Identità o Soggettività. (un errore di Severino?)

Aperto da green demetr, 17 Aprile 2019, 02:29:22 AM

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green demetr

Ormai mi pare di oracolare e su questo concetto, mi risponde Severino dall'anno 2016 nelle conferenze sul death studies, canale youtube, che contiene anche la distruzione di ogni riduzionismo, sia del prof. Severino, che del prof. Bitbol che parlano alle stesse vertigionose altezze, pur da punti di vista diversi, il primo filosofo, il secondo fisico quantistico e biologo.
Effettivamente per Severino l'identità è "ciò che è in sè".
All'improvviso mi  sono ricordato delle nostre riflessioni sul quella questione dell'A=A, che ha allontanato molti utenti disillusi dal maestro Severino.
A distanza di anni, mi pare evidente che questo sia un errore imperdonabile, e il principale, da cui poi si riverbera tutto il resto.

Si tratta però di riformularlo perchè allora la disillusione era quella di capire che un certo tipo di formalismo, non portava esiti nel reale.
Ma la cosa è ancora più grave di quel che si pensasse.

Per Severino l'identità è ciò che si forma in base all'incontro tra l'Essere e la Cosa.
Se tutti e 3 queste cose sono Enti. Allora è ovvio tutto. Per proprietà transitiva, l'uomo è esattamente L'Essere e la Cosa.
Ma queste è una follia, ben maggiore è dunque la mia critica, nuova e assai superiore rispetto a quella di Sini, sulla presunzione degli enti. Ma forse Sini si riferisce proprio a questo. Una di quelle epifanie che ogni tanto mi abitano.

Il problema è invece proprio che l'identità non è l'io, nè gli enti. (E di nuovo il Mondo non sono gli enti. Come sostengo nel topic sull'Altro)
All'improvviso mi si schiariscono le le idee del perchè continua a dire che non sono i suoi scritti (i suoi scritti appunto).
Certamente se fosse stata una questione meramente formale, ossia il discorso dell'Essere, sarei stato d'accordo.Vale a dire sarebbe il discorso formale che in quanto tale e cioè matematico, non è di nessuno in particolare.
Ma qui è evidente come il fantasma abbia lavorato, gli fa credere (a Severino) che l'identità non  è l'io, ma è proprio l'essere, eh sì, dunque l'ente proprio in quanto essere. Dunque non è l'Essere di Heidegger! Che scoperta triste, e deprimente. :-[
Come a dire che ogni ente è l'identità....
L'identità è invece proprio la costruzione del soggetto che ammette come esistente, in quanto in relazione con sè, non in quanto ente a sè. Ossia la presunzione del soggetto è proprio quella di esistere.
Ma non esiste soggetto. Nietzche l'ha spiegato in lungo e in largo. E la psicanalisi lacaniana, costruisce esattamente il soggetto come la narrazione del fantasma.
Il fantasma non è un ente. La narrazione del fantasma è un ente.
L'inconscio non è un ente. Le nevrosi sono un ente.
L'ente è indagabile tramite un critica serrata della narrazione del soggetto, sia per come il soggetto si narra, sia per come il discorso la narrazione si ostende, si estende.
Inconscio, fantasma, mondo, Essere non sono enti, non esistono in quanto tali, sono pre-supposti per Induzione del soggetto che cerca di rendere conto della sua formazione.
Di questo Nietzche ed Heideger e Lacan si occupano. Sono gli unici 3.
Forse anche Hegel e Marx, ma non so cosa pensano del fantasma.
Vai avanti tu che mi vien da ridere

paul11

ciao Green,
premetto che non sono un "severiniano", ma il discorso di Severino  è ben più sottile e profondo di quanto possa apparire.
Appunto : apparire.
L'errore dell cultura occidentale fu di credere ad un certo punto della sua storia già in grecia antica, alle apparenze.
La regola della logica formale A= A, l'identità porta con sè l'altra regola fondamentale A non-A, il che signifca che un ente non può essere anche  diverso da sè, la regola della contraddizione.In realtà la logica dialettica è una particolare logica non perfettamente uguale a quella dicamo ufficale.
ma andiamo con ordine.Se dico che la legna è la legna, non può la legna diventare cenere, perchè l acenere è cenera e non legna.
Noi crediamo al divenire "la legna è diventata cenere", alle  regole di una identità che si nega per diventare altro da sè.
Severino non nega la fisicità del divenire, ma il fatto che la cultura umana creda nel divenire, basa la  sua cultura al diventare altro da sè.
la logica dialettica allora costruisce "un sistema diveniente in negativo" appunto il non-A.
E' com dire, che tutto ciò in cui la cultura crede nel divenire è una negazione logica.
Il "positivo" è l'eterno per cui i diversi momenti narrativi della vita, in realtà sono ognuno fotogrammi eterni, proprio come ogni singolo fotogramma di una pellicola analogica.Lo scorrere di ogni fotogramma è il tempo
Questo sottointende qualcosa di più profondo: che nulla è perso, se ogni attimo dell'ente che esiste , l'essente, è eterno.

Noi non diveniamo, siamo sempre l'identico e non veniamo quindi dal nulla per poi sparire nel nulla, essendo tutto eterno.
Noi eravamo già all'origine di tutto,essendo tutto e tutti eterno.
Semmai questa logica dialettica, difficle da capire, poichè noi siamo abituati culturalemnte e fiscamente a pensarci diversi dall'attimo prima per poi essere in futuro di nuvo diversi e fino a non- essere, per poi sparire nel nulla e dunque morire, implica molto altro,
Di cui posso a volte e non posso altre volte, essere d'accordo.

0xdeadbeef

Che l'essenza del nichilismo, come dice Severino, sia il pensare che l'essente provenga
dal nulla per poi al nulla tornare è una cosa su cui ritengo non si possa che concordare.
"Probabilmente" (...) è anche illogico pensare che un essente provenga dal nulla per poi
al nulla tornare; ma che un essente provenga da qualcosa che al nulla è assimilabile per
poi tornare a qualcosa che al nulla è assimilabile, questo no, non è proprio illogico.
A me sembra che Severino "pensi" in maniera tecnica. Quando dice che la Tecnica è il rimedio
che gli uomini escogitano per far fronte all'angoscia suscitata dal divenire si pone forse
egli stesso fuori da quegli uomini (non è forse un pensiero "tecnico" in quel medesimo senso
quello di dire che ogni istante è eterno)?
Quanto all'"identità" oggetto del post dell'amico Green, io credo vada vista alla luce del
pnc aristotelico. In esso infatti si specifica: "nel medesimo rispetto", cioè nel medesimo
tempo è impossibile che qualcosa sia e non sia (ovvero si sottintende questa possibilità in
tempi diversi, cioè nel divenire).
Naturalmente, Severino negando il divenire nega la possibilità che vi siano tempi diversi
nei quali qualcosa è e non è, cioè tempi nei quali gli identici non sono identici.
saluti

green demetr

Ciao Mauro e Paul.

Dunque voi vi fermate alla questione formale, Paul accettandola e Mauro negandola, di fatto.

La questione formale, che a questo punto certo potremmo anche dire tecnica, è riscritta. Dal punto di vista Eterno dell'Essere, esistono solo enti infiniti eterni.

Ma Severino ha insistito tante volte che la sua non è una filosofia formale, bensì dialettica.

La dialettica sta nel fatto che si scontrano 2 mondi il primo quello che lui chiama della terra, e il secondo quello degli eterni.

La follia dell'uomo risiede nella terra isolata, ossia nel pensiero disgiunto a quello degli eterni.

Ora Paul questa distinzione a me sta bene, e fa di Severino un grandissimo filosofo.

La sua critica della tecnica è esattamente coincidente con la storia della filosofia occidentale, che finisce nel nichilismo della tecnica.

Fin qui penso tutti e 3 ci dovremmo trovare.

Ossia la volontà di potenza di cambiare l'ente in qualcosa d'altro, ossia di accettare che l'ente sia e non sia allo stesso momento.

Dicevamo del PDNC, certo non amo aristotele, ma devo dargli merito di aver capito l'essere, come substrato.

Ma il substrato, ossia l'ente nascosto della Physis di tutta la filosofia greca, in cosa consisterebbe?

E' quella la domanda mai risposta di Severino.

Nella tradizione io credo che questa impossibilità di risposta, ossia il famoso limite greco, sia stata fissata da Kant, come l'oggetto in sè.

Ossia qualcosa che DEVE esistere in quanto facente parte del substrato delle cose.

Questo oggetto in sè, è uno, non esistono gli oggetti in sè.

Quel deve come sappiamo a livello scientifico, non si saprà mai per via del principio di indeterminazione di Heisenberg.

Dunque quell'Eterno che è poi il substrato della forma e della materia, è irrevocabilmente PRESUNTO.

Ma allora perchè a mio parere la filosofia fondamentale rimane tale?

Perchè secondo me, il substrato non è l'eterno, ma è la stessa Vita.

Del fatto che io soggetto sia vivente non ho dubbi.

Non del fatto che io sia, perchè appunto,uno è alla fine a ben vedere solo un fenomeno.

Il vivente non è l'essere.

L'essere è presunto. Io essendo vivente, originariamente lo presumo per induzione.

L'Essere di Severino non è L'Essere di Heidegger, perchè il primo è monoliticamente una presunzione teologica, il secondo invece è esattamente l'Essere teologico, ossia da interpretare  solo religiosamente.
E' il Dio adveniens della gelassenheit.

Se non ci fosse questo dramma, non esisterebbe nemmeno la filosofia.
Severino invece proprio formalmente decide che questa dramma sia solo una follia.

Ma l'errore è di confondere la funzione del substrato, o degli eterni.
Per lui questa funzione è la Gloria.
Ossia banalizza le forma drammatiche della esistenza, benchè le intenda.

Il fatto che esistano diversi fenomeni, è di fatto la vera filosofia, il vero dramma, il vero trauma di cui pur lui aveva capito tutto.

La fenomenologia, intesa come metafisica fondamentale, o originaria.
E' la questione stessa dell'ermeneutica della metafisica fondamentale.

La funzione non è la Gloria, perchè mi scuserà il maestro, ma mi pare una cosa assai teologica. Una accettazione passiva.

La gelassenheit invece Necessita per essere tale di una infinita ermeneutica.

Un continuo ripensamento. Un continuo mettersi in discussione proprio a partire dal fatto che noi sentiamo il divino, non dal fatto che lo presuppiamo necessario da PNDC, che per è una mera formalizzazione senza alcun senso.


Grazie comunque dei contributi, sebbene non accetti il vostro fermarvi alle soglie della questione.  ;)
Vai avanti tu che mi vien da ridere

paul11

E' importante chiarire, nella chiave di lettura di Severino, il rapporto Essere-Essenza-Esistenza .
L'esistenzialismo ritiene il nulla a fondamento dell'ente, anche se afferma che in quanto ente, non sia niente.
Questa è la chiave contraddittoria di tutta la fenomenologia ed esistenzialismo, ma direi di tutta la cultura moderna: è il nichilismo .
Se la storia, l'esistenza, o valori come libertà, uguaglianza, ecc. non sono garantiti (direi legittimati) da alcun "essere trascendente" (quindi hanno come fondamento il niente), l'esistenza precede l'essenza.
Ma non ha un immutabile a cui "appoggiarsi", a cui commisurarsi, eppure l'occidente ritiene di "non venire dal nulla". Il rifiuto "di non essere niente",  è la persuasione di non volersi riconoscere con il niente, seppure sia il fondamento dell'intera civiltà occidentale.
Prendendo coscienza di sé, la persuasione si manifesta come suo opposto: come negazione che l'ente sia niente. Ma nella negazione l'ente viene pensato come ciò che può non essere, così che la nientità dell'ente resta il fondamento della negazione che l'ente sia niente.
Quando il tomismo, riprendendo la metafisica di Platone distingue fra"Esse per essentiam"ed "Entia per partecipationem" afferma che l'esistenza precede l'essenza .Se l'ente partecipa all'"esse"(con una connessione "sintetica") significa pensare l'ente come assoluta disponibilità all'essere e al non-essere.
L'ente è (partecipa sinteticamente all'"esse"), ma sarebbe potuto restare un niente e potrebbe ridiventare un niente.
Il pensiero moderno si rende conto che questa nientità dell'ente è possibile solo se l'ente non preesiste in un essere eterno(divino), vale a dire solo se il vuoto che l'ente non ha ancora occupato (o avrebbe potuto occupare, o ha cessato di occupare) non è riempito da un dio.
Nell'affermazione che "l'esistenza precede l'essenza", l'essenza è la dimensione dell'essere eterno (esse per  essentiam) e l'esistenza è  l'ente che esiste come ciò che sarebbe potuto restare un niente.
Se l'ente emerge dalla propria nientità e sarebbe potuto restare un niente, non ci può essere un'essenza eterna che precede l'esistenza dell'ente, e l'ente, in quanto niente, non può ancora essere.
 
Questo ,per sommi capi, è il nichilismo della cultura occidentale e la contraddizione anche di Heidegger, Levinas, pensare ancora l'essere come nulla e l'esistenza che precede l'essenza.
Qualunque narrazione, vita, non ha senso se non è commisurata ad una verità incontrovertibile, e quindi si riduce a natura, ad animale "sapiente", che venendo dal nulla e andando nel nulla, narra la sua nientità.
La nostra cultura e la scienza moderna naturale e fisica è all'interno del vuoto del nulla.
E' pensare la vita umana all'interno di leggi trasformative che si ritrasformano per mimesi.
Eppure vivevano credendo la terra piatta, eppure vivevano credendo la terra fino alle colonne d'ercole.
Eppure viviamo credendo alle leggi termodinamiche, della relatività e quantistica. Finchè altre leggi supereranno le attuali.
Si continua a vivere sempre dentro un  una verità falsificabile.


Il problema della Tecnica ,per Severino e in estrema sintesi è il credere al passaggio fra Essere e non-Essere.
Noi crediamo che un ente(una qualsiasi cosa fisica o pensiero) possa venire e poi sparire.
La Tecnica racchiude il concetto del saper conoscere e del sapere fare, non la tecnica come definizione produttiva economica.
La Tecnica occidentale è il creare per poi distruggere, il produrre per consumare, il vivere per poi morire.
C'è sempre dal primo atto del "venire" il pensiero conseguente dello sparire, per cui l'atto costruttivo ha già in sè implicito quello distruttivo. Tutta la nostra cultura è ri-produttiva: si vive peri figli, si vive per consumare oggetti e vite, si vive pensando alla morte, si produce per riprodurre.Tutto questo perchè pensiamo che il divenire sia la legge fondamentale, che la vita sia prima dell'essenza e prima dell'essere, che i fatti vengano prima del pensiero, che le prassi siano più importanti del come disponiamo il pensiero.
E il divenire è così per la nostra cultura pregnante, che il tempo "stressa" le vite, è il tempo che incalza le vite.
L'illusione di un essere che diventa non essere è pensare di dominare le apparenze.

Heidegger e Levians se pensano all'essere come nulla ritengono che prima venga la vita poi le essenze e infine l'essere: sbagliato è l'opposto.Perchè la vita  si manifesta dopo l'universo e le sue regole e i domini, perchè l'essere è precedente alle regole e domini, ma sono queste che svelano l'essere e non la vita.Se non fosse così ogni vita particolare sarebbe una verità assoluta e troppe vite reclamerebbero la propria assolutezza.
Questa è semplicemente "consapevolezza" perchè ovviamente non piovono dal cielo le verità, ameno che crediamo aquelle rivelate religiose. Noi confrontiamo esistenza e verità, perchè necessitiamo di un parametro critico che indirizzi i nostri pensieri, i nostri affetti, il nostro cammino.
Se la metafisica ci raccontasse di una verità, ma la vita non saprebbe coniugarla nella prassi, quella verità sarebbe comunuque sterile, priva di senso .La dialettica fra due domini :mondo dei fatti  e pensiero delle idee è il luogo in cui esistiamo

davintro

#5
Citazione di: paul11 il 19 Aprile 2019, 10:38:04 AME' importante chiarire, nella chiave di lettura di Severino, il rapporto Essere-Essenza-Esistenza . L'esistenzialismo ritiene il nulla a fondamento dell'ente, anche se afferma che in quanto ente, non sia niente. Questa è la chiave contraddittoria di tutta la fenomenologia ed esistenzialismo, ma direi di tutta la cultura moderna: è il nichilismo . Se la storia, l'esistenza, o valori come libertà, uguaglianza, ecc. non sono garantiti (direi legittimati) da alcun "essere trascendente" (quindi hanno come fondamento il niente), l'esistenza precede l'essenza. Ma non ha un immutabile a cui "appoggiarsi", a cui commisurarsi, eppure l'occidente ritiene di "non venire dal nulla". Il rifiuto "di non essere niente", è la persuasione di non volersi riconoscere con il niente, seppure sia il fondamento dell'intera civiltà occidentale. Prendendo coscienza di sé, la persuasione si manifesta come suo opposto: come negazione che l'ente sia niente. Ma nella negazione l'ente viene pensato come ciò che può non essere, così che la nientità dell'ente resta il fondamento della negazione che l'ente sia niente. Quando il tomismo, riprendendo la metafisica di Platone distingue fra"Esse per essentiam"ed "Entia per partecipationem" afferma che l'esistenza precede l'essenza .Se l'ente partecipa all'"esse"(con una connessione "sintetica") significa pensare l'ente come assoluta disponibilità all'essere e al non-essere. L'ente è (partecipa sinteticamente all'"esse"), ma sarebbe potuto restare un niente e potrebbe ridiventare un niente. Il pensiero moderno si rende conto che questa nientità dell'ente è possibile solo se l'ente non preesiste in un essere eterno(divino), vale a dire solo se il vuoto che l'ente non ha ancora occupato (o avrebbe potuto occupare, o ha cessato di occupare) non è riempito da un dio. Nell'affermazione che "l'esistenza precede l'essenza", l'essenza è la dimensione dell'essere eterno (esse per essentiam) e l'esistenza è l'ente che esiste come ciò che sarebbe potuto restare un niente. Se l'ente emerge dalla propria nientità e sarebbe potuto restare un niente, non ci può essere un'essenza eterna che precede l'esistenza dell'ente, e l'ente, in quanto niente, non può ancora essere. Questo ,per sommi capi, è il nichilismo della cultura occidentale e la contraddizione anche di Heidegger, Levinas, pensare ancora l'essere come nulla e l'esistenza che precede l'essenza. Qualunque narrazione, vita, non ha senso se non è commisurata ad una verità incontrovertibile, e quindi si riduce a natura, ad animale "sapiente", che venendo dal nulla e andando nel nulla, narra la sua nientità. La nostra cultura e la scienza moderna naturale e fisica è all'interno del vuoto del nulla. E' pensare la vita umana all'interno di leggi trasformative che si ritrasformano per mimesi. Eppure vivevano credendo la terra piatta, eppure vivevano credendo la terra fino alle colonne d'ercole. Eppure viviamo credendo alle leggi termodinamiche, della relatività e quantistica. Finchè altre leggi supereranno le attuali. Si continua a vivere sempre dentro un una verità falsificabile. Il problema della Tecnica ,per Severino e in estrema sintesi è il credere al passaggio fra Essere e non-Essere. Noi crediamo che un ente(una qualsiasi cosa fisica o pensiero) possa venire e poi sparire. La Tecnica racchiude il concetto del saper conoscere e del sapere fare, non la tecnica come definizione produttiva economica. La Tecnica occidentale è il creare per poi distruggere, il produrre per consumare, il vivere per poi morire. C'è sempre dal primo atto del "venire" il pensiero conseguente dello sparire, per cui l'atto costruttivo ha già in sè implicito quello distruttivo. Tutta la nostra cultura è ri-produttiva: si vive peri figli, si vive per consumare oggetti e vite, si vive pensando alla morte, si produce per riprodurre.Tutto questo perchè pensiamo che il divenire sia la legge fondamentale, che la vita sia prima dell'essenza e prima dell'essere, che i fatti vengano prima del pensiero, che le prassi siano più importanti del come disponiamo il pensiero. E il divenire è così per la nostra cultura pregnante, che il tempo "stressa" le vite, è il tempo che incalza le vite. L'illusione di un essere che diventa non essere è pensare di dominare le apparenze. Heidegger e Levians se pensano all'essere come nulla ritengono che prima venga la vita poi le essenze e infine l'essere: sbagliato è l'opposto.Perchè la vita si manifesta dopo l'universo e le sue regole e i domini, perchè l'essere è precedente alle regole e domini, ma sono queste che svelano l'essere e non la vita.Se non fosse così ogni vita particolare sarebbe una verità assoluta e troppe vite reclamerebbero la propria assolutezza. Questa è semplicemente "consapevolezza" perchè ovviamente non piovono dal cielo le verità, ameno che crediamo aquelle rivelate religiose. Noi confrontiamo esistenza e verità, perchè necessitiamo di un parametro critico che indirizzi i nostri pensieri, i nostri affetti, il nostro cammino. Se la metafisica ci raccontasse di una verità, ma la vita non saprebbe coniugarla nella prassi, quella verità sarebbe comunuque sterile, priva di senso .La dialettica fra due domini :mondo dei fatti e pensiero delle idee è il luogo in cui esistiamo


chiedo scusa se intervengo da profano non lettore di Severino, mi sentirei di dire una cosa riguardo il problema del rapporto essenza-esistenza. La contingenza del creato nell'ontologia teista, la possibilità del sua nullificazione, non implica a mio avviso la "precedenza" (termine ambiguo perché utilizzabile sia in accezione letterale/cronologica, oppure in chiave metaforica/logica) dell'esistenza sull'essenza, bensì uno stato originario in cui l'essenza non è prodotto successivo/secondario di qualcos'altro, ma è presente nella Mente, nel Verbo divino. L'essenza è modello ideale, archetipico, intelligibile, incorruttibile, in questo senso non può essere il prodotto di una causa efficiente di un'esistenza arbitraria e diveniente che lo precede. L'essenza è possibilità, e ogni possibilità è un'ente logico avente significato trascendentale, che resta tale indipendentemente dalle circostanze contingenti riguardanti il suo corrispettivo esistente. La contingenza della creatura consiste nella non-coincidenza tra essenza ed essere, la sua ragion d'essere non è immanente alla sua idea, è accidentale, deriva da Altro, ma questo non vuol dire negarne la componente di essenza, di immutabilità, semplicemente non si pone una necessità di attualizzazione nell'esistenza storica, attualizzazione che sarà demandata, appunto, alla storia, al divenire, ma l'entrata nella storia, nel divenire, sarà comunque l'avvio di un processo in cui l'ente non annienta la sua essenza, ma si muove all'interno delle delimitate possibilità di sviluppo insite in essa. Quindi (e qui mi pare di riallacciarmi al discorso di Severino) l'ontologia teista, con i suoi antecedenti in Platone e Aristotele, fondata sul riconoscimento della contingenza creaturale, sul superamento dell'identità parmenidea essere-essenza (che continua a valere per Dio, ma non per le sue creature), non implica affatto un'assolutizzazione nichilista del divenire, con tutte le implicazioni teoriche e pratiche (fede in un'onnipotenza della manipolazione tecnica ecc.), la trovo una forzatura ermeneutica. Il divenire è conseguenza dell'interazione della molteplicità di enti in relazione fra loro, ma ciò non toglie che le modalità di relazioni discendano pur sempre dall'identità costitutiva di ogni singolo ente, che se da un lato è condizionato dall'azione di un ente esterno, dall'altro preserva un suo livello di immutabile essenza che fissa un limite, oltre il quale alcune possibilità di divenire sulla base delle influenze esterne risultano comunque impossibili, proprio perché contraddittorie con tale essenza.

Menandro

@davintro

Provo a dare il mio contributo: secondo Severino, da un lato Aristotele ha il merito di enunciare il principio di non contraddizione, che respinge immediatamente il proprio negativo, dall'altro però intende temporalmente questo principio, quando nel Liber de Interpretatione scrive: "E' necessario che l'essere sia, quando è, e che il non essere non sia, quando non è; tuttavia non è necessario che tutto l'essere sia, né che tutto il non essere non sia". Nell'inciso "quando è" è pensata la contraddizione, cioè la possibilità che l'essere non sia. Questa contraddizione "nascosta" avrebbe per Severino un ruolo nello sviluppo nichilistico del pensiero occidentale.

0xdeadbeef

Noto che c'è, come dire, parecchina carne al fuoco...
In questo magma caotico di pensieri non riesco, forse naturalmente per colpa mia, a focalizzare
l'argomento di cui si sta discutendo. Green, che avvia la discussione, ringrazia me e Paul
puntualizzando però: "sebbene non accetti il vostro fermarvi alle soglie della questione".
Quale questione? La questione è forse di definire l'"Essere"?
Mi sembra palese e persino banale dire che l'"Essere" di Severino è quello di Parmenide (e
perciò NON quello di Aristotele e Heidegger - e men che meno quello di Kant, che intende
l'essere come "reale" in contrapposizione al "dover essere" ideale).
Essendo, quello di Severino, l'Essere di Parmenide esso è SEMPRE identico a se stesso, non
potendovi essere momenti temporali nei quali l'identico non è identico a se stesso (come invece
è nel PDNC aristotelico).
Quello di Parmenide e Severino è un principio di non contraddizione radicalmente ontologico:
"l'Essere è e non può non essere" significa che tutto ciò che è lo è sempre stato e lo sarà
per sempre. Nessuna "sostanza"; nessun "indiveniente NEL divenire" vi è contemplato; PERCHE'
non vi è contemplato il tempo.
Quindi, Green, non vi è "substrato", o "sostanza", perchè questi concetti arriveranno solo
con Aristotele, il quale innesterà nel PNC parmenideo il tempo, ovvero il divenire.
Da quel momento (dal "parricidio") l'Essere sarà inteso appunto come ricerca di un fantomatico
"substrato delle cose", ed anche in Heidegger si manterrà tale, individuato prima nel tempo
come "possibilità dell'esser-ci di progettarsi nel futuro", poi, dopo la "svolta", nella
physis.
Completamente diverso è invece il discorso sul noumeno kantiano, che nulla ha a che fare con
il "substrato" che il pensiero, nella storia (dopo Parmenide, ovviamente), ha teorizzato
come l'"Essere".
saluti

paul11

Citazione di: davintro il 19 Aprile 2019, 16:44:10 PM
Citazione di: paul11 il 19 Aprile 2019, 10:38:04 AME' importante chiarire, nella chiave di lettura di Severino, il rapporto Essere-Essenza-Esistenza . L'esistenzialismo ritiene il nulla a fondamento dell'ente, anche se afferma che in quanto ente, non sia niente. Questa è la chiave contraddittoria di tutta la fenomenologia ed esistenzialismo, ma direi di tutta la cultura moderna: è il nichilismo . Se la storia, l'esistenza, o valori come libertà, uguaglianza, ecc. non sono garantiti (direi legittimati) da alcun "essere trascendente" (quindi hanno come fondamento il niente), l'esistenza precede l'essenza. Ma non ha un immutabile a cui "appoggiarsi", a cui commisurarsi, eppure l'occidente ritiene di "non venire dal nulla". Il rifiuto "di non essere niente", è la persuasione di non volersi riconoscere con il niente, seppure sia il fondamento dell'intera civiltà occidentale. Prendendo coscienza di sé, la persuasione si manifesta come suo opposto: come negazione che l'ente sia niente. Ma nella negazione l'ente viene pensato come ciò che può non essere, così che la nientità dell'ente resta il fondamento della negazione che l'ente sia niente. Quando il tomismo, riprendendo la metafisica di Platone distingue fra"Esse per essentiam"ed "Entia per partecipationem" afferma che l'esistenza precede l'essenza .Se l'ente partecipa all'"esse"(con una connessione "sintetica") significa pensare l'ente come assoluta disponibilità all'essere e al non-essere. L'ente è (partecipa sinteticamente all'"esse"), ma sarebbe potuto restare un niente e potrebbe ridiventare un niente. Il pensiero moderno si rende conto che questa nientità dell'ente è possibile solo se l'ente non preesiste in un essere eterno(divino), vale a dire solo se il vuoto che l'ente non ha ancora occupato (o avrebbe potuto occupare, o ha cessato di occupare) non è riempito da un dio. Nell'affermazione che "l'esistenza precede l'essenza", l'essenza è la dimensione dell'essere eterno (esse per essentiam) e l'esistenza è l'ente che esiste come ciò che sarebbe potuto restare un niente. Se l'ente emerge dalla propria nientità e sarebbe potuto restare un niente, non ci può essere un'essenza eterna che precede l'esistenza dell'ente, e l'ente, in quanto niente, non può ancora essere. Questo ,per sommi capi, è il nichilismo della cultura occidentale e la contraddizione anche di Heidegger, Levinas, pensare ancora l'essere come nulla e l'esistenza che precede l'essenza. Qualunque narrazione, vita, non ha senso se non è commisurata ad una verità incontrovertibile, e quindi si riduce a natura, ad animale "sapiente", che venendo dal nulla e andando nel nulla, narra la sua nientità. La nostra cultura e la scienza moderna naturale e fisica è all'interno del vuoto del nulla. E' pensare la vita umana all'interno di leggi trasformative che si ritrasformano per mimesi. Eppure vivevano credendo la terra piatta, eppure vivevano credendo la terra fino alle colonne d'ercole. Eppure viviamo credendo alle leggi termodinamiche, della relatività e quantistica. Finchè altre leggi supereranno le attuali. Si continua a vivere sempre dentro un una verità falsificabile. Il problema della Tecnica ,per Severino e in estrema sintesi è il credere al passaggio fra Essere e non-Essere. Noi crediamo che un ente(una qualsiasi cosa fisica o pensiero) possa venire e poi sparire. La Tecnica racchiude il concetto del saper conoscere e del sapere fare, non la tecnica come definizione produttiva economica. La Tecnica occidentale è il creare per poi distruggere, il produrre per consumare, il vivere per poi morire. C'è sempre dal primo atto del "venire" il pensiero conseguente dello sparire, per cui l'atto costruttivo ha già in sè implicito quello distruttivo. Tutta la nostra cultura è ri-produttiva: si vive peri figli, si vive per consumare oggetti e vite, si vive pensando alla morte, si produce per riprodurre.Tutto questo perchè pensiamo che il divenire sia la legge fondamentale, che la vita sia prima dell'essenza e prima dell'essere, che i fatti vengano prima del pensiero, che le prassi siano più importanti del come disponiamo il pensiero. E il divenire è così per la nostra cultura pregnante, che il tempo "stressa" le vite, è il tempo che incalza le vite. L'illusione di un essere che diventa non essere è pensare di dominare le apparenze. Heidegger e Levians se pensano all'essere come nulla ritengono che prima venga la vita poi le essenze e infine l'essere: sbagliato è l'opposto.Perchè la vita si manifesta dopo l'universo e le sue regole e i domini, perchè l'essere è precedente alle regole e domini, ma sono queste che svelano l'essere e non la vita.Se non fosse così ogni vita particolare sarebbe una verità assoluta e troppe vite reclamerebbero la propria assolutezza. Questa è semplicemente "consapevolezza" perchè ovviamente non piovono dal cielo le verità, ameno che crediamo aquelle rivelate religiose. Noi confrontiamo esistenza e verità, perchè necessitiamo di un parametro critico che indirizzi i nostri pensieri, i nostri affetti, il nostro cammino. Se la metafisica ci raccontasse di una verità, ma la vita non saprebbe coniugarla nella prassi, quella verità sarebbe comunuque sterile, priva di senso .La dialettica fra due domini :mondo dei fatti e pensiero delle idee è il luogo in cui esistiamo


chiedo scusa se intervengo da profano non lettore di Severino, mi sentirei di dire una cosa riguardo il problema del rapporto essenza-esistenza. La contingenza del creato nell'ontologia teista, la possibilità del sua nullificazione, non implica a mio avviso la "precedenza" (termine ambiguo perché utilizzabile sia in accezione letterale/cronologica, oppure in chiave metaforica/logica) dell'esistenza sull'essenza, bensì uno stato originario in cui l'essenza non è prodotto successivo/secondario di qualcos'altro, ma è presente nella Mente, nel Verbo divino. L'essenza è modello ideale, archetipico, intelligibile, incorruttibile, in questo senso non può essere il prodotto di una causa efficiente di un'esistenza arbitraria e diveniente che lo precede. L'essenza è possibilità, e ogni possibilità è un'ente logico avente significato trascendentale, che resta tale indipendentemente dalle circostanze contingenti riguardanti il suo corrispettivo esistente. La contingenza della creatura consiste nella non-coincidenza tra essenza ed essere, la sua ragion d'essere non è immanente alla sua idea, è accidentale, deriva da Altro, ma questo non vuol dire negarne la componente di essenza, di immutabilità, semplicemente non si pone una necessità di attualizzazione nell'esistenza storica, attualizzazione che sarà demandata, appunto, alla storia, al divenire, ma l'entrata nella storia, nel divenire, sarà comunque l'avvio di un processo in cui l'ente non annienta la sua essenza, ma si muove all'interno delle delimitate possibilità di sviluppo insite in essa. Quindi (e qui mi pare di riallacciarmi al discorso di Severino) l'ontologia teista, con i suoi antecedenti in Platone e Aristotele, fondata sul riconoscimento della contingenza creaturale, sul superamento dell'identità parmenidea essere-essenza (che continua a valere per Dio, ma non per le sue creature), non implica affatto un'assolutizzazione nichilista del divenire, con tutte le implicazioni teoriche e pratiche (fede in un'onnipotenza della manipolazione tecnica ecc.), la trovo una forzatura ermeneutica. Il divenire è conseguenza dell'interazione della molteplicità di enti in relazione fra loro, ma ciò non toglie che le modalità di relazioni discendano pur sempre dall'identità costitutiva di ogni singolo ente, che se da un lato è condizionato dall'azione di un ente esterno, dall'altro preserva un suo livello di immutabile essenza che fissa un limite, oltre il quale alcune possibilità di divenire sulla base delle influenze esterne risultano comunque impossibili, proprio perché contraddittorie con tale essenza.
Per Severino tutti gli enti sono eterni e non crede in Dio(fu allontanato dall università Cattolica di Milano e se non erro persino scomuncato).
Perchè secondo l'interpretazione di Severino, Dio è pensato dal dogmatismo  come ex-nihilo,venuto dal niente e gli enti non corrispondendo a Dio entrano in contraddizione.In altri termini nella concezione immanentista-parmenidea di Severino, essere e Dio coincidono,
Nella concezione tomistica(S.Tommaso d'Acquino,dottore della Chiesa) l'"entia per partecipationem", l'ente viene pensato diverso rispetto
all'essere assoluto,o ancora, le cose sensibili sono pensate diverse rispetto  a Dio.Questo pensare diverso ,divide i domini e i tempi(eterno e divenire).

Invece per quanto riguarda come la penso io, trovo abbastanza giuste le tue considerazioni.Ma bisogna anche fare dei chiarimenti importanti.
Non penso che sia possibile costruire un'intero sistema filosofico sul procedimento logico come compie Severino.
O meglio, non è possibile assolutizzare le regole come fossero l'Essere.L'identità come regola non è l'essere,semmai la regola veicola il ragionamento razionale ben formato  al contenuto.
L'identità, la non contraddizione, il terzo escluso, vengono definiti principi, èun errore: sono regole e non sostanza.
Le proprietà, le regole sintattiche, ci spiegano come costruire un procedimento, ma non sono la sostanza del procedimento.
Le regole sono la sintassi, la chiave di lettura per costruire tassonomie, come classificare, sono la forma e quindi l'essenza.
L'essenza è infatti contrapposta all"accidente" al contingente.

Semmai ritengo importante le relazioni essere-essenza-esistenza, nell'amito ontologico-gnoseologico.
Se l'essere è pensato non ontologicamente e solo gnoseologicamente, l'essenza viene pensata come dipendente dall'esistenza per arrivare al disvelamento dell'essere. oppure in Kant la gnoseologia non permetterebbe di andare oltre al noumeno delle cose in sè

paul11

Citazione di: 0xdeadbeef il 19 Aprile 2019, 21:14:30 PM
Noto che c'è, come dire, parecchina carne al fuoco...
In questo magma caotico di pensieri non riesco, forse naturalmente per colpa mia, a focalizzare
l'argomento di cui si sta discutendo. Green, che avvia la discussione, ringrazia me e Paul
puntualizzando però: "sebbene non accetti il vostro fermarvi alle soglie della questione".
Quale questione? La questione è forse di definire l'"Essere"?
Mi sembra palese e persino banale dire che l'"Essere" di Severino è quello di Parmenide (e
perciò NON quello di Aristotele e Heidegger - e men che meno quello di Kant, che intende
l'essere come "reale" in contrapposizione al "dover essere" ideale).
Essendo, quello di Severino, l'Essere di Parmenide esso è SEMPRE identico a se stesso, non
potendovi essere momenti temporali nei quali l'identico non è identico a se stesso (come invece
è nel PDNC aristotelico).
Quello di Parmenide e Severino è un principio di non contraddizione radicalmente ontologico:
"l'Essere è e non può non essere" significa che tutto ciò che è lo è sempre stato e lo sarà
per sempre. Nessuna "sostanza"; nessun "indiveniente NEL divenire" vi è contemplato; PERCHE'
non vi è contemplato il tempo.
Quindi, Green, non vi è "substrato", o "sostanza", perchè questi concetti arriveranno solo
con Aristotele, il quale innesterà nel PNC parmenideo il tempo, ovvero il divenire.
Da quel momento (dal "parricidio") l'Essere sarà inteso appunto come ricerca di un fantomatico
"substrato delle cose", ed anche in Heidegger si manterrà tale, individuato prima nel tempo
come "possibilità dell'esser-ci di progettarsi nel futuro", poi, dopo la "svolta", nella
physis.
Completamente diverso è invece il discorso sul noumeno kantiano, che nulla ha a che fare con
il "substrato" che il pensiero, nella storia (dopo Parmenide, ovviamente), ha teorizzato
come l'"Essere".
saluti
ciao Mauro(Ox..)
perchè green ha ragione.La filosfia di Severino puntando sulla logica costruisce una metafisca "fredda" che non dà risposte sulla "calda" vita. o se le dà, francamente sono poco .....convincenti.
Come ho scritto o la metafisca aiuta la vita oppure è sterile.
A mio parere è infatti Aristotele a originare il dilemma della Tecnica,(come indica anche Menandro) quando inizia a focalizzare più la prassi che la teoretica.
Forse involontariamente, sposta l'asse filosfico  nelle prassi, che è in divenire, a sua volta contraddicendo la teoertica di Dio.
Tant'è che il tomismo e la scolastica medievale, prima della rivoluzione umanistica, sono impregnate di logica predicativa aristotelica, piuttosto che a Platone,per costruire la dogmatica cristiano cattolica.

davintro

Citazione di: Menandro il 19 Aprile 2019, 19:48:56 PM@davintro Provo a dare il mio contributo: secondo Severino, da un lato Aristotele ha il merito di enunciare il principio di non contraddizione, che respinge immediatamente il proprio negativo, dall'altro però intende temporalmente questo principio, quando nel Liber de Interpretatione scrive: "E' necessario che l'essere sia, quando è, e che il non essere non sia, quando non è; tuttavia non è necessario che tutto l'essere sia, né che tutto il non essere non sia". Nell'inciso "quando è" è pensata la contraddizione, cioè la possibilità che l'essere non sia. Questa contraddizione "nascosta" avrebbe per Severino un ruolo nello sviluppo nichilistico del pensiero occidentale.


credo qua sarebbe opportuno chiarire il contesto concettuale in cui in quest'opera, che confesso non ho letto, Aristotele utilizza la nozione di "essere". Nel caso fosse intesa nell'accezione parmenidea, l'Essere come idea generale, comprendente in modo indifferenziato la totalità degli enti, escludente il Nulla al di fuori di sé, emergerebbe la contraddizione di cui stiamo parlando. L'Essere perderebbe la sua eternità, restando soggetto a subire l'azione distruttiva di un agente causale esterno ad esso, vale a dire il Nulla, che verrebbe assurdamente presentato come causalità positiva efficiente, in quanto fattore di nullificazione dell'essere. Se invece, come penso sarebbe più lineare e coerente con lo spirito dell'ontologia aristotelica nel suo complesso, non si intende "essere" in generale, ma "essere" inteso come essere dei singoli enti mutevoli, allora la contraddizione dell'essere che si annulla, verrebbe superata nella distinzione di un livello della cosa essenziale, al di là del divenire, e di quello accidentale, che soggiace al divenire. L'essere della singola cosa non si ridurrebbe al primo livello, ma, comprendendo anche gli accidenti, comprenderebbe il divenire, e dunque si porrebbe come non-necessario, in riferimento al suo esistere. Ma la contingenza e la mutabilità riguarderebbe l'esistenza, non l'essenza, che invece, necessariamente ed eternamente, continuerebbe a imporre alla cosa una regola delimitante le sue possibilità di sviluppo, sulla base della suo significato logico sovratemporale, indipendentemente dal fatto che l'attualizzazione della cosa come esistente resterebbe contingente. Sarebbe contingente il passaggio all'esistenza, ma non la regola, che, nel caso la cosa esistesse, l'essenza ad essa imporrebbe. E dato che anche l'essenza è compresa nell' "essere", la nullificazione dell'esistenza della singola, non sarebbe, contraddittoriamente, la nullificazione dell'essere in generale, che nella sua dimensione essenziale e formale, continuerebbe ad avere un senso positivo, e altro rispetto al nulla. Il nulla sopprimerebbe nel divenire le componenti accidentali della cosa, non quelle essenziali, cosicché l'essere resta costante presenza nella cosa

0xdeadbeef

Citazione di: paul11 il 19 Aprile 2019, 22:08:09 PMciao Mauro(Ox..)
perchè green ha ragione.La filosfia di Severino puntando sulla logica costruisce una metafisca "fredda" che non dà risposte sulla "calda" vita. o se le dà, francamente sono poco .....convincenti.
Come ho scritto o la metafisca aiuta la vita oppure è sterile.
A mio parere è infatti Aristotele a originare il dilemma della Tecnica,(come indica anche Menandro) quando inizia a focalizzare più la prassi che la teoretica.
Forse involontariamente, sposta l'asse filosfico  nelle prassi, che è in divenire, a sua volta contraddicendo la teoertica di Dio.
Tant'è che il tomismo e la scolastica medievale, prima della rivoluzione umanistica, sono impregnate di logica predicativa aristotelica, piuttosto che a Platone,per costruire la dogmatica cristiano cattolica.


Ciao Paul
A parer mio non se ne "esce" fintanto che non viene compresa la differenza fra l'Essere
di Parmenide (e di Severino) e l'Essere di Aristotele (che poi è l'Essere così come
inteso da tutta la tradizione filosofica occidentale; Heidegger compreso, naturalmente).
Allora, Aristotele così definisce l'Essere: "l'Essere si dice in molti modi, ma uno
solo è il suo significato primario e fondamentale".
Con ogni evidenza, l'introduzione del concetto del divenire vuol dire anche la
frammentazione dell'Essere originario e monolitico di Parmenide, cioè la concettualizzazione
del "molteplice". Per cui adesso: "l'Essere si dice in molti modi"; ma la contemporanea
edificazione degli "immutabili", cioè degli indivenienti NEL divenire (momento che sia
per Heidegger che per Severino coincide con l'avvento della "metafisica"), fa dire ad
Aristotele: "ma uno solo è il suo significato primario e fondamentale"; cioè gli fa
dire quel che in seguito espliciterà con grande chiarezza: "il significato dell'Essere
è la sostanza di esso".
E' esattamente questa la radice di ogni concezione dell'Essere che si svilupperà in
seguito nel pensiero occidentale: l'Essere come sostanza, come substrato: in definitiva
come ciò che è indiveniente NEL divenire.
E, ritengo, a tal concetto poco aggiunge la tesi di Heidegger, che ritiene di individuare
l'Essere "fuori" dalla metafisica aristotelica, ma che in definitiva ne mantiene inalterata
la caratteristica forse più precipua: la "sostanza".
saluti

0xdeadbeef

Citazione di: 0xdeadbeef il 20 Aprile 2019, 19:26:07 PM
Citazione di: paul11 il 19 Aprile 2019, 22:08:09 PMciao Mauro(Ox..)
perchè green ha ragione.La filosfia di Severino puntando sulla logica costruisce una metafisca "fredda" che non dà risposte sulla "calda" vita. o se le dà, francamente sono poco .....convincenti.
Come ho scritto o la metafisca aiuta la vita oppure è sterile.
A mio parere è infatti Aristotele a originare il dilemma della Tecnica,(come indica anche Menandro) quando inizia a focalizzare più la prassi che la teoretica.
Forse involontariamente, sposta l'asse filosfico  nelle prassi, che è in divenire, a sua volta contraddicendo la teoertica di Dio.
Tant'è che il tomismo e la scolastica medievale, prima della rivoluzione umanistica, sono impregnate di logica predicativa aristotelica, piuttosto che a Platone,per costruire la dogmatica cristiano cattolica.



Ciao Paul
A parer mio non se ne "esce" fintanto che non viene compresa la differenza fra l'Essere
di Parmenide (e di Severino) e l'Essere di Aristotele (che poi è l'Essere così come
inteso da tutta la tradizione filosofica occidentale; Heidegger compreso, naturalmente).
Allora, Aristotele così definisce l'Essere: "l'Essere si dice in molti modi, ma uno
solo è il suo significato primario e fondamentale".
Con ogni evidenza, l'introduzione del concetto del divenire vuol dire anche la
frammentazione dell'Essere originario e monolitico di Parmenide, cioè la concettualizzazione
del "molteplice". Per cui adesso: "l'Essere si dice in molti modi"; ma la contemporanea
edificazione degli "immutabili", cioè degli indivenienti NEL divenire (momento che sia
per Heidegger che per Severino coincide con l'avvento della "metafisica"), fa dire ad
Aristotele: "ma uno solo è il suo significato primario e fondamentale"; cioè gli fa
dire quel che in seguito espliciterà con grande chiarezza: "il significato dell'Essere
è la sostanza di esso".
E' esattamente questa la radice di ogni concezione dell'Essere che si svilupperà in
seguito nel pensiero occidentale: l'Essere come sostanza, come substrato: in definitiva
come ciò che vi è di comune nel molteplice (che rimanda a ciò che è indiveniente NEL divenire).
E, ritengo, a tal concetto poco aggiunge la tesi di Heidegger, che ritiene di individuare
l'Essere "fuori" dalla metafisica aristotelica, ma che in definitiva ne mantiene inalterata
la caratteristica forse più precipua: la "sostanza" come ciò che vi è di unitario nel molteplice.
saluti

Menandro

Citazione di: davintro il 20 Aprile 2019, 15:55:44 PM
Citazione di: Menandro il 19 Aprile 2019, 19:48:56 PM@davintro Provo a dare il mio contributo: secondo Severino, da un lato Aristotele ha il merito di enunciare il principio di non contraddizione, che respinge immediatamente il proprio negativo, dall'altro però intende temporalmente questo principio, quando nel Liber de Interpretatione scrive: "E' necessario che l'essere sia, quando è, e che il non essere non sia, quando non è; tuttavia non è necessario che tutto l'essere sia, né che tutto il non essere non sia". Nell'inciso "quando è" è pensata la contraddizione, cioè la possibilità che l'essere non sia. Questa contraddizione "nascosta" avrebbe per Severino un ruolo nello sviluppo nichilistico del pensiero occidentale.
credo qua sarebbe opportuno chiarire il contesto concettuale in cui in quest'opera, che confesso non ho letto, Aristotele utilizza la nozione di "essere". Nel caso fosse intesa nell'accezione parmenidea, l'Essere come idea generale, comprendente in modo indifferenziato la totalità degli enti, escludente il Nulla al di fuori di sé, emergerebbe la contraddizione di cui stiamo parlando. L'Essere perderebbe la sua eternità, restando soggetto a subire l'azione distruttiva di un agente causale esterno ad esso, vale a dire il Nulla, che verrebbe assurdamente presentato come causalità positiva efficiente, in quanto fattore di nullificazione dell'essere. Se invece, come penso sarebbe più lineare e coerente con lo spirito dell'ontologia aristotelica nel suo complesso, non si intende "essere" in generale, ma "essere" inteso come essere dei singoli enti mutevoli, allora la contraddizione dell'essere che si annulla, verrebbe superata nella distinzione di un livello della cosa essenziale, al di là del divenire, e di quello accidentale, che soggiace al divenire. L'essere della singola cosa non si ridurrebbe al primo livello, ma, comprendendo anche gli accidenti, comprenderebbe il divenire, e dunque si porrebbe come non-necessario, in riferimento al suo esistere. Ma la contingenza e la mutabilità riguarderebbe l'esistenza, non l'essenza, che invece, necessariamente ed eternamente, continuerebbe a imporre alla cosa una regola delimitante le sue possibilità di sviluppo, sulla base della suo significato logico sovratemporale, indipendentemente dal fatto che l'attualizzazione della cosa come esistente resterebbe contingente. Sarebbe contingente il passaggio all'esistenza, ma non la regola, che, nel caso la cosa esistesse, l'essenza ad essa imporrebbe. E dato che anche l'essenza è compresa nell' "essere", la nullificazione dell'esistenza della singola, non sarebbe, contraddittoriamente, la nullificazione dell'essere in generale, che nella sua dimensione essenziale e formale, continuerebbe ad avere un senso positivo, e altro rispetto al nulla. Il nulla sopprimerebbe nel divenire le componenti accidentali della cosa, non quelle essenziali, cosicché l'essere resta costante presenza nella cosa

Penso che il senso del discorso di Aristotele sia proprio quello che hai indicato: tenendo ferma l'evidenza del divenire, si può distinguere tra l'essere degli enti, e l'essere al suo livello essenziale. Ma Severino contesta proprio che sia lecito fare questa distinzione, sostiene che l'essere non può essere qualcosa di accidentale, perché l'opposizione al nulla non è una proprietà, ma il senso stesso dell'essere. Parmenide ha enunciato "la verità dell'essere" (cioè l'opposizione assoluta di essere e non essere), ma poi ha tenuto separato l'essere dalla molteplicità delle determinazioni, che per lui sono soltanto "nomi". Per Severino invece "l'essere non è la totalità vuota delle determinazioni del molteplice (Parmenide), ma è la totalità delle differenze, l'area al di fuori della quale non resta nulla, ossia non resta alcunché di cui si possa dire che non è un nulla. L'essere è l'intero del positivo [...] Ogni determinazione è una positività determinata, un determinato imporsi sul nulla: essere determinato (ente)." Quando noi diciamo che un determinato ente non è più, diciamo che quell'essere determinato è diventato nulla, ma secondo Severino il nulla può essere predicato solo del nulla, "non è" si può dire solo del nulla.

paul11

#14
ciao Mauro(Oxdeadbeef)
ma la risposta tiene conto ovviamente anche ciò che scrivono Davintro e Menandro
Aristotele sapeva che logicamente con era possible superare il dilemma dell'essere parmenideo , tant'è che definì quest'ultimo "il terribile eleatico".
Ma tutti sappiamo che esistiamo in divenire. Semplicemente Aristotele nella prassi lo supera contraddittoriamente.
Come dire che la pratica supera la logica.
Severino a mio parere fa invece una metafisca più evoluta di Aristotele, mantenendo l'Essere parmeideo opera con la logica dialettica  attrivuendo all'Essere la sua celebre"Struttura originaria"(titolo di un suo libro) e sostanzialmente enuclea la differenza del non-essere in divenire come un negativo.Signifca che il fuoriscere dalla logica identitaria, per cui A= A e non può essere non-A,della struttura originaria dell'essere per manifestarsi ,per apparire nel divenire, contravvenedno alla regola identitaria che è già essenza, essendo regola, essendo quindi struttura, si apre alla contraddizione nel divenire che appare come negazione.
Ora non stò quì a tediare su come funziona la logica dialettica, di cui anche Berto che è un logico ha scritto .
Un punto è che l'essenza non può negare la sostanza; la sintassi, la forma, la struttura con le sue regole non può entrare in cortocircuito con la semantica, perchè allora non funziona logicamente qualcosa. Non ci può essere una regola che allo stesso tempo dica che una pera può essere solo una pera, e poi dire che nel divenire perde il suo essere pera e diventare qualcosa d'altro.
Quello che appare e si manifesta non è l'Essere, questo è il punto.La fenomenologia heideggeriana cerca l'essere nell'orizzonte dell'esistenza, nel destino, ma non mi pare vi sia l'operazione logica ontologica di dichiarazione dell'Essere, semplicemnte neppure Heidegger lo sa, perchè si pone come esistenza alla ricerca sia dell'essere sia dell'essenza, forse senza neppure nominre quest'ultima.(Mi manca l'approfondimento sull'opera di Heidegger).
Per Severino, direi che sia ovvio, in quanto logico con il suo pensiero ritenere che se l'umanità crede alla "follia" del divenire e avendo fatto ergere il dominio della tecnica, è "fatale" che si vada incontro ad un destino decadente, in quanto negazione degli essenti(degli enti che esistono apparendo e manifestandosi).La conoscenza scientifica naturale si determina nelle scoperte, e scoprire signifca disvelare,ma scopriamo ciò che esiste da sempre ed era non-visto ai nostri occhi per gli empiristi, per la scienza.
E' questo Essere da sempre che non può essere disvelato come quantità di conoscenze particolari

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