quella di pensarlo come qualcosa di positivo. E se invece fosse un ricettacolo di tendenze irrazionali, magiche etc., che alla fine rappresentano solo un ostacolo alla propria consapevolezza e che infatti vengono oggettivate nei simboli della religione? Perché non fare come con il cosiddetto inconscio individuale che deve essere "lavorato" solo quando contiene forze che ci impediscono di vivere liberi? Nostalgia di credenze antiche irrecuperabili così come l'inconscio individuale prende forza dall'incapacità di staccarsi dal mondo potente e vivido (ma pieno di trappole) dell'infanzia...
L'inconscio collettivo è anche, ma non solo, un ricettacolo di tendenze irrazionali, non ritengo che Jung abbia mai esistato ad affermarlo e lasciato dubbi su questo aspetto.


Volevo porre un interrogativo riguardo la parte "positiva" dell'inconscio.
In termini rudimentali il ragionamento di Jung consiste nel pensare che attraverso gli archetipi l'uomo possa collegarsi ai contenuti dell'inconscio collettivo. Questo lavoro conduce ad un arricchimento dell'individuo. Guarigione e completezza.
Questo ragionamento mi sembra che segua sempre lo stesso schema di tutto il pensiero moderno per cui alla crisi del presente si risponde con la ricerca di una dimensione originaria che nei secoli è andata smarrita e che nella sua riattivazione è in grado di mostrare quale sia la condizione vera e universale dell'umanità.
E alla base del ragionamento mi sembra ci sia essenzialmente solo desiderio.
Voglio dire, il desiderio che la ricchezza delle discipline spirituali antiche possa ancora produrre qualche effetto nella coscienza del povero uomo contemporaneo, che nonostante la sua buona volontà, dallo studio dell'alchimia, per esempio, non otterrà che un'erudizione piena di ammirazione e nostalgia, ma nessuna significativa trasformazione.
Ammetto che nei confronti di un apriorismo, kantianamente parlando, psichico, come quello ipotizzato da Jung, nutro fascinazione.
Tuttavia, leggendo il dubbio che sollevi, da un pdv filosofico avanzo il sospetto che l'idea che tanto più siamo di fronte a un "che" di originario e antico tanto più esso è vero, sia forse un pregiudizio sotteso alla prospettiva junghiana, su questo concordo.
Spero, detto ciò, che Carlo non mi fulmini, comunque voglia intendere l'extrarazionale, anche nel caso del farlo confluire e comprendere in una ratio superiore.
"La verità è brutta. Noi abbiamo l'arte per non perire a causa della verità." F. Nietzsche

Carlo Pierini

#11
Citazione di: Lou il 16 Ottobre 2018, 19:14:08 PM
Citazione di: Kobayashi il 13 Ottobre 2018, 10:30:22 AM
Volevo porre un interrogativo riguardo la parte "positiva" dell'inconscio.
In termini rudimentali il ragionamento di Jung consiste nel pensare che attraverso gli archetipi l'uomo possa collegarsi ai contenuti dell'inconscio collettivo. Questo lavoro conduce ad un arricchimento dell'individuo. Guarigione e completezza.
Questo ragionamento mi sembra che segua sempre lo stesso schema di tutto il pensiero moderno per cui alla crisi del presente si risponde con la ricerca di una dimensione originaria che nei secoli è andata smarrita e che nella sua riattivazione è in grado di mostrare quale sia la condizione vera e universale dell'umanità.
E alla base del ragionamento mi sembra ci sia essenzialmente solo desiderio.
Voglio dire, il desiderio che la ricchezza delle discipline spirituali antiche possa ancora produrre qualche effetto nella coscienza del povero uomo contemporaneo, che nonostante la sua buona volontà, dallo studio dell'alchimia, per esempio, non otterrà che un'erudizione piena di ammirazione e nostalgia, ma nessuna significativa trasformazione.

LOU
Ammetto che nei confronti di un apriorismo, kantianamente parlando, psichico, come quello ipotizzato da Jung, nutro fascinazione.
Tuttavia, leggendo il dubbio che sollevi, da un pdv filosofico avanzo il sospetto che l'idea che tanto più siamo di fronte a un "che" di originario e antico tanto più esso è vero, sia forse un pregiudizio sotteso alla prospettiva junghiana, su questo concordo.
Spero, detto ciò, che Carlo non mi fulmini, comunque voglia intendere l'extrarazionale, anche nel caso del farlo confluire e comprendere in una ratio superiore.

CARLO
...No, ...non ti fulmino.  :)  Vorrei chiarire, però, che per Jung l'arcaicità delle forme con cui certi contenuti inconsci si manifestano alla coscienza, nonché la loro estrema diffusione storico-geografica, più che essere la misura della loro verità, sono indizi della loro natura archetipica ("arcaico" e "archetipo" derivano dal greco "arché" che significa "origine", "principio", "inizio"), del loro carattere universale e della loro origine transpersonale, al di fuori del vissuto storico dell'individuo.
Ciò a cui, invece, Jung dà maggiore enfasi non è il loro legame col passato, ma il loro orientamento futuro:

"Il simbolo, nel suo significato funzionale, non è più rivolto all'indietro, bensí in avanti, verso un fine non ancora raggiunto".  [JUNG: Archetipi e inconscio collettivo - pg.167]

"Come i nostri pensieri coscienti, anche l'inconscio e i sogni che ne scaturiscono si volgono al futuro e alle sue possibilità; e per molto tempo si è creduto in tutto il mondo che la funzione principale dei sogni fosse quella di pronosticare il futuro. Nell'antichità e fin nel Medioevo i sogni contribuivano alla formulazione di una prognosi medica". [JUNG: Archetipi e inconscio collettivo - pg.277]

"Certi sogni, visioni o pensieri possono apparire inaspettatamente senza che, per quanto si indaghi, se ne possa scoprire la causa. Ciò non significa che non abbiano una causa, ma solo che essa è ancora lontana. In tal caso si deve aspettare che succeda qualcosa che spieghi il sogno, per esempio, un evento ancora avvolto nelle nebbie del futuro".  [JUNG: Archetipi e inconscio collettivo - pg.277]

"Per me l'inconscio non è solo il receptaculum di tutti i fantasmi sordidi e di altri odiosi residui di epoche defunte, come per esempio quel sedimento di "opinione pubblica" storica che costituisce il "Super-io" di Freud, ma è propriamente lo stato germinale, sempre vivo e creativo, che si serve, sì, di vecchie immagini simboliche, ma esprime attraverso esse un nuovo spirito. [...]
L'inconscio contiene sì da un lato le fonti istintuali e tutta la natura preistorica dell'uomo, giù giù fino al mondo animale, ma accanto a ciò anche tutti i germi creatori del futuro e la fonte di ogni fantasia formatrice"   [JUNG: Contrasto tra Freud e Jung - pg.230]

"Dato che il futuro è solo apparentemente uguale al passato, ma per essenza sempre nuovo e unico, così anche l'espressione presente è incompleta, embrionale per così dire, in riferimento al futuro. Nella misura in cui noi consideriamo il contenuto presente della psiche come espressione simbolica del futuro, ci troviamo nella necessità di dedicare a questa espressione un interesse costruttivo".   [JUNG: Il problema della malattia mentale - pg.213]

"Io attribuisco un peso alquanto maggiore all'interpretazione costruttiva e sintetica, considerando il fatto che il domani è praticamente più importante dello ieri, e il "da dove" è meno essenziale del "verso dove". [...] Nessuna comprensione del passato e nessuna reviviscenza, per quanto intensa, può liberare l'uomo dal potere del passato quanto la costruzione del futuro".    [JUNG: Contrasto tra Freud e Jung - pg.229]



BERT KAEMPFERT - Wonderland by night (orch.)
https://youtu.be/1C1Do07gGlM?t=12

Lou

#12
Ma sono solo astorici rispetto alla storicità del singolo vissuto del singolo individuo e/o astorici "in quanto tali"? Archè in senso pieno, nucleo traumatico.
"La verità è brutta. Noi abbiamo l'arte per non perire a causa della verità." F. Nietzsche

Carlo Pierini

Citazione di: Lou il 16 Ottobre 2018, 21:14:49 PM
Ma sono solo astorici rispetto alla storicità del singolo vissuto del singolo individuo e/o astorici "in quanto tali"? Archè in senso pieno e non meramente etimologico.

CARLO
Naturalmente si tratta di una a-storicità individuale. Mentre, al contrario, il loro legame strutturale con i simbolismi-mitologemi della storia umana è marcatissimo.
Per avere un'idea più precisa, se non l'hai letto, puoi dare un'occhiata al mio thread "Un'altra visione archetipica":

https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-filosofiche-5/un'altra-'visione'-archetipica/

Lou

Citazione di: Carlo Pierini il 16 Ottobre 2018, 21:27:17 PM
Citazione di: Lou il 16 Ottobre 2018, 21:14:49 PM
Ma sono solo astorici rispetto alla storicità del singolo vissuto del singolo individuo e/o astorici "in quanto tali"? Archè in senso pieno e non meramente etimologico.

CARLO
Naturalmente si tratta di una a-storicità individuale. Mentre, al contrario, il loro legame strutturale con i simbolismi-mitologemi della storia umana è marcatissimo.
Detto poetico è: "We are such stuff as dreams are made on".
"La verità è brutta. Noi abbiamo l'arte per non perire a causa della verità." F. Nietzsche

Discussioni simili (4)