I postulanti dell'Assoluto

Aperto da Ipazia, 17 Agosto 2020, 16:43:12 PM

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Ipazia

Peccato si sia concluso questo avvincente scambio tra Phil e Johannes a base di raffinatezze metafisiche in cui il logos si ritrova, cosa rara in un social, in gran spolvero.

Ma il postulante dell'Assoluto continua a postularlo anche a livelli infinitamente più terra-terra per cui più che di sottigliezze metafisiche, coi loro bias etici e metaetici, qui si tratta proprio di sete esistenziale del genere di cui in altra discussione InVerno ha relazionato.

Ma davvero di quella sete non si può fare a meno, trovando nel pantarei la propria misura ?

Essere o esserci, questo è il problema. Essere-per-la-morte ignorando che si-è-per-la-vita o accettare finalmente la vita così com'è, per niente assoluta, con tutta la sua bellezza che non ha bisogno di sofisticate protesi metafisiche e illusorie trascendenze, come ci insegnò lo Jasager.

Vivere, forse sognare, ma senza partorire mostri. Eventualmente angeli, come fece Rilke.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

Donalduck

#76
Citazione di: Ipazia il 17 Agosto 2020, 16:43:12 PM
Da tempi immemori, intrecciandosi con la religione, la filosofia ha perseguito il mito dell'assoluto. Esso costituisce il Santo Graal del pensiero metafisico e, malgrado le sciabolate della modernità e post che ne hanno disintegrato i fondamenti ontologici ed epistemologici, i postulanti dell'assoluto continuano nella loro nave di Teseo a sostituire pezzi teoretici per permettere all'assoluto di riprendere il mare della riflessione filosofica.

L'impresa è disperata e assomiglia piuttosto al celebre quadro di Théodore Géricault che ad una tranquilla avventura del pensiero.

Partendo dai numi fino alla cosa in sè si sono fatti numeri da circo per sostenere la causa dell'assoluto, il quale sempre più si è negato affogandone le pretese nel fiume Pantarei già noto agli antichi più metafisicamente accorti. Volendo trovare una mediazione si dovrebbero riporre le aspettative in assoluti alquanto relativi, ma che interessano un po' tutti noi, come la vita umana e la cura e preservazione del pianeta che ci ospita. Là c'è spazio per fare, cum grano salis, esercitazioni di assoluto. Rigorosamente con l'iniziale minuscola e la falsificazione dietro l'angolo.


Quando l'assoluto da asintotica meta di un'avventura del pensiero diventa esigenza esistenziale abbiamo l'assolutismo, che si manifesta in tutti gli ambiti dell'attività umana.

In politica sappiamo bene a cosa porta: alla cristallizzazione dell'ingiustizia, all'annientamento della libertà individuale e opzionalmente alla follia collettiva.

In filosofia conduce a un accanimento speculativo con cui un viaggio nelle profondità del pensiero si trasforma in una missione impossibile che si vuole a tutti i costi credere possibile.

In ambito scientifico genera l'illusione che si possa mai arrivare una "teoria del tutto" che sveli tutti i misteri dell'esistenza, descritti nel linguaggio formale della matematica. E, quel che è peggio, a una schiera di fedeli della scienza che in essa trovano un sostituto della religione, che al grido "la scienza non è democratica!", cercano di mettere a tacere gli infedeli e gli eretici e di imporre le loro "verità" e la loro visione del mondo, tra l'altro spesso non supportata da una riflessione filosofica, ma solo dal sacro "metodo scientifico", ossia dalla sua immagine divinizzata.

In ambito spirituale (o psichico, se si preferisce) alla riproduzione fantasmatica amplificata virtualmente all'infinito del sovrano assoluto (Dio) e della sua corte in potenti quanto disturbanti scenari immaginativi che, per mezzo della "fede" sostituiscono in parte la percezione e il pensiero alterando il funzionamento della mente e condizionando pesantemente anche la sfera emotiva il libero esercizio della volontà. Del tutto funzionale all'assolutismo politico, anzi sua emanazione.

Aumkaara

Manca un punto, secondo me, tra quelli elencati da Donalduck, che forse è quello a cui più propriamente si dovrebbe dare il nome di spiritualità o di psicologia (mentre quello che si riferisce a Dio o a potenze universali forse è meglio definibile come religione, e quindi più affine alla politica, anche perché meglio controllabile rispetto a quello di cui parlo ora), ma che forse andrebbe definito come esperenziale o coscienziale (se non fosse che esperienza e coscienza sono parole particolarmente ambigue, soprattutto la seconda): è quello che cerca un assoluto nella trama stessa della propria esperienza cosciente, oltre qualunque percezione, emozione e pensiero. Ha il difetto di astrarti da tutto, e ha il pregio di essere il meno fastidioso per gli altri. Al pari degli altri assoluti cercati, anche questo non è afferrabile, e, sempre come gli altri (anche se alcuni in particolare, e questo è tra quelli), la sua ricerca porta a cambiare il proprio assetto mentale, sia nell'emotività e nel modo di percepire, e sia nella volontà e nei modi di pensare.
È l'assolutizzazione più radicale, ma non necessariamente la più estremista. È anche necessaria, e persino inevitabile, come lo è ogni assolutizzazione: se si nega di assolutizzare qualcosa, è perché si sta assolutizzando comunque qualcosa inconsciamente, magari proprio la negazione di ogni assoluto.
E lo scopo di questa ricerca, l'unica vera utilità, sta nei cambiamenti che avvengono in chi la esercita (cambiamenti utili anche solo ad assolutizzare sempre meno qualcosa, o come minimo a rendersi conto di quando lo si fa), non nell'oggetto della ricerca: non perché non ci sia assolutamente un assoluto (sembra un gioco di parole, ma non lo è più di qualunque altra dichiarazione), ma perché, se c'è un assoluto, sarebbe la "sostanza" di ogni soggetto cercante e di ogni oggetto cercato, e non potrebbe mai essere a sua volta oggettivizzato.

Jacopus

L'assoluto è il soggetto occidentale, da Omero a Cartesio. Dopo Cartesio, il nesso soggetto-assoluto ha iniziato a scricchiolare, ma più di 2000 anni di "soggetto assoluto" non si cancellano tanto facilmente.
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

Ipazia

E' la verità a non essere democratica e la scienza ne è l'ancella. La verità non necessita dell'Assoluto trascendente, totalizzante e totalitario, ma si accontenta di assoluti localizzati come il cogito cartesiano, giustamente richiamato, luogo di ogni specifica ed irripetibile autocoscienza individuale umana sospesa tra due punti fatali.

Ripartire da quell'assoluto circoscritto ci permette di liberarci di tanta alienante zavorra veterometafisica e rifondare le relazioni su fondamenti immanenti.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

viator

Salve Ipazia. Scusami ma gli assoluti localizzati e quelli circoscritti a me puzzano tanto di relativo. Sono comunque d'accordo con te circa il fatto che noi possiamo misurarci solo con i relativi, che è vano, dispersivo, inefficiente il postulare l'esistenza e l'efficacia di una metafisica, ma io continuo a venir sedotto dalla indimostrabilità della mancanza dell'inesistente.

"Tutto è relativo, e l'insieme di tutti i relativi si chiama ........". Salutoni.
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

Ipazia

La vita individuale autocosciente è un piccolo, irripetibile, assoluto. Non diventa un Assoluto perchè in questo caso la somma (Tutto) non è possibile, è unsinnig, priva di senso, come dicono i tedeschi. Sensata è solo la condivisione: della stessa umana sorte. Questa condivisione è il massimo assoluto che la condizione umana si può permettere. Per nulla dato ma sempre posto. Cum grano salis, ovvero cercando nell'immanenza i fondamenti veritativi ed etici capaci di non farci affogare in una palude relativistica notturna in cui tutte le vacche paiono nere.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

Ipazia

Mi fa piacere che la discussione sia tornata nel suo alveo originario dove può essere approfondita anche tuttologicamente perchè il suo scopo è individuare, come ho osservato in altre discussioni, il male ed il bene a partire dall'immanenza, dagli assoluti empiricamente rilevabili al netto di ogni vaso di Pandora illusionale il cui scoperchiamento ha prodotto millenni di inquisitori, martiri suicidi e assassini, e profeti schizzati portatori di spade e scimitarre, terre promesse e soli avveniristici.

E' il percorso dell'apatia stoica, dell'atarassia epicurea e, sorprendentemente ma non troppo perchè il dna metafisico antropologico è sempre lo stesso, dell'illuminazione buddista. Tutti questi percorsi partono dall'unica verità incontrovertibile radicata nell'immanenza non illusionalmente adulterata: la finitezza della vita umana e il dolore, fisico prima che metafisico, che l'accompagna.

"Fisico prima che metafisico" anche metafisicamente. Solo così si possono disinnescare i deliri millenaristici dei postulanti dell'Assoluto che tanto dolore hanno aggiunto a quello canonico prodotto da "mamma natura". Da non deificare mai, altrimenti l'eterno ritorno infernale del delirio illusionale non cesserà.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

Aumkaara

#83
Citazione di: Ipazia il 09 Novembre 2020, 22:18:57 PM
E' la verità a non essere democratica e la scienza ne è l'ancella. La verità non necessita dell'Assoluto trascendente, totalizzante e totalitario, ma si accontenta di assoluti localizzati come il cogito cartesiano, giustamente richiamato, luogo di ogni specifica ed irripetibile autocoscienza individuale umana sospesa tra due punti fatali.

Ripartire da quell'assoluto circoscritto ci permette di liberarci di tanta alienante zavorra veterometafisica e rifondare le relazioni su fondamenti immanenti.
Sì, la verità non è democratica, ma non è neanche aristocratica. Non è identificabile né con la trascendenza né con l'immanenza. Quei pochi che non la ipostatizzano né la negano ma la ricercano, alla fine dovranno "accontentarsi" di stabilizzarsi in un punto tra immanenza e trascendenza.
La scienza quindi non può essere ancella di essa (ha un orientamento ben preciso, quello immanente), ma solo di una parte di noi, quella più rigorosa e precisa. Da questo punto di vista la scienza tende all'aristocrazia, ma deve concedersi alla democrazia perché chi la esercita ufficialmente è preda sia dei propri aspetti interiori meno rigorosi e precisi, e spesso inconsci (e persino tendenti inconsapevolmente ad un qualche tipo di trascendenza), sia di un apprendimento rigoroso e preciso ma proprio per questo rigido (non si dovrebbe confondere il rigore da applicare nella scienza con la rigidità con cui a volte si apprendono le cose, anche quelle scientifiche), e quindi ha bisogno del contributo di idee democraticamente diverse per non confondere il rigore utile alla ricerca con una rigidità applicata alle proprie conclusioni preconcette.


Donalduck

Citazione di: Ipazia il 09 Novembre 2020, 22:18:57 PM
E' la verità a non essere democratica e la scienza ne è l'ancella. La verità non necessita dell'Assoluto trascendente, totalizzante e totalitario, ma si accontenta di assoluti localizzati come il cogito cartesiano, giustamente richiamato, luogo di ogni specifica ed irripetibile autocoscienza individuale umana sospesa tra due punti fatali.
Ripartire da quell'assoluto circoscritto ci permette di liberarci di tanta alienante zavorra veterometafisica e rifondare le relazioni su fondamenti immanenti.

La scienza non è né democratica né antidemocratica. La scienza non dice nulla, non fa nulla, non prende posizione su nulla. La scienza è solo un'astrazione, un concetto che indica un insieme molto complesso di attività umane e il loro prodotto. Solo gli uomini dicono, fanno, prendono posizione.

Per cui non la scienza, ma la comunità scientifica (altra astrazione, ma riferita a qualcosa di più concreto, una collettività umana operante) si può considerare più o meno democratica a seconda di quanto e come sia organizzata e di come funzioni. Per come è attualmente, dal momento che in generale non ha una vera organizzazione ufficialmente riconosciuta, si può considerare formalmente anarchica. Allo stesso tempo, dato che inevitabilmente si creano al suo interno centri di potere con legami con altri centri di potere che finiscono con determinare le tendenze prevalenti, si può parlare di oligarchia sostanziale dietro un'anarchia formale, proprio come per la nostra democrazia politica si può parlare di un'oligarchia sostanziale dietro una democrazia formale (anche se di forma piuttosto grossolana).

D'altra parte, la verità non è altro che una convenzione, più o meno universalmente accettata, fondata su criteri più o meno arbitrari, più o meno basati su esperienze condivisibili e condivise (a loro volta più o meno accuratamente ripetibili e tracciabili attraverso misurazioni), ma comunque saldamente ancorata al riconoscimento individuale. Nessuno potrà convincermi che due più due fa quattro se non ne vedo l'evidenza. E l'evidenza è un fatto percettivo, ci si presenta, così come i dati sensoriali complessi ma sintetici: vedo una sedia, c'è una sedia, non c'è nulla da dimostrare, la sedia è lì nella sua evidenza.

L'idea di una verità o di una scienza "non democratica" nasce appunto da quella di una metafisica assoluta, dalla convinzione che ci sia una una controparte del processo conoscitivo umano (la realtà) che si impone con una sua precisa, definita e definitiva essenza intrinseca del tutto indipendente, la famosa cosa in sé, al di là delle sottigliezze filosofiche che la trasfigurano in mille modi. Un'idea utile, perfino indispensabile, fin quando non si tenta, appunto, di assolutizzarla, dimenticando che percettore e percepito, osservatore e osservato, formano un tutt'uno inscindibile come i due lati di un foglio. Cosa facilmente constatabile ma di cui ci si dimentica facilmente finché qualcosa non ce lo ricorda in modo più o meno brutale (come nella fisica quantistica).

Quindi, se davvero vogliamo "rifondare le relazioni su fondamenti immanenti" dobbiamo accettare questo carattere convenzionale della verità, che rende conto anche delle sue alterne vicende e dei suoi stravolgimenti e rinunciare soprattutto a farcene portavoce abusivi, accontentandoci di esercitare opera di convincimento, se vogliamo, ma senza nessuna pretesa e soprattutto senza tentativi di coercizione. Democraticamente.

Donalduck

Citazione di: Aumkaara il 09 Novembre 2020, 17:44:56 PM
Manca un punto ... quello che cerca un assoluto nella trama stessa della propria esperienza cosciente, oltre qualunque percezione, emozione e pensiero.
...E lo scopo di questa ricerca, l'unica vera utilità, sta nei cambiamenti che avvengono in chi la esercita (cambiamenti utili anche solo ad assolutizzare sempre meno qualcosa, o come minimo a rendersi conto di quando lo si fa), non nell'oggetto della ricerca.
Questa per me è un'altra cosa che non ha niente a che fare con l'assoluto "oggettivo", che è quello di cui parlavo. Come dice Ipazia "la vita individuale autocosciente è un piccolo, irripetibile, assoluto". L'esperienza individuale è un assoluto nel senso che "è quello che è" in ogni momento, non c'è una realtà o una verità alternativa a quella rivelata da quest'esperienza. Se anche mi rendo conto di aver preso un abbaglio, questo non influisce sulla mia passata esperienza, ma solo sulla sua attuale valutazione da parte mia.
Io questa ricerca preferisco chiamarla ricerca dell'autenticità e sottolinearne il carattere negativo, che consiste nell'eliminazione, nei limiti del possibile, di condizionamenti e pregiudizi, sia nella sfera mentale che in quella emotiva, per arrivare a cogliere il messaggio più immediato, l'interazione più genuina, la spontaneità dei fenomeni e il loro più recondito significato.

Ipazia

L'idea di una scienza non democratica nasce dalla forza di gravità, indifferente ad ogni decreto, convenzione e assembramento umani. Forza di gravità fondamento, nel suo ambito, di verità (provare a negarla e vedere l'effetto che fa). Quella verità di cui la (cono)scienza è ancella.

Convenzionali sono le unità di misura, politiche le camarille che la parassitano, ma l'unica verità cui tutti si affidano, compresi i negazionisti, è quella scientifica. Ancora troppo limitata, rispetto alla complessità del reale, ma extra scientiam, nulla salus.

La scienza non si occupa di noumeni, ma di fenomeni. E lo fa molto bene creando ambiti di sapere in cui i modelli gnoseologici funzionano così bene da produrre prodigi reali. Semmai l'accusa di assolutismo metafisico va rivolta a chi non si accontenta di queste operazioni sull'immanente, ma vuole la verità assoluta, la trascendenza. Accusando la scienza di non essere in grado di darla o, all'opposto, di proporne una artefatta. Dimostrando, in entrambi i casi, di non aver capito nulla di come funziona la ricerca scientifica e del significato di verità scientifica.

Per quanto gli si cambi nome, forma e rintracciabilità, l'arsenico è un veleno (provare per credere). Di questa verità è fatta la scienza, e questa verità si è affinata e perfezionata soltanto grazie alla scienza. Totalmente immanente.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

Donalduck

#87
Citazione di: Ipazia il 11 Novembre 2020, 19:53:02 PM
L'idea di una scienza non democratica nasce dalla forza di gravità, indifferente ad ogni decreto, convenzione e assembramento umani. Forza di gravità fondamento, nel suo ambito, di verità (provare a negarla e vedere l'effetto che fa). Quella verità di cui la (cono)scienza è ancella.
Convenzionali sono le unità di misura, politiche le camarille che la parassitano, ma l'unica verità cui tutti si affidano, compresi i negazionisti, è quella scientifica. Ancora troppo limitata, rispetto alla complessità del reale, ma extra scientiam, nulla salus.
Si tratta di due diversi livelli di convenzione e due diversi ambiti applicativi. La prima si riferisce alla interpretazione di fenomeni, esperienze che in qualche modo condividiamo. La forza di gravità non è affatto una verità, è un'interpretazione convenzionale di un certo tipo di fenomeni che possiamo costantemente osservare, la concretizzazione concettuale di una serie di relazioni osservate, misurazioni effettuate, elaborazioni concettuali, teorizzazioni e verifiche. Solo nella mente scientisticamente orientata (dove per scientismo intendo la scienza intesa come mezzo di conoscenza e d'interpretazione universale e unico dell'esperienza) tale forma assume l'aspetto di una verità. Una verità che comunque è sempre relativa a noi, alla nostra percezione, alla nostra capacità di ricevere ed elaborare dati, direttamente o indirettamente. Quindi alla relazione tra noi umani e quello che, collettivamente percepiamo più o meno nello stesso modo. Ma non mancano le eccezioni (visioni e "allucinazioni", stati alterati della coscienza, fenomeni cosiddetti paranormali di cui è impossibile verificare natura e "reale" sussistenza o meno, ma di cui esistono numerose testimonianze).

La seconda è la convenzione deliberata, consapevole, strumentale, quella delle unità di misura e dei linguaggi e di tante altre cose.

Ma il tipo di convenzione a cui mi riferivo parlando della verità si situa anche a un livello più profondo, più astratto, se vogliamo. Si tratta di una convenzione non cosciente, non deliberata, non più cosciente e volontaria del funzionamento dei nostri organi interni, una convenzione "scritta nel DNA", che struttura e determina l'esperienza stessa e prevede interpretazioni e risposte precostituite ai fenomeni vissuti in tale esperienza. Tutto quello che possiamo dire, in definitiva e che per noi, individualmente, collettivamente come gruppo più o meno ampio o come umanità intera, per quanto possiamo attualmente giudicare, le cose stanno in un certo modo.
Una suggestione che può chiarificare è quella che troviamo nei libri di Castaneda, in cui lo sciamano parla di un immateriale "punto d'unione", spostando il quale cambia il modo d'interpretare la realtà (la "convenzione", il codice, il protocollo), la lunghezza d'onda su cui ci si sintonizza, col risultato di percepire il mondo in un modo completamente differente. Che poi è quello che in qualche misura si sperimenta sotto l'effetto di certe sostanze psicoattive come LSD, mescalina ecc. (i cosiddetti "allucinogeni").
Ma, al di là delle suggestioni, per me tutto si riconduce alla semplice indissolubilità di soggetto e oggetto, coscienza e realtà e al fatto che ogni tentativo di definire una "realtà" che tenti di escludere una delle due facce della moneta sia destinato a perdersi nel nonsenso, in particolare il concetto di realtà oggettiva esistente di per sé. L'unica realtà che conosciamo è nel suo insieme intrinsecamente paradossale, razionalmente inafferrabile, ogni tentativo di catturarla è come un gatto che rincorre la propria coda. E, come dicevo, è anche indissolubilmente legata al nostro punto di vista e alle nostre facoltà, alla nostra esperienza.

Citazionema l'unica verità cui tutti si affidano, compresi i negazionisti, è quella scientifica. Ancora troppo limitata, rispetto alla complessità del reale, ma extra scientiam, nulla salus
Qui temo che andiamo in direzioni parecchio divergenti. Per me la scienza non è "ancora troppo limitata", è intrinsecamente limitata. E questa concezione della scienza come unico e universale mezzo di conoscenza trova la mia più ferma opposizione. Anche se una certa attitudine scientifica è sempre utile e per certi versi salutare in qualunque tipo d'indagine di qualunque tipo, per me la scienza e le sue prassi possono avere un ruolo solo marginale nell'indagine sul mondo interiore, psichico. Lì i metodi, le tecniche sono totalmente differenti, anche se, ripeto, ci possono essere delle affinità  nell'elaborazione razionale delle esperienze. E l'esperienza psichica (non lo studio delle tracce dell'esperienza psichica nel mondo esterno) è una delle due facce - anche qui polarità e indissolubilità si ripresentano - della nostra esperienza: quella interiore contrapposta ma unita a quella esteriore.
E non posso neppure accettare l'idea che ci sia una "verità scientifica" che non sia convenzionale (ma come ho cercato di spiegare, convenzionale non significa arbitraria). Per me è solo il prodotto di un equivoco e una delle forme in cui si ripresenta l'assolutismo.
E il fatto che ci si affidi alla "verità scientifica" (ma c'è chi si affida anche ad altro) dimostra solo che è quanto di più affidabile siamo riusciti a trovare, e che funziona piuttosto bene per i nostri fini, ma non che sia effettivamente una "verità", anzi "la verità".

Aumkaara

Pur dall'alto della mia ignoranza leggo comunque libri di matematica e fisica, quella "vera", "ufficiale", e non trovo tutta questa sicurezza sulla scienza come verità, né sulla realtà delle leggi e dei fenomeni per come li percepiamo. C'è molta cautela, e soprattutto ad ogni passo che fanno nella scienza stessa, le certezze di coloro che scrivono questi libri si sgretolano di fronte a constatazioni che li obbligano ad essere più filosofici che concreti, certi o fattuali. O sbagliano approccio, ma allora la scienza per come la stanno conducendo è da rivedere, oppure certe concretezze scientifiche sono state superate (ancora usate in certi ambiti, ma superate come ideologia).

Ipazia

Siamo sempre fermi alla ricerca di verità assolute, postulate in contrapposizione alle verità "fallaci" del rapporto antropologico tra soggetto e oggetto. Come se fosse possibile postulare una realtà alternativa a quella esperibile dalla sensorialità e cognitività umana. La quale è riuscita a rendere percepibile, grazie alla scienza e alle sue applicazioni tecniche, quello che percepibile non è. Di più non è possibile fare. Altre verità non si vedono all'orizzonte. All'orizzonte reale aumentato della cognitività umana. Concordo che si può fare di più. Nel fantastico mondo delle idee, nella metafisica hard. Peccato che anche questa grazia di Dio sia umana, troppo umana, troppo banalmente umana.

Dalla realtà sub specie humana non si scappa. L'aveva già capito Protagora 2500 anni fa. La misura è cambiata, aumentata in quantità e sensibilità, ma resta sempre misura umana. L'oggettività sovrumana resta appannaggio degli dei e dei loro postulanti. Illusoria per quel che mi riguarda.

Meno illusorio è il risultato progettato che si ottiene girando la chiavetta di accensione dell'auto. L'ora della verità.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

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