I postulanti dell'Assoluto

Aperto da Ipazia, 17 Agosto 2020, 16:43:12 PM

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Ipazia

Zero e vuoto assoluto sono dei limiti, così come l'infinito in certe funzioni trascendentali. La filosofia non c'entra, perché si tratta di stati della materia/energia e di calcoli matematici applicati a fenomeni naturali. Entrambi questi limiti sono irraggiungibili persino nello spazio profondo laddove una sola radiazione o particella é sufficiente ad impedirlo.

La velocità della luce é invece un record assoluto di velocità in questo universo. In altri, chissà ?!?

Come vedi l'episteme non teme il confronto con gli assoluti, ma evita di farsi coinvolgere nell'aria fritta con velleità assolutistiche.

Anche in etica é possibile perseguire un processo evolutivo che non sarà mai assoluto, ma potrà affrancarci dalla miseria di un relativismo etico assolutizzato.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

Phil

Citazione di: davintro il 21 Agosto 2020, 23:47:00 PM
Anche se non ci sono ragioni oggettive a dimostrare la necessità della mia scala di valori morali, in ogni caso questa scala verrà da me assunta come assoluto criterio regolativo in base a cui giudicare la misura di come un'azione appaia giusta o meno.
[corsivi miei]
Domanda alla Marzullo: un principio etico è assoluto perché io ci credo, oppure ci credo perché è assoluto? Se la risposta corretta sembra essere la seconda, si tratta di indagare i fondamenti di tale assolutezza (gli esiti saranno indimostrabilità, aporie e petitio principi); se propendiamo per la prima (come suggeriscono i corsivi che ho aggiunto), assecondando l'immagine del relativista (v. sotto) che deve pur ritenere assoluti preferibili i suoi principi etici, allora abbiamo già lasciato la metafisica del trascendentale alle spalle e siamo in pieno soggettivismo debole postmoderno (terreno piuttosto sterile per ogni innesto d'Assoluto), poiché è come affermare «x è vero perché lo credo tale (post-verità)» e non «so che x è vero perché è dimostrato» (senza entrare nel merito della differenza fra verità corrispondentista/verità coerentista, etc.).

Citazione di: davintro il 21 Agosto 2020, 23:47:00 PM
Il relativista etico che teme che la nozione di Assoluto sia lesiva della convivenza in una società multiculturale, composta da individui di diverse convinzioni religiose/filosofiche/etiche, implicitamente pone la condanna della violenza e della sopraffazione come valore assoluto, quindi assume, pur non potendone dimostrare una razionalità oggettiva, non riguardando la teoretica, un ideale regolativo di "giustizia" definito in un certomodo, da qui la difesa del principio di tolleranza, fosse un relativista davvero coerente non potrebbe avere nulla in contrario rispetto violenza e sopraffazione (se non un indefinito e vago disgusto estetico, al massimo), perché non avrebbe criteri assoluti a partire da cui definire il suo modello ideale di società basata sulla convivenza pacifica
Rieccomi puntuale a fare l'avvocato del relativismo (dejà vù): forse non è banale ricordare che essere un "relativista etico", in quanto essere umano, non significa essere privo di etica; ancor più credo vada tenuto presente che, almeno per quanto ne so, non esiste una etica relativista canonizzata con i suoi principi, i suoi giudizi di valore, etc. (quali sarebbero?) fra i quali il non poter "avere nulla in contrario" rispetto a prospettive differenti dalla propria (anche se lo stereotipo del relativista cieco, che non vede differenze, è ormai un classico popolare).
Per essere coerentemente relativisti è necessario avere una prospettiva relativista, ma non bisogna credere necessariamente nella tolleranza (almeno se rispettiamo la differenza fra prospettiva a contenuto della prospettiva, oltre all'evidenza che non esista prospettiva senza contenuto), così come, ad esempio, per essere coerentemente religiosi non è necessario credere al cristianesimo e ai suoi dogmi, ma basta credere in una religione, a prescindere da ciò che ne affermano gli specifici dogmi.

Se un relativista crede nella tolleranza verso ogni essere senziente oppure non ha nulla in contrario alla violenza più indiscriminata, rimane comunque dentro un orizzonte etico relativo (non assolutizza la sua prospettiva personale), con i rispettivi giudizi di valore. Non è infatti il contenuto assiomatico di un'etica a renderla relativista (entrambe le suddette posizioni potrebbero esserlo), ma l'impostazione di fondo (non assolutista, appunto). Tale presunta "coerenza" che dovrebbe orientare il relativista all'indifferentismo, lascia trapelare che in fondo non si sta parlando di un relativista, ma di un soggetto che non si interessa di etica e, lavandosene le mani, non esprime giudizi in merito né, semmai sia possibile, intravvede il giusto e lo sbagliato nelle questioni etiche.
La differenza del relativista rispetto ad altre posizioni più ecumeniche e universali, è che egli vede che la sua etica è relativa (immanente, etc.) a lui come individuo e/o al gruppo con cui ne condivide i principi, per cui non la ritiene l'unica assolutamente giusta, ma la più giusta secondo lui, né la ritiene quella assolutamente "superiore" (e qui si apre la possibilità, non la necessità, di un orizzonte di tolleranza). Per assurdo, si potrebbe avere persino un "neonazista relativista", che si attiene al suo credo discriminatorio nella consapevolezza della contingenza dei sui fondamenti, compiendo di conseguenza nefandezze perché ne sente l'interiore inclinazione, ma al contempo ne sa la valenza relativa (meno radicalmente, la figura del soldato al fronte che capisce il relativismo dei due lati della barricata, dei due ideali per cui si combatte, è forse una figura più intuitiva e verosimile). Chi crede invece in un'etica assolut(ist)a, fondata ad esempio su una divinità, suppongo non dovrebbe farne altrettanto facilmente una questione di contingenze storico-culturali o opinione personale, perché così relativizzerebbe la legge etica del dio, bestemmiandolo.

Passando dunque alla classica domanda sull'autoreferenzialità: il relativista, filantropo o sterminatore che sia, considera assoluti i principi etici in cui crede? Se credere in (e magari attenersi a) tali principi significa reputarli assoluti, allora probabilmente la risposta è «sì». Tuttavia a questo punto bisogna chiedersi che significa «assoluto»: se ognuno si "fa" la sua etica e i suoi assoluti, pur con sincera convinzione e meditazione, il fatto che siano "assoluti" per lui, li rende assoluti "reali"? Qui ritorna la domanda marzulliana e la debolezza epistemologica di ogni fondamento etico (ma non solo) assoluto.
Questa proliferazione "pandemica" di assoluti assemblati a piacere e fondati su prospettive individuali (quindi non necessariamente solide e filosoficamente ponderate) è per me la miglior dimostrazione fattuale, non teoretica, dello svuotamento di senso della parola «assoluto» (che ha una sua tradizione, soprattutto nella sezione in cui siamo), che si rivela quindi legato e vincolato, non sciolto e indipendente (come vorrebbe l'etimologia), ad ogni prospettiva soggettiva, finendo per essere un "rafforzativo" (affermare «per me quello è un principio etico assoluto» non dovrebbe suonare un po' contraddittorio, almeno per i non relativisti?).

Phil

Citazione di: viator il 22 Agosto 2020, 12:01:50 PM
Personalmente trovo esista tranquillamente una etica assoluta. Incarnata a livello biologico nel principio di sopravvivenza (individuale o di specie) ed a livello cosmico nel principio di persistenza (l'entropia, la cui funzione è quella di impedire l'annichilimento del divenire complessivo).


Quindi l'etica assoluta consiste nei comportamenti (NIENTE E NESSUNO SOTTRAGGA O DISTRUGGA CI0' CHE NON SAREBBE PIU' IN GRADO DI RESTITUIRE O RIGENERARE) che realizzino il BENE ASSOLUTO.
Più che il principio di sopravvivenza, esiste l'istinto di sopravvivenza, che è quello che, ad esempio, spinge, biologicamente e letteralmente, a comportamenti aggressivi per legittima difesa o anche solo quando ci si sente minacciati; comportamenti lesivi che la dialettica società-potere ha culturalmente imbrigliato, istituendo forze dell'ordine e/o consuetudini del quieto vivere. D'altronde, se il «bene assoluto» è, come proponi, non sottrarre o distruggere ciò che non si è in grado di restituire o generare, allora, a livello cosmico, l'etica perde di senso e tale "bene" non è un bene morale, ma è solo la legge di conservazione della massa (nulla che comporti giudizi di valore o altri "strumenti" etici o filosofici). Secondo tale principio, sembrerebbe quasi che il cosmo sia dunque impossibilitato a fare il male (almeno per ora), quindi quello del bene etico sarebbe un falso problema (oppure stiamo sbagliando il piano in cui porlo?).

Sul piano strettamente umano, invece, non c'è un'etica praticabile secondo tale «bene assoluto», poiché l'uomo ha nei suoi bisogni primari già geneticamente inscritto il "male assoluto": sin dal primo vagito, egli sottrae ossigeno per restituire anidride carbonica (due composti ben differenti anche agli occhi di "madre natura", oltre che degli altri viventi), poi si nutre distruggendo forme di vita che non potrà restituire (allevarle non significa rigenerarle, ma solo condizionarne la riproduzione: non è l'uomo a partorire un vitello dopo averne ucciso uno; idem per l'agricoltura); si scalda consumando legna e combustibili che non potrà ricreare (v. sopra), etc. si tratta quindi di un peccato originale senza redenzione, perpetrato da tutta l'umanità giorno dopo giorno (giustificazione bio-chimica del pessimismo cosmico?).
Certo, la natura nel suo insieme è bilanciata, come il suddetto cosmo, ma se l'etica come disciplina deve occuparsi anche delle azioni umane (fra uomo ed uomo) allora servono criteri di giudizio che vadano oltre un serafico appello all'entropia co(s)mica, che ci riduce ad una risata nell'universo, dandoci pochi consigli su come comportarci con il prossimo, nel mondo, etc. Ad esempio, richiamando ancora la tua definizione, quello che l'uomo può generare è altra vita umana, per cui stando a tale principio, il «bene assoluto» prevede che una coppia uomo/donna possa, magari per motivi di sopravvivenza, uccidere e mangiare un altro essere umano perché in fondo sono in grado di rigenerare un essere umano, restituendo una vita per pareggiare quella che hanno spento... etica del cannibalismo e legalizzazione dell'omicidio in nome del «bene assoluto»? Mala tempora... relativamente parlando, ovviamente.

Phil

Citazione di: Ipazia il 22 Agosto 2020, 15:00:59 PM
Caro davintro hai infilato una serie di assoluti relativi, passando dalla verità scientifica ai valori etici, che sono la negazione lampante di un Assoluto con la maiuscola davanti. Avevo pure io affermato che dobbiamo accontentarci di assoluti relativi ad ambiti dove possono giocare onorevolmente il loro ruolo assolutistico. Ad esempio: un record mondiale in atletica, lo zero assoluto, la velocità della luce,...
Sulla scia dell'ossimoro «assoluto relativo», mi permetto di parodiare un tuo post di altro topic, che per me si presta anche a trattare dell'attaccamento, quasi materno oltre che concettuale, dell'uomo verso l'assoluto
Citazione di: Ipazia il 22 Agosto 2020, 14:43:21 PML'origine, trattandosi di un concetto e non di un fatto, è più psicologica che fisica: il bambino (credente) chiama la madre (Dio) che non risponde. Da lì nasce il concetto e la psicologia, con le sue fobie i suoi desideri e aneliti, dell' nulla assoluto. Il silenzio eterno degli spazi infiniti La scommessa che atterisce attrae e rincuora Pascal è la teatralizzazione filosofica del nulla dell'assoluto.
D'altronde, se rinunciamo alla fascinazione (pulsionale, appunto) di piazzare assoluti rafforzativi in alcuni contesti (in cui l'assoluto si dimostra non sciolto-da, ma anzi relativo-a, implodendo nella sua autocontraddizione), otteniamo agevolmente una maggior chiarezza semantica, parlando di record assoluto mondiale, zero assoluto kelvin, etc. senza ridondanti nostalgie "assolutistiche".
Sintetizzando il titolo del topic e il quadro a tema nautico di Géricault che hai richiamato all'inizio, direi che oltre ai "postulanti dell'Assoluto", ci sono oggi anche gli "ammutinati dell'Assoluto", che hanno trasformato il leggendario galeone in una nave da crociera low-cost che, abbandonate le rotte circolari della teoresi oceanica, fa scalo ad ogni porto che le fornisca un punto d'approdo (i vari assoluti valori relativi).

davintro

rispondendo a Phil (purtroppo da un pò di tempo non riesco più a citare messaggi, forse un problema tecnico col mio pc)


"credere nell'assolutezza di un principio etico" è un'espressione insensata, in quanto la credenza è una categoria che vale solo sul piano teoretico, non etico, si "crede" sempre nell'oggettività di uno stato di cose fattuale (anche quando la credenza non è supportata da argomenti razionali), non nel valore di un "dover essere", che in quanto ideale e non fatto, non è mai riconoscibile come qualcosa che è al di là della volontà di un soggetto, ma è da tale volontà posto. Questo vuol dire che in etica l'assoluto si debba intendere in modo diverso da come se ne parla in teoretica, in etica non si tratta è di assoluto da intendersi come oggettività indifferente alle arbitrarie preferenze individuali, ciò però non toglie che ciascun individuo necessiti, nell'assunzione di una scala di valori etici, di considerare tale scala come un assoluto, non nel senso di porla come necessaria per ogni altro individuo, intersoggettivamente, ma in relazione alla sua coerenza individuale, di porla come ideale regolativo da applicare in ogni circostanza della sua vita, onde evitare il caos e la paralisi delle scelte, dovuta all'incapacità di discernere quali valori siano PER LUI/LEI più o meno importanti, cioè posizionati ai vari gradini della scala. Che questo "assoluto individuale" meriti o meno di essere definito "assoluto", che si debba definire "assoluto debole", annacquato rispetto alle accezioni di assoluto delle metafisiche, delle morali tradizionali, penso sia una questione più terminologica che sostanziale. Mi limiterei a dire, che, stando all'etimo del termine, assoluto, come "sciolto dai legami", indipendente da ciò che è altro da sé, questa scala di valori etici, pur posta arbitrariamente da ciascun singolo, nel momento in cui diviene regola universalmente applicabile in ogni circostanza esistenziale, mostra comunque di trascendere la particolarità di tali circostanze, di esserne indipendente, "sciolta", e dunque non così assurdamente definibile come "assoluto". L'individuo la sceglie arbitrariamente, liberamente, ma la sceglie al fine di porla come regola da rispettare nel modo più universale possibile, al netto di ogni debolezza o incoerenza che di fatto (ma non di diritto) sempre accade

Phil

Citazione di: davintro il 23 Agosto 2020, 01:42:56 AM
Che questo "assoluto individuale" meriti o meno di essere definito "assoluto", che si debba definire "assoluto debole", annacquato rispetto alle accezioni di assoluto delle metafisiche, delle morali tradizionali, penso sia una questione più terminologica che sostanziale.
Sicuramente è una questione in primis terminologica, ma sappiamo che il linguaggio non è mai un medium perfettamente neutro o irrilevante per i discorsi che origina. Ad esempio, se
Citazione di: davintro il 23 Agosto 2020, 01:42:56 AM"credere nell'assolutezza di un principio etico" è un'espressione insensata,
quale verbo potremmo usare per spiegare meglio il rapporto di "vincolo" fra l'uomo e i suoi principi etici, ovvero perché si attiene proprio a quelli e non ad altri? Se non lo fa perché ci crede, allora perché confida in essi o perché li preferisce?
Affermare che crede proprio a quelli perché (se) li (im)pone, per me non spiega adeguatamente perché continua a usarli rifiutandone altri possibili, ovvero il «perché (se) li (im)pone» diventa un'ulteriore domanda.

Citazione di: davintro il 23 Agosto 2020, 01:42:56 AM
stando all'etimo del termine, assoluto, come "sciolto dai legami", indipendente da ciò che è altro da sé, questa scala di valori etici, pur posta arbitrariamente da ciascun singolo, nel momento in cui diviene regola universalmente applicabile in ogni circostanza esistenziale, mostra comunque di trascendere la particolarità di tali circostanze, di esserne indipendente, "sciolta", e dunque non così assurdamente definibile come "assoluto". L'individuo la sceglie arbitrariamente, liberamente, ma la sceglie al fine di porla come regola da rispettare nel modo più universale possibile, al netto di ogni debolezza o incoerenza che di fatto (ma non di diritto) sempre accade
Se questa "assolutezza" delle norme morali individuali deve restare fedele all'etimo, presentandosi come «sciolta-da», la questione, oltre che terminologica, qui si fa anche sostanziale: non è infatti un assoluto etico «indipendente da ciò che è altro da sé»(cit.), perché è dipendente essenzialmente dal soggetto che lo pone (soggetto che è altro rispetto a tale "assoluto"), è dipendente dalla tradizione che condiziona culturalmente l'imprinting del soggetto (altri tradizioni propongono altri assoluti) ed è dipendente persino dalle sue stesse applicazioni nei singoli casi, poiché, non avendo un'epistemologia a tutelarlo, può essere modificato in ogni momento da parte del soggetto (in base ad esperienze, riflessioni, condizionamenti, etc.). Viene quasi da chiedersi rispetto a cosa, di pertinente, sia realmente ab-solutus (salvo intendere «assoluto» come sinonimo di «astratto», ma non mi sembra questo il caso).
Definirlo "assoluto" solo perché il soggetto si propone di utilizzarlo universalmente in tutti i casi, nonostante la sua stessa biografia sia la storia del mutamento di tale "assoluto" (rendendo la sua ottimistica universalità un'utopia, più o meno consapevole), (di)mostra tale assoluto, almeno secondo me, come un rafforzativo psicologico e linguistico più che un autentico concetto filosofico (come è ad esempio il suo omonimo con la maiuscola).

viator

 >Salve Phil. Mie ulteriori precisazioni (in grassetto) :

  Personalmente trovo esista tranquillamente una etica assoluta. Incarnata a livello biologico nel principio di sopravvivenza (individuale o di specie) ed a livello cosmico nel principio di persistenza (l'entropia, la cui funzione è quella di impedire l'annichilimento del divenire complessivo).


Quindi l'etica assoluta consiste nei comportamenti (NIENTE E NESSUNO SOTTRAGGA O DISTRUGGA CI0' CHE NON SAREBBE PIU' IN GRADO DI RESTITUIRE O RIGENERARE) che realizzino il BENE ASSOLUTO.



Più che il principio di sopravvivenza, esiste l'istinto di sopravvivenza, (son la medesima cosa.......principio è in veste filosofica, istinto in veste biologica)............................D'altronde, se il «bene assoluto» è, come proponi, non sottrarre o distruggere ciò che non si è in grado di restituire o generare, allora, a livello cosmico, l'etica perde di senso e tale "bene" non è un bene morale, ma è solo la legge di conservazione della massa (l'etica non perde di senso poichè il comportamento (ethos) non è dimensione unicamente umana od animale, ma può venir attribuito anche agli enti fisici (comportamento delle leggi naturali). La morale certo che invece non ha senso, in quanto attribuibile SOLAMENTE – quest'ultima – alle intenzioni SOCIALI UMANE. Potremmo quindi supporre l'esistenza di una ETICA COSMICA posta al di fuori del bene e della morale umani ma umanamente interpretabile dagli umani come benefica, positiva, affermativa poichè afferma e difende la nostra stessa umana esistenza).
Secondo tale principio, sembrerebbe quasi che il cosmo sia dunque impossibilitato a fare il male (almeno per ora), quindi quello del bene etico sarebbe un falso problema (oppure stiamo sbagliando il piano in cui porlo?). Infatti il cosmo e l'esistente racchiudono solo il bene (non importa che noi si riesca a riconoscerlo caso per caso) mentre il MALE è concetto unicamente umano consistente nella condizione di carenza (mai completa assenza) di BENE.

Sul piano strettamente umano, invece, non c'è un'etica praticabile secondo tale «bene assoluto», poiché l'uomo ha nei suoi bisogni primari già geneticamente inscritto il "male assoluto": sin dal primo vagito, egli sottrae ossigeno per restituire anidride carbonica (due composti ben differenti anche agli occhi di "madre natura", oltre che degli altri viventi), poi si nutre distruggendo forme di vita che non potrà restituire (Il "nessuno sottragga o distrugga....." va inteso aggiungendovi "........avendone la facoltà. Così come si intende che ciò che viene "sottratto" o "distrutto" all'interno di meccanismi natural-biologici superiori alla nostra volontà.....non può certo generare nostra responsabilità !).....................(allevarle non significa rigenerarle, ma solo condizionarne la riproduzione: non è l'uomo a partorire un vitello dopo averne ucciso uno; idem per l'agricoltura); Allevare e coltivare certamente non restituisce o rigenera la vita individuale dell'organismo che stiamo sfruttando, ma qui stiamo parlando di principi i quali non possono certo venir ricondotti e rispettati ingralmente, rigorosamente, da coloro che ne sono coinvolti.
Anche perchè il sopprimere e sfruttare le altre forme di vita fa parte di superiori livelli di necessità (l'egoistica realizzazione della sopravvivenza individuale delle specie predatrici).

Certo, la natura nel suo insieme è bilanciata, come il suddetto cosmo, ma se l'etica come disciplina deve occuparsi anche delle azioni umane (fra uomo ed uomo) allora servono criteri di giudizio che vadano oltre un serafico appello all'entropia co(s)mica, che ci riduce ad una risata nell'universo, dandoci pochi consigli su come comportarci con il prossimo, nel mondo, etc. Ad esempio, richiamando ancora la tua definizione, quello che l'uomo può generare è altra vita umana, per cui stando a tale principio, il «bene assoluto» prevede che una coppia uomo/donna possa, magari per motivi di sopravvivenza, uccidere e mangiare un altro essere umano perché in fondo sono in grado di rigenerare un essere umano, restituendo una vita per pareggiare quella che hanno spento... etica del cannibalismo e legalizzazione dell'omicidio in nome del «bene assoluto»? Mala tempora... relativamente parlando, ovviamente. Qui torna in ballo ciò cui ho accennato qui sopra : la gerarchia tra i bisogni (la sopravvivenza) e le facoltà, DELLE QUALI L'ETICA FA PARTE. Credo che non sarà necessario spiegarti quale delle due dimensioni sia quella che COSTRINGE inesorabilmente l'altra !. Saluti.

Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

Ipazia

Caro Phil, lo so che da relativista assoluto cancelleresti l'assoluto anche dal vocabolario, mentre io, relativista debole, ritengo più proficuo addomesticarlo per qualche nobile scopo all'interno di un universo relativistico, ma con qualche pietra d'inciampo assolutamente non aggirabile.

Ad esempio: neppure il Verbo relativista può negare il valore assoluto di cibo, acqua e ossigeno per la sopravvivenza di un organismo aerobico e da qui è facile compitare un'etica poco relativistica, piantando i paletti su un terreno solido al di là di tutte le definizioni che possiamo escogitare per definirlo.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

Jacopus

#23
Le posizioni di Davintro e Phil sono connesse, pur giungendo a conclusioni (quasi) opposte. E la connessione è data dalla scissione fra il soggetto, posto in una posizione preminente, e la comunità. Davintro lo esplicita chiaramente: " l'assoluto è tale non intersoggettivamente, ma costruito in modo individuale, così da ipotizzare tanti assoluti quanti esseri umani". Va da sé che questa miriade di assoluti, oltre che a confliggere con lo stesso senso di assoluto, devono essere un semplice esercizio di stile, poiché altrimenti, se coerentemente equipaggiati come principi non discutibili (essendo assoluti), inevitabilmente porterebbero ad una letterale "bellum omnium contra omnes".
Phil nella sua difesa del relativismo, si accorge che ogni posizione, idea, principio ed azione non scaturiscono dal vuoto ma anche lui mi sembra che invochi, in nome dello stesso relativismo, una impossibilità a concordare un minimo comune divisore relativista, da condividere in un certo spazio e in un certo tempo con un gruppo più o meno esteso.
In effetti connettere i concetti assoluto/relativo all'etica non è semplice. Per due opposte ragioni. 1) Anche un'etica condivisa e quindi "relativamente assoluta" può essere ingiusta (nazismo, comunismo). 2) Qualsiasi etica individuale pur essendo percepita come la più  giusta dal suo singolo portatore, inevitabilmente dovrà confrontarsi con la galassia delle etiche altrui e da questo confronto non potrà che modificarsi, magari perdendo delle qualità uniche e preziose.
In altre parole, ciò che a me più preme è la questione di come poter concepire e conservare un'etica condivisa, né assoluta, perché foriera di totalitarismo, né relativa, perché foriera di una società senza governo, lasciata in preda ai singulti narcisistici e alla sottostante legge di mercato. Legge di mercato, che di etica/etiche non sa che farsene, a meno che non si parli dell'etica calcolatrice e strumentale, ovvero quella che Weber chiamava "azione orientata allo scopo", che distingueva dalla "azione orientata al valore."
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

Ipazia

Weber sbagliava perché scopo e valore tendono a coincidere nell'ethos. Anche il capitalismo lo attua e l'errore di Weber sa di lapsus freudiano di chi preferisce ignorare che il valore del capitalismo non è l'umano ma il capitale, la cui accumulazione coincide col suo scopo.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

niko

Io credo che la vita umana non possa essere assunta come assoluto, quantomeno perché la specie umana, se non si estingue prima evolverà fino a non corrispondere più a se stessa.


E anche perché proprio la coscienza introduce il dubbio "lacerante" di non sapere se la "comunità" come luogo regolato da un'etica si dia tra i conspecifici o tra le coscienze, pensiamo di essere l'unica specie che pensa e parla in modo complesso ma non possiamo esserne sicuri, in futuro alieni evoluti, macchine che che noi stessi potremmo aver costruito, altre specie che abbiano avuto il tempo per evolversi, potrebbero avere un livello di pensiero e di linguaggio pari al nostro, e quindi pretendere di far parte della nostra "comunità" in senso etico, ma soprattutto fin da sempre pensare e parlare vuol dire identificarsi con un pensiero e un linguaggio e non con una specie, l'identificazione del soggetto con la specie è già persa dal momento in cui la specie pensa e parla, e non si può determinare in assoluto il numero dei pensanti e dei parlanti, né sapere in assoluto se tutti i pensanti e i parlanti dell'insieme siano o no conspecifici.
I nostri antenati pensavano a certe condizioni di poter parlare con gli angeli o coi demoni, noi oggi parliamo con le radioline e i cellulari e gli chiediamo che musica vogliamo ascoltare o dove sta l'indirizzo a cui vogliamo andare, le scimmie più evolute a cui sia data in mano una tastiera che riproduca le parole "parlano", insomma è intrinseco nella parola che il parlante non sia necessariamente umano, che la comunità a cui si riferisce la parola sia una comunità ideale e non una comunità di sangue.
La parola fa le comunità numericamente inferiori all'umano (i greci e i romani consideravano "barbari" cioè balbettanti, coloro che non avevano il loro linguaggio, la storia della torre di Babele pure fa capire quanto l'uomo sia pronto a frammentarsi in sottogruppi inferiori alla numerosità del gruppo originale secondo la diversità di linguaggio e la comprensibilità), e la parola fa le comunità numericamente superiori all'umano, noi parliamo con i computer, sentiamo in noi la voce dei morti e dei distanti grazie alla scrittura -quindi non siamo limitati all'umano vicino o presente come destinatario di una comunicazione-, siamo stati per secoli convinti in buona fede che si potesse parlare con entità pensanti e parlanti ma non umane (angeli, demoni, dio stesso, profezie eccetera).


Quindi secondo me la vita umana ha una funzione sua propria (il pensiero/linguaggio) che rende intrinsecamente impossibile la vita umana come assoluto etico. Bisogna aprirsi alla comunità dei pensanti e dei parlanti in generale, che è aspecifica, già solo avere un nome ci disumanizza in senso biologico, non abbiamo niente di biologicamente diverso da quelli che hanno un nome diverso dal nostro, e niente di particolarmente simile a quelli che hanno il nostro stesso nome, noi in senso prosaico e banale siamo la parola che ci designa, quando proviamo, giustamente, ad elevarci e andare oltre questa designazione iniziale, non è detto che ci dobbiamo fermare al corpo o alla specie, come anche questa parola iniziale non si è fermata affatto al corpo e alla specie, infatti i Mario Rossi, per dire sono molto più di uno, ma non tanti quanti la specie umana, quindi ogni nome è più del corpo, e meno della specie, come classe di numerosità designata.



Ci hanno detto che potevamo scegliere tra la pace e il climatizzatore, non abbiamo ottenuto nessuno dei due.

Phil

Citazione di: viator il 23 Agosto 2020, 15:36:55 PM
l'etica non perde di senso poichè il comportamento (ethos) non è dimensione unicamente umana od animale, ma può venir attribuito anche agli enti fisici (comportamento delle leggi naturali). La morale certo che invece non ha senso, in quanto attribuibile SOLAMENTE – quest'ultima – alle intenzioni SOCIALI UMANE. Potremmo quindi supporre l'esistenza di una ETICA COSMICA posta al di fuori del bene e della morale umani ma umanamente interpretabile dagli umani come benefica, positiva, affermativa poichè afferma e difende la nostra stessa umana esistenza).
[...]Infatti il cosmo e l'esistente racchiudono solo il bene (non importa che noi si riesca a riconoscerlo caso per caso) mentre il MALE è concetto unicamente umano consistente nella condizione di carenza (mai completa assenza) di BENE.
L'etica filosofica perde di senso perché, come detto, viene a ibridarsi con la legge di conservazione e, come confermi, con le leggi naturali. Se l'etica coincide con "comportamento dei corpi (animati e inanimati)", quindi in parte fuori dalla dicotomia di giudizio umano bene/male, siamo anche fuori dalla filosofia, di cui l'etica solitamente è una diramazione.
Il comportamento di un corpo che cade verso il basso secondo una legge fisica è un comportamento etico? Se la risposta è «sì», allora la fisica che lo studia è una disciplina che si occupa di etica (e andiamo quindi ben oltre un sincretismo fra scienze della natura e scienze dello spirito, come direbbe qualcuno. Al di là delle opinioni personali, dare una definizione di fisica che comprenda il trattare tematiche etiche, credo stupirebbe più di un fisico; i filosofi meno, sono più avvezzi a boutade del genere).

Citazione di: viator il 23 Agosto 2020, 15:36:55 PM
Il "nessuno sottragga o distrugga....." va inteso aggiungendovi "........avendone la facoltà. Così come si intende che ciò che viene "sottratto" o "distrutto" all'interno di meccanismi natural-biologici superiori alla nostra volontà.....non può certo generare nostra responsabilità !)
Aggiungendo la postilla «avendone la facoltà» diventa problematico attribuire una responsabilità chiara, al punto che si delinea un'etica (quasi?) senza male (che ricorda «il migliore dei mondi possibili» di Candido, a parte l'intrusione della fisica): se il male è "sottrarre o distruggere, avendone le facoltà, ciò che non si è in grado di restituire o generare", mi pare diventi piuttosto difficile compierlo ed esserne responsabili. Se, come osservi, non si può badare troppo all'individualità,
Citazione di: viator il 23 Agosto 2020, 15:36:55 PM
la vita individuale dell'organismo che stiamo sfruttando, ma qui stiamo parlando di principi i quali non possono certo venir ricondotti e rispettati ingralmente, rigorosamente, da coloro che ne sono coinvolti.
allora, come detto, posso generare figli e nutrirmene come Kronos, per motivi di sopravvivenza (e poi riprodurli); posso uccidere per difendermi perché il mio istinto non mi dà la facoltà di ragionare a mente fredda; posso mentire (in fondo non tolgo né distruggo nulla); posso violentare e seviziare perché privo di adeguate facoltà mentali per elaborare il rispetto delle regole sociali; posso derubare (sottraggo al derubato ma poi do al negoziante) perché ho bisogno di mangiare e di pagare l'affitto, etc. il tutto sotto l'egida del «bene assoluto».
Un esempio di male verso il prossimo, che mi era venuto in mente, era bruciargli l'auto e poi non ricompragliela; poi però ho notato che quel principio non intima di «restiture e rigenerare», ma allude solo all'esserne in grado. Comunque, se tutto il resto dell'elenco precedente è «bene assoluto», un danno alla proprietà altrui non risarcito mi parrebbe, per l'equilibrio di una società umana (non certo per l'equilibrio cosmico), decisamente il male minore.

Phil

Citazione di: Ipazia il 23 Agosto 2020, 20:39:49 PM
Caro Phil, lo so che da relativista assoluto cancelleresti l'assoluto anche dal vocabolario
Non intendo cancellare l'assoluto, anzi, proprio partendo dal suo saldo posto (e significato) nel dizionario filosofico, mi ritrovo per ironia del destino a difenderlo da un uso inflazionato e banalizzante che non si avvede dell'inattualità su cui verte: vero che la sua etimologia ultimamente gli complica la vita, ma non credo vada necessariamente mantenuto sulla scena filosofica (in altri ambiti non è osì) svalutato a mero rafforzativo, psicologico o linguistico che sia, soprattutto se generico, colloquiale e ridondante.

Citazione di: Ipazia il 23 Agosto 2020, 20:39:49 PM
Ad esempio: neppure il Verbo relativista può negare il valore assoluto di cibo, acqua e ossigeno per la sopravvivenza di un organismo aerobico e da qui è facile compitare un'etica poco relativistica, piantando i paletti su un terreno solido al di là di tutte le definizioni che possiamo escogitare per definirlo.
Fuori dalla filosofia, ho già fatto esempi parlando di record e zeri, a cui aggiungo: perché «valore assoluto di cibo, acqua e ossigeno»? «Vitale» non rende meglio l'idea, se parliamo di bisogni primari? L'espressione «valore assoluto»: può essere usata in matematica, in etica, in biologia (come nel tuo esempio), etc. e la sua ambiguità va poi risolta con ulteriori dettagli e contestualizzazioni. «Valore Necessità vitale» difficilmente potrà essere usata anche in matematica e in etica (metafore a parte), mentre la biologia ce ne spiega i motivi e lo fa, da scienza esatta, senza sbandierare assoluti.
La "facilità di compitare un'etica poco relativista basata sui bisogni primari", rischia di non fare i conti con le difficoltà poste dalla complessità dei rapporti sociali: non sono i bisogni primari ad essere il problema delle etiche, ma tutto il castello di strutture e sovrastrutture in cui l'uomo contemporaneo è chiamato ad orientarsi per soddisfarli. Secondo me, i bisogni primari non sono il fondamento dell'etica, ne sono semmai il traguardo minimo, dai tempi delle caverne (almeno stando all'etica più empatica e diffusa). A complicare il tutto, oggi sono etiche anche molte questioni che prescindono da pane, acqua e un'ora d'aria (che non sono comunque garantiti ovunque nel mondo).

D'altronde che l'etica non si risolva in automatico con "è bene dare cibo, acqua e aria al nostro prossimo", credo lo dimostrino numerose questioni portuali che ben conosciamo (senza voler entrare nel merito, ma tutto il dibattito filosofico, non politico, sul tema in questione credo sia un buon esempio della non "facilità" della questione).



Citazione di: Jacopus il 24 Agosto 2020, 00:03:55 AM
In altre parole, ciò che a me più preme è la questione di come poter concepire e conservare un'etica condivisa, né assoluta, perché foriera di totalitarismo, né relativa, perché foriera di una società senza governo, lasciata in preda ai singulti narcisistici e alla sottostante legge di mercato. Legge di mercato, che di etica/etiche non sa che farsene, a meno che non si parli dell'etica calcolatrice e strumentale, ovvero quella che Weber chiamava "azione orientata allo scopo", che distingueva dalla "azione orientata al valore."
In fondo, l'etica di una comunità non è mai né assoluta (essendo mutevole nel tempo), né relativa (non contemplando la possibilità di autarchia dei singoli). La convivenza sociale è una questione di compromessi e rapporti di forza, prima che di specifici valori etici da pulpito o da libro filosofico; so che suona male, ma la storia, finora, mi pare che questo ci insegni e la globalizzazione lo sta confermando piuttosto nettamente (la legge di mercato si fonda e si concretizza in miriadi di scelte umane che la appoggiano e la conformano, non è un leviatano dispotico dotato di autonoma volontà: è diventata "legge planetaria" perché gli umani l'hanno consentito e lo consentono; è un po' come quando in democrazia si elegge qualcuno e poi molti se ne lamentano: una questione di proiezione di responsabilità per esorcizzare il proprio pentimento, il proprio disimpegno o la propria frustrazione per non vivere nel mondo che si vorrebbe).



Citazione di: niko il 24 Agosto 2020, 10:11:14 AM
Quindi secondo me la vita umana ha una funzione sua propria (il pensiero/linguaggio) che rende intrinsecamente impossibile la vita umana come assoluto etico.
Al di qua degli spunti sul transumanesimo, osserverei che l'etica stessa è una sottofunzione del pensiero-linguaggio, prima di diventare prassi sociale; per questo può essere assolutizzata solo radicandola nei cieli degli dei, per chi ci crede, o va rinvenuta nella sua frammentazione plurale dei differenti contesti culturali, fino ad annidarsi nelle prospettive individuali (il riconoscere che abbiamo tutti gli stessi bisogni e un innato attaccamento alla vita, di per sé, non fonda né il bene né il male, se non si indulge nella fallacia naturalistica).

viator

Salve Phil. Sintetizzando, mi sembra di capire che secondo te la filosofia - creazione umana - possa o debba esprimere unicamente speculazioni relative alla sfera antropica. Non si capirebbe allora perchè facciano scandalo interpretazioni "etiche" circa struttura e funzione del cosmo inanimato (notoriamente estraneo o quantomeno esterno alla sfera antropica) mentre risulterebbero sensate le investigazioni circa gli attributi di Dio (il quale non mi risulta essere - filosoficamente - ingrediente antropico del mondo).


Circa poi la eventuale costernazione di un fisico nel leggere di una supposta "etica cosmica", essa sarebbe perfettamente giustificata dal fatto che lo scienziato - in quanto tale - risulterebbe colui che deve occuparsi di scienza senza badare alle considerazioni filosofiche, mentre chi specula filosoficamente è colui cui tocca la facoltà di trattare anche di scienza pur da  eventuale perfetto ignorante di essa.


Ciò fa parte dei diritti delle madri (le visioni del mondo) nei confronti delle loro progeniture (le scienze). Saluti.
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

Phil

Citazione di: viator il 24 Agosto 2020, 13:13:31 PM
Non si capirebbe allora perchè facciano scandalo interpretazioni "etiche" circa struttura e funzione del cosmo inanimato (notoriamente estraneo o quantomeno esterno alla sfera antropica) mentre risulterebbero sensate le investigazioni circa gli attributi di Dio (il quale non mi risulta essere - filosoficamente - ingrediente antropico del mondo).
Nessuno scandalo, si tratta solo di rispettare la differenza, comunemente accettata, fra i vari rami della filosofia (con le rispettive categorie): per quanto riguarda il cosmo inanimato, restando nel recinto filosofico, non si parla di etica, ma di gnoseologia/epistemologia; nel caso delle divinità, si parla perlopiù di metafisica o teologia (il tutto, inevitabilmente, da un punto di vista umano).
Sull'opinione che
Citazione di: viator il 24 Agosto 2020, 13:13:31 PM
chi specula filosoficamente è colui cui tocca la facoltà di trattare anche di scienza pur da  eventuale perfetto ignorante di essa.
temo si confonda la speculazione filosofica con la narrativa (e la fanta-scienza) o con la "cattiva" abitudine di parlare senza cognizione di causa, abitudine che la filosofia stessa osteggia da tempi immemori (fermo restando che speculare filosoficamente non significa banalmente esplicitare il proprio punto di vista su qualunque argomento).

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