I tre stati di vita di Kierkegaard;: estetico, etico e religioso.

Aperto da Socrate78, 15 Gennaio 2023, 10:24:28 AM

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Socrate78

Secondo il filosofo danese Soren Kierkegaard esistono tre fondamentali modi di approcciare e vivere l'esistenza: quello estetico, etico e religioso. Nella vita estetica (impersonata dal Don Giovanni di Mozart e dal seduttore intellettuale Johannes in "Aut-aut") il soggetto decide di vivere in maniera edonistica attraverso la ricerca continua del piacere, dell'avventura emozionante, dell'attimo fuggente: l'esteta è colui che decide di non seguire un progetto di vita che gli dia stabilità e fissità, ma vive con assoluta leggerezza senza responsabilità ed impegni, preso dalla ricerca continua del piacere. L'esteta per Kierkegaard è condannato a vivere nella noia continua e nella disperazione di una vita senza senso, perché i piaceri effimeri non possono mai realizzarlo. L'esteta è "immediatamente ciò che è", nel senso che la sua personalità è cangiante ed effimera come gli attimi del piacere e quindi egli non è fondamentalmente nessuno.
La vita etica è quella in cui il soggetto decide di abbracciare alcuni valori morali fondamentali come l'impegno nel lavoro, il sacrificio, l'onestà e la fedeltà, diventa quindi un marito fedele, un professionista serio e scrupoloso ed aderisce alle responsabilità imposte dalla società. Ma anche la vita etica per Kierkegaard conosce lo scacco perché l'individuo non riesce mai a realizzare la sua esigenza di perfezione e di infinito, tutti i ruoli sociali prima o poi sono destinati a terminare (ad esempio con la morte) ed inoltre l'uomo per Kierkegaard è peccaminoso ed inadeguato e quindi la sua esigenza di perfezione è destinata al fallimento, da qui l'angoscia nel constatare l'inadeguatezza nel rivestire i ruoli morali e sociali che l'individuo si è dato. Per il filosofo l'unica esistenza che può salvare dall'angoscia esistenziale è la vita religiosa, in cui l'uomo si affida completamente alla volontà di Dio: il personaggio che incarna la vita religiosa è il personaggio biblico di Abramo, che decide, solo perché Dio glielo ordina, di sacrificare il figlio Isacco, pur essendo la sua decisione umanamente orribile ed assurda. Nella vita religiosa l'uomo con umiltà si affida alla volontà divina, ben sapendo che da solo non riuscirà mai a raggiungere quella perfezione a cui comunque anela.
Ma da qui sorge un quesito fondamentale: quale sarebbe la volontà divina? La volontà di Dio è definita anch'essa per chi crede dalla società, dalla Chiesa di appartenenza, dal parroco e quant'altro, quindi Kierkegaard descrive un modello irrealistico di uomo, quello di Abramo che stando alla Bibbia aveva un diretto contatto con il divino. Ne consegue che la vita religiosa finisce per coincidere di fatto con quella etica, non essendoci per la stragrande maggioranza delle persone la possibilità di acquisire quella spiritualità descritta dal filosofo danese come rapporto singolare tra l'uomo e Dio.
Secondo voi come mai in Kierkegaard non viene analizzato il ruolo sociale nella costruzione della fede, ma essa viene vista come qualcosa di indipendente dal contesto in cui l'uomo vive?

daniele22

Ciao Socrate, che chiedi spesso e rispondi poco. Secondo me gli stili di vita, estetico, etico e religioso, in un individuo dovrebbero essere sempre presenti a tratti, intendendo "religioso" nel senso più ampio di "rilegante". Chiaro sarebbe che dopo un'individuo tenderà più all'uno che all'altro assecondando il suo carattere di fondo.
Per quel che riguarda la domanda finale, mi sembra strano che il filosofo si sia avventurato a fare speculazioni sull'ambiente in cui vive l'individuo per decretarne l'insucceso, dato che a mio giudizio tutti e tre gli stili di vita emergerebbero comunque a prescindere dall'ambiente ... a meno che uno non viva da solo insomma

Ipazia

Perché, a voler tener conto del sociale, l'esito sarebbe stato fallimentare, riprecipitando nello "stadio etico". Da Tertulliano a Kierkegaard e oltre, la soluzione teista, metafisicamente inattaccabile, è sempre più "credo quia absurdum".
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

Phil

Citazione di: Socrate78 il 15 Gennaio 2023, 10:24:28 AMSecondo voi come mai in Kierkegaard non viene analizzato il ruolo sociale nella costruzione della fede, ma essa viene vista come qualcosa di indipendente dal contesto in cui l'uomo vive?
Ripassando un po' Kierkegaard, direi che la scelta di fare appello ad Abramo è dovuta al protestantesimo dell'autore, che è non a caso la versione del cristianesimo che meno confida nella intermediazione delle istituzioni religiose (che ricadono dunque in extremis nello stadio etico), privilegiando quel rapporto "diretto e personale" con Dio (che può sfociare anche nella mistica esistenziale).
Il caso di Abramo è emblematico perché viene superato lo stadio (e stato) etico, della legge umana e di quella religiosa del "non uccidere", poiché, essendo Dio assoluto e superiore a tutto, alla sua richiesta scandalosa di uccidere il proprio figlio viene destituita ogni legge (anche a quella stessa divina; se Dio cambia idea, la sua ultima parola è quella che vale). Abramo è colui che, nella sua emblematica solitudine (anche nell'episodio narrato ), ha fede in Dio anche quando gli chiede di compiere gesti umanamente assurdi, e in ciò rappresenta la sottomissione della soggettività, pensante e affettiva, al volere divino. Ma ciò rappresenta anche come Dio possa mettere alla prova solo per vedere quanta fede si ha in lui: di fatto Isacco, alla fine, la scamperà (tranne che in una versione dei «Diari» di Kierkegaard). Da notare, come, in una versione proposta dall'autore, prima di compiere il gesto "disumano" (in quanto di ordine divino), Abramo "protegga" Dio, il "mandante", dicendo ad Isacco che non sta facendo la volontà di Dio (ma non è questo rinnegare Dio, come fece Pietro?), per timore che Isacco perda la fede (ragionamento etico, seppur finalizzato alla fede); Abramo sceglie la propria fede in Dio sopra all'amore paterno, al punto da voler anche tutelare la fede in Dio della vittima sacrificale.
Il famoso "salto nella fede" tuttavia non è sinonimo, per Kierkegaard, di gioia e serenità, ma, proprio nel suo essere asimmetrico contatto con il divino, con una volontà superiore, paradossale per la razionalità umana, etc. comporta "timore e tremore" (come la sua opera), anch'essi emblematicamente incarnati da Abramo che non è certo gioioso nell'(e)seguire la richiesta di Dio, richiesta che non comprende razionalmente (né eticamente), non condivide emotivamente, eppure verso cui ha fede.
Ulteriore criticità nel rapporto con Dio, nonostante il ruolo non secondario del concetto di "provvidenza divina" (adesione alla volontà di Dio come possibilità), è la mancata certezza della chiarezza della volontà divina, in assenza di autorità di riferimento (o di "voci dal cielo", come per Abramo): la possibilità della scelta sbagliata, del fraintendere la volontà di Dio, la libertà di peccare senza che ci venga "segnalato dall'alt(r)o", etc. rendono la scelta della fede un gesto tanto radicale quanto "tormentato", basato sulla disperazione per se stessi e l'angoscia per le possibilità del mondo («disperazione» e «angoscia» nel senso kierkegaardiano). Insomma, quella di Kierkegaard non è una fede per chi ama la serenità né per deboli di cuore.

niko

Abramo sacrifica Isacco...

-punto fondamentale: lo sacrifica REALMENTE, in in sorta di linea temporale alternativa che avrebbe dovuto essere quella vera, interrotta soltanto dal "pietoso" miracolo dell'angelo che ferma la mano assassina; in altre parole Dio si appaga nel contemplare un imagine del futuro in cui Abramo obbedisce e uccide, anche poi non la rende reale, tale immagine, e ne rende reale un'altra-

E lo sacrifica nella convinzione di riceverne in cambio tutto, di riceverne in cambio la felicita' finanche su questa terra, in quanto un ordine che viene da Dio non puo' che essere buono e portatore di bene (non per niente Abramo e' il cavaliere della fede).

Quindi, nel SILENZIO di Dio che ormai non si degna di manifestare piu' una volonta' precisa a noialtri tardivi mortali che NON siamo Abramo e NON sentiamo (direi per fortuna) le voci e le vocine nella nostra zucca, non rimane che lo scheletro, astratto, di questa storia, di questa vicenda, che solo nel caso eccezionale di Abramo fu concreta:

Se si ha fede, bisogna sacrificare tutto (tutto=Isacco, che per Abramo era tutto) nella convinzione di riceverne in cambio tutto (Dio ci restituira' il nostro "Isacco", PARADOSSALMENTE se e solo se noi lo sacrifichiamo).

Come nell' evangelico: lascia tutto e seguimi.

Possediamo solo quello che doniamo.

Lo stato religioso e' necessario di per se' perche' lo stato etico ed estetico non sono soddisfacenti.

Kierkegaard sente la necessita' di sacrificarli, questi stati, di donarli ad altro in nome di altro, anche se non pensa di esserne ricompensato su questa terra: egli e' il cavaliere dell'infinito, e non della fede, come lo fu solo Abramo.

Si tratta di negare e di attraversare fino all'estremo opposto il male di vivere anche se attualmente non c'e' la certezza del bene, non c'e' la volonta' di Dio manifesta in forma di voce, e quindi, pur intraprendendo la traversata, non ne riceveremo in cambio un bene.

Il rinnegamento silente e valoriale dello stato etico ed estetico e' gia', uno stato religioso.

Anche la sola e labile possibilita', che Dio "parli", insomma che in qualche modo si riveli, a chi ha nichilisticamente sacrificato dentro di se', nella propria interiorita' il mondo, e il "mondano" in generale (quindi a chi ha sacrificato il proprio Isacco per Isacco) sopprime tutte le altre possibilita' e fa sopportare lo stato etico ed estetico come mere realta' e lineari necessita', quindi come qualcosa di MENO angosciante, dato che in Kierkeegard l'angoscia nasce dalla possibilita', e si placa solo nella realta'/necessita'.

Il suo problema, e' come rendere sopportabili lo stato etico ed estetico, per renderli sopportabili deve sopprimerne tutte le multiformi e varie  possibilita', per sopprimerne tutte le possibilita', deve aprirsi alla possibilita' di altro: ecco il senso, e la collocazione, dello stato religioso.

Che e' un nulla rispetto alla realta' della terra, infatti la speranza di Kierkegaard e' al massimo ultramondana, non cerde che gli uomini di fede saranno sulla terra ricompensati, o anche solo che affronteranno meno travagli.

L'uomo e' solo come Dio e' solo, e da questo nasce l'unica possibilita' della loro relazione, che e' relazione nonostante una distanza infinita, nonostante un aut aut.

Dio infinitamente NON e' l'uomo, e' qualitativamente infinitamente diverso: e' per questo che la scelta tra Dio e l'uomo e' di per se' infinitamente significativa, e Kierkegaard puo' farla nel senso dello scegliere Dio contro ogni logica e ogni ragione.

La fede riconduce il mondo a unita', ne' "elimina" dunque le possibilita', al prezzo di farne, di fare del mondo intendo, il termine unitario di una scelta, nel profilarsi della possibilità di una scelta radicalmente opposta.

E chi ha fede, non sceglie il mondo.




Ci hanno detto che potevamo scegliere tra la pace e il climatizzatore, non abbiamo ottenuto nessuno dei due.

green demetr

Citazione di: Socrate78 il 15 Gennaio 2023, 10:24:28 AMSecondo il filosofo danese Soren Kierkegaard esistono tre fondamentali modi di approcciare e vivere l'esistenza: quello estetico, etico e religioso. Nella vita estetica (impersonata dal Don Giovanni di Mozart e dal seduttore intellettuale Johannes in "Aut-aut") il soggetto decide di vivere in maniera edonistica attraverso la ricerca continua del piacere, dell'avventura emozionante, dell'attimo fuggente: l'esteta è colui che decide di non seguire un progetto di vita che gli dia stabilità e fissità, ma vive con assoluta leggerezza senza responsabilità ed impegni, preso dalla ricerca continua del piacere. L'esteta per Kierkegaard è condannato a vivere nella noia continua e nella disperazione di una vita senza senso, perché i piaceri effimeri non possono mai realizzarlo. L'esteta è "immediatamente ciò che è", nel senso che la sua personalità è cangiante ed effimera come gli attimi del piacere e quindi egli non è fondamentalmente nessuno.
La vita etica è quella in cui il soggetto decide di abbracciare alcuni valori morali fondamentali come l'impegno nel lavoro, il sacrificio, l'onestà e la fedeltà, diventa quindi un marito fedele, un professionista serio e scrupoloso ed aderisce alle responsabilità imposte dalla società. Ma anche la vita etica per Kierkegaard conosce lo scacco perché l'individuo non riesce mai a realizzare la sua esigenza di perfezione e di infinito, tutti i ruoli sociali prima o poi sono destinati a terminare (ad esempio con la morte) ed inoltre l'uomo per Kierkegaard è peccaminoso ed inadeguato e quindi la sua esigenza di perfezione è destinata al fallimento, da qui l'angoscia nel constatare l'inadeguatezza nel rivestire i ruoli morali e sociali che l'individuo si è dato. Per il filosofo l'unica esistenza che può salvare dall'angoscia esistenziale è la vita religiosa, in cui l'uomo si affida completamente alla volontà di Dio: il personaggio che incarna la vita religiosa è il personaggio biblico di Abramo, che decide, solo perché Dio glielo ordina, di sacrificare il figlio Isacco, pur essendo la sua decisione umanamente orribile ed assurda. Nella vita religiosa l'uomo con umiltà si affida alla volontà divina, ben sapendo che da solo non riuscirà mai a raggiungere quella perfezione a cui comunque anela.
Ma da qui sorge un quesito fondamentale: quale sarebbe la volontà divina? La volontà di Dio è definita anch'essa per chi crede dalla società, dalla Chiesa di appartenenza, dal parroco e quant'altro, quindi Kierkegaard descrive un modello irrealistico di uomo, quello di Abramo che stando alla Bibbia aveva un diretto contatto con il divino. Ne consegue che la vita religiosa finisce per coincidere di fatto con quella etica, non essendoci per la stragrande maggioranza delle persone la possibilità di acquisire quella spiritualità descritta dal filosofo danese come rapporto singolare tra l'uomo e Dio.
Secondo voi come mai in Kierkegaard non viene analizzato il ruolo sociale nella costruzione della fede, ma essa viene vista come qualcosa di indipendente dal contesto in cui l'uomo vive?
Soren faccio fatica a leggerlo.

Da alcune interpretazioni di Cacciari, l'individuo è solo rispetto all'angoscia della morte, siamo di fronte ad una lezione di un nichilismo esasperato e morboso.
Dove la socialità è una macchietta rispetto al destino individuale di morte.

L'episodio biblico, io tenderei a risolverlo come il suo esatto opposto.
Se abramo avesse obbedito sarebbe stato maledetto, è grazie all'azione angelica che invece viene salvato.
Ovvero non esiste alcun ordine superiore che sia superiore alla comunità.
Ma questa è una mia opinione su una lettura personale della bibbia ebraica.
salve.

Vai avanti tu che mi vien da ridere

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