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I numeri e le lettere

Aperto da Eutidemo, 06 Gennaio 2020, 13:38:47 PM

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Ipazia

Citazione di: Hlodowig il 08 Gennaio 2020, 19:32:51 PM
Buonasera amici,

@Ipazia, se posso permettermelo, posso chiederti cosa rappresenta nella tua personalissima opinione, il cattivo infinito?

Grazie ✋

Il cattivo infinito é quello che ha inteso viator: una trasposizione distopica di un concetto logico-matematico in carne e sangue di un reale che non può essere nient'altro che finito, limitato. E' la crescita infinita del capitale, del profitto, della produzione, del consumo, della popolazione umana. Costi quel che costi. E' il delirio infinito.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

Hlodowig

Ciao amica @Ipazia,

Grazie per la gentile, quanto elegante e sintetica tua risposta.

Però, purtroppo per me, l' amico @Viator è forse un po' troppo ottimista.

Penso al momento questo, in quanto il conosciuto ed il conoscibile, si attua come un calzino alle menti analogiche degli individui che ne compongono l' insieme numerico.

Ed è proprio con questa tua risposta, che ne è la conferma.

A volte mi chiedo come sarebbe stato, come sarebbe potuto essere, ma anche come potrebbe.

Grazie ✋

viator

Salve. Di infinita esiste solamente la sequenza cause-effetti.

Se di tutto il resto è impossibile immaginare un'inifinitezza, di quest'ultima è impossibile immaginare la finitezza. Saluti.
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

niko

#33
Io penso che il numero, questo grande sistema di mediazione tra l'uno (l'uno nel senso pitagorico del termine, quindi l'uno che non è un numero) e l'infinito (infinito che è incalcolabile, quindi che anch'esso non è un numero), in ultima analisi sia illusione, e la realtà, ridotta ai minimi termini, quindi la realtà come non appare alla vita, si componga dei due non-numeri uno e infinito, con il mondo, che è uno, e le cose del mondo, che sono infinite.

Le cose del mondo ci sembrano finite, perché vediamo sempre una sequenza arbitrariamente estratta dalla loro serie. Espandendo arbitrariamente la nostra coscienza fino a farla coincidere col mondo, le cose ci sembrerebbero infinite.

Viceversa il mondo ci sembra sempre non-uno, duale, perché crediamo di esistere come viventi e di avere un mondo interiore, quindi di essere un mondo nel mondo, di costituire con la nostra stessa esistenza una contro-universalità rispetto all'universo che ci ospita e ci contiene; non ammettiamo fino in fondo che anche i nostri contenuti interiori di pensiero e -apparente- soggettività sono tratti dal mondo e lo compongono, quindi pur con tutta la nostra soggettività, emotività, senso di unicità e riflessività non siamo un mondo nel mondo, ma molto più banalmente una parte del mondo nel mondo. Riducendo arbitrariamente la nostra coscienza fino ad annullarla, il mondo ci sembrerebbe uno, noi smetteremmo di essere un mondo nel mondo, un contro-mondo.

Per un pregiudizio forse anche scientista, crediamo che la natura si esprima con i numeri, in realtà la natura è una, e si slancia verso l'infinito in ogni sua sia pur minima forma di esistenza, quindi quello da cui essa prescinde sono proprio i numeri.
Il numero, cioè la mediazione possibile e diffusa tra uno e infinito, l'arbitrariamente grande e l'arbitrariamente piccolo, siamo noi. E' la nostra coscienza nella natura, che ce ne restituisce un frammento arbitrario.
Ci hanno detto che potevamo scegliere tra la pace e il climatizzatore, non abbiamo ottenuto nessuno dei due.

bobmax

Citazione di: niko il 10 Gennaio 2020, 15:11:08 PM
Io penso che il numero, questo grande sistema di mediazione tra l'uno (l'uno nel senso pitagorico del termine, quindi l'uno che non è un numero) e l'infinito (infinito che è incalcolabile, quindi che anch'esso non è un numero), in ultima analisi sia illusione, e la realtà, ridotta ai minimi termini, quindi la realtà come non appare alla vita, si componga dei due non-numeri uno e infinito, con il mondo, che è uno, e le cose del mondo, che sono infinite.

Le cose del mondo ci sembrano finite, perché vediamo sempre una sequenza arbitrariamente estratta dalla loro serie. Espandendo arbitrariamente la nostra coscienza fino a farla coincidere col mondo, le cose ci sembrerebbero infinite.

Viceversa il mondo ci sembra sempre non-uno, duale, perché crediamo di esistere come viventi e di avere un mondo interiore, quindi di essere un mondo nel mondo, di costituire con la nostra stessa esistenza una contro-universalità rispetto all'universo che ci ospita e ci contiene; non ammettiamo fino in fondo che anche i nostri contenuti interiori di pensiero e -apparente- soggettività sono tratti dal mondo e lo compongono, quindi pur con tutta la nostra soggettività, emotività, senso di unicità e riflessività non siamo un mondo nel mondo, ma molto più banalmente una parte del mondo nel mondo. Riducendo arbitrariamente la nostra coscienza fino ad annullarla, il mondo ci sembrerebbe uno, noi smetteremmo di essere un mondo nel mondo, un contro-mondo.

Per un pregiudizio forse anche scientista, crediamo che la natura si esprima con i numeri, in realtà la natura è una, e si slancia verso l'infinito in ogni sua sia pur minima forma di esistenza, quindi quello da cui essa prescinde sono proprio i numeri.
Il numero, cioè la mediazione possibile e diffusa tra uno e infinito, l'arbitrariamente grande e l'arbitrariamente piccolo, siamo noi. E' la nostra coscienza nella natura, che ce ne restituisce un frammento arbitrario.

Concordo, il mondo è Uno.

Uno, che non è numero, non è l'uno numerico.
L'uno numerico necessita del due. Nasce dal due.
Perché il 2 viene "prima" del 1.

Prima si concepisce il molteplice e solo dopo si può identificare un suo componente, che è 1.
È 1 sempre e solo perché c'è il 2.

Viceversa l'Uno non ha niente fuori di sé, perciò non è 1.
E poiché ciò che non è né potrà mai essere 1 non esiste...
L'Uno equivale al Nulla.
Tardi ti ho amata, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amata. Tu eri con me, mentre io ero lontano da te.

Hlodowig

#35
Ovvero allo zero, numero/non numero, che li contiene tutti, incompreso, sbeffeggiato e a volte, fatto nemico pubblico numero uno dei matematici.

Ipazia

Citazione di: niko il 10 Gennaio 2020, 15:11:08 PM
Per un pregiudizio forse anche scientista, crediamo che la natura si esprima con i numeri, in realtà la natura è una, e si slancia verso l'infinito in ogni sua sia pur minima forma di esistenza, quindi quello da cui essa prescinde sono proprio i numeri.
Il numero, cioè la mediazione possibile e diffusa tra uno e infinito, l'arbitrariamente grande e l'arbitrariamente piccolo, siamo noi. E' la nostra coscienza nella natura, che ce ne restituisce un frammento arbitrario.

Lo scientismo ha tanti difetti, ma questi non includono le paturnie numerologiche che sono piuttosto un vezzo metafisico fin dai tempi di Pitagora. Lo scientismo ha la fissa di ritenere tutto calcolabile, ma le disquisizioni sull'Uno, il Nulla (zero) e l'Infinito le lascia ai filosofi.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

iano

#37
Citazione di: bobmax il 10 Gennaio 2020, 17:48:56 PM
Citazione di: niko il 10 Gennaio 2020, 15:11:08 PM
Io penso che il numero, questo grande sistema di mediazione tra l'uno (l'uno nel senso pitagorico del termine, quindi l'uno che non è un numero) e l'infinito (infinito che è incalcolabile, quindi che anch'esso non è un numero), in ultima analisi sia illusione, e la realtà, ridotta ai minimi termini, quindi la realtà come non appare alla vita, si componga dei due non-numeri uno e infinito, con il mondo, che è uno, e le cose del mondo, che sono infinite.

Le cose del mondo ci sembrano finite, perché vediamo sempre una sequenza arbitrariamente estratta dalla loro serie. Espandendo arbitrariamente la nostra coscienza fino a farla coincidere col mondo, le cose ci sembrerebbero infinite.

Viceversa il mondo ci sembra sempre non-uno, duale, perché crediamo di esistere come viventi e di avere un mondo interiore, quindi di essere un mondo nel mondo, di costituire con la nostra stessa esistenza una contro-universalità rispetto all'universo che ci ospita e ci contiene; non ammettiamo fino in fondo che anche i nostri contenuti interiori di pensiero e -apparente- soggettività sono tratti dal mondo e lo compongono, quindi pur con tutta la nostra soggettività, emotività, senso di unicità e riflessività non siamo un mondo nel mondo, ma molto più banalmente una parte del mondo nel mondo. Riducendo arbitrariamente la nostra coscienza fino ad annullarla, il mondo ci sembrerebbe uno, noi smetteremmo di essere un mondo nel mondo, un contro-mondo.

Per un pregiudizio forse anche scientista, crediamo che la natura si esprima con i numeri, in realtà la natura è una, e si slancia verso l'infinito in ogni sua sia pur minima forma di esistenza, quindi quello da cui essa prescinde sono proprio i numeri.
Il numero, cioè la mediazione possibile e diffusa tra uno e infinito, l'arbitrariamente grande e l'arbitrariamente piccolo, siamo noi. E' la nostra coscienza nella natura, che ce ne restituisce un frammento arbitrario.

Concordo, il mondo è Uno.

Uno, che non è numero, non è l'uno numerico.
L'uno numerico necessita del due. Nasce dal due.
Perché il 2 viene "prima" del 1.

Prima si concepisce il molteplice e solo dopo si può identificare un suo componente, che è 1.
È 1 sempre e solo perché c'è il 2.

Viceversa l'Uno non ha niente fuori di sé, perciò non è 1.
E poiché ciò che non è né potrà mai essere 1 non esiste...
L'Uno equivale al Nulla.
Uno è il non molteplice ,quindi uno e molteplice nascono insieme , e a riprova di ciò nessuno dei due rientra strettamente nel concetto di numero , concetto che nasce dopo.
In origine neanche due è un numero , ma una coppia , a patto di specificare una coppia di cosa.
Una coppia di buoi ad esempio. Perché una coppia di non si sa' cosa non ha senso in mancanza del concetto di numero.
Così dicasi per il trio e il quartetto.
L'infinito è il  molteplice che si fa' numero.
Il numero nasce dall'esigenza di spostare più in la' l'asticella del molteplice , la quale senza il contare è posizionata appena oltre il 4.
Una volta non si era in grado di acchiappare un gruppo di più di quattro elementi il molteplice era più di quattro.
Oggi grazie al contare , che ci permette di acchiappare gruppi grandi a piacere , l'infinito è più di qualunque numero a piacere.
L'infinito non è impensabile se è pensabile il molteplice , essendo infinito il nuovo nome che si è dato al molteplice una volta che abbiamo inventato i numeri , coi quali il paio è diventato due , dove due è il nuovo nome del paio quando è un paio di non si sa' cosa.
Se il molteplice stava oltre il quattro , l'infinito sta oltre i numeri.
Il punto è che noi , per quanto ci evolviamo siamo sempre finiti , e al nostro limite operativo diamo un nome che ieri era molteplice e oggi è infinito .
Il molteplice sta oltre un limite che si percepisce come immutabile.
L'infinito oltre un limite che può mutare.
Per tornare al tema , immagino che , da un punto di vista operativo , si siano inventati i numeri quando ci è parso di aver finito i nomi.
Ma ora che abbiamo inventato i numeri sappiamo che anche i nomi sono infiniti.😄
Scrivere numeri è in fondo un modo più sintetico di scrivere nomi , introducendo un ordine , e non dovremmo quindi sorprenderci del fatto che i numeri riescano a descrivere il mondo se crediamo di poterlo descrivere a parole.



Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

iano

L'infinito sembra cosa innaturale , per il motivo credo che esso nasca col concetto di numero , che non è cosa naturale , e non si accettare solo nella misura in cui non si comprende il concetto di numero.
Il problema dell'infinito nasce dunque dal credere che i numeri abbiano una vita a se' , indipendente da noi , così che si pretende che l'infinito , concetto che invece è derivato dall'invenzione del concetto di numero , sia attuale quanto lo sarebbero i numeri.
Un infinito attuale è in effetti indigeribile , ma se il molteplice è pensabile , una maggiore confidenza coi numeri lo rende più che digeribile per quel che veramente è.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

niko

#39
Citazione di: Ipazia il 10 Gennaio 2020, 21:22:12 PM
Citazione di: niko il 10 Gennaio 2020, 15:11:08 PM
Per un pregiudizio forse anche scientista, crediamo che la natura si esprima con i numeri, in realtà la natura è una, e si slancia verso l'infinito in ogni sua sia pur minima forma di esistenza, quindi quello da cui essa prescinde sono proprio i numeri.
Il numero, cioè la mediazione possibile e diffusa tra uno e infinito, l'arbitrariamente grande e l'arbitrariamente piccolo, siamo noi. E' la nostra coscienza nella natura, che ce ne restituisce un frammento arbitrario.

Lo scientismo ha tanti difetti, ma questi non includono le paturnie numerologiche che sono piuttosto un vezzo metafisico fin dai tempi di Pitagora. Lo scientismo ha la fissa di ritenere tutto calcolabile, ma le disquisizioni sull'Uno, il Nulla (zero) e l'Infinito le lascia ai filosofi.


Beh, io intendevo anche la tradizione nobile dello scientismo; Galileo afferma che il libro della natura è scritto nel linguaggio della matematica e della geometria; la metafora del libro della natura, che compare e ha grande importanza nel dialogo sui massimi sistemi di Galileo, era vecchia anche ai suoi tempi e risale a san Bonaventura (1200 circa), che parla dei due libri che avrebbe scritto Dio per l'uomo, le sacre scritture e la creazione (la natura); creazione che agli occhi del saggio e dell'innocente può essere letta -decifrata- come un libro e che ha lo stesso valore di verità della sacra scrittura. Dunque nell'immaginario occidentale passiamo da una natura simile a una bibbia, che parla per lettere, parole e simboli, a una natura simile a un libro di matematica senza testo, che parla per numeri, espressioni numeriche e figure geometriche. Questo libro metaforico non solo esprime la natura, ma è la natura, perché si immagina che i suoi numeri e le sue forme siano sempre all'opera, sempre validi, sempre veri, che qualcuno lo legga o no.

Difficile dunque pensare che questa sia solo una questione di calcolo: la scienza ci restituisce una visione del mondo in cui la matematica è intrinseca alla natura; basti pensare al principio di conservazione dell'energia, alla ipotesi indimostrata ma plausibile che l'energia totale dell'universo sia zero, alla casualità epistemica della meccanica quantistica, al principio di indeterminazione, all'eliminazione dell'infinito dalla stragrande maggioranza delle teorie cosmologiche, che ci restituiscono quasi tutte un mondo finito e autocontenuto, profondamente aristotelico nelle sue concezioni di fondo -almeno topologiche-, nonché inesteso (e quindi monadico, spiritualizzato) rispetto all'esistenza di un eventuale spazio infinito che lo contenga.

Superato ogni distinzione tra fenomeno e numeno, la scienza non si occupa di entità, ma di rapporti, e questi rapporti sono esprimibili numericamente: la scienza afferma che il funzionamento regolare della natura avviene che qualcuno lo calcoli o no, quindi implicitamente trova le causa della regolarità della natura nella natura stessa e non nell'uomo o nel suo agire, calcolare compreso.

Il pensiero di un limite a quanto il futuro possa differire dal passato, e un luogo da un altro (quella che Platone chiama la congenericità della natura e che Hume mette in dubbio con geniale scetticismo) dà senso alla scienza: il pensiero di un limite immanente alla quantità di differenza possibile tra le sue parti unifica e matematizza il mondo. Cade la differenza tra cielo e terra, la forza che fa cadere una mela è la stessa che muove i pianeti. Se ci fossero due luoghi assolutamente  incompatibili tra loro nello spazio, o due attimi assolutamente incompatibili nel tempo, tali cioè che l'esistenza dell'uno escluda l'esistenza dell'altro, la scienza non avrebbe senso, almeno non nelle sue pretese universaliste e scientiste; sarebbe scienza di una parte del mondo e non di tutto il mondo, mondo che essa unifica sotto la bandiera del numero, dell'osservazione ripetibile e della matematica: è per questo che la scienza non è letteratura, misticismo, intimismo o poesia.
Ci hanno detto che potevamo scegliere tra la pace e il climatizzatore, non abbiamo ottenuto nessuno dei due.

iano

@Niko.
Congenerecita'.
Ho imparato un nuovo termine 👌
Ma non credo che la suddetta sia una condizione indispensabile alla matematizzazione della natura tutta.
Per quanto grande sia la scala cui possiamo accedere , non potremo mai dimostrare la suddetta su ogni scala.
O quantomeno L'ipotesi di leggi fisiche locali e temporali si fa' sempre più insistente per giustificare l'inspiegabilita' attuale di alcuni fatti cosmologici , se ho capito , perché il tuo ultimo post è completo e chiaro , ma il precedente mi rimane oscuro.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

niko

Citazione di: iano il 11 Gennaio 2020, 14:44:31 PM
@Niko.
Congenerecita'.
Ho imparato un nuovo termine 👌
Ma non credo che la suddetta sia una condizione indispensabile alla matematizzazione della natura tutta.
Per quanto grande sia la scala cui possiamo accedere , non potremo mai dimostrare la suddetta su ogni scala.
O quantomeno L'ipotesi di leggi fisiche locali e temporali si fa' sempre più insistente per giustificare l'inspiegabilita' attuale di alcuni fatti cosmologici , se ho capito , perché il tuo ultimo post è completo e chiaro , ma il precedente mi rimane oscuro.


Beh, nel primo post propongo un mio pensiero filosofico secondo cui il mondo non è solo infinito, -intendo non solo infinito nello spazio e nel tempo- ma "fatto" estensivamente e materialmente di infinito, come una sbarra di ferro è fatta di ferro in ogni suo punto; la composizione del mondo ( il fatto che nel mondo ci siano parti entro certi limiti differenti) è l'essere infinito degli enti per partecipazione di quello che -in un mondo non materialmente infinito- sarebbe il singolo l'ente (il punto qualsiasi della sbarra) all'unica materia/matrice del mondo che lo rende infinito -non singolo-. Ogni determinazione possibile nell'infinito è infinita, di ogni cosa, pensiero, vivente, esiste solo la serie infinita (figura) che si iscrive a intermittenza nel continuo infinito dello spazio e del tempo (sfondo): il fatto che la coscienza ci riveli esseri singoli e numerabili, sfondi su cui appaiono singole cose, è conseguenza del cadere della coscienza su una parte limitata e non sulla totalità del mondo, quindi la singolarità e la numerabilità degli esseri percepiti è falsa, compresa la nostra stessa singolarità, l'effetto che ci fa la vita. 

C'è un limite mentale e fisico a quanto una cosa può differire da un'altra, e a quanto noi possiamo differire dalle cose (l'ordine per cui le cose si somigliano ci comprende), ma questo declinato nello spazio e nel tempo significa l'armonia tra la serie e il continuo; l'infinito di cui parli tu, quello di un numero infinito di cose, di un numero arbitrariamente grande di cui si possa sempre dire: "più uno!" è necessario ma non sufficiente per descrivere la natura, ci vuole, oltre a quello, un altro tipo di infinito, il continuo non quantizzato e non serializzato che le cose infinite possa contenere, pur rimanendo sé stesso. Non è solo l'aggingibilità dell'ulteriore unità al numero che descrive l'infinito, ci vuole anche il pensiero del continuo e ininterrotto infinito, a completare il quadro.

E questa è la congenericità della natura, l'elasticità entro certi limiti dell'essere che se tirato localmente da parte a parte, si dilata, non si rompe mai e intanto prepara il suo contraccolpo. Il limite a quanto le cose possano differire tra loro è anche il loro orizzonte, che tutte le ordina e tutte le fa ritornare.
Ci hanno detto che potevamo scegliere tra la pace e il climatizzatore, non abbiamo ottenuto nessuno dei due.

Ipazia

Citazione di: niko il 11 Gennaio 2020, 13:33:48 PM
Beh, io intendevo anche la tradizione nobile dello scientismo; Galileo afferma che il libro della natura è scritto nel linguaggio della matematica e della geometria; la metafora del libro della natura, che compare e ha grande importanza nel dialogo sui massimi sistemi di Galileo, era vecchia anche ai suoi tempi e risale a san Bonaventura (1200 circa), che parla dei due libri che avrebbe scritto Dio per l'uomo, le sacre scritture e la creazione (la natura); creazione che agli occhi del saggio e dell'innocente può essere letta -decifrata- come un libro e che ha lo stesso valore di verità della sacra scrittura.

Dunque nell'immaginario occidentale passiamo da una natura simile a una bibbia, che parla per lettere, parole e simboli, a una natura simile a un libro di matematica senza testo, che parla per numeri, espressioni numeriche e figure geometriche. Questo libro metaforico non solo esprime la natura, ma è la natura, perché si immagina che i suoi numeri e le sue forme siano sempre all'opera, sempre validi, sempre veri, che qualcuno lo legga o no.

Hai detto bene: immaginario, direi più antropologico che occidentale. 2000 anni prima di Galileo, Pitagora pensava le stesse cose e Platone ci costruirà una filosofia che arriva fino a Galileo e oltre: la mathesis universalis.

Ma è più verosimile pensarla come la necessità antropologica di sezionare e organizzare il mondo secondo una modalità che è congegnale per i propri scopi, e seppur quei calcoli e misure avessero un valore universale non se ne trarrebbe comunque alcun significato che trascenda la natura così come si manifesta nel suo divenire evolutivo, evitando di soccombere a sirene numero-logiche. Tenendo pure conto  :) di tutto ciò che non è misurabile e calcolabile. Tra cui gran parte di ciò che dà significato e valore all'avventura umana.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

Ipazia

Un esempio pratico del'impraticabilità di concetti come Nulla ed Infinito ce lo danno le regole della prospettiva: se io voglio rappresentare un punto a distanza "infinita" su una strada devo, perchè la rappresentazione sia verosimile, negare l'infinità delle rette parallele e farle convergere in un punto "finito" della mia rappresentazione detto fuoco. Tutta questa verosimiglianza richiede l'uso di regole geometriche che non sono inerenti alla natura, ma espedienti razionali su base matematica che simulano la percettività dell'occhio umano in una rappresentazione della natura. Occhio umano, che già di suo per come è fatto, nullifica al contempo, in una immagine artificiale, tanto il Nulla che l'Infinito.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

viator

Salve Ipazia. Si tratta di impraticabilità di ordine pratico e sensoriale, non concettuale. Ma perchè ti accanisci in questo modo nel voler sempre accantonare tutte le considerazioni che si discostano dalla visione materialistica, scientifica, scientista, mar..sta del mondo ? Saluti.
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

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