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Il concetto di verità.

Aperto da iano, 15 Luglio 2024, 08:35:44 AM

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Alberto Knox

Citazione di: iano il 18 Luglio 2024, 21:56:09 PMSi, ma io direi la stessa cosa in un diverso modo, considerando che le teorie matematiche sono per loro nuovo statuto, dopo Euclide, campate in aria, ma ciò non esclude che possano trovare applicazione.
Sono cioè strumenti già pronti alla bisogna, se l'occasione si dovesse presentare.
La previsione probabilistica che ciò possa verificarsi però è veramente infima, eppure è proprio ciò che si verifica con una frequenza sospetta, e ancor più sospetto il fatto che teoria fisica e la matematica che gli bisogna nascono in modo indipendente nello stesso periodo storico.
sì è vero che i matematici che avevano formulato operazioni algebriche erano interessanti solo dal punto di vista matematico , un esercizio potremmo dire ma che non avevano alcuna attinenza con gli atomi ad esempio o in fisica in generale. Poi si è visto che quelle equazioni potevano essere applicate alle regolarità che si trovano in natura, non facendo un copia e incolla naturalmente, riadattandole , nuove formule come le equazioni differenziali alle derivate parziali. Ora non vi è dubbio che la matematica sia come lo strumento , la matematica è uno strumento che consente di svelare o di provare a svelare alcuni segreti dell universo . Come il linguaggio alfabetico ha diritto di essere utilizzata e senza la quale è impossibile spiegare fenomeni fisici come ad es che l elettrone non orbita attorno al nucleo come un pianeta attorno al sole ma come un onda.
Noli foras ire , in teipsum redi, in interiore homine habitat veritas.

iano

#46
Citazione di: Ipazia il 18 Luglio 2024, 22:43:28 PMLa definizione migliore di verità per me resta quella dell'aquinate: "adaequatio rei et intellectus".

Una definizione lungimirante, perchè che esperienza poteva avere l'aquinate di un adeguamento delle cose all'intelletto?
Ma che definizione di verità sarebbe, se in questo rapporto paritario fra intelletto e cose, nessuna delle due si impone sull'altra con la sua verità?
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

Alberto Knox

vorrei presentare un video che illustra egregiamente come la scienza procede per ipotesi e collaborazioni successive  e come la matematica sia uno strumento indispensabile per tale lavoro

Noli foras ire , in teipsum redi, in interiore homine habitat veritas.

iano

#48
Abbiamo al meno un mistero da giocarci.
Dove lo mettiamo?
Io il  mistero  lo piazzo nel fatto che in una realtà che possiamo supporre indistinta, cioè senza una forma, esistano al suo interno un osservatore come parte, e la restante parte da osservare, e che questo osservatore pur rileva forme in questa realtà osservandola, segno che è stata l'osservazione a trarre una forma dalla realtà che la realtà non possiede, e non possedendo una forma può assumerne qualunque in relazione a come l'osservatore la sollecita osservandola.
La realtà è assoluta, ma relativa è l'osservazione, per cui relativo sarà il suo risultato.
Diversamente possiamo dire che la realtà sia fatta di forme in se, se astraiamo il fatto che queste forme appaiono solo quando le osserviamo.
La luna esiste anche quando non la osserviamo?
Forse si e forse no, ma continua ad esistere la realtà da cui l'abbiamo tratta come forma osservandola, per cui tornando ad osservarla allo stesso modo, la luna sembrerà essere rimasta sempre li, da cui erroneamente potremmo dedurre che possieda una esistenza in sè, che non dipende dalla nostra osservazione.
Se nel frattempo poi la luna si è spostata ciò dimostrerebbe che ha una vita propria indipendente dalla nostra osservazione, che ha cioè una dinamica proprietaria.
Basterebbe però ammettere che sia la realtà ad avere una dinamica intrinseca.
Io non tiferei per una posizione o per l'altra in modo pregiudiziale, se non per un pregiudizio di semplicità che dovrebbe mettere ordine nella complessità che osserviamo, e il risultato della cui applicazione dipenderà quindi dalla relativa complessità osservata.

In base alle complessità che oggi osserviamo derivanti da una evoluzione dell'osservatore, che quindi diversamente osserva, l'ipotesi di una luna che possieda un esistenza in se diventa problematica.
E' vero che continuiamo ad osservare la luna sempre allo stesso modo, per cui basta aprire gli occhi come sempre e la luna è sempre là, ma è anche vero che la luna non esaurisce la realtà.
Per salvare le solite apparenze si dirà allora che esiste una microfisica e una macrofisica, giocandoci così un altro mistero.
Ma semplicità significa ridurre i misteri da giocarsi allo stretto necessario, piuttosto che il contrario.
Se al mistero della separazione fra osservatore e osservato aggiungiamo il mistero di una realtà che si sdoppia, chi ci impedisce di portare avanti all'occorrenza questa accumulazione di ipotesi a scapito della semplicità?
Se questa accumulazione di ipotesi nel tempo abbiamo praticato, dovremmo privilegiare fra le nuove ipotesi quelle che ne riducono il numero che sembra essere al momento necessario.
Se la luna esiste di per sè come facciamo a spiegare che in questa esistenza non è  compresa l'attrazione gravitazionale con la terra, aggiungendo ancora un mistero che stia per la relazione non necessaria che le cose che esistono sembrano intrattenere fra loro?
Mi sembra più semplice pensare che traiamo forme dalla realtà, osservandola, insieme alle loro relazioni.
Come possiamo affermare che esistano cose in se se questa esistenza non è comprensiva delle  loro puntuali relazioni?
Fino a che punto possiamo considerare separate, come cose in se, cose che non mancano mai di essere relazionate?


Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

iano

#49
Se la nostra ricerca finora è stata caratterizzata come ricerca di verità, questa impostazione oggi  blocca la ricerca che sembra imbottigliata dentro un mondo che più non comprendiamo, se non volgendo con nostalgia lo sguardo indietro.
L'ipotesi che esistano le cose in sè, astraendo il fatto che da una evidenza noi l'abbiamo tratta, oggi non sembra funzionare.
Ma se veramente di una ipotesi si tratta dove sta il problema?
Infatti morta un ipotesi se ne fa un altra, che non è più o meno vera della prima, essendo che sono fatte tutte della stessa sostanza ipotetica.
La verità potrebbe essere il prodotto dell'abitudine alle ipotesi che facciamo, per cui sistematicamente assurde ci appariranno nuove ipotesi che pur ci apparirà necessario dover fare.
Se le cose stanno così nessuna nuova verità apparirà all'orizzonte, stante la velocità con cui scorre il paesaggio delle ipotesi nuove, perchè su nessuna di esse il nostro intelletto avrà il tempo di fissarsi fino a farci l'abitudine.
Le cose sembrano essere così come le vediamo e non sembrerebbe esserci la necessità di aggiungere altro.
Ma è sufficiente distrarci dall'abitudine di osservale perchè ci appiano estranee.
Se poi dell'uscire da questa abitudine avremo fatto il nostro mestiere, che  dovrebbe essere appunto il mestiere del filosofo, la realtà allora non smetterà di apparirci strana, e quanto più strana ci apparirà tanto più sapremo di aver fatto bene il nostro mestiere, di dare sulla realtà uno sguardo non distratto.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

Pio

#50
Penso che sia la percezione a trarre le forme dalla "realtà". Noi le pensiamo distinte DOPO averle percepite come distinte. Su questa percezione di distinzione creiamo e sosteniamo  il linguaggio. Non sarebbe possibile un linguaggio senza distinzione e quindi un mondo condiviso senza linguaggio. Il percepito lo possiamo pensare come interdipendente e interconnesso ma noi non percepiamo l'interdipendenza delle cose. Ne percepiamo la forma, il suono, l'odore e la consistenza. La verità è naturalmente costruita sui nostri sensi, ma i sensi sono porte della mente e quindi giocoforza viene costruita anche, se non principalmente, dalla mente. Possiamo pensarlo come una casa da cui si entra e si esce in continuazione e che è consapevole di questo andirivieni. Abbiamo la "verità de l'andirivieni" (mentale). 😀
La verità quanto ha a che vedere con le CONVINZIONI? Poco o tanto? Noi costruiamo le nostre convinzioni su ciò che pensiamo sia verità o su ciò che ci dicono sia verità? O forse quello che pensiamo è solo quello che ci dicono di pensare?
Non ci abitueremo mai ai metodi ruvidi di Dio, Joseph (cit. da Hostiles film)

Ipazia

Si procede per ambiti di conoscenza consolidata attraverso un procedimento deduttivo-induttivo progressivo:

1)  il fuoco brucia
2) sempre
3) si può spegnere con l'acqua
4) ...

Tutto ciò era vero e noto millenni prima che Lavoisier spiegasse il meccanismo chimico della combustione scoprendo l'elemento chimico "ossigeno".

Ora ne sappiamo di più, ma erano vere anche le deduzioni precedenti. E gli sforzi per individuarne le cause. Sappiamo pure che la combustione avviene anche in assenza di nostre osservazioni per "motu proprio". Gli esiti di un incendio sono incontrovertibili quanto le tracce dei fossili.

La verità funziona così. In laboratorio, tribunale e nella vita quotidiana.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

Jacopus

#52
Ritorno su alcuni punti della discussione che mi premono.
1) sistema duale della verità. Intendo con esso, la necessità di distinguere fra verità scientifica, empiricamente verificabile e verità politica, collegata con l'etica. La prima realizza una conoscenza forte perché non contradiccibile, almeno fino all'avvento di un nuovo modello che la sostituisce.
La seconda è agitata dagli interessi dei singoli, delle classi sociali, è condizionata dalla storia e dalle relazioni intessute di stati emotivi tra gruppi e singoli.
È vera la libertà o la costrizione e che grado di libertà e di costrizione? È vero il libero arbitrio o il determinismo? È vera la differenza in classi o il potere del proletariato? È vera la punizione corporale o quella comportamentale? È vero l'egoismo o l'altruismo dell'uomo?

Fino all'avvento del metodo scientifico moderno, paradossalmente si riteneva più facile dare una risposta veritativa su queste domande, a causa del monopolio della visione religiosa cristiana (almeno in Occidente).

Oggi, la verità "scientifica" tende a colonizzare anche gli spazi della "verità politica", basti pensare all'esempio più famoso del materialismo storico ma anche, più in basso, alla "osservazione scientifica della personalità" prevista da molti ordinamenti penali per valutare il grado di responsabilità individuale.

Ciò per dire che il discorso sulla verità non è un discorso neutro ma è un discorso interconnesso con il discorso sul potere e sulla sua legittimazione.

2) la verità come "ricerca" è un processo collegato anche alla possibilità di cambiare e usare il mondo secondo i nostri bisogni. La verità deve funzionare, deve essere replicata sperimentalmente, altrimenti non è verità. Ma nel mondo politico ciò comporta una empasse, poiché deve essere la politica a determinare la linea in grado di creare un certo tipo di società. Mentre il discorso scientifico diventa in questo senso, l'alfiere di una visione politica che viene considerata razionale perché "scientifica" e che si fonda sul consumo del mondo, e sul riversare nel mondo fisico le contraddizioni del nostro sistema di sviluppo. Questo perché la scienza moderna appare sempre come scienza applicata e quindi come diretta alla tecnologia.
Oggi, che quello sversamento risulta sempre più difficile (cambiamento climatico, inquinamento globale, inaridimento, nuove pandemie), la legittimazione tramite " verità scientifica" del mondo politico è entrata in crisi.
 E per finire, l'unico modo per risolvere questo garbuglio è effettivamente il richiamo che Bob fa sull'amore, che risulterebbe la verità più potente e in grado di cambiare la civilita umana in profondità.
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

baylham

Citazione di: Alberto Knox il 18 Luglio 2024, 20:47:03 PMDarò quindi la mia definizione di verità ; la verità è intollerante , perchè la verità è sostanzialmente la capacità che ha un affermazione di negare tutte le sue negazioni. Per questo motivo bisogna smettere di parlare di verità scientifica allo stesso modo in cui bisogna smettere di parlare di verità di fede.  la scienza non si basa sulla verità perchè  i propi risultati non sono verità , sono ipotesi confermate . Per  essere verità  devono essere in grado di negare qualsiasi negazione nel tempo , ovvero devono essere sempre valide.  Essendo il metodo scientifico basato su ipotesi e conferma , se si troverà un ipotesi più esplicativa , più completa e più efficace si assumerà questa nuova ipotesi come teoria predominante o legge di natura .  Se così non fosse la scienza sarebbe dogma e non ricerca della verità. Anche i filosofi non hanno verità da divulgare al mondo , tutto quello che può fare un filosofo è di vedere se nelle assunzioni  vi siano o meno delle contraddizioni, se non ne ha la si tiene in gioco se ne ha è fuori gioco. Questo perlomeno se si assume come metodo filosofico il metodo Socratico .

Che la scienza si basi su ipotesi è una verità o una ipotesi?


Alberto Knox

Citazione di: baylham il 19 Luglio 2024, 12:16:34 PMChe la scienza si basi su ipotesi è una verità o una ipotesi?
la verità per me rimane un concetto difficile , come il credere , perchè devo credere ad una cosa ? o la so o non la so. Ora io , come voi , so che la scienza lavora in un certo modo. Ovvero partendo da ipotesi e giungendo a dimostrazioni.
Se queste dimostrazioni fossero vere allora avremmo verità definitive. Ma la scienza non può dare verità definitive ad opera di quelle stesse leggi del ragionamento che ci spingono a farci questo tipo di domanda. Non puoi dire che visto che si è scoperto il secondo principio della termodinamica allora tale principio è vero. Benchè non si sia mai osservato una violazione di tale principio questo non ci garantisce che sarà sempre così anche in futuro. Non importa in quante singole occasioni il principio o anche una legge fisica sia confermata, non possiamo essere certi in modo assoluto che sia infallibilmente valida . Sulla base dell induzione si può concludere solo che è molto probabile che la legge supererà il prossimo controllo. Perciò alla tua domanda devo rispondere che non è una verità, perchè possono sempre esserci alcune cose che siano sempre e comunque valide anche se non lo possiamo dimostrare.
Noli foras ire , in teipsum redi, in interiore homine habitat veritas.

iano

Citazione di: baylham il 19 Luglio 2024, 12:16:34 PMChe la scienza si basi su ipotesi è una verità o una ipotesi?


E' un fatto.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

Ipazia

Citazione di: iano il 19 Luglio 2024, 16:04:47 PME' un fatto.
Se è un fatto, siamo nell'ambito della verità.  Confondere i fatti con le opinioni e pretendere verità "assolute" (con le loro infinite catene causali "risolte") è il modo sicuro per soffocare qualsiasi ricerca di verità.

Noto in particolare un persistente mescolamento tra episteme scientifica e politica che alimenta la confusione, essendo l'adaequatio della prima comandata dalle cose naturali e la seconda dalle decisioni (soggettive, di classe,...) umane.

Per quanto auspicabile sia una "scienza politica" più "pura" possibile, essa non avrà mai l'oggettività dei fatti naturali, per cui il concetto di verità non potrà che aumentare il suo grado di relatività a seconda del grado di divisione in classi e interessi "particulari".

Spiegare a chi è nato in una reggia che tutti gli uomini nascono uguali appartiene al regno del comico, non della verità.  Anche la verità giudiziale rasenta l'assurdo in tale contesto e i giudici a Berlino latitano.

L'unica verità possibile nel contesto antropologico è la critica sociale che tiene conto dei disgiunti interessi tra le parti in causa. Perfino l'episteme scientifica viene travolta dalla contrapposta dialettica sociale, figurarsi gli aspetti etici, amore incluso.

Non resta che cercare la verità, comunque sempre in divenire sia ontologicamente che gnoseologicamente, nel contesto naturale, laddove le passioni e gli interessi "particulari" si stemperano nella fantastica rappresentazione del cosmo. Con tutti i suoi misteri, fecondanti ipotesi e "scoperte".  Essenze di a-letheia.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

iano

#57
Citazione di: Ipazia il 20 Luglio 2024, 06:05:01 AMNon resta che cercare la verità, comunque sempre in divenire sia ontologicamente che gnoseologicamente, nel contesto naturale, laddove le passioni e gli interessi "particulari" si stemperano nella fantastica rappresentazione del cosmo. Con tutti i suoi misteri, fecondanti ipotesi e "scoperte".  Essenze di a-letheia.
Una verità in divenire è la verità di chi divenire, non indipendente dunque da chi la cerca e dal modo in cui la cerca.
La critica alla ''cosa in se'' è per me il tentativo di prendere coscienza dell'uomo che fù e che ancora è in me.
Critica e presa di coscienza per me vanno in parallelo.
Ma si può criticare solo ciò di cui si può parlare, e a un certo punto della nostra storia abbiamo iniziato a parlare della ''cosa in se'', e questo è stato l'inizio della sua fine.
La cosa in se esisteva anche prima che iniziassimo a parlarne, ma se ne stava al riparo di ogni critica, come una verità.
Quella che noi chiamiamo ricerca della verità è in effetti il superamento della verità, e in questa ricerca ci superiamo.
Prendere coscienza di quel che si è significa superare ciò che si è.
Resteremo ciò che siamo finché di ciò che siamo non potremo parlare.
Criticare la cosa in se è voler vincere facile, perchè fra tutte le definizioni è quella che più si presenta senza difese.
Perchè dunque parliamo della cosa in se?
Perchè il parlarne richiama qualcosa che è in me, e che in me ha agito indisturbata, finché non l'ho richiamata, finché non ho iniziato con essa un dialogo, come fosse altro da me, e come in effetti altro da me sta diventando.
Diventa cosa in se ciò che porto fuori di me, acquisendo una sua indipendenza.
Finché stava in me nascosta, essa era la causa dell'evidenza con cui la realtà ci appare, e siccome ancora a questa evidenza partecipiamo non è ancora completa la fase di svelamento, svelamento che più va avanti meno la realtà ci appare evidente, e meno evidente ci appare più ne possiamo dubitare.

Se la conoscenza è ciò che ci permette di interagire con la realtà, questa conoscenza era già in noi se con la realtà già interagivamo.
Il portarla fuori comporta solo un diverso modo di interagire ed è l'inizio di una nuova storia della conoscenza, di quella conoscenza di cui si può dire, e che perciò non potrà più essere verità.

Prendere coscienza delle proprie verità significa esporle al dubbio decretandone la fine, dopodiché toccherà al dubbio fare il lavoro che prima faceva la verità.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
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iano

#58
Ciò di cui dibattiamo, anche in modo feroce, è dei pro e dei contro di questi diversi modi di procedere nel nostro interagire con la realtà, feroce perchè la verità, finché resiste in noi, è un fatto personale, per cui l'attacco alla verità vale come un attacco alla nostra persona, almeno nella misura in cui siamo ancora portatori di verità, cioè nella misura in cui non l'abbiamo ancora del tutto delegata alla tecnologia, ciò che è possibile fare una volta che la portiamo allo scoperto.
C'è n'è abbastanza per sentirsi alienati, come infatti ci sentiamo, e adesso ciò che occorre fare, è rifare pace con quella parte di noi che essendo stata portata fuori , sembra per ciò essere altro da noi, un altro da noi a cui è possibile dare le colpe di ogni cosa che sembra andare storto nel nostro mondo.
Perchè forse è arrivato il momento di parlare di questo noi, definendolo come ciò è buono in sè, perchè è così che noi ci vediamo ''veramente'', ed è così ci presentiamo nel dialogo con gli altri, e se ne ho dato una definizione è per il desiderio di veder finire questa storia che noi ''siamo i buoni'', per iniziarne una nuova.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
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Ipazia

Citazione di: iano il 20 Luglio 2024, 07:15:38 AMUna verità in divenire è la verità di chi divenire, non indipendente dunque da chi la cerca e dal modo in cui la cerca.
La critica alla ''cosa in se'' è per me il tentativo di prendere coscienza dell'uomo che fù e che ancora è in me.
Critica e presa di coscienza per me vanno in parallelo.
Ma si può criticare solo ciò di cui si può parlare, e a un certo punto della nostra storia abbiamo iniziato a parlare della ''cosa in se'', e questo è stato l'inizio della sua fine.

Non la farei così tragica. Ad un certo punto abbiamo scoperto di non essere il centro dell'universo e siamo sopravvissuti lo stesso. Vale pure per la cosa in sè.

CitazioneLa cosa in se esisteva anche prima che iniziassimo a parlarne, ma se ne stava al riparo di ogni critica, come una verità.
Quella che noi chiamiamo ricerca della verità è in effetti il superamento della verità, e in questa ricerca ci superiamo.
Prendere coscienza di quel che si è significa superare ciò che si è.
Resteremo ciò che siamo finché di ciò che siamo non potremo parlare.
Criticare la cosa in se è voler vincere facile, perchè fra tutte le definizioni è quella che più si presenta senza difese.

La cosa in sè non è mai esistita se non nell'illusione umana, ed è tutt'altro che indifesa, visto che ha tormentato per millenni anime e corpi di chi voleva sottrarsi alla sua forma suprema costituita.

CitazionePerchè dunque parliamo della cosa in se?
Perchè il parlarne richiama qualcosa che è in me, e che in me ha agito indisturbata, finché non l'ho richiamata, finché non ho iniziato con essa un dialogo, come fosse altro da me, e come in effetti altro da me sta diventando.
Diventa cosa in se ciò che porto fuori di me, acquisendo una sua indipendenza.
Finché stava in me nascosta, essa era la causa dell'evidenza con cui la realtà ci appare, e siccome ancora a questa evidenza partecipiamo non è ancora completa la fase di svelamento, svelamento che più va avanti meno la realtà ci appare evidente, e meno evidente ci appare più ne possiamo dubitare.

Direi che se ne parla da tempi immemorabili per il bisogno umano di avere, citando il bravo Battiato, un centro di gravità permanente. Bisogno frustrato dalle evidenze epistemiche che ne hanno falsificato ogni pretesa ontologica, riducendola a più prosaiche e impegnative cose per noi.

CitazioneSe la conoscenza è ciò che ci permette di interagire con la realtà, questa conoscenza era già in noi se con la realtà già interagivamo.
Il portarla fuori comporta solo un diverso modo di interagire ed è l'inizio di una nuova storia della conoscenza, di quella conoscenza di cui si può dire, e che perciò non potrà più essere verità.

Prendere coscienza delle proprie verità significa esporle al dubbio decretandone la fine, dopodiché toccherà al dubbio fare il lavoro che prima faceva la verità.

Deo gratias. Era comunque una conoscenza empirica, evolutiva, inscritta nel dna: unica "cosa in sè" di cui possiamo avere qualche evidenza. Mentre le "verità costituite" hanno avuto, e avranno sempre, la sorte che si meritano.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

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