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Il concetto di verità.

Aperto da iano, 15 Luglio 2024, 08:35:44 AM

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Ipazia

Citazione di: iano il 23 Luglio 2024, 09:41:16 AMSe tutto fosse ovvio che bisogno avremmo dei filosofi?

Abbiamo bisogno dei filosofi per tutte le cose (etica, estetica, politica, norma,...) che non trovano risposta nell'ambito delle scienze naturali. Wittgenstein l'ha esplicato benissimo nel Tractatus.

Mentre le scienze naturali si occupano di tutto ciò che è a priori delle nostre concettualizzazioni e classificazioni. Ovvero il mondo, gli stati di fatto. Con i loro criteri oggettivi (fino a prova contraria"), di verità.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

iano

Citazione di: Alberto Knox il 23 Luglio 2024, 23:53:34 PMallora dovremmo chiederci che differenza ci sia tra il fatto che ci sia un oggetto X e il fatto che noi conosciamo l oggetto X . Trovo anche che il mondo non sia solo ciò che noi possiamo conoscere , ci possono essere cose di cui non possiamo dare alcuna spiegazione propio per via del nostro particolare sistema di organizzazione dell esperienza umana. E altre che non hanno spiegazione alcuna.
Siccome vediamo la realtà fatta di cose allora presumiamo che , per quanto perfettibile possa essere la nostra conoscenza, la realtà di quelle cose sia fatta.
C'è un atteggiamento umile in ciò, ma non abbastanza secondo me.
Le cose sono il prodotto della nostra interazione con la realtà, se non vogliamo andare presuntuosamente oltre ciò che sappiamo.
Le cose sono una funzione di due variabili, noi e il resto della realtà, dunque perchè le cose dovrebbero stare nel dominio di una sola delle due variabili, cioè nel resto della realtà. Esse non stanno necessariamente in nessuno dei due domini. 
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

iano

#107
Citazione di: Ipazia il 24 Luglio 2024, 07:30:05 AMEsatto. E anche la nostra sensorialità, come quella di ogni altro vivente, ha una taratura evolutiva  oggettivamente determinabile (spettro visivo, cellule olfattive, materiali isolanti, conformazione padiglione auricolare,...), che nulla ha in comune con l'immaginazione, che può vedere giganti dove sono soltanto nubi.
I dati sensoriali non sono immagini tout court.
Perchè si trasformino in un immagine occorre elaborali, e questo processo di elaborazione è l'immaginazione, che funziona anche ad occhi chiusi elaborando i dati in memoria.
E' certamente una elaborazione sofisticata, che gli scienziati possono solo sognarsela.
Riusciamo a vedere i prodotti dell'elaborazione scientifica solo indirettamente, facendo analogie coi prodotti di una altra elaborazione, quella immaginativa.
Possiamo ''sbirciare'' l'onda di probabilità per analogia, solo perchè un altro processo elaborativo distinto da quello scientifico ha prodotto immagini di onde.
Non solo possiamo vedere giganti dove ci sono solo nubi, ma possiamo vedere guanti ove dove non vi è nulla, usando diversamente il processo di immaginazione, slegandolo dalla visione.
Mi riferisco per semplicità al senso della vista, ma il discorso vale per ogni senso.
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iano

#108
Citazione di: Koba II il 24 Luglio 2024, 09:28:42 AMSe io decidessi di recuperare terreno studiando la tradizione alchemica arriverei sì ad un sapere, ma tale sapere sarebbe sempre inferiore al loro, non solo dal punto di vista dell'efficacia.
Se non lo è solo dal punto di vista dell'efficacia allora hai sbagliato esempio.
L'episteme è il manuale del fabbro, che il fabbro non legge, per cui se tu vorresti imparare la sua arte non ti resterebbe che osservarlo lavorare, perchè egli, ignaro del manuale, non saprebbe spiegartela  a parole.
Paradossalmente il fabbro potrebbe spiegarti come è fatto invece il cosmo, ma te lo spiegherebbe in termini di mantici incudini e martelli, perchè il fabbro il manuale di metallurgia ce l'ha nascosto dentro, e lavora dentro di lui come una verità.
La doxa è la materia di cui è fatto l'episteme.
La scienza nasce dalla ricchezza di opinioni.
La scienza cerca la condivisione a valle, e seppur con grande travaglio ci riesce.
La verità invece vince facile ponendo la condivisione a monte.
La scienza è soggettività portate a soluzione, cioè a intersoggettività.
La verità, se pure fosse posseduta da tutti gli uomini, rimane intersoggettività, a meno di non trascendere la loro natura equiparandola a quella di Dio.
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Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
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Koba II

Citazione di: Ipazia il 24 Luglio 2024, 15:04:37 PMAbbiamo bisogno dei filosofi per tutte le cose (etica, estetica, politica, norma,...) che non trovano risposta nell'ambito delle scienze naturali. Wittgenstein l'ha esplicato benissimo nel Tractatus.
Mentre le scienze naturali si occupano di tutto ciò che è a priori delle nostre concettualizzazioni e classificazioni. Ovvero il mondo, gli stati di fatto. Con i loro criteri oggettivi (fino a prova contraria"), di verità.

In questo modo ci si condanna a rimanere bloccati per via di due forze contrarie: da una parte la spinta anti-filosofica (a volte inconsapevole) che ritiene che il reale sia conoscibile solo dalla scienza, dall'altra l'esigenza drammatica del nostro tempo di dare risposte alla questione dell'etica.
Se accettiamo che la verità sia sostanzialmente declinata dalla scienza, anche se poi dichiariamo l'importanza del mondo dello spirito umano, su che cosa si potrà mai basare l'etica?
Su una specie di sintesi delle informazioni fisico-biologiche della specie umana?

No, la filosofia ha il compito di costruire un discorso teoretico preliminare, un discorso di filosofia prima o metafisica se volete, in cui si tenti di chiarire la struttura originaria delle cose, da cui poi fondare un'etica, una politica, un'estetica, e via dicendo.

Ma senza questo tentativo, che ovviamente non dovrà essere né reazionario (nel senso di un recupero a-problematico della tradizione metafisica in una delle sue versioni), né superficiale (nel senso di non volersi confrontare sul serio con la tradizione filosofica decidendo fin dall'inizio che certe ontologie non hanno senso e via dicendo), senza questo tentativo, dicevo, si rimarrà al livello della sola espressione dell'esigenza di avere "un'etica al livello della scienza".

daniele22

Citazione di: Alberto Knox il 23 Luglio 2024, 23:53:34 PM.. allora dovremmo chiederci che differenza ci sia tra il fatto che ci sia un oggetto X e il fatto che noi conosciamo l oggetto X . .
Va bene, una disquisizione sulla realtà non apparterrebbe a un discorso sui massimi sistemi, ma resta comunque il fatto che il nostro pensiero non sarebbe propriamente "libero", nel senso che, chi più chi meno, ciascuno tende a difendere il suo territorio di pensiero. O almeno, non ci è noto il motivo e l'intenzione di chi parla. La scienza poi dirà la sua.
Detto questo, ho trattenuto solo la parte citata del tuo intervento che mi sembra la più rilevante e carica di conseguenze. Ignoro il pensiero di Kant e faccio fatica a usare la terminologia del linguaggio filosofico, purtuttavia da eretico quale mi sento dico che non vi sarebbe alcuna differenza tra i due fatti. L'esistenza dell'oggetto X, per come la penso, non si costituirebbe come un'offerta della realtà ai nostri sensi per cui noi, in successione, si possa eventualmente conoscerlo. L'esistenza di un oggetto sarebbe dovuta bensì ad un atto di conoscenza (di apprendimento). Quello che voglio dire sarebbe che il momento in cui un oggetto si afferma come oggetto mentale, generalizzato quindi, tale momento sarebbe dovuto al nostro ineluttabile e spontaneo, necessario se vuoi, recepirne un senso (un significato) per ragioni che probabilmente sarebbero in un certo senso di vitale importanza (intendi non strettamente questioni di vita o di morte). Fintanto che non si consumi quest'atto è come se l'oggetto non esistesse. I sensi cioè lo percepirebbero sì, ma senza realizzarlo. Pertanto, il fatto di conoscere l'oggetto (il secondo termine della differenza da te proposta) si costituirebbe come semplice ampliamento di una conoscenza che già esiste, ampliamento che può pure entrare in conflitto con l'imprinting conoscitivo originario.
Traendo infine da tutto ciò una personale opinione conclusiva, il culto alla conoscenza, più che mosso da stupore e meraviglia, sarebbe più che altro spinto da una paura preoccupante che, ai giorni nostri rischia di assumere aspetti patologici. L'atteggiamento scettico da una parte, e falso da un'altra, sarebbero i sintomi più evidenti di tale patologia. Assomiglia quasi a una fase acuta di una sindrome bipolare collettiva

Alberto Knox

Citazione di: daniele22 il 25 Luglio 2024, 09:11:29 AML'esistenza dell'oggetto X, per come la penso, non si costituirebbe come un'offerta della realtà ai nostri sensi per cui noi, in successione, si possa eventualmente conoscerlo. L'esistenza di un oggetto sarebbe dovuta bensì ad un atto di conoscenza (di apprendimento). Quello che voglio dire sarebbe che il momento in cui un oggetto si afferma come oggetto mentale, generalizzato quindi, tale momento sarebbe dovuto al nostro ineluttabile e spontaneo, necessario se vuoi, recepirne un senso (un significato) per ragioni che probabilmente sarebbero in un certo senso di vitale importanza (intendi non strettamente questioni di vita o di morte). Fintanto che non si consumi quest'atto è come se l'oggetto non esistesse. I sensi cioè lo percepirebbero sì, ma senza realizzarlo.
Mi viene in mente un neonato. Il neonato guarda, tocca delle cose , si può dire che il neonato conosce quelle cose? no, le conoscerà poco alla volta e questo conoscerlo poco alla volta da parte del neonato sarà attaccare alle cose che vede , che tocca e che sente dei significati e questi significati son dell cose che stanno dentro la testa, non la fuori. Noi il mondo come tale non lo conosceremo mai , lo conosciamo solo e soltanto attraverso a delle mediazioni che possono essere i filtri dei sensi e la scienza. -non di meno se vuoi conoscere il mondo devi passare attraverso l'uomo perchè l'uomo è quella specie di paio di occhiali che ti rende conoscibile il mondo. Un altra cosa fondamentale è che noi conosciamo il mondo attraverso quello che kant chiama "giudizi determinanti" la dove giudizi significa una proposizione "questa rosa ha le spine" questo determinare il mondo non significa che noi lo costruiamo , anche se di fatto è ciò che molti diranno dopo kant. Ma è come se noi dessimo i confini del mondo attraverso i nostri strumenti conoscitivi , attraverso le nostre forme della sensibilità e attraverso le nostre regole logiche . Il mondo è questa cosa determinata dai nostri concetti.
Noli foras ire , in teipsum redi, in interiore homine habitat veritas.

Alberto Knox

daltronde se non passiamo attraverso l'uomo per conoscere il mondo da dove dobbiamo passare? dire che dobbiamo passare attraverso la scienza equivale a dire passare attraverso l'uomo. Perchè la scienza è una costruzione umana.
Noli foras ire , in teipsum redi, in interiore homine habitat veritas.

iano

#113
Citazione di: Alberto Knox il 25 Luglio 2024, 10:48:21 AMdaltronde se non passiamo attraverso l'uomo per conoscere il mondo da dove dobbiamo passare? dire che dobbiamo passare attraverso la scienza equivale a dire passare attraverso l'uomo. Perchè la scienza è una costruzione umana.

E' dal fare che traiamo la conoscenza, la quale poi condizionerà il nostro fare.
E' il fare che attraverso la mediazione del sapere diventa, causa che agisce senza limiti di tempo.
L'uomo è fatto anche di questo sapere, e quando esso cambia, cambia l'uomo, o viceversa.
Il sapere è il frutto del nostro agire nella realtà, per cui riguarda noi quanto la realtà.
E' uno schemino tanto semplice da risultare deludente.





Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

Ipazia

Citazione di: Koba II il 25 Luglio 2024, 08:46:21 AMIn questo modo ci si condanna a rimanere bloccati per via di due forze contrarie: da una parte la spinta anti-filosofica (a volte inconsapevole) che ritiene che il reale sia conoscibile solo dalla scienza, dall'altra l'esigenza drammatica del nostro tempo di dare risposte alla questione dell'etica.
Se accettiamo che la verità sia sostanzialmente declinata dalla scienza, anche se poi dichiariamo l'importanza del mondo dello spirito umano, su che cosa si potrà mai basare l'etica?
Su una specie di sintesi delle informazioni fisico-biologiche della specie umana?

La questione non si supera contrapponendo due riduzionismi: scientismo e idealismo etico, ma prendendo atto che l'etica non può che germogliare dall'ethos, ovvero dalla rigorosa conoscenza etologica della nostra specie (evolutivamente determinata) e che essa non è un'automatica applicazione di riduzionismi fisicistici, ma realizzazione di progetti razionali sulla base di ciò che la natura rende possibile e desiderabile.

Quindi nessuna contrapposizione, ma sintesi dialettica tra necessità e libertà.


CitazioneNo, la filosofia ha il compito di costruire un discorso teoretico preliminare, un discorso di filosofia prima o metafisica se volete, in cui si tenti di chiarire la struttura originaria delle cose, da cui poi fondare un'etica, una politica, un'estetica, e via dicendo.

Ma senza questo tentativo, che ovviamente non dovrà essere né reazionario (nel senso di un recupero a-problematico della tradizione metafisica in una delle sue versioni), né superficiale (nel senso di non volersi confrontare sul serio con la tradizione filosofica decidendo fin dall'inizio che certe ontologie non hanno senso e via dicendo), senza questo tentativo, dicevo, si rimarrà al livello della sola espressione dell'esigenza di avere "un'etica al livello della scienza".

Ritengo impossibile per la filosofia costruire un discorso teoretico a priori, ignorando ciò che a priori c'è davvero: la natura.

Da non confondersi con la scienza tout court, su cui la filosofia esercita un controllo critico attraverso lo strumento epistemologico, superato il quale la filosofia non può non tenere conto del dato ontologico affluente dalle scienze naturali.

Sulle quali si innesta in modo razionale l'universo delle scienze umane, il nostro margine di libertà esistenziale ed etica, teorica e pratica.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

iano

#115
E' possibile parteggiare per un primato della filosofia aut della scienza, solo se non si vede come le due cose siano intimamente connesse.
Se la conoscenza condiziona il fare, una conoscenza condivisa è la premessa di un etica come comportamento condivisibile.
Non è possibile espellere completamente la metafisica dalla fisica, ma ogni volta che la si individua lo si deve fare, e non per assestargli il colpo di grazia definitivo , ma per fare un salto nella nostra visione del mondo, la quale resterà comunque legata in modo inscindibile ad una metafisica.
la vera metafisica però non è quella che dichiarano i filosofi, ma quella che agisce in incognito, e perciò innegabile come lo è una verità indicibile.
Allo stesso tempo il compito dei filosofi è quello di sistematizzare il sapere attuale in modo chiaro, perchè solo ciò permetterà di negarlo, superandolo.
Non è un caso che certi filosofi insuperati abbiano lasciato a metà questo processo chiarificatore.
Altri sedicenti filosofi giocano invece volutamente sporco, difendendo il primato della filosofia dietro una cortina fumogena.
Ma questo non è amore del sapere, ma amore dell'amore del sapere, cioè della filosofia, una amore che crea pregiudizi al sapere.
Il sapere è per me una sfida contro noi stessi, una lotta continua fra ciò che eravamo e ciò che saremo.
Per innescare il cambiamento occorre svelare la metafisica che ci sostiene per superarla, ma dopo aver fatto ciò se stiamo ancora in piedi è perchè una nuova metafisica è venuta in nostro soccorso senza far clamore, e sarà la nostra nuova verità, finché resterà nascosta.
Mettere l'accento sull'etica in modo prioritario significa voler arrivare alla fine del processo, per un ansia verso il bene, mettendolo all'inizio, di modo che questo inizio non potendosi reggere su nulla, dovrà reggersi da solo divenendo un assoluto.
Il problema è che ogni assoluto, nella misura in cui viene dichiarato, potrà essere perciò negato, e perciò sarà sempre la verità di pochi, per quanto tanti.
Ciò che ci fà uguali è la verità che sentiamo, ma che non sappiamo dire.
Ciò che ci divide è la verità una volta dichiarata.
il nostro mondo è fatto ancora di evidenze e di ovvietà, ma come facciamo a far finta di non sapere che molti di nostri mondi si sono estinti con le loro ovvietà?
Mi pare che in ciò ci sia una malafede, che pure umanamente comprendo.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
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bobmax

L'Etica è fondata su nient'altro che non se stessa.
Se infatti fosse qualcos'altro a fondarla, che mai potrebbe essere se non ancora Etica?

L'Etica è la ragione della esistenza.
Non può esservi dubbio alcuno.

È sufficiente infatti supporre il contrario, che cioè non sia l'Etica il fondamento e considerare davvero questa possibilità, per indietreggiare inorriditi!

Occorre però proprio pensare il mondo, la vita, la tua vita, che potrebbero prescindere dall'Etica.
Appunto, pensare.
Tardi ti ho amata, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amata. Tu eri con me, mentre io ero lontano da te.

Koba II

Citazione di: Ipazia il 25 Luglio 2024, 17:32:33 PMLa questione non si supera contrapponendo due riduzionismi: scientismo e idealismo etico, ma prendendo atto che l'etica non può che germogliare dall'ethos, ovvero dalla rigorosa conoscenza etologica della nostra specie (evolutivamente determinata) e che essa non è un'automatica applicazione di riduzionismi fisicistici, ma realizzazione di progetti razionali sulla base di ciò che la natura rende possibile e desiderabile.
Quindi nessuna contrapposizione, ma sintesi dialettica tra necessità e libertà.
Ritengo impossibile per la filosofia costruire un discorso teoretico a priori, ignorando ciò che a priori c'è davvero: la natura.
Da non confondersi con la scienza tout court, su cui la filosofia esercita un controllo critico attraverso lo strumento epistemologico, superato il quale la filosofia non può non tenere conto del dato ontologico affluente dalle scienze naturali.
Sulle quali si innesta in modo razionale l'universo delle scienze umane, il nostro margine di libertà esistenziale ed etica, teorica e pratica.

Quando ci occupiamo di caso, necessità, libertà, divenire, tempo, etc., facciamo il tentativo di articolare un discorso propriamente filosofico, preliminare nel senso di generale e antecedente allo studio specifico delle diverse discipline.
Non è corretto dire che questo discorso sia a priori, perché ovviamente si basa anche sulla nostra esperienza del mondo.
E in esso, quando parliamo di natura, certo ciò che esprimiamo non è il risultato di qualche definizione distaccata dalla realtà, ma l'amalgama di riflessioni su ciò che di essa ha pensato la tradizione e ciò che è riuscito a catturare il nostro sguardo, la nostra esperienza specifica.
In questo senso intendevo dire che solo da una chiarificazione generale di tipo teoretico si può poi per esempio articolare un discorso etico che risulti essere "fondato", nel senso di più consapevole, di più profondo, diciamo così.

bobmax

La contrapposizione non è tra necessità e libertà, ma tra natura e libertà.
Natura e libertà sono mutuamente incompatibili.
Questo perché la libertà è prerogativa dell'essere, mentre la natura è esserci.

E l'Essere non c'è.
Proprio non può esserci.
C'è infatti sempre e solo qualcosa.
Mentre l'Essere non è qualcosa.

Di modo che in natura non vi è alcuna libertà. Essendo un non essere.

La necessità è la legge dei qualcosa. Nei quali, tuttavia, ribolle il caso.
Ed è proprio il caso, ad alludere all'Essere. Che infatti è libertà.

Libertà non dei qualcosa, bensì dell'Essere!
Tardi ti ho amata, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amata. Tu eri con me, mentre io ero lontano da te.

iano

#119
Citazione di: Koba II il 26 Luglio 2024, 09:04:46 AMQuando ci occupiamo di caso, necessità, libertà, divenire, tempo, etc., facciamo il tentativo di articolare un discorso propriamente filosofico, preliminare nel senso di generale e antecedente allo studio specifico delle diverse discipline.
Non è corretto dire che questo discorso sia a priori, perché ovviamente si basa anche sulla nostra esperienza del mondo.
E in esso, quando parliamo di natura, certo ciò che esprimiamo non è il risultato di qualche definizione distaccata dalla realtà, ma l'amalgama di riflessioni su ciò che di essa ha pensato la tradizione e ciò che è riuscito a catturare il nostro sguardo, la nostra esperienza specifica.
In questo senso intendevo dire che solo da una chiarificazione generale di tipo teoretico si può poi per esempio articolare un discorso etico che risulti essere "fondato", nel senso di più consapevole, di più profondo, diciamo così.

L'etica dunque non viene da sè, e in particolare non nasce con l'invenzione della scrittura, a partire dalla quale possiamo solo considerarne la storia, ma se non sappiamo come è venuta, come facciamo a completare, perfezionandolo, un percorso che ci è quasi del tutto ignoto?
Di fatto voler mettere mano all'etica significa quindi rifondarla in un modo che possa risultare condivisibile.
L'unico esempio che abbiamo di cose condivisibili, cioè non tali in quanto vengano da se, come condivise di fatto, ma come risultati della ricerca lo abbiamo in campo scientifico.
Dobbiamo quindi rifondare la nuova etica  sulla scienza, o su quale altra istituzione che garantisca pari condivisibilità di risultati, posto che a ciò non è adatta la filosofia?
Possiamo caricare la scienza di ogni nostro problema, per accusarla poi che si prende carico di cose che stanno fuori della sua competenza?
Quando Ipazia parla di un etica che sorge in modo naturale, a cui pur possiamo aver dato contributi dimostrabili in quanto riscontrabili nella storia della filosofia, l'etica pur sempre resta nel dominio delle cose che ci appaiono venire da se, cioè della metafisica per come la intendo io.
la metafisica al pari dell'etica sorge dalla natura, ma non sappiamo come, ne sappiamo bene quindi come fare proseguire questo percorso, o come in alternativa eventualmente interromperlo.
A un certo punto ci appaiono evidenti le metafisiche che fondano la fisica, e potendole perciò negare, su questa negazione fondiamo la nuova fisica.
Un operazione parallela con l'etica, avendo a che fare con esseri viventi non si può fare allo stesso modo.
Dovremo quindi accettare giocoforza un etica che continui in parte a venire da sè, perchè sorge da una natura ben più complessa da quella cui la fisica fa riferimento.
Limitare solo a tal difficile compito la filosofia, rinunciando al controllo epistemico sulla fisica, come ben di Ipazia, compito più facilmente riconducibile al dominio della coscienza, significherebbe impoverirla senza motivo.
Se poi uno vuole occuparsi in modo esclusivo di etica è libero di farlo, ma senza venire adire che siccome ciò egli predilige, allora ciò equivale in modo esclusivo fare filosofia, come se dovesse giustificare la sua libera e legittima scelta.
Personalmente non mi occupo di etica, forse anche per vigliaccheria, perchè ben intravedo i pericoli che ciò comporta.
Vigliaccheria nel senso che, se dovessi veramente dire come la penso io sulla questione, mettendo al primo posto l'onestà intellettuale, direi cose che l'esperienza fatta da Galilei mi suggerisce di tacere.
Infatti ciò che possiamo dire dell'etica, in base alla breve storiografia che ne possediamo, è che essa non è più inestricabilmente legata alla fisica, per cui mi posso occupare solo di quella, del controllo epistemico richiamato da  Ipazia, senza più correre pericolo alcuno.
Non posso poi escludere che indirettamente tale lavoro non abbia  influenza sul divenire dell'etica, non avendo piena contezza del percorso col quale essa sembra giungere a noi, come fosse altro da noi, ma che riguarda invece strettamente noi, e siccome noi diveniamo dovremo rassegnarci a pari destino per l'etica.
Chi a ciò non si rassegna negherà che l'essere vivente sia libero, perchè solo così, riducendolo a materia, potrà sperare in un etica che valga come una legge fisica.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

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