i limiti della contestualizzazione

Aperto da davintro, 23 Agosto 2018, 19:31:12 PM

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iano

#15
@jacopus.
In tempi non tanto passati quando scendeva il buio si filosofava anche senza sapere di farlo.
Oggi il contesto è cambiato.
Tucidite fa' dire a Pericle di se' e degli Ateniesi: "Noi amiamo il bello con semplicità e filosofiamo senza timidezza".
Tratto dalle prime pagine del primo volume di una infinita enciclopedia della filosofia,rilette mille volte , senza andare oltre.
Pigrizia?
No , è che in quelle poche pagine trovo tanti di quegli spunti che mi perdo sempre dietro ai miei pensieri.
Cosa unisce ,dici questo essere l'argomento,il filosofare di oggi a quello di ieri,rimasto immune ai cambi di contesto?
Questo è davvero un superspunto che non avevo colto,e che immagino nessuno storico della filosofia abbia affrontato,o no?
Grazie.
Credo non sia cambiata la naturale voglia di filosofare,anche quando non lo si ammette per timidezza.
Difficile tirare fuori la gente da questo guscio,ma non impossibile,e quando succede mi sento a pieno uomo fra gli uomini.
Certo una volta era più facile caderci di fronte a un cielo stellato nella notte buia.Altri contesti.😀
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

Kobayashi

#16
Per Phil.
Sulla contestualizzazione intendevo dire che sì, naturalmente un suo esercizio di base è necessario. Basta però non illudersi di poter trovare nell'opposizione dell'approccio storico-filosofico a quello teoretico la soluzione al problema della decadenza della filosofia.
Cit. Phil: "[...] la contestualizzazione [...] forse può aiutare a investigare meglio l'inadeguatezza dei padri, rendere meno oppressiva la loro presenza (in virtù della distanza contestuale) e magari anche facilitare l'elaborazione del lutto".
È l'ammissione che in fondo tutto quello che è stato raccontato sono in fondo solo idee, parole, e che la vita è altra e rimane ben protetta dal confort borghese, tutto quello che gli ultimi padri sono stati alla fine costretti a confessare... Ecco, è questo che secondo me si tratta di elaborare. Ma non come un lutto. Niente più melanconia, ma rabbia, sfrontatezza, coraggio sovversivo...

Per paul11.
Cit. paul11: "La filosofia nasce come indagine". È esattamente quello che mi interessava contestare.
L'ossessione della filosofia per la verità e la conoscenza di Dio dipende dalla dimenticanza di una distanza tra filosofia e sapere.
Come dicevo, se tra filosofia e sapere non c'è identità ma solo un'alleanza strategica significa che le finalità del filosofo non coincidono con quelle del sapiente (la ricerca di una verità assoluta).
Dunque si conclude che la sua tendenza a scodinzolare intorno alla scienza o a proporsi come metafisica non è attinente alla propria natura.
Che nell'antichità Diogene di Sinope fosse considerato un filosofo di grande importanza ci dovrebbe far riflettere sul fatto che forse si sono smarrite le domande più importanti.

paul11

Citazione di: Kobayashi il 27 Agosto 2018, 08:38:56 AM
Per paul11.
Cit. paul11: "La filosofia nasce come indagine". È esattamente quello che mi interessava contestare.
L'ossessione della filosofia per la verità e la conoscenza di Dio dipende dalla dimenticanza di una distanza tra filosofia e sapere.
Come dicevo, se tra filosofia e sapere non c'è identità ma solo un'alleanza strategica significa che le finalità del filosofo non coincidono con quelle del sapiente (la ricerca di una verità assoluta).
Dunque si conclude che la sua tendenza a scodinzolare intorno alla scienza o a proporsi come metafisica non è attinente alla propria natura.
Che nell'antichità Diogene di Sinope fosse considerato un filosofo di grande importanza ci dovrebbe far riflettere sul fatto che forse si sono smarrite le domande più importanti.
forse ,non hai letto i mie post precedenti.

La verità assoluta o è ritenuta religiosa da terza parte(Dio) come verità rivelata, o è indagine UMANA.
Se l'uomo fosse verità assoluta,sicuramente non non ne siamo coscienti: avremmo  già il sapere senza necessità di conoscere.
Se avessimo quindi la verità assoluta si tratterebbe comunque di indagare per conoscerla, per renderla cosciente.

davintro

oltre a ringraziare per l'interessante discussione che avete sviluppato, volevo anche aggiungere che ho sempre trovato la metafora dei "nani sulle spalle dei giganti" espressione di quel dogmatismo storicistico, che purtroppo contribuisce a svilire il carattere scientifico e razionale della filosofia, riducendola a porre come argomenti della verità delle tesi che si sostengono non la logica e la corrispondenza tra discorso e realtà, ma il principio di autorità, per cui i pensatori del passato (i giganti) sono delle autorità infallibili, da dover usare come base delle sviluppo delle nostri posizioni personali, senza metterle in discussione. Evidentemente ciò è all'antitesi di una corretta razionalità scientifica: se Galilei e Copernico avessero accettato il ruolo di nani sulle spalle del gigante Tolomeo, saremmo ancora fermi al modello geocentrico, avrebbero dovuto limitarsi ad aggiungere nuove nozioni ad un base prestabilita, senza smentire la validità della base stessa, perché "il gigante Tolomeo non può sbagliare, ipse dixit". Ma anche, ammesso e non concesso, di ritenere il compito del filosofo come quello di aggiungere nuove conoscenze ad una base teorica ricavata dalla storia, anziché costruire in modo autonomo le basi stesse, cioè accettare di essere nani sulle spalle dei giganti, appare come la pretesa di validità della metafora sia autocontradditoria: chi stabilisce chi sono i veri giganti, alle cui spalle appoggiarmi? Se fossi solo un nano non potrei essere io a stabilirlo, essendo nano il mio sguardo non avrebbe la capacità di elevarsi al punto di raffrontare l'altezza delle persone intorno a me e scegliere i più alti su cui poi poggiare per avere una visione della realtà più completa. La verità è che i giganti possono riconoscersi solo tra loro, solo un gigante ha la statura necessaria per distinguere la vera altezza delle persone e valutare quali sono le altezze maggiori su cui poggiare. Ma poi, essendo lui stesso un gigante, dovrebbe comprendere che anche facendo leva su se stesso, autonomamente, sarebbe comunque in grado di avere una sufficientemente ampia visione del paesaggio... fuor di metafora, la storia della filosofia è costituita da un'infinità di posizioni diverse, in gran parte antitetiche e non sintetizzabili, e non può essere accolta in toto come base teorica di fondazione di un pensiero autonomo e razionale, ma vanno selezionati quegli autori, e, soprattutto, quei punti e modelli teoretici, che ci sembrano più validi e razionali, siamo noi oggi a essere responsabili nello stabilire quali sono i giganti e quali no, ma il punto è che propria questa libertà e responsabilità mostrano l'autonomia della filosofia dalla storia della filosofia! Nel momento in cui sono in grado di valutare con la mia testa cosa prendere e cosa escludere della storia della filosofia, dimostro che non è la tradizione storica, ma la mia logica personale la base a partire da cui elaborare un autonomo sistema di pensiero, altrimenti dovrei passivamente assorbire tutto ciò che apprendo dalla storia, senza alcun filtro critico. Se, leggendo Kant o Hegel, sono in grado di giudicare e discernere i torti e le ragioni, le coerenze e le incoerenze dei loro discorsi, allora vuol dire che i parametri di tale giudicare e discernere non sono storici, ma originali e personali: sono già in me le basi a partire dalle quali valutare il valore teoretico dei testi, non mi sto appoggiando ad alcun gigante, non sono una tabula rasa colpita dal condizionamento esterno del libro. Il libro suggerisce, ispira, stimola la riflessione, ma il criterio di giudizio resta appannaggio della soggettività critica del lettore contemporaneo: qui sta l'autonomia della filosofia teoretica, elaborazione originale, rispetto alla storia della filosofia, ricezione passiva del passato.

 

 

Infine, per sintetizzare, mi piacerebbe opporre alla metafora dei nani sulle spalle dei giganti, quella della contrapposizione fra città e singolo cantiere in costruzione. La storia della filosofia non dovrebbe vedersi come un unico cantiere in costruzione dove ciascun pensatore aggiunge un mattoncino alla base di mattoni posti da altri prima di lui (l'anima immortale di Platone come può integrarsi nella stessa costruzione accanto all'anima aristotelica, che una volta separata dal sostrato materiale del corpo è destinata a perdersi? Di fronte a conclusioni contrarie non è possibile sintesi, ma solo un aut aut, tertium non datur ), bensì un città dove ciascun singolo filosofo costruisce la sua personale casetta, ed ha certamente l'opportunità di trovare ispirazione nelle case costruite dai suoi vicini, ma l'ultima parola sul progetto spetta a lui, al suo gusto personale, e le fondamenta a partire da cui sviluppare la sua costruzione, appartengono solo alla sua casa, senza nessun parassitario allaccio con le altre

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