I paradossi del linguaggio.

Aperto da Eutidemo, 20 Febbraio 2021, 07:04:41 AM

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InVerno

Citazione di: Phil il 23 Febbraio 2021, 15:08:25 PM
Una prova di quanto la (esigenza della) comunicazione inneschi le potenzialità neurologiche del linguaggio, senza che, parodiando Wittgenstein, "i limiti del mio linguaggio siano i limiti del mio mondo", potrebbe essere forse proprio il caso della tribù citata: ha numeri fino al 5 e quantificatori generici per il resto, ma scommetto sia un'organizzazione linguistica solo per scopi comunicativi, non perché l'individuo non sappia cogliere realmente la differenza fra 5 frecce, 10 frecce e 100 frecce. La differenza non è comunicabile con esattezza (causa linguaggio limitato), ma individualmente la differenza è, suppongo, comunque registrata e individuata dai sensi (la vista principalmente): posto di fronte a due mucchi, uno con 10 frecce e l'altro con 100 frecce, credo che egli li indicherà, comunicando, con lo stesso nome (poiché non ha un quantificatore linguistico univoco, meglio noto come «numero», per distinguerli), tuttavia non credo che cognitivamente e interiormente egli non ne colga la differenza quantitativa (quindi, in questo caso, non sarebbe il linguaggio a strutturare la sua "esperienza interiore" dei due differenti mucchi di frecce, bensì la vista e il concetto astratto di quantità, pur non accuratamente linguisticizzato come il nostro).
In verità, io penso, questo sia un esempio piuttosto povero.. ma è anche un esempio che ha le qualità necessarie per avere valore accademico riconosciuto, è quasi il massimo che possiamo aspettarci nel campo del verificabile.Diverso sarebbe, se ci inoltrassimo nel mondo del ben più complesso mondo dei concetti astratti, dove l'assenza terminologica non può essere nè sopperitanè surrogata con stimoli sensoriali. Certo, sanno sicuramente riconoscere una freccia da un monte di freccie attraverso la vista, ma il fatto che davanti alla scelta di 5 freccie o 6 freccie, praticamente il risultato è randomico, pone una seria ipoteca su quello che dovremmo aspettarci se fossimo in grado di scandagliare universi linguistici dove i sensi non forniscono immediate risposte, non quantitativi, nemmeno qualitativi (coi colori si è già giocato aiosa), ma totalmente astratti, come gli orizzonti emotivi o politici. Che sono anche il fulcro della questione, perchè quando si parla di funzionalità introspettiva si parla di "quel tipo di codice" non delle numero di sassi in una bisaccia. Perciò ciò che realmente possiamo fare è limitarci a delle inferenze speculative,  e guardare con un certo sospetto per esempio il fatto che il linguaggio verbale, presenta dinamiche molto simili a campi che ormai solo vernacolarmente chiamiamo linguaggio, come la musica o la geometria, indipendentemente dal fatto che il linguaggio utilizzato sia conosciuto dal ricevente e perciò in teoria gli dovrebbe essere impossibile decodificare il messaggio. La ricorsività  e l'universalità di queste ed altre forme, innescano dinamiche di aspettativa-ricompensa molto simili a quanto accade nel linguaggio verbale, ed è certamente speculativo trovare un ombrello che le contenga tutte, ma da qualche parte esiste un minimo comun denominatore.In generale, posto che il concetto di comunicazione sia condiviso, se io dicessi che noi siamo tutti qui a scrivere per "comunicare", penso che la maggior parte delle persone la troverebbe una visione svilente e molto parziale, dettata forse dalla fretta, di descrivere cosa effettivamente stiamo facendo discutendo di questa questione. Ancor più ironicamente, parliamo di "capolavori assoluti" (non certo dei miei post) come a volerci ricordare che i migliori tra i nostri conspecifici hanno creato codici non per comunicare, ma assoluti proprio per il loro drive non dialogico, ma assoluto, noi certamente ne beneficiamo attraversodinamiche neurologiche che ce ne fanno "apprezzare la bellezza", cioè la nostra capacità di predire i pattern di cui sono composti, ma quando pensiamo alla grande poesia o alla grande musica, spesso esce fuori il concetto di anima, di terapia, di introspezione, di trascendenza. Di questi aspetti prettamente culturali e lessicali, si può ragionare.Purtroppo, non esiste un argomento, o un esperimento, che può né mai potrà secondo me, cambiare la convinzione che il linguaggio verbale sia quasi unicamente comunicazione,è un percorso fatto di indizi, speculazioni, inferenze, e anche una buona dose di coraggio se qualcuno volesse sostenerlo nei luoghi del dogma.E' davvero importante? Non di per sé, ma potenzialmente, può cambiare la nostra visione del mondo, ed è per quello che lo aneliamo, non per discuterne qui.
Non ci si salva da un inferno, sposandone un altro. Ipazia

Jacopus

Che il linguaggio sia comunicazione, o meglio un tentativo comunicativo approssimativo, è inevitabile. Ma il linguaggio ha anche altri effetti. Una lingua specifica in primo luogo struttura il cervello e di conseguenza il comportamento. Ho sempre pensato che l'ordine e le capacità organizzative dei tedeschi dipendano anche dalla loro lingua, una lingua precisa, che conserva le declinazioni latine e stabilisce in modo categorico dove mettere soggetto, predicato, participio passato e così via. Una lingua rigorosa e precisa rende rigorosi e precisi anche i parlanti di quella lingua, con le conseguenze socio-culturali del caso. Un diverso aspetto riguarda la conoscenza di due o più lingue da parte di un singolo soggetto. La capacità di confrontare le differenze e le similitudini linguistiche permette al soggetto bilingue o trilingue di aprirsi alle differenze del mondo e a superare il binomio archetipico amico/nemico.
La lingua inoltre è una struttura che ci aiuta a descrivere il mondo, ma lo avvolge nella sua mappa e non è detto che quella mappa sia quella corretta. La lingua, ogni lingua, trasporta con sè pregiudizi, tradizioni, rapporti di potere, che proprio a causa della loro strutturazione linguistica diventano difficili da contestare. Proprio per questo la lingua lentamente si rinnova e muta anche se non è detto che il suo mutare sia necessariamente verso un miglioramento.
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

Phil

Citazione di: Gyta il 24 Febbraio 2021, 07:36:29 AM
penso invece che la discriminazione sensoriale cammini pari passo col linguaggio [...] è reale -purtroppo o semplicemente- che "i limiti del mio linguaggio siano i limiti del mio mondo"
Secondo me, linguaggio e discriminazione sensoriale camminano assieme, ma non di pari passo, poiché c'è un duplice scarto (inteso come gap non come «rifiuto») fra linguaggio individuale e mondo individuale, soprattutto alla luce dell'interiorità; il primo è quello dell'esattezza, con cui mi riferivo nell'esempio della tribù: il linguaggio con-forma la nostra visione del reale (reale che a sua volta spesso de-forma il linguaggio, nella suddetta dialettica linguaggio/mondo), tuttavia l'esattezza del linguaggio non sempre è l'esattezza del sentire, come confermano le quantificazioni della tribù citata (non sono esatti nel dire ma lo sono nel discriminare i due mucchi di frecce) e i ricordi dell'adolescenza (l'esperienza di un sentire confuso, non descrivibile, è segno che c'è un mondo fuori dal linguaggio seppur, appunto, linguisticamente "fuori fuoco"), periodo in cui tale gap riguarda anche l'interiorità, mentre nell'infanzia lo scarto era forse soprattutto verso l'esteriorità, ovvero la scoperta dei nomi delle "cose" (che vengono già distinte sensorialmente). Il secondo gap, spesso correlato al primo, è temporale: c'è un mondo che pre-esiste al linguaggio che vi si addentra; per cui, pur stando nel mio mondo linguistico so che c'è una parte del mio mondo esperenziale che è non ancora linguisticizzato (quello per cui non ho parole, ma è comunque una zona del mio mondo che esperisco, che magari in un'altra lingua è già associato ad una parola intraducibile nella mia).

Citazione di: InVerno il 24 Febbraio 2021, 10:31:43 AM
quello che dovremmo aspettarci se fossimo in grado di scandagliare universi linguistici dove i sensi non forniscono immediate risposte, non quantitativi, nemmeno qualitativi (coi colori si è già giocato aiosa), ma totalmente astratti, come gli orizzonti emotivi o politici. Che sono anche il fulcro della questione, perchè quando si parla di funzionalità introspettiva si parla di "quel tipo di codice" non delle numero di sassi in una bisaccia. Perciò ciò che realmente possiamo fare è limitarci a delle inferenze speculative
Concordo ovviamente sul fatto che quanto più ci si addentra in astrazioni, tanto più i sensi cedono il passo al linguaggio concettuale, e quanto più il linguaggio si fa concettuale, tanto più diventa una questione di saper (o meno) decifrare la settorialità di tale linguaggio astratto (matematico, estetico, politico, etc.) a partire dai codici nella propria "cassetta degli attrezzi". Indubbiamente il poeta che scrive una poesia o il matematico che risolve una disequazione o il musicista che compone una canzone, non lo fanno primariamente per comunicare qualcosa a qualcuno, ma fuori da questi linguaggi specifici, credo che quantitativamente una funzione fondante della lingua comune risulti il suo impiego per comunicare con il prossimo, con tutte le dinamiche di autoaffermazione, narcisismo, conflittualità, etc. messe in mostra dal successo quantitativo dei social (e direi ciò valga anche nel forum: personalmente, se sapessi che nessuno legge ciò che scrivo qui, o che gli altri utenti sono in realtà solo dei bot, smetterei di scrivere; il che non significa che mi aspetti ogni volta una risposta a ciò che scrivo, ma mi cullo nella supposizione di aver almeno comunicato qualcosa a qualcuno).
Nondimeno va riconosciuto che per l'uomo medio non-tribale, la funzione del linguaggio irrinunciabile (quindi ben oltre il «primario» e il suddetto «fondante») è quella del discorso interiore (con tutte le categorie linguistiche e concettuali che comporta, ovvero la mappa di cui parla Jacopus), come ben sanno gli eremiti che si allontanano dalla società più facilmente di quanto si possano allontanare dal loro linguaggio, o meglio, dal loro mondo linguistico (che essi sanno bene non essere il limite del loro mondo, essendo spesso il sentire un'eccedenza extra-linguistica a spingerli all'eremitaggio). In fondo, anche in tempi di pandemia, forse si usa (quantitativamente) il linguaggio più per parlare con noi stessi che con gli altri anche se, ironicamente, forse il linguaggio è nato e si è sviluppato per parlare più con gli altri che con noi stessi (e gli effetti dell'astinenza, o almeno della riduzione, della comunicazione in presenza credo saranno un fertile terreno di studio socio-antropologico).

Ipazia

Oggi la lingua più parlato nel mondo è una sequenza di 0 ed 1 tra macchine. E nel futuro sarà sempre di più così. Con qualche implementazione di tipo quantistico. Il paradosso si fa inquietante.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

paul11

#19
 I linguaggi, non solo la parola, nascono nel mentale e non necessariamente comunicano, informano.
Se non fosse così un bambino umano non avrebbe nessuna differenza rispetto a qualunque cucciolo animale. E' questa prerogativa che sembra non essere nemmeno istinto, persino il primo Freud che parlava di istinti, passerà dopo poco alle pulsioni. Persino il cognitivismo di Piaget, sull'evoluzione del bambino dice che inizialmente non sanno distinguere lo spazio e il tempo e non sanno quindi articolare i tempi dei verbi , perché come gli animali, pensano che tutto sia immediato che accada ora. Il linguaggio umano della parola nel bambino inizia il ciclo di amplificazione delle qualità umane ed è dipendente dalla cultura in cui il bambino opera: è il sistema ambiente che decide "come" il cucciolo umano pensa ancora prima dei gesti e della parola. Se è vero che le prime parole sono semplici e spesso onomatopeiche e denotano oggetti, quindi siamo alla comunicazione "fattuale" fra nome e oggetto fisico naturale, è altrettanto vero che il salto è immediato e contemporaneo verso l'astrazione del pensiero: anche un bambino "fantastica", anzi più di un adulto  prima che sia "strutturato" nella cultura che gli viene fornita dagli adulti.
La cultura struttura le sintassi, le regole: le regole di denotazione matematica, grammaticale.
E per quello che conosco, l'uomo nasce con requisiti, diciamo "innati", ma è una tabula rasa quindi il "come" e "cosa" debba strutturare. Non necessariamente è comunicativo e quindi informativo  e si sa ormai che le capacità cerebrali di una bambino sono notevoli, tant'è che si usa ormai insegnare pianoforte o lingue straniere già in tenerissima età . Vale  a dire il potenziale linguistico-mentale viene indirizzato formativamente ed educativamente verso "scopi".
Il linguaggio è accompagnato a sua volta dalla formazione emotiva, anzi la parola e direi persino la fonetica contraddistinguono addirittura dei fonemi.
In filosofia si sa che i termini del greco antico "aspirati" sono spesso indici di angoscia.
L'etimologia più antica e remota della parola, quando era ancora orale, era accompagnata dall'espressione gestuale ed espressiva dei volti. Lo scritto ,che non avendo più interlocutori fisicamente nel "qui ed ora", amplifica l'aspetto emotivo . La parola scritta ora deve comunicare anche l'emozione essendo mancante la presenza fisica. Ed ecco amplificarsi i linguaggi in quantità e qualità nel segno, simbolo. Prima c'è un immagine mentale affinché la parola indichi un oggetto e non viceversa. Poi avviene che la denotazione del segno-oggetto, rivenga riflessa nel pensiero che pensa come simbolo e il simbolo ha sempre qualcosa di emotivo che lo incorpora.


La differenza fra il dominio umano e quello di un automa mi pare ovvio, è la formidabile presenza della psiche che anima il linguaggio umano e per questo fallisce qualunque stereotipo di ricondurre alla asettica parola la denotazione di un oggetto , di "matematizzare" la comunicazione.
L'automa sarà sempre più bravo di noi a far di calcolo, ma non riuscirà mai a coniugare parola-emozione che è tipico del linguaggio umano e ne articola la grande ampiezza delle definizioni ed espressioni. Un termine, una parola, nel corso del tempo tende ad arricchirsi di più definizioni o di amplificarle. Se poi inserissimo anche le espressioni dialettali .....non
finiremmo mai.  La parola vive storicamente, può trasformarsi, svanire e far nascere neologismi adatti ad una cultura di un tempo.

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