Laddove questi limiti non si superino con la fede, tutti li ammettiamo, ma forse vale la pena ragionare sulle loro conseguenze che non sembrano presentarsi in forma univoca.
Alcuni modi di illustrarle sono fra i più gettonati , credo.
Così ad esempio se il mondo è fatto di particelle superare i limiti della nostra conoscenza significa scoprire sempre nuove particelle.
Una visione alternativa sarebbe che sono quei limiti a farci vedere il mondo come fatto di particelle , e quindi non riusciamo ad andare oltre la loro scoperta, ampliandone solo l'elenco, definendo sempre meglio i nostri limiti.
Le conseguenze dei nostri limiti si possono coniugare in diversi modi , anche perché non è chiaro quali essi siano in modo univoco.
Noi ne possiamo solo constatare le conseguenze , e solo da queste, se chiare ci fossero in modo univoco, provare a risalire a quelli.
In via ipotetica però si può provare a farlo, e non mi è chiaro quanto questo esercizio sia stato praticato per mia ignoranza.
Vi sono noti esempi in campo filosofico?
I limiti della conoscenza sono innanzitutto di natura materiale: grandi distanze, tecnologie inadeguate, gestione di grandi quantità di dati simultaneamente. In un
librone l'ingegnere capo di Google individua tre fattori che amplieranno di molto la conoscenza: ingegneria genetica, nanoparticelle e robotica/IA.
Questioni molto poco filosofiche, per come le intende la tradizione filosofica. Ma ci stiamo già inoltrando verso l'
umanesimo digitale e la
spiritualità delle macchine sempre secondo Ray Kurzweil, per cui nella
vicina singolarità potremo incocciare anche in una filosofia ad hoc.
Bisognerebbe intendersi cosa si intenda per conoscenza: teoretica, applicativa? Quantitativa, qualitativa?
La conoscenza filosofica non corrisponde con quella scientifica.
Se i limiti dei sensi sono stati ampliati dagli strumenti che hanno ampliato a tutte le frequenze elettromagnetiche le ricezioni di dati, non significa che i dati portino necessariamente conoscenze.
La quantità di informazione che gira per il pianeta Terra ogni giorno, oggi, rispetto ciò che c'era duemila anni fa, non è nemmeno paragonabile. Ma significa che proporzionalmente abbiamo acquisito conoscenze? A me non sembra, spesso è confusione se non errori.
Le applicazioni scientifiche sono tecnologie, tecnica, non così spesso conoscenze.
Perchè la quantità e le applicazioni non necessariamente consistono in nuove conoscenze.
Se da sempre l'uomo vive in continue contraddizioni che si esplicano in cattivi governi, in guerre, violenza, signifca che l'essere umano ha preso dall'esterno dalla conoscenza, ma senza modificare il suo essere umano nel mondo. La qualità si esplica nel modo di vivere e praticare umano: a che serve andare su Marte se non sappiamo gestire globalmente una pandemia e raccattiamo vaccini ognuno per sé al mercato nero del farmaco ,ben sapendo che solo vaccinando 7 miliardi di umani, non avremmo più mutazioni.
Insomma quale conoscenza? La tecnica ci sta portando al nichilismo perfetto, ma per colpa dell'uomo. Se la tecnica è manipolazione di materia ed energia che ci dà la natura ,serbatoio non inesauribile di materie prime, questo tipo di conoscenza che come dice Heidegger ha entifcato l'Essere, per cui portando all'esterno il focus della conoscenza esplicata in potenza manipolativa, ha scordato la qualità dell'Essere, unica ad armonizzare l'esistenza umana fraternamente e in armonia con la natura.
Detto anche in altro modo, come fa il ragno a secerne re filamenti per costruire una tela, perfettamente rispondente alle misure degli insetti e flessibilmente esatta per non rompersi e nello stesso tempo per creare quelle vibrazioni che permettono al ragno di sapere se un insetto vi si è invischiato? Ha avuto un master in ingegneria al MIT di Boston? Nessuno sa dirlo e come il ragno praticamente moltissime attitudini diciamo naturali .
Se la filosofia, a detta di Aristotele, nacque dalla meraviglia, dallo stupore del mondo per quel che è , "quale mano ha deciso di accendere o spegnere le stelle ?". La filosofia non dà nulla di scontato ,ciò che per la scienza non è indagabile e l'indagine non è necessariamente portatrice di conoscenze. Se l'indagine può misurare la velocità della lingua che si dispiega di un camaleonte quando cattura la preda è inspiegabile come un organismo "abbia deciso" seppur per adattamento a "scegliere" strategie all'interno della grande nicchia ecologica ,dove tutto sembra morire, per poi rinascere. Come se adattarsi significherebbe spingere il proprio DNA a mutare le sequenze delle quattro basi proteiche.....me lo vedo il ragno, il camaleonte, e l'infinità di organismi viventi che compongono la natura compreso il covid pandemico attuale che "decide" di mutare il suo RNA diventando inglese, brasiliano, sudafricano . I loro sistemi di ricerca e sviluppo ,che non hanno, superano l'intera ricerca e sviluppo umana nell'epoca della tecnologia digitale, della superconduttività, delle nanotecnologie , delle stampanti 3D ....e della strumentazioni su Marte telecomandata da Terra.
Questo è ancora stupore e meraviglia........... e l'Essere ,sparito dall'orizzonte, è ancora quello di duemila anni fa .
Buongiorno a tutti
Penso che il grande limite della conoscenza stia nel controllo. Ciò che sta alla radice del bisogno di conoscere da parte dell'uomo è semplicemente il suo desiderio di controllare la realtà. Questo desiderio viene ammantato spesso di nobili intenti: etici, umanistici, ecc. Il desiderio però è sempre lo stesso che portava a fare sacrifici con lo scopo di controllare le divinità. Un tempo la magia con il rito, adesso la tecnologia. Il controllo della realtà per renderla prevedibile per l'uomo, cercando di eliminare l'elemento ritenuto imprevedibile, quando questo provoca sensazioni spiacevoli. L'arte invece come forma e contenitore deputato a controllare l' imprevedibilità ritenuta piacevole: ossia ciò che è tollerabile e piacevole essere ritenuto imprevedibile. Man mano che le conoscenze tecnologiche lo permettono, il tentativo di controllo si fa sempre più serrato. Lo vediamo dispiegarsi oggi con forza sempre maggiore. Presto ci sarà la possibilità, e lo si farà allora, di controllare gli aspetti più imprevedibili delle società umane in ogni aspetto: comportamentale, sanitario, politico, di pensiero, ecc. La tecnologia lo permetterà. In questo senso la gestione "digitale" dell'evento imprevedibile "coronavirus" permette di iniziare ad intravedere, senza necessariamente avere doti visionarie alla Elon Musk, come evolverà nei prossimi anni l'umanità. Come la necessità di controllo diventerà sempre più evidente e pressante. Sarà ritenuta e venduta come una forma di progresso per la società stessa. Saranno forse gli stessi animi più aperti a convincerci della necessità di questo controllo, proprio per ragioni di sicurezza, per il ben-essere di tutti, per senso di responsabilità ci diranno, forse. Io vedo chiaramente tutto questo venire avanti con forza, come quando vedo addensarsi nuvole nere all'orizzonte e allora so che arriverà il temporale.
In sintesi: conoscenza= desiderio di controllo
Concordo con Paul che la conoscenza non è riducibile alla materia naturale micro e macro, oggetto di indagine scientifica. Vi è una materia più sottile e sfuggente delle più arcane particelle e radiazioni, una materia fatta di senso, pertinenza esclusiva del sapere filosofico.
Salve Paul11. Citandoti : "Se la filosofia, a detta di Aristotele, nacque dalla meraviglia, dallo stupore del mondo per quel che è , "quale mano ha deciso di accendere o spegnere le stelle ?".
Non è colpa di nessuno..........ma l'inciso di cui sopra è perfettamente tipico "dell'essere esseri umani" i quali sono costretti ad umanizzare tutto, incluso ciò che ha generato gli esseri umani e tutto il contorno cosmico materiale.
E' come un "tic" nervoso (in realtà una azione psichica automatica) che spinge Aristotile ma anche l'ultimo dei minorati mentali al trovar "NATURALE" il capovolgere origine e storia del Mondo ribaltando il ruolo tra le cause e gli effetti che lo hanno fatto quello che - esso Mondo - è.
Nello scrivere di certe cose a nessuno passa per la testa il concetto di assurdità.
Chissà perchè mi viene in mente un colorito modo di dire che mi capitò di udire in televisione e veniva narrato allo scopo di enfatizzare l'audacia esplorativa dei precursori del colonialismo. Essi - veniva detto - furono coloro che "osarono avventurarsi là dove la mano dell'uomo non aveva mai messo piede". Saluti.
@Paul 11.
Hai ragione nel chiedere,di quale tipo di conoscenza intendo parlare.
Non saprei rispondere esattamente.
Forse intendo qualitativa, forse di ogni tipo.
Forse meglio la conoscenza di noi che possiamo indirettamente dedurre dalla nostra conoscenza in generale.
Intendo che, se noi conosciamo in un certo modo è perché siamo fatti in un certo modo.
Intendo che se noi intendiamo il mondo in certo modo, le nostre visioni dipendono dal mondo quanto da noi, e di solito si indaga la prima dipendenza piuttosto che la seconda.
Il mondo non corrisponde realmente a ciò che vediamo, ma quel che vediamo ci dice qualcosa al contempo del mondo e di noi, quindi la filosofia come creatrice di mondi la chiamò pesantemente in causa.
Forse impropriamente ho parlato di limiti.
Intendevo meglio chiedere come la forma in cui la nostra conoscenza si presenta ci qualifichi.
Ci dica quel che siamo e che più non saremo al mutare della conoscenza cui a priori non si può porre alcun limite.
Intendevo che quel che conosciamo ci delimita per quel che siamo.
In qualche modo siamo uno specchio del mondo, ma non deformato, seppur non fedele.
Che tipo di specchio siamo?
Nel porre finalmente la giusta domanda, chiamo in causa la filosofia pesantemente. Eccome!
Citazione di: Ipazia il 21 Aprile 2021, 10:04:10 AM
Concordo con Paul che la conoscenza non è riducibile alla materia naturale micro e macro, oggetto di indagine scientifica. Vi è una materia più sottile e sfuggente delle più arcane particelle e radiazioni, una materia fatta di senso, pertinenza esclusiva del sapere filosofico.
Ecco, appunto, intendo che la distinzione fra ciò che è pesante e ciò che è sottile qualifichi noi piuttosto che il mondo. Noi che siamo capaci di ritrattare ogni distinzione e ogni visione, come ci dice la storia della filosofia, pur non perdendo quella coerenza che occorre per continuare a far parte di questo mondo, anche quando ci sembra sempre di essere sull'orlo di un baratro, manifestando in tal modo il disagio che accompagna ogni cammino ignoto.
@Alexander.
L'opinione che tendiamo a controllare la natura in qualche modo ci qualifica per quel che siamo, visto che in effetti non controlliamo la natura più di quanto essa non controlli noi.
@Viator.
È ovvio che umanizziamo tutto, perché la conoscenza è cosa nostra.
Meno ovvio è che lo facciamo anche quando non crediamo di farlo.
Appunto quel che volevo sottolineare è che la conoscenza, in quanto umana, ci dice qualcosa di noi certamente, e in seconda battuta forse anche del mondo.
Insomma ho fatto un pasticcio esemplare.
L'argomento voleva essere " come la conoscenza ci delimita" e invece ho parlato di limiti della conoscenza, laddove invece la conoscenza muta senza apparente limite, e noi con essa.
Abbiate pietà .
Come detto in un'altra discussione di recente, lo riprendo perché secondo me c'entra molto con i limiti della conoscenza:
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Jalal Ad-Din Rumi, mistico sufi, proclamava:"
La Verità è uno specchio caduto dalle mani di Dio, e andato in frantumi.Ognuno ne raccoglie un frammento e sostiene che li è racchiusa tutta la Verità.
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Questi per me sono i limiti della conoscenza, la conoscenza non semplicemente "ha" dei limiti, ma "si compone" intrinsecamente dei suoi stessi limiti, quindi dei limiti tra conosciuto e sconosciuto, tra se ed altro, per quanto grande o ingrandibile essa sia, quindi tali limiti non se ne andranno, non si supereranno mai, finché la conoscenza sarà conoscenza.
Lo scetticismo è iscritto nella mancanza desiderante che la filo-sofia come amore del spere indica, quindi se come ha detto qualcuno dietro il desiderio di conoscenza c'è l'ossessione del controllo, vale la pena di essere pessimisti fino in fondo e aggiungere che tale controllo, cioè tale conoscenza soddisfacente, non si realizzerà mai definitivamente, non possiamo controllare tutto come non possiamo sapere tutto.
L'unica ad essere un diamante in sé conchiuso, a non avere limiti intercorrenti tra sé ed altro ma solo tra sé e nulla, ad essere perciò un'entità in-finita, è, diversamente dalla conoscenza, quella che potrei chiamare l'esperienza (non solo quella sensibile, esperienza in senso lato) o l'appercezione immediata, in quanto essa è un nulla di conoscenza, non è di per sé in nessun senso conoscenza, anche se con la conoscenza entra in relazione.
E per tornare alla metafora dello specchio, non tutti i frammenti di esso vengono raccolti, alcuni vengono raccolti dagli uomini, altri giacciono sulla sabbia per sempre, o comunque a tempo indefinito; fuor di metafora, il prospettivismo non esaurisce la realtà per questo la realtà su cui si aprono le varie prospettive umane è essa stessa in divenire.
La conoscenza filosofica è sommamente delimitante traendo origine dall'epigramma sul tempio oracolare di Delfi: γνῶθι σαυτόν.
Conoscere se stessi pone una delimitazione individuale, di specie, e gnoseologica, poiché delimitiamo la realtà con una esclusivamente nostra episteme.
Questi tre livelli delimitano aree di conoscenza distinte. Non sempre idilliache, perché il guardarsi dentro non è esente da pericoli ed abissi. Dai quali mette in guardia uno scrutatore certosino dell'animo umano e della conoscenza.
CitazioneChi combatte contro i mostri deve guardarsi dal non diventare egli stesso un mostro. E quando guardi a lungo in un abisso, anche l'abisso ti guarda dentro
Un invito a delimitare con giudizio, prendendosi anche salutari spazi di evasione tra i tre livelli della conoscenza.
@Niko.
Se la verità è uno specchio frantumato allora, almeno potenzialmente , è ricomponibile.
Ma se tu sei convinto di ciò, come mi pare, cosa ti dice ciò di te, e nella misura in cui molti di noi lo condividono, cosa ci dice di noi?
Questo è il tema della discussione, come ho cercato di correggerlo, avendolo maldestramente intitolato " I limiti della conoscenza".
Citazione di: Ipazia il 21 Aprile 2021, 13:48:49 PM
La conoscenza filosofica è sommamente delimitante traendo origine dall'epigramma sul tempio oracolare di Delfi: γνῶθι σαυτόν.
Conoscere se stessi pone una delimitazione individuale, di specie, e gnoseologica, poiché delimitiamo la realtà con una esclusivamente nostra episteme.
Questi tre livelli delimitano aree di conoscenza distinte. Non sempre idilliache, perché il guardarsi dentro non è esente da pericoli ed abissi. Dai quali mette in guardia uno scrutatore certosino dell'animo umano e della conoscenza.
CitazioneChi combatte contro i mostri deve guardarsi dal non diventare egli stesso un mostro. E quando guardi a lungo in un abisso, anche l'abisso ti guarda dentro
Un invito a delimitare con giudizio, prendendosi anche salutari spazi di evasione tra i tre livelli della conoscenza.
C'è molta saggezza in quel che scrivi, ma credo che la conseguenza necessaria della coscienza sia di portar fuori ciò che è dentro, continuando pur a restare parte di noi.
Noi lo chiamiamo scienza e tecnologia, ma siamo sempre noi.
Mi sembra di vederti passeggiare per boschi inseguendo alcun pensiero.
Essendo te stessa , prendendoti salutari pause dal voler sapere cosa, o mentre curi i tuoi fiori con gioia per il motivo di nulla.
Citazione di: iano il 21 Aprile 2021, 15:29:50 PM
Citazione di: Ipazia il 21 Aprile 2021, 13:48:49 PM
La conoscenza filosofica è sommamente delimitante traendo origine dall'epigramma sul tempio oracolare di Delfi: γνῶθι σαυτόν.
Conoscere se stessi pone una delimitazione individuale, di specie, e gnoseologica, poiché delimitiamo la realtà con una esclusivamente nostra episteme.
Questi tre livelli delimitano aree di conoscenza distinte. Non sempre idilliache, perché il guardarsi dentro non è esente da pericoli ed abissi. Dai quali mette in guardia uno scrutatore certosino dell'animo umano e della conoscenza.
CitazioneChi combatte contro i mostri deve guardarsi dal non diventare egli stesso un mostro. E quando guardi a lungo in un abisso, anche l'abisso ti guarda dentro
Un invito a delimitare con giudizio, prendendosi anche salutari spazi di evasione tra i tre livelli della conoscenza.
C'è molta saggezza in quel che scrivi, ma credo che la conseguenza necessaria della coscienza sia di portar fuori ciò che è dentro, continuando pur a restare parte di noi.
Noi lo chiamiamo scienza e tecnologia, ma siamo sempre noi.
Mi sembra di vederti passeggiare per boschi inseguendo alcun pensiero.
Essendo te stessa , prendendoti salutari pause dal voler sapere cosa, o mentre curi i tuoi fiori con gioia per il motivo di nulla.
Perdonatemi ma..............leggendo di un simile duetto dialettico...........(criptocultura cui risponde criptosentimentalismo)................mi sembra proprio che Ipazia e iano stiano somministrandoci l'epitaffio di Logos ! Chissà se mi sbaglio ! Saluti.
X Viator
C' una bella differenza i, fra un luogo geografico fisico già esistente sul pianeta Terra, quali possono essere lo scoprire le sorgenti del Nilo o le spedizioni al Polo Nord e Sud, e la creazione del pianeta Terra dentro una galassia chiamata Via Lattea e un sistema planetario con una stella detta Sole. E' la stessa differenza di chi non vede la trave negli occhi mentre guarda la Luna.
Fra lo scoprire fisicamente e chiedersi cosa, come e perchè esiste questo mondo, ci sono domini di conoscenza ben diversi, ma è tipico di chi vive senza sapere che vive.
X Iano
Non so cosa intendi per "filosofia creatrice di mondi".
A volte si intende sottovalutare l'uomo, a volte sopravvalutarlo.
Quando si dice che l'uomo ha dei limiti è vero, ma quei limiti comunque permettono nonostante tutto, di manipolare la natura, di costruire tecniche e tecnologie, applicazioni pratiche grazie a teoretiche costruite in analogie con il mondo. Perché se il nostro cervello non fosse in analogia con la realtà non costruiremmo men che che niente, dal mattone alla sonda che va su Marte.
Ci sottovalutiamo in questo e ci sopravvalutiamo quando riteniamo che manipolando la natura noi siamo esenti dalle regole della natura, nasciamo e moriamo come qualunque organismo vivente. L'uomo non può come corpo fisico metabolico che necessita di cibo ed aria porsi fuori o al di sopra della natura. Il nostro limite fisico è quindi interno alla natura .
Un animale , un organismo vivente, reagisce agli stimoli ambientali , l'uomo fa qualcosa di molto di più, indaga i meccanismi ambientali, è capace di chiedersi le cause e cercare le risposte.
Questo processo non può che pervenire da conoscenze dei fenomeni naturali.
La filosofia è chiamata in causa per chiedersi "ma cosa c'è dietro la causa? Perché deve esserci proprio quell'effetto?" e non essendo particolaristica, cerca di ricomporre non tanto il puzzle, poiche sarebbe ancora un concetto di quantità, come dire quanti pezzi di puzzle compongono l'universo? E' impossibile trovare nell'indeterminatezza di una quantità infinita di pezzi di puzzle il quadro completo dell'universo , che in teoria dovrebbe, ma per me non è vero, darci la verità.
Quindi la conoscenza quantitativa , espansiva non è nella conoscenza della moltitudine dei fenomeni apparenti.
Questo concetto è il limite fra scienza e filosofia e ciò lo capirono già più di duemila anni fa.
Il problema pratico è questo: nonostante abbiamo limiti di conoscenza della realtà fisica del mondo, nonostante potrebbero le filosofie e persino le religioni, aver sbagliato deduzioni, interpretazioni, eppure, nonostante tutto questo abbiamo costruito un mondo parallelo alla natura, chiamato cultura alla quale noi tutti dipendiamo quanto il nostro organismo ha necessità di cibo e aria.
Il punto filosofico è questo oggi : così come l'uomo agisce sul sistema ambiente cercando di conoscerlo , e non reagisce con soli impulsi che l'ambiente detta come le piante e animali, lo stesso avviene nel sistema culturale che è una creazione umana e questo dice molto su come l'intelligenza, la conoscenza può costruire a sua volta in analogia con la natura, anche se in maniera dissimile.
I fenomeni fisici li studiano le discipline scientifiche fisiche e naturali, ma il sistema culturale chi e come si è evoluto, quali sono le sue regole sociali interne? Noi pensiamo alla cultura prodotto dell'uomo in modo errato, lo pensiamo come un destino naturale impossibile da modificare nelle sue regole , la contraddizione invece è che se la vita e la morte nascono non da una nostra volontà, la cultura invece sì.
La nostra cultura attuale invece compie l'inverso ,se ci pensiamo bene. Ci fanno credere che è possibile agguantare la natura, ma impossible gestire le problematiche culturali : economiche ,sociali, politiche.
Natura e cultura sono originariamente diverse , ma analogiche eppure non simili. Noi ci illudiamo di leggere la cultura come se fosse un fenomeno naturale, non siamo solo impulsi. La prima conoscenza allora è quello di chiederci cosa siamo, chi siamo , che senso ha la nostra vita .
L'aspetto che avviene dopo è la relazione uomo natura e la relazione uomo cultura. Poichè siamo gli unici organismi viventi che possono andare contro-natura e creare cultura, bisogna capire dove stanno le origini dei problemi . Questo è il compito della filosofia .
Il tempo di indagare come l'uomo costruisce intenzioni, motivazioni, appercezioni, ormai la psicologia, il cognitivismo le neuroscienze lo hanno scientificamente abbastanza dedotto, la linguistica analitica a sua volta lo ha analizzato . Ma nessuno può dirci perché siamo fatti così così come siamo e con delle facoltà che se potrebbero essere naturali ,si esplicano anche in modo innaturali, quale l'intelligenza . Innaturale poiché se l'intelligenza sorgesse da una evoluzione naturale, questa può praticare innaturalmente, contro natura ,la propria cultura. Allora dove nasce il giudizio, la giustizia, dove nasce la sovranità, dove nasce lo Stato, dove nasce la finanza, dove nasce la dignità? I tentativi culturali e apologetici di dire che i fenomeni culturali sono in analogia al dominio naturale è un falso , noi non abbiamo costruito solo manufatti artificiali dalla forchetta al grattacielo , non esistenti in natura, noi vogliamo dominare l'atomo quanto il coronavirus. La qualità della conoscenza è capire la natura umana, siamo dei caini o degli abele, o siamo un insieme di entrambi contraddittorio domabile o indomabile, possiamo dominarci e che cosa possiamo o non possiamo fare?
La conoscenza qualitativa è manchevole
A mio avviso alcuni soggetti sono più simili al modello di Caino (tendenzialmente malvagi) e altri più o meno vicini ad Abele. Nessuno è comunque veramente perfetto e innocente ed anche gli uomini più santi hanno le loro magagne, ad esempio la storia della Chiesa parla di santi (comunque moralmente integerrimi) che si autopunivano mortificando con digiuni, penitenze dolorose il loro corpo, ma è una deviazione dalla normale spiritualità, poiché il corpo ci è stato dato da Dio ed è unito all'anima, se lo mortifichi di conseguenza commetti il male. Il concetto di espiazione attraverso il dolore è a mio avviso un'enorme menzogna. E' forse più vicino alla verità il concetto ebraico che possono esistere semmai i "giusti", ma non i santi.
Sul motivo per cui religione e politica vogliono farci apparire naturali e immutabili i fenomeni sociali Marx ha scritto una filosofia della storia e Nietzsche una critica fondamentale.
La cultura, nella sua veste dominante, è anche questo, uno scorpione con la coda avvelenata che difende con violenza fisica e veleno ideologico la sua posizione di privilegio e dominio.
Oggi ne abbiamo ennesima conferma nella gestione dall'evento pandemico e nel bias vaccinale, non esente da rigurgiti di pancia forcaiola, laddove il primo motore immobile ha più a che fare con la cultura di potere che con la cultura scientifica.
La delimitazione tra i livelli della conoscenza non è esclusivamente un viale fiorito. Anzi, ci vuole pazienza certosina e grande fede umanistica per andare in cerca di fiori tra le rovine della conoscenza umana.
@Paul 11.
Il nostro limite, mi pare tu dica, è all'interno della natura, anche se la tentazione di posizionarci fuori da essa è sempre presente, e ha come conseguenza il sopravalutarci o sottovalutarci, in base all'umore dei tempi.
Considerarci pienamente naturali , ne' più ne' meno, sarebbe una buona base di partenza, che non diamo per scontata, seppure dovrebbe apparirci ovvia.
In questo modo risolviamo il problema dei nostri limiti, se questo fosse l'argomento della discussione, equiparandoli ai limiti che la natura possiede, posto che abbia senso parlare di limiti riferendosi alla natura.
Ci poniamo quantomeno così in modo preciso dentro qualcosa che però rimane imprecisata.
Ma ne traiamo che sarebbe più saggio chiedersi cosa sia la natura, piuttosto che chiederci cosa siamo noi.
Se però insistiamo nel chiederci cosa siamo noi possiamo dare quindi la sola risposta corretta di essere parte integrante della natura.
Non possediamo quindi limiti, nel senso che non sono definibili i limiti della natura.
Viviamo pienamente dentro alla natura, ma nella misura in cui siamo coscienti, viviamo anche in un mondo parallelo esclusivo, sempre interno alla natura, da noi creato.
È il mondo della percezione cosciente che deriva più che dai sensi ,dalla scienza e dalla tecnologia con ineludibile, per quanto ci si provi, contributo della filosofia.
Tutto ciò non ci limita, ma ci definisce, seppur in modo contingente.
Ci dice quello che siamo in un certo momento della storia naturale.
La filosofia naturale ( e cosa altro potrebbe essere se non naturale?) esplicita in una visione ciò che è al contempo fuori e dentro di noi, avendo mi pare privilegiato finora ciò che è fuori.
Ma questo quadro, i colori che abbiamo scelto, il pennello usato, lo stile della pennellata, auto definiscono noi, all'interno di qualcosa di più grande sicuramente, ma solo quantitativamente, non qualitativamente.
Non è facile indagare la natura in genere essendo indefinibili i suoi limiti, quindi di solito ci limitiamo a isolarne un sottosistema, come una scatola che sta dentro alla natura, ma da cui noi siamo fuori.
Pure in questo modo limitato, ci pare di stare indagando la natura in modo completo, e da ciò traiamo l'illusione di poterci porre fuori da essa.
Noi stessi siamo una di quelle scatole già bella e pronta , ma trascuriamo di considerarci tali.
Certo non possiamo porci fuori di essa , come occorrerebbe per essere testimoni indipendenti delle sistema scatola, ma davvero non possiamo trarre alcuna informazione su noi stessi, e quindi in definitiva sulla natura, osservandone la forma che via via assume, al mutare dei nostri quadri filosofici?
Le scatole perfettamente isolate dal contesto sono in fondo solo un idealizzazione.
Nella realtà non esistono.
Sono sufficientemente isolate relativamente a ciò che vogliamo indagare, ma mai del tutto.
A mio parere ci sono diversi indizi che ci definiscono, che di solito trascuriamo.
Il loro elenco equivale all'elenco di tutto ciò che ci appare ovvio, posto che in natura le ovvietà esistono esclusivamente all'interno nel nostro mondo parallelo.
È propriamente dentro quel mondo esclusivo, chiuso come una scatola,che possiamo trovare la nostra specificità, perché a noi specifico, seppur tutto dentro alla natura
La filosofia ci dice chi siamo.
Dimmi che pensi e ti dirò chi sei..
Certo siamo anche liberi di pensare, e infatti non siamo mai la stessa cosa.
Siamo un sistema sufficientemente isolato da poterci dare un senso.
Poco scappa dalla scatola chiamata noi, ma quel poco tendiamo a trascurare.
Che cosa è la filosofia se non uno strumento della coscienza attraverso la quale specificamente ci evolviamo , in modo preferenziale, secondo natura?
È davvero saggio metterla da parte?
Ha davvero senso costruire una scatola che ci contenga e che la escluda?
Che tipo di scatola sarebbe?
Immagino una scatola semplificata, più semplice da studiare, ma priva di ogni senso la sua costruzione .
Sul controllo, presentato da Alexander, a suo tempo scrissi.
E' vero che l'uomo cerca da sempre un controllo, ma non è un desiderio, in politica lo si potrebbe definire come stato di normalità che viene posto in emergenza da una minaccia esterna; eventi naturali, una pandemia, alluvioni, siccità, terremoti, o addirittura altri gruppi umani come Stati che minacciano la nostra "norma-lità".
Noi superiamo l'emergenza quando siamo in grado di com-prenderla. Questa attività conoscitiva che può essere personale, e che nel sociale si esplica come unità politica intesa come centro della prassi decisionale, prima cerca di conoscere la minaccia, classificarla, registrarla, dopo di che si appronta la prassi affinché la minaccia venga estinta. Se quella minaccia viene compresa, conosciuta, alza il livello personale o sociale di "normalità" in quanto ora essendo conosciuta in qualche modo non è più una minaccia poiché sono state approntate misure appropriate, potremmo dire che diventa cultura.
Allora, se un tuono allarma gli animali che reagiscono per impulso, l'uomo supera l'allarme e la minaccia in diverse modalità: lo gestisce come segno simbolico, lo fa diventare un totem , un segno divino, naturale; oppure lo gestirà come fenomeno, cercherà di capire cosa sia il tuono, capirà che spessissimo segue un lampo di luce, che vi sono nubi, insomma che vi sono circostanze affinché quel tuono possa sussistere, seguirà pioggia, ecc.
Il controllo non necessita di una conoscenza assoluta, di capire fino in fondo il procedimento causale del perché avviene il tuono, l'importante è che l'uomo comprendendolo lo "interiorizzi", in qualche modo lo razionalizzi, per cui la ragione lenisce il problema sorto emotivamente.
Il controllo è l'esercizio pratico che ha portato alla tecnica : prima c'è la paura di una minaccia naturale ambientale, poi c'è una normalizzazione di quella minaccia per cui la controlliamo, ma poi avviene il passaggio successivo che quella minaccia portatrice di una nuova normalità e di conoscenza ora è addirittura superabile come un farmaco con una malattia, possiamo andare oltre, a gradini tecnici successivi.
Gli stati di emergenza, di eccedenza rispetto ad una normalità culturale individuale o sociale, potremmo dire che ci fanno maturare ci portano a step, gradini successivi superiori.
Quindi il controllo sembrerebbe più una necessità di performare ,più che un desiderio, continue emergenze, minacce.
Citazione di: paul11 il 22 Aprile 2021, 13:55:22 PM
Allora, se un tuono allarma gli animali che reagiscono per impulso, l'uomo supera l'allarme e la minaccia in diverse modalità: lo gestisce come segno simbolico, lo fa diventare un totem , un segno divino, naturale; oppure lo gestirà come fenomeno, cercherà di capire cosa sia il tuono, capirà che spessissimo segue un lampo di luce, che vi sono nubi, insomma che vi sono circostanze affinché quel tuono possa sussistere, seguirà pioggia, ecc.
Ma forse la modalità e' unica , salvo distinguere i diversi modi di realizzarsi col senno di poi, in base al relativo tasso di successo.
La distinzione fra reazione istintiva e reazione consapevole inoltre non è qualitativa, ma quantitativa, e si misura in quanto tempo abbiamo per reagire, quindi il discrimine rimane arbitrario.
Una risposta razionale fuori tempo massimo non sembra una buona strategia.
Ciò che sembra ovvio, distinguere fra ragione e istinto, dunque tanto ovvio non è.
Cerchiamo e troviamo distinzioni dove non ve ne sono, ma che, seppur fittizie, sembrano funzionali al controllo della natura. Ciò perché nella pur omogenea natura rileviamo salti che ci permettono utilmente di raffigurarla come fatta di parti distinte , a cui poter applicare il gioco delle cause e degli effetti, traendone quindi leggi che impropriamente chiamiamo naturali. Esse iniziano da un se, e proseguono in un allora, e a volte funzionano, anche quando a rigore, non c'è nessun vero se' e nessun allora realmente corrispondenti in natura.
Così nasce in filosofia la incolmabile dicotomia fra uno e molti.
Iano,
Se una cultura collocata temporalmente, cioè è storia cronologica, sopravvaluta o sottovaluta , può essere almeno coerente nella sua valutazione se fra teoria e prassi non vi sono contraddizioni.
Come dire che se una cultura impronta le sue fondamenta originarie su una contraddizione è ovvio che tutto ciò che è ricaduta teoretica e pratica seguirà quella originaria contraddizione, ma almeno è coerente come procedimento .
La contraddizione culturale moderna nasce invece da un dualismo interno che è già all'origine contraddittorio, per certe cose ci sopravvalutiamo, per altre ci sottovalutiamo. Quando accade questo bisogna interrogarsi filosoficamente, culturalmente, del perché la cultura (perché comunque di cultura si tratta, quando si interpreta la natura si fa cultura non natura) ha insita, in sé, questa originaria modalità di distinguere i campi teoretici e pratici in modalità diverse.
Prendiamo pure la tesi cultural filosofica che siamo natura. Allora dovremmo accettare come derivazione della tesi originaria, che la cultura promossa dal solo organismo vivente che è l'uomo , è una ulteriore evoluzione del processo naturale.
Mi si dovrebbe però spiegare come mai la cultura, se deriverebbe pedissequamente da un ulteriore gradino evolutivo, può essere contro-natura. La cultura ha connotazioni originarie assai diverse dalla natura, persino in antitesi e contraddittorie. La natura non postula, si mostra, ci appare, non ci dice, noi la interpretiamo , la modelliamo, la modifichiamo, usiamo tecniche anche contr-natura, la superiamo, la distruggiamo, insomma noi la plasmiamo teoreticamente e praticamente , per noi la natura se da una parte è una "schiavitù", nel senso che vita e morte non sono nostra volontà, dall'altra è possibilità culturale di manipolarla . La natura è crudele, ma non ha etica o morale, non ha una giustizia, ha semmai sue regole e ordini interni appunto crudeli(ma anche il termine crudeli è un giudizio nostro culturale). La natura non crea finanza e Stati, Parlamenti o Leggi , non crea monete, banche, fabbriche o luoghi di lavoro. Tutta la nostra cultura è dentro un artificio chiamato città , paesaggio (che è l'insieme di natura e costruzioni, come case, strade, ecc).
La nostra cultura tecnica è costruita per vincere il destino della morte, e quindi è contro-natura, poiché la natura è ineluttabile.
Noi siamo parte integrante della natura all'atto della nascita (già come nasciamo grazie all'ostetricia ci pone già nella cultura) e all'atto della morte. In mezzo ,fra nascita e dipartita, è tutta cultura. Siamo educati nella cultura del luogo dove nasciamo. Persino Freud abbandonò gli istinti per descrivere la psiche umana passando a "pulsioni". Noi siamo una tabula rasa rispetto agli impulsi degli animali che rispondono specializzandosi nell'ambiente. Gli occhi di una libellula sono altamente specializzati, i sensi animali sono fortemente specializzati , noi siamo "imbelli" più di qualunque essere naturale, tutto ciò che ci viene insegnato ed educato costruisce l'"armamento" umano, quindi è cultura non natura.
Se fossimo paracaduti nel mezzo di una giungla, di un deserto, quasi sicuramente soccombiamo se non siamo "addestrati". Addestrati significa tecnica, conoscenze dell'ambiente e tecniche di sopravvivenza e questo daccapo è cultura.
Bisogna capire un concetto, noi interpretiamo la natura costruendo conoscenze, quando descriviamo la natura siamo cultura, detto in altro modo è la cultura che descrive la natura e non viceversa. Questo è un passo ineludibile per capire l'uomo. L'uomo di per sé non muta fisicamente quanto non mutano nello spazio diciamo di duemila anni, gli organismi (se non i virus, forse i batteri), Da duemila anni a questa parte cosa è mutato radicalmente? La cultura, non la natura che segue incessantemente i suoi cicli .
La potenza, se così si può dire, dell'intelligenza umana, è andare al di là della natura, cercarne un origine della natura e dell'uomo stesso: questa è una problematica tipicamente filosofica ed è chiaro che per quanto posa essere logicamente induttiva-deduttiva, rimane pur sempre una interpretazione.
Ma la domanda successiva da porsi è se davvero la cultura "è salvifica", se la tecnica, l'arteficio umano ci pongono al riparo dalla natura, dalle sue minacce. Per questo la problematicità del Novecento fra Essere e Tecnica è ancora importante. Quando ad esempio un Nietzsche è posizionato come "irrazionalista" ,il perché lo si trova nella sua interpretazione della rapporto natura cultura, in cui ritiene la cultura come schiavizzante per l'uomo . O un Heidegger che .come ho scritto, ritiene che la tecnica abbia entificato l'Essere, cioè l'uomo stesso creatore della tecnica, ha perso la capacità di gestire la tecnica che è divenuta come la natura, ineludibile, impossible da fermare e da gestire, tanto che l'uomo è diventato una "cosa", un oggetto a sua volta manipolabile come una risorsa naturale.
Questo pone il dilemma sulla conoscenza non solo il suo limite che è ovviamente umano in quanto da lui prodotto, ma che cosa è giusto o sbagliato , e quali sono i criteri di giudizio?
Citazione di: iano il 22 Aprile 2021, 14:57:22 PM
Citazione di: paul11 il 22 Aprile 2021, 13:55:22 PM
Allora, se un tuono allarma gli animali che reagiscono per impulso, l'uomo supera l'allarme e la minaccia in diverse modalità: lo gestisce come segno simbolico, lo fa diventare un totem , un segno divino, naturale; oppure lo gestirà come fenomeno, cercherà di capire cosa sia il tuono, capirà che spessissimo segue un lampo di luce, che vi sono nubi, insomma che vi sono circostanze affinché quel tuono possa sussistere, seguirà pioggia, ecc.
Ma forse la modalità e' unica , salvo distinguere i diversi modi di realizzarsi col senno di poi, in base al relativo tasso di successo.
La distinzione fra reazione istintiva e reazione consapevole inoltre non è qualitativa, ma quantitativa, e si misura in quanto tempo abbiamo per reagire, quindi il discrimine rimane arbitrario.
Una risposta razionale fuori tempo massimo non sembra una buona strategia.
Ciò che sembra ovvio, distinguere fra ragione e istinto, dunque tanto ovvio non è.
Cerchiamo e troviamo distinzioni dove non ve ne sono, ma che, seppur fittizie, sembrano funzionali al controllo della natura. Ciò perché nella pur omogenea natura rileviamo salti che ci permettono utilmente di raffigurarla come fatta di parti distinte , a cui poter applicare il gioco delle cause e degli effetti.
Distinguiamo.
Un animale difficilmente impara, per dire che mai o quasi mai impara, a capire il tuono.
Il nostro cervello, come lo descrive la neurologia e neuroscienze, ovviamente ha delle priorità sugli allarmi di pericolo.
Ad esempio il nervo ottico, quindi la ricezione di segnali ottici esterni, sensazioni, prima di depositare nel cervello "ciò che l'occhio ha visto" passa per una memoria detta amigdala che ha il compito diciamo emotivo. Se il segnale visivo è di allarme questa amigdala avverte l'organismo a partire dal cervello che fa secernere a ormoni che mutano la pressione sanguigna ,ec. In poche parole se noi vediamo qualcosa che ci pone in pericolo, l'organismo deve essere velocissimo o a fuggire o a trovare una soluzione.
Allora la soluzione del fuggire è tipico, diciamo di tutti gli organismi viventi. L'uomo può conoscere tecniche, conoscenze, che controllano lo stato di allarme e guidano alla soluzione dell'allarme disinnescandolo . Gli altri organismi non hanno questa soluzione . Se ad esempio sta appiccando un fuoco in casa, la prima reazione è emotiva, ma se so come arrestare il fuoco , il saperlo mi tranquillizza e procedo a tentare di spegnere il fuoco
@paul 11.
Tutti discorsi corretti, ma che partono dalla supposizione errata di aver ben chiaro cosa sia natura.
Per noi colloquialmente è un concetto molto elastico, e ogni volta dovremmo specificare se ci stiamo ponendo dentro e fuori.
Porsi fuori è un errore a volte solo accettabile in base al contesto limitato in cui ci poniamo..
Puoi anche dare una definizione di natura per esclusione, dicendo cosa non ne fa parte., ma non dimostrando così di aver chiaro cosa sia.
Tuttavia meglio un definizione per esclusione che nessuna. Rimane il fatto che è una tua definizione arbitraria fra tant'è possibili.
Ma la verità è che noi ne usiamo diverse, e a volte contemporaneamente, con grande inevitabile confusione.
Se tu dici che la cultura non fa' parte della natura ne stai dando una definizione accettabile, ma solo una delle possibili.
Ogni definizione di natura è più o meno volutamente tendenziale, non potendosi ne dimostrare ne' negare.
E allora eccoti la mia, una fra tante.
La natura, qualunque cosa sia, è unica ma disomogenea, quindi utilmente raffigurabile in diversi modi in parti, e ogni rappresentazione è una cultura , cioè una possibile interpretazione della natura, che in quanto tale, è già implicita nella natura stessa.
Una volta divisa la natura in parti non dovremmo poi sorprenderci di poterne ricavare leggi di cause ed effetti fra le parti.
Esse non dimostrano la correttezza della divisione, la sua realtà , la sua non arbitrarietà..
Esse sono fittizie quanto le parti che ne abbiamo ricavato, e altro non fanno che ricordarci l'arbitrarietà usata nell'averla divisa. Quelle leggi ci dicono che le parti sono ricomponibili. Le leggi sono l'operazione inversa alla divisione.
Sono la reazione alla nostra azione di divisione, per tirarmela da Newton.😁
Quelle leggi hanno un senso e sono utili solo se ha un senso dividere il mondo in parti, e a quanto pare un senso c'è, per quel che ci risulta, che è quello di controllarlo in qualche modo.
C'è però una cosa che vorrei sottolineare fortemente.
Non c'è una differenza qualitativa fra dire che la natura è unica e disomogenea e il dire che i fulmini li manda Giove.
Anche le differenze fra culture vivono di continuità, nonostante le apparenze.
Salve paul11. Citandoti : "Mi si dovrebbe però spiegare come mai la cultura, se deriverebbe pedissequamente da un ulteriore gradino evolutivo, può essere contro-natura".
Scusa ma................una simile osservazionepuò scaturire solamente da............una insufficiente osservazione della natura !.
Ma come si fa a concepire che il contenitore di tutto (quindi anche di quelle manifestazioni culturali che SIAMO SOLO NOI UMANI A TROVARE CONTRONATURA.........mentre certe contraddizioni sono unicamente CONTRO-LA-NATURA-UMANA)................contenga anche ciò che neghi la sua origine naturale !.
Evidentemente tu relativizzi invece la natura, considerandola creazione di un Dio il quale - sempre secondo te - le è estraneo e superiore. A tal punto prevale la visione fideistica per la quale tutto ciò che sarebbe contrario ai dettami divini rappresenterebbe la versione maligna dell'uomo e della natura.
Resta il problema dato dal fatto che i "dettami di Dio" non rappresentano affatto una evidenza, ma una opinione rigorosamente umana. Saluti.
@ Viator.
È una singolare arte magica la tua di trarre fuori da ognuno il suo Dio, come coniglio dal cappello , a prova del loro peccato di irrazionalità.
Inutile dichiararsi a più tornate di essere dei senza Dio.
Non ci salviamo con ciò di divenire a turno le tue vittime sacrificali, e mi verrebbe da chiedere a quale tuo Dio, che tu non sai, ci sacrifichi? 😁
Il discorso uomo/natura o cultura/natura può essere così riassunto. Per 3 miliardi e mezzo di anni, l'evoluzione delle specie è stata organica, più denti aguzzi, pelle impermeabile, corno sopra il naso, veleno, capacità di volare o di nuotare, termoregolazione e cosi via. Tutte modifiche formulate secondo il famoso principio di caso e necessità ma che rientravano nelle modifiche organiche. Ad un certo punto, dopo una preparazione lunga sei milioni di anni ( a quell'epoca risalgono i nostri antenati ancestrali, gli australopitechi), la natura fa spuntare un soggettino con un organo abnorme, il cervello, con il quale sopperisce alle sue evidenti magagne e con il quale vince (temporaneamente) la scommessa evolutiva ponendosi sulla vetta della catena alimentare.
Ma per fare questo manipola la natura stessa, attività mai sperimentata prima da altre specie. In questa frattura sta la distinzione cultura/natura, almeno originariamente. Sottolineare che siamo parte della natura è ovvio, ma non ci da nessuna informazione sulla nostra effettiva posizione nel mondo naturale. Posizione diversa da quella di qualunque altra specie, proprio perché noi per avere successo ci affidiamo a protesi tecnologiche. Una novità assoluta che ci obbliga a pensare anche alle conseguenze negative del nostro successo evolutivo. I dinosauri dovettero aspettare un meteorite. Noi potremmo essere il meteorite di noi stessi.
E questo discorso ci porta ancora una volta un po' più in là, ovvero alla responsabilità etica che homo sapiens dovrebbe avere in forza del suo grande potere come specie dominante. Pensare invece in termini di una natura onnicomprensiva, disinnesca questo principio, poiché :"saranno le leggi naturali a rimettere le cose a posto" Il che è anche vero, visto che cov-sars 2 è solo un timido preavviso, ma l'umanità nel frattempo che finalità si sta dando? La cultura, spezzando il cerchio magico e inconsapevole della natura, deve interrogarci su questo, ad esempio ma non solo, sui limiti da autoimporci nel nostro stesso interesse.
L'artificio umano può essere contronatura soltanto rispettando le leggi naturali. Quindi è un contronatura molto sui generis, più che altro un artificio, come sono artificiali i prodotti umani prodotti in ossequio alle leggi della natura sempre a rischio d'inciampo quando la natura sia presa sottogamba, come insegnano le catastrofi ambientali e sociali originate dall'attività umana.
La cultura umana ha generato indubbiamente un secondo modus vivendi parallelo al modo naturale regolato dalla trasmissione genetica via dna e dai suoi contenuti istintivi innati. Ma è una via parallela che non può mai staccarsi molto dalla linea evolutiva naturale e dalle sue leggi come l'ingegneria e l'arte nelle varie discipline insegnano.
Il medesimo discorso vale per l'evoluzione sociale che funziona bene quanto più riesce ad armonizzarsi con l'ambiente naturale e la natura umana, così come mamma natura l'ha fatta. Lavorando di lima e cesello quanto serve per il progresso civile, ma senza uccidere, alienando e robottizzando, l'animale che anima l'evoluzione umana.
Citazione di: iano il 22 Aprile 2021, 17:43:29 PM
@ Viator.
È una singolare arte magica la tua di trarre fuori da ognuno il suo Dio, come coniglio dal cappello , a prova del loro peccato di irrazionalità.
Inutile dichiararsi a più tornate di essere dei senza Dio.
Non ci salviamo con ciò di divenire a turno le tue vittime sacrificali, e mi verrebbe da chiedere a quale tuo Dio, che tu non sai, ci sacrifichi? 😁
Salve iano. Come peccato - ovviamente in senso non teologico - io considero solamente la stupidità, mentre considero che l'irrazionale rappresenti una sfera immensamente più grande e potente - e persino talvolta più suggestiva - della sfera del razionale.
Per il resto, qui siamo nella sezione filosofica, al cui interno (come e più che in altre sezioni) circolano tranquillamente opinioni e ribadimenti rigorosamente inutili. Fammi tu degli esempi di posizioni utili presenti nel Sito (definizione di utile : ciò che è funzionale al soddisfacimento di una necessità).
Infine non capisco il tuo accenno al vittimismo sacrificale e - particolarmente - il tuo riferimento ad un "mio" Dio nel quale appunto affermo di non voler credere.
Se comunque io - secondo te - avrei un Dio che non conosco.........potresti farmi tu la cortesia di trovarmelo, visto che io non ci riesco. Saluti.
@ Jacopus.
Proviamo a giungere ad un ragionevole compromesso.
Un limite della conoscenza è non poterci considerare parte del sistema studiato, pur essendolo.
Ciò apparirà' paradossale solo se si intende studiare la natura nella sua completezza.
Ma il non poterlo fare è il limite più generale, del quale la nostra esclusione è solo un caso.
Noi studiamo parti di natura, che io ho chiamato scatole, dalle quali siamo fuori, perché siamo noi a definirle.
Tuttavia, tornando al vero tema di questa discussione, i risultati delle nostre indagini possono dirci di riflesso qualcosa di noi, perché il modo in cui vediamo il mondo dipende dal mondo quanto da noi, in quanto costruttori di scatole.
Proibito fare ironia sulle scatole.🤗
Il fatto che l'indagine condotta per scatole funzioni, cosa da non dare per scontata, ci dice inoltre qualcosa di più sulla natura.
Il perché funzioni mi pare essere materia di indagine filosofica per eccellenza.
La scienza può solo constatare che funzioni.
Ma l'indagine filosofica influenza poi il modo in cui costruiremo le prossime scatole.
O meglio, modifica il costruttore culturalmente, e quindi cambia il modo.
È un circolo. Ognuno fa' la sua parte.
Nulla sta fuori e tutto sta dentro , compreso il gioco delle parti che porta alla conoscenza.
Ciò che è notevole e' che questo gioco mostra di avere un senso, ma non è necessario, ne' elegante reclamarne i diritti di autore. L'autore è sempre la natura.
Citazione di: paul11 il 21 Aprile 2021, 01:15:25 AM
Bisognerebbe intendersi cosa si intenda per conoscenza: teoretica, applicativa? Quantitativa, qualitativa?
La conoscenza filosofica non corrisponde con quella scientifica.
Se i limiti dei sensi sono stati ampliati dagli strumenti che hanno ampliato a tutte le frequenze elettromagnetiche le ricezioni di dati, non significa che i dati portino necessariamente conoscenze.
La quantità di informazione che gira per il pianeta Terra ogni giorno, oggi, rispetto ciò che c'era duemila anni fa, non è nemmeno paragonabile. Ma significa che proporzionalmente abbiamo acquisito conoscenze? A me non sembra, spesso è confusione se non errori.
Le applicazioni scientifiche sono tecnologie, tecnica, non così spesso conoscenze.
Perchè la quantità e le applicazioni non necessariamente consistono in nuove conoscenze.
Diceva il saggio Nietzsche: "Una volta per tutte: io
non voglio sapere molte cose. La saggezza traccia dei limiti anche alla conoscenza". E i limiti della conoscenza stanno proprio lì, nella saggezza, o sapienza, o
sophia, che lungi dall'essere sinonimo di conoscenza (perlomeno come la si intende oggi in senso meramente quantitativo) ne è invece, appunto come afferma Nietzsche, il suo limite e in un certo senso anche il suo opposto. La sapienza è il "sapere" a cui, come diceva Aristotele nell'incipit della Metafisica, l'uomo tende per natura, espressa a tratti nei frammenti di Parmenide e nel Corpus Hermeticum del Trismegisto, e ricercata e ambita da Platone tanto che Giorgio Colli, nel suo scritto
La nascita della filosofia, afferma: «Platone guarda con venerazione al passato, a un mondo in cui erano esistiti davvero i "sapienti". D'altra parte la filosofia posteriore, la nostra filosofia, non è altro che una continuazione, uno sviluppo della forma letteraria introdotta da Platone; eppure quest'ultima sorge come un fenomeno di decadenza, in quanto "l'amore per la sapienza" sta più in basso della "sapienza". Amore della sapienza non significava infatti, per Platone, aspirazione a qualcosa di mai raggiunto, ma tendenza a recuperare quello che era già stato realizzato e vissuto». Se la conoscenza è un concetto quantitativo, che si accumula negli uomini e nelle generazioni nel corso dei secoli e che necessariamente ha bisogno di strumenti per poter essere conservata (un tempo i libri e ora i computer), la sapienza è invece un concetto qualitativo, è ciò che all'uomo è necessario e indispensabile sapere per poter leggere correttamente il mondo intorno a sé (quindi le informazioni che la conoscenza fornisce), trovare in esso il proprio posto e giustificare la presenza degli innumerevoli fenomeni che lo circondano e di cui fa quotidianamente esperienza. Se un uomo non può possedere tutta la conoscenza può possedere però tutta la sapienza, e attraverso di quella fornire significato alla propria vita. La conoscenza è un concetto umano, è la "conoscenza del bene e del male" descritta nel libro della Genesi e promessa dal serpente, dal diavolo, mentre la sapienza è un concetto divino, quindi sovrumano, che infatti appartiene non solo all'uomo (o perlomeno agli uomini in grado di comprenderla) ma a tutte le creature dell'universo, e basta osservarle senza pregiudizi per rendersene conto. La conoscenza è
funzionale, serve per sfruttare o modificare la natura (attraverso la tecnica, che è il suo braccio armato) al fine di soddisfare le esigenze umane, la sapienza è invece
giustificativa, insegna a rendersi conto che se nel mondo le cose sono come sono è perché è necessario che sia così dato che entità enormemente più potenti e significative dell'uomo hanno deciso che così fosse, e che bisogna rispettare questo volere, e traccia quindi dei limiti (esempi: la famosa
übris greca e il
peccato originale) alla conoscenza funzionale umana.
Da quando gli "illuminati" del XVII e XVIII secolo hanno dapprima non più compreso e poi semplicemente disconosciuto la sapienza, la conoscenza (funzionale) è rimasto l'unico concetto in occidente a farla da padrone, e lo stupro della natura perseguito sistematicamente attraverso la conoscenza e la tecnica per fornire soddisfazione alle sempre più numerose e complesse esigenze umane ci ha portato alle condizioni attuali.
@Donquixote.
Ma La Sapienza che Platone attribuisce agli antichi io la chiamerei autorevolezza riconosciuta ad essi senza possibilita' reale di smentita coi mezzi della sua epoca. La saggezza consiste nel considerare che prima di noi c'era qualcuno, e nei limiti in cui ci è concesso vale bene considerarli. A ciò si oppone solo la maldestra credenza che noi viviamo in un tempo speciale, che è tale perché ci viviamo noi. In tal senso Platone è un saggio la cui autorevolezza giunge fino ai nostri non speciali giorni.
Non è la tecnica a minacciare il mondo, ma semmai l'uomo , che non possiede, se non nel senso che è ,quella tecnica.
L'attribuzione di autorevolezza continua a rimanere necessaria, ma non ha più l'esclusiva.
La conoscenza non credo possa qualificarsi come un accumulo, perché per essere tale dovremmo essere in grado di contare le sue unita', e non mi pare sia possibile farlo.
Se anche considerassimo ogni teoria scientifica come un unita' ci toccherebbe contare cose diverse, che più che potersi sommare si sottraggono a vicenda.
È una questione più complicata che necessità di attrezzi filosofici , più che di pallottolieri.
È più importante come so che quanto so'.
È la comparazione delle diverse teorie a ciò si presta.
@Doniquixote: Ripeto che la conoscenza del bene e del male descritta dalla Genesi non ha secondo me proprio niente a che vedere con il SAPERE, ma è ben altro, "avere conoscenza" significa "avere rapporti procreativi" e in questo caso si allude ad una discendenza non voluta da Dio, quella generata da Adamo ibridandosi con Eva (in pratica la madre che era ancora un animale sia pure evoluto). In questo modo è nato Caino, in pratica un ibrido, sicuramente intelligente ma con istinti animali e selvaggi ereditati dalla madre, e quindi malvagio perché in lui vi era una combinazione squilibrata di geni che non stavano bene insieme, in pratica una combinazione stonata e distorta di intelligenza con impulsi animali. Poi Caino ha trasmesso tali tare ai suoi discendenti. La Donna di cui parla la Genesi è invece la compagna data da Dio ad Adamo e da cui nasce Abele, è la stirpe della Donna in opposizione a quella tarata dal peccato di Eva (che è poi il serpente). Infatti, la conoscenza del bene e del male non può essere proibita da Dio per l'uomo, anzi, la Bibbia dice che l'uomo è stato creato poco meno degli Angeli e ricoperto di gloria e di onore, ad immagine e somiglianza di Dio, e Dio è onnisciente, e ha dato all'uomo una gran parte della sua onniscienza, tanto che addirittura viene detto che gli ha affidato il DOMINIO sul creato intero, e quindi è assolutamente impossibile per un essere che non conosce il bene e il male esercitare tale podestà, poiché non avrebbe capacità di discernere ciò che è giusto e sbagliato e di comprendere gli effetti derivanti dalle cause!
Il vero peccato non è stato quello di sapere qualcosa che non si doveva, ma ben peggio se ci pensi, quello descritto dietro le allusioni e i simboli è stato il peccato del primo uomo Adamo che ha voluto essere lui il Creatore della Vita senza Dio e ha contaminato l'intera vita biologica e spirituale della vita, il massimo della superbia possibile che si è tradotto poi in un atto concreto. Almeno, io la vedo in questo modo, mi sembra un modo molto migliore di interpretare la Genesi rispetto a quello che considera la colpa originaria come una trasgressione ad un divieto che riguarda la sfera del sapere.
Comprensibile che F.N. parli di accumulo di conoscenze , rilevandone però acutamente l'assurdità, perché viveva in tempi in cui, correggetemi se sbaglio, si pensava ormai si aver completato la conoscenza, fatto salvo qualche dettaglio da aggiustare.
X Iano risposte ai suoi post # 25 e 26
è anche una risposta implicita a Viator # 27
Quando mai l'uomo prima di creare, costruire qualcosa, ha necessita di sapere tutto della natura?
Prima di tutto chi stabilirebbe quanto sappiamo e quanto dovremmo sapere (o detto altrimenti quanto siamo ancora ignoranti?). Almeno anticamente, ma oggi men che mai, si compivano riti propiziatori verso la natura o gli dei che ne disponessero i poteri. Noi non chiediamo permesso a nessuno pur di ottenere ciò che ci prefiggiamo.
Quindi non ha nessuna importanza quanto sappiamo o non sappiamo, ci basta quel che sappiamo e il nostro scopo. Questo a prescindere se sia giusto o sbagliato e con quale criterio dovremmo giudicare.
Noi, lo ribadisco per l'ennesima volta, siamo natura nel corpo fisico , ma la mente umana è fuori dalla regola naturale. Come corpo siamo soggetti a tute le manifestazioni belle o brutte naturali, ma la mente umana è qualcosa, anche per chi ritenesse che fosse interna alle regole naturali , fuori dalle regole naturali .
In che cosa mai saremmo, per chi è credente , simili a Dio? Se non per le facoltà di creazione, tipico del divino? Chi mai, quale organismo può modificare il suo habitat, l' ecosistema? Nessuno, mentre noi escogitiamo artifici tecnici che non appartengono più alle regole naturali. Noi creiamo plastica, manipoliamo atomi, vinciamo la gravità senze le ali degli uccelli.
Mi pare di avere argomentato abbastanza, di aver posto considerazioni abbastanza forti,
provate voi se credete che l'uomo sia natura totalmente a spiegare questo essere, questo organismo vivente che riesce a manipolare, fino ad alterare i processi naturali, o addirittura a crearne altri nuovi, fino ad inventarsi un sistema sociale che può non avere a che fare proprio nulla con la natura.
I valori morali, le etiche, non fanno parte della natura. Nessuno fa guerre mondiali e riempie arsenali di armi , o fa spedizioni su Marte. Non hanno processi di accumulazioni, tesaurizzazioni dell'oro, forzieri in banche che decidono i sistemi sociali sulla produzione e ricchezza distributiva.
Ma cosa devo altro spiegare?
Se ritieni che la mia definizioni di differenza fra cultura e natura non sia sufficiente, signifca che hai più di me chiare le idee (le idee non sono naturali), quindi prova a proporre tue tesi o di altri che conosci.
Ribadisco, dimostrare cosa? La cultura si pone, senza dimostrare nulla, non ha necessità di dimostrare sapienza o ignoranza o entrambe, ......e poi a chi? Alla natura impersonale, o a un Dio ?
Tutto tace attorno a noi .Quindi l'uomo vive solo per sue interpretazioni, e sulle interpretazioni costruisce culture e nessuno , né natura né Dio ,rispondono direttamente. Semmai potremmo dire che a causa delle alterazioni dei processi naturali, generati dall'uomo, alterando i cicli fisico naturali, la natura tende a riaggiustarsi a modificarsi armonicamente, stabilizzandosi in una modifica, proprio come ho spiegato nell'esercizio del controllo umana. Cioè se noi alteriamo l'atmosfera, mutano le correnti, i venti, gli anticicloni, le temperature oceaniche dove nascono i cicloni. Quindi la natura paradossalmente si adatta a nuove configurazioni che l'uomo ha alterato .
Significa che il potere culturale umano, e per culturale intendo tutte le teoresi e prassi , è talmente potente da alterare la natura modificandolo, inducendola a riconfigurarsi dentro le sue regole , ma in cui l'uomo alla fine sarà perdente, almeno sul pianeta Terra. Alla fine, ribadisco vite e morte sono in mano alla natura, per quanto l'uomo arriverà artificiosamente a costruire diciamo " antidoti".
Che noi rappresetiamo e quindi interpretiamo, procediamo a modella zioni della natura, lo avevo già scritto.
Taglio "la testa al toro" e chiedo: "Come mai possono convivere negli umani molte interpretazioni sulla natura?" Ogni cultura di popoli esistenti ora sul pianeta vengono da tradizioni interpretative, e allo stesso tempo nell'Occidente può benissimo convivere il credente in Dio, il buddista, l'ateo, l'agnostico, chi ha fiducia nella scienza, chi non ne ha nella politica, chi paga le tasse echi non.........eccetera eccetera.
Ribadisco, all fine è la prassi che decide e senza dare ragione a nessuno compresa alla natura o sue interpretazioni. Noi manipoliamo la genetica, il DNA e l'RNA come fossero mattoncini lego per bambini, cioè le parti più intime e segrete della natura , riusciamo a fecondare infeconde per natura con procedure scientifiche innaturali, parliamo di eutanasia che la natura non conosce........più la tecnica avanzerà e più la differenza fra uomo cultura e natura apparirà evidente e contrastante....fino a quando magari l'uomo non morirà più ...e desidererà di morire.
Cosa significa natura disomogenea? Che ci sono parti del pianeta in cui le equazioni naturali e fische funzionano e in altre parti del pianeta bisogna inventarsene altre?
Ma soprattutto a chi crede all'evoluzionismo naturale: spiegatemi come è nato il cervello umano e con esso le facoltà mentali. Ma soprattutto come mai, se fosse evoluzionismo, nessuno organismo vivente ha scelto la strada della formazione dell'uomo? Ribadisco come già scrissi: i virus sono rimasti virus, i batteri sono ancora batteri...........le scimmie sono ancora scimmie....e l'unico vincendo qualunque regola probabilistica in milioni di anni fra nati e morti in tutti gli organismi viventi apparsi in un lasso di tempo lunghissimo, ha copiato l'uomo?
Lo sappiamo cosa significa geneticamente, e non alla Darwin seguendo solo osservazioni visive, modificare una sequenza genetica e stabilizzarla? Forzare la regola della dominanza dei caratteri, della divisone e indipendenza? Guardate anche solo gli albini naturali , perché non sono un carattere dominante? Chi finge, perché è in malafede ,fra scienziati, che modifiche per mutazioni del DNA ( e ricorderei infatti che i tumor i e cancro avvengono per alterazioni del DNA, poichè la relazione è fra sistema immunitario che non conosce cellule tumorali e le lascia libere di svilupparsi , infatti i vaccini non sono altro che fare imparare, far conoscere al sistema immunitario, potremmo dire al suo database , che deve combattere quel determinato organismo ) per stabilizzarsi soprattutto in organismi complessi le due aree linguistiche del cervello , e dal cervello comandare muscoli e nervi della laringe per la modulazione dei fonemi linguistici , ci viole niente? Allora daccapo spiegare perché solo l'uomo è arrivato a questo. Perchè è questo che ha fatto la differenza fra un organismo che crea cultura a differenza di chi è rimasto totalmente natura.
Ciao Paul.
Faccio mia la risposta che Jacopus ha dato aprendo altra discussione in questa stessa sezione.
La mia ipotesi sull'unità' disomogenea è nata proprio dentro a questa discussione , e io mi sono limitato a proporla alla riflessione filosofica di tutti.
Il miglior modo di spiegarla è provare a trarne le conseguenze , cosa che ho provato a fare.
Non sto affermando alcuna verità ovviamente, ma aggiungo ipotesi ad ipotesi perché credo che sia utile suggerire sempre diversi punti di vista.
La diversità in genere, e la diversità di pareri in particolare, sono per me fonte di ricchezza.
Quando ci riferiamo all'uomo, ma in generale a qualunque essere vivente evoluto, ci riferiamo, secondo i recenti orientamenti della scienza, a miliardi di esseri viventi dentro ad un ecosistema. Nel senso che noi siamo anche i nostri virus e i nostri batteri senza i quali non potremmo vivere.
È un nuovo punto di vista da cui vedere le cose.
Ognuno di noi è una moltitudine la cui composizione muta in continuazione.
Il nostro corredo microbico affianca il corredo genetico, e a sottolinearne l'importanza ,nella riproduzione ogni organismo vivente attua strategie specifiche per trasmetterlo alla progenie.
Per trattare questi organismi nella loro aumentata complessità ,relativamente alla nostra considerazione, si fanno nuove ipotesi tutte da verificare che meglio si adattino ai fatti nuovi rilevati.
Una di queste non poco rivoluzionaria suggerisce di considerare un corredo genetico diffuso, e non imdividuale.
Infatti si è visto che questo cambia non solo per mutazioni, ma anche perché gli organismi se lo scambiano fra loro.
In questo nuovo quadro capire chi comanda sul pianeta perde di senso.
Non è chiaro neanche chi comandi all'interno di ogni singolo individuo.
Niente di più lontano da un "ad immagine di Dio" a meno che non si voglia allargare questa immagine oltre il solito, il che mi rendo conto suonerà sacrilego per qualcuno. Ma di sicuro non espongo queste cose per il piacere di scandalizzare.
Credo che noi apparteniamo a pieno titolo alla natura, perché non vi è nulla di ciò che attuiamo che, per quanto possa apparirci nuova al limite del naturale, la natura non abbia già attuato prima di noi e con noi.
Affermare che qualcosa sia evidentemente innaturale significa aver chiaro cosa sia natura, e di averlo chiaro una volta per tutte, che non si tratti cioè di un concetto in divenire.
La natura è una forza cieca e ottusa. Non si perita di nulla. Va avanti ciecamente costruendo e distruggendo. Se tutto è natura, allora anche il disprezzo che è doveroso verso di essa è perfettamente naturale. Molti uomini disprezzano la natura o l'hanno nel tempo disprezzata. Non sono soggetti a malìa naturale. Io sono uno di questi. La natura è come un muratore che continua a costruire una casa aggiungendo mattoni e togliendoli. E' naturale provare un senso di assurdità per questo suo agire. Se tutto è natura, allora è proprio parte della natura che trova assurdo e insensato il suo stesso agire. La natura è così bipolare e schizofrenica che, se tutto è natura, allora parte della natura vuol controllare l'altra parte e se stessa. La natura è così ottusa che una parte di essa lotta contro l'altra per sopraffarsi. I termini omnicomprensivi sono così, purtroppo, contengono tutto e il contrario con la negazione. Perfettamente naturale , secondo questo ragionamento.
Citazione di: Alexander il 23 Aprile 2021, 08:47:02 AM
La natura è una forza cieca e ottusa. Non si perita di nulla. Va avanti ciecamente costruendo e distruggendo. Se tutto è natura, allora anche il disprezzo che è doveroso verso di essa è perfettamente naturale. Molti uomini disprezzano la natura o l'hanno nel tempo disprezzata. Non sono soggetti a malìa naturale. Io sono uno di questi. La natura è come un muratore che continua a costruire una casa aggiungendo mattoni e togliendoli. E' naturale provare un senso di assurdità per questo suo agire. Se tutto è natura, allora è proprio parte della natura che trova assurdo e insensato il suo stesso agire. La natura è così bipolare e schizofrenica che, se tutto è natura, allora parte della natura vuol controllare l'altra parte e se stessa. La natura è così ottusa che una parte di essa lotta contro l'altra per sopraffarsi. I termini omnicomprensivi sono così, purtroppo, contengono tutto e il contrario con la negazione. Perfettamente naturale , secondo questo ragionamento.
Condivisibile, forse però è meglio abbandonarsi alla corrente, invece che contrapporsi ad essa. Cosa non facile a sua volta. Se la natura è brutta, siam brutti anche noi.
@ ciao Alexander.
Pensa che l'argomento della discussione non è neanche la natura.😄
È ovvio che se tutto è naturale allora nulla lo è .
Ma non è chiaro perché solo l'uomo dovrebbe essere innaturale.
Gli si conceda almeno un politicamente corretto, diversamente naturale, no? 😁
La mia impressione è che non ci siamo poi allontanati molto dalle favole di Fedro, dove al posto del lupo adesso c'è l'uomo cattivo,
I lupi non vedono di buon occhio queste immigrazioni di uomini nel fantabosco, venuti a togliergli il lavoro. Non parlano , ma si fanno capire. Uhhhhh, se si fanno capire.
Va a finire che ci toccherà davvero rimpiangere i tempi d'oro della natura matrigna, che per te sono ancora attuali.
Buongiorno Iano
Non è innaturale, è "anche" naturale. Solo che man mano lo è sempre meno, si aliena sempre più. Questo processo di alienazione, che è culturale, determinato dalle possibilità tecniche che la conoscenza permette, ha i suoi pro e contro ovviamente, come ogni cosa. Ormai è alienante persino la svolta "green", fortemente sostenuta culturalmente sostanzialmente dagli stessi soggetti che, con la globalizzazione, hanno portato la "natura esterna all'uomo" in condizioni precarie (delle quali la natura, esterna e interna, è indifferente)...Paradossale. Però l'uomo è così, una contraddizione vivente. Avremo molti più "parchi naturali", molto più CONTROLLATI. ;)
P.S. Ecco un aspetto tipico dell'uomo: è un animale contraddittorio. mai visto un leone contraddirsi. :D
Nessuna contraddizione: l'evoluzione naturale del snc degli esseri viventi ha alfine partorito l'artificiale. La contrapposizione non è tra bene (operare della natura) e male (operare dell'uomo), ma tra naturale e artificiale.
Molto philisophisch la contrapposizione posta da donquixote tra sapere e conoscere, sapienza e conoscenza. Alla prima appartiene senz'altro il concetto di "cattivo infinito" che i moderni hanno perso per strada.
@Alexander e Ipazia.
Perdonatemi, ma non concordo con nessuno di voi due.
L'alienazione è solo apparente.
Cambiando punto di vista si vedrà un uomo come entità diffusa, ma ancora tale.
Dove è scritto infatti che l'individuo sia una entità fisica delimitata da una superficie chiusa?
Semplicemente, se tale fosse, sarebbe solo più facile "individuarlo" e non a caso così si è soliti individuarlo.
E che cosa ha una mano di meno artificiale di uno smartphone , per il solo fatto di essere attaccata a un corpo? Non ci lamentiamo forse di essere diventati noi appendici dei nostri media?
È quantomeno vero anche il contrario.
Ciò che conta è la funzione e non la continuità fisica, ma il costruttore è sempre la natura.
L'individuo in se' è un concetto elastico, anche se a questi concetti ci affezioniamo come alle nostre mani, tanto da apparirci ovvi.
Poi sono d'accordo che i termini " naturale ed artificiale" hanno un senso colloquialmente, ma ogni volta che li si usa andrebbe specificato il contesto. Cosa si consideri far parte dell'individuo e cosa no, perché in fondo si tratta di una scelta arbitraria che acquista senso in base al contesto, e parimenti cosa decidiamo esser parte della natura e cosa no e in che senso.
Se per evidenziare il fatto che fra l'uso che fa l'uomo della coscienza , e quindi della conseguente conoscenza, rispetto gli altri animali, vi è un notevole salto, e vorremo evidenziare ciò dicendo che l'uomo non è naturale, tutto ciò ha un senso. Basta mettersi d'accordo sul significato da dare a natura di volta in volta.
Diversamente è solo una favola gratuita.
L'individuo è una unità funzionale variabile rispetto al contesto di riferimento.
Se ci è contiguità fisica fra le parti possiamo ben supporre che ci sia un rapporto funzionale, che non può però essere escluso a priori in caso di discontinuità .
Così i microbi compresi dentro la superficie che racchiude la nostra tradizionale individualità hanno appunto una funzione essenziale, come viene sempre più ad evidenziarsi.
Possiamo anche immaginare un individuo per sottrazione, privo dei suoi microbi, se serve.
Ma oggi sappiamo che togliere tutti i suoi microbi a un uomo è peggio che tagliargli una mano o ...del non meno doloroso atto...😂. di privarlo dello smartphone.
Jacopus e Ipazia,
mi pare che siate accomunati, ma forse mi sbaglio, nel pensare che l'uomo nonostante possiate accettare che la cultura è diversa per connnatazioni e contesti dalla natura, che l'uomo sia comunque natura, compresa una mente creativa .
Personalmente ritengo che la storia dell'umanità sia stata contrassegnati da "salti" epocali, quali l'età del bronzo del ferro nell'antichità e a mio parere nella modernità, per tagliar corto, e contemponeità dall'atomo e dalla genetica. Sono proprio la manipolazione dell'atomo e della genrtica che aprono all'uomo contro-natura a tutti gli effetti enon pleonasticamente, effimeramente.
L'uomo può far saltare il pianeta, contaminarlo o creare nuovi virus ( e nessuno mi toglie dalla testa che a Whuan qualcosa in quel laboratorio è accaduto). Se prima era manipolazione, il livello è salito a manipolazione della creazione con la fissione atomica, lo studio nei sincrotroni delle particelle, la futura fusione (come avviene nelle reazioni atomiche del sole) e raffinate manipolazioni genetiche di impianti, ibridazioni, clonazioni, forme artificiali di procreazione.
Persino le leggi sono "indietro" rispetto alle problematiche genetiche, dove i genitori "naturali"(utero in affitto) sono altro da quelli diciamo "non naturali".
E chissà cosa stanno esperimentando in certi laboratori sparsi per il mondo, a mio parere avranno già tentato di clonare un umano come fecero ormai parecchi anni fa con la pecora Dolly.
Non è fantascienza , la realtà a volte precede il fantasy.
Queste qualità, facoltà, intellettive, creative, fanno un enorme differenza con la relazione verso la natura , tanto da essere contro-natura. Se si accetta che il contro-natura che per me signifca alterare con la stessa potenza della natura creativa quei parametri ordini e regole naturali ,sia ancora naturale mi piacerebbe sapere se per voi la cultura delal sostenibilità , di un approccio ecologico e rispettoso verso la natura siano favole, diversamente siete in aperta contraddizione. E' altrettanto chiaro, per quanto ho esposto prededentemente in post, che il vero problema sarebbe di stare accorti sulle manipolazioni dell'atomo e soprattuto fermare certe sperimentazioni genetiche. Non lo faranno e non lo possono più fare, perché la tecnica creata dall'uomo da oggetto è divetata il soggetto che si trascina dietro di sé un umano da lui schiavizzato , il suo oggetto. Sarà la tecnica a creare l'uomo e gestirlo, non più la natura. Sarà Marte, quando spediranno umani, la fucina di un pianeta morto biologicamente, che con serre artificiali permetterà la colonizzazione e lo sfruttamento minerario ,compreso la Luna se troveranno minerali "appetibili" che renderanno utili gli enormi investimenti delle spedizioni. Il fantasy al solito diventerà realtà.
@ Paul 11.
Potrei riscrivere il tuo ultimo post, come se lo condividessi, ma con parole mie, apparendo così, ma solo apparendo, il suo opposto.
Parli di salti, ma i salti non escludono la continuità, che vale l'esser naturali.
Parli di disastri ambientali che l'uomo ha fatto e si appresta a fare immani, e concordo, tali da poter superare quelli "naturali" , che è bene ricordare sono già avvenuti e non proprio facili da imitare.
( Vale la pena ricordare che se oggi noi , ammesso e non concesso, dominiamo il pianeta, lo dobbiamo a quei disastri)
Ti preoccupi di tutto ciò?
Concordo con te, mi pare "naturale" essere preoccupati, allo stesso modo in cui si saranno preoccupati i dinosauri prima di estinguersi ( che fra l'altro estinti non sono, ma sopravvissuti in forma di uccelli).
La storia naturale ha i suoi corsi e ricorsi.
I mammiferi dominano il pianeta al posto dei dinosauri, ma quando i dinosauri si affermarono lo fecero a spese dei mammiferi e così via.
Guarda dunque un po' come le cose si sdrammatizzano se ci allarghiamo ai mammiferi invece di restringerci agli uomini.
Io sono preoccupato quanto te.
Però se devo estinguermi, vorrei estinguermi da uomo, con tutta la sua tecnologia che non è affatto un accessorio superfluo, ma la sua essenza. Non vorrei estinguermi per rinuncia ad essere me stesso.
Quindi confido che la tecnologia salvi l'uomo, che l'uomo salvi cioè se stesso, come ha già dimostrato di saper fare, mettendosi in gioco per quel che è.
"Naturalmente" giochiamo ad un gioco dove si può vincere o perdere, ma come si fa' a vincere rinunciando a giocare?
Ti risulta forse che la natura premia la neutralità'.
C'è in natura una forse una regione chiamata Svizzera? 😇
Per Paul. In realtà, come ho scritto più volte, fra uomo e natura c'è un rapporto dialettico. Non siamo più natura, perché il processo di Kultur +Zivilitation ha creato un mondo diverso da quello naturale, non fosse altro per la nostra capacità autiriflessiva, evidente anche in questo forum. Ma siamo allo stesso tempo natura. Abbiamo degli organi, dei fluidi organici, comunicazioni endocrine. E siamo natura anche perché ci portiamo appresso quanto abbiamo appreso in centinaia di migliaia di anni, quando ci dovevamo affidare ad un maschio Alfa per sopravvivere, e che riaffiora ogni volta che invochiamo un tiranno risolutore. Natura e Cultura in realtà non sono neppure così polarizzate. La netta distinzione può servire per comprendere ma già il grugnito dello scimpanzé che significa "attenzione predatore terrestre" non è già un primo frammento di cultura? Ciò che considero centrale è la posizione paritetica dell'uomo con tutti gli altri esseri viventi. Anzi, in virtù del nostro maggior "sapere", dovremmo avere un ruolo di responsabilità e di difesa. La tutela ecologica è fondamentale ma non la si raggiunge con il ritorno ad una mitica passata età dell'oro, ma attraverso il nostro divenire adulti e responsabili del pianeta e di tutte le sue creature. In questo, penso che il pensiero moderno abbia fallito, non essendo stato coerente con i suoi principi di equilibrio, armonia, giustizia ed emancipazione. Ma la soluzione non la vedo in alcuna teologia e in alcun dogmatismo, anche laico. Noi siamo i viandanti e noi siamo i cercatori, ma in fondo alla via ci siamo noi e il nostro destino. Non ho intenzione di illudermi con qualche happy ending consolatorio. Insomma per riassumere Seneca+Kant (e una spruzzata di Galileo, ovviamente).
Comunque oggettivamente e al di là di qualsiasi speculazione filosofica o religiosa a me sembra un dato di fatto che la specie umana sia piena di malattie dal punto di vista sia fisico (ci sono molte sindromi genetiche) ma soprattutto mentale. Non esistono, almeno che io sappia, malattie mentali come la schizofrenia o l'autismo negli animali, al limite possono esistere forme equiparabili alla depressione (un cane che si affeziona al padrone e si lascia morire....), ma tutto il corredo di patologie mentali che vedono la psicosi come protagonista non mi sembrano esistere nel mondo animale, come non esistono i disturbi del comportamento e della personalità che invece si riscontrano in maniera purtroppo non infrequente nell'uomo
Caro iano, la contrapposizione tra naturale e artificiale è reale. Non si tratta di funzionalità, ma di archè, creazione, origine, fondamento. La natura abborre le forme ideali e la produzione in serie di oggetti uguali, l'uomo ne ha bisogno per la sua metafisica mentale, per poter costruire una casa, allestire una mensa, tracciare una strada,.. Nel mio giardino non ci sono due fiori uguali, non esistono linee rette e solidi regolari, nella mia abitazione e credenza (il mobile, non la fede), sì.
L'artificiale è talmente reale e distinto dal naturale che ha ragione Paul a prospettarne la possibile, estrema, distopia. Ma anche in tal caso il ragionamento si inverte ab origine: chi ha dato un'anima, un pensiero, una volontà, un cervello, alla macchina, se non l'umano che a sua volta ha ereditato tutto ciò da un processo evolutivo naturale ?
Contronatura è un concetto etico che si oppone ad un concetto altrettanto etico come natura nella visione di Paul. Se invece ragioniamo in senso ontologico tutta la prospettiva cambia. Se contrapponiamo livello etico a livello ontologico otteniamo soltanto confusione. Le catastrofi generate dall'uomo - e nell'uomo come osserva giustamente Socrate78 - obbediscono alle leggi naturali tanto quanto le tecnologie benefiche; e così pure le macchine, per quanto onnipotenti divenissero, dovranno seguire quelle stesse leggi naturali.
Ontologicamente parlando, la natura vince sempre.
Scusa Socrate.
Ma tu ad un animale autistico non umano quante chance di sopravvivenza gli dai?
Tante poche che non avrai il tempo di rilevare la sua esistenza, così non ti risulta che esistano?
È perché invece gli uomini autistci sopravvivono?
Forse perché abbiamo la sindrome della compassione?
Socrate. Noi siamo veleno e cura. La tecnè ci permette di significare la schizofrenia, che non potrà mai essere diagnosticata da un felino psichiatra. Molte patologie mentali inoltre sono causate da malattie organiche e non vedo perché gli animali non potrebbero esserne affetti.
Se invece con questo discorso intendi provare il decadimento dell'uomo rispetto a una mitica età dell'oro, vi sono innumerevoli prove del fatto che oggi l'uomo è più sano e potente di mille anni fa. Ma anche di cento anni fa. Quello che può farci decadere non sono i mezzi per stare meglio dei "giganti" del passato, ma la distribuzione di quei mezzi. Le disparità, oggi, sono assolutamente scandalose, e non sembra esserci soluzione a questo progressivo accentramento della ricchezza.
Citazione di: Ipazia il 23 Aprile 2021, 17:02:49 PM
Caro iano, la contrapposizione tra naturale e artificiale è reale. Non si tratta di funzionalità, ma di archè, creazione, origine, fondamento. La natura abborre le forme ideali e la produzione in serie di oggetti uguali, l'uomo ne ha bisogno per la sua metafisica mentale, per poter costruire una casa, allestire una mensa, tracciare una strada,.. Nel mio giardino non ci sono due fiori uguali, non esistono linee rette e solidi regolari, nella mia abitazione e credenza (il mobile, non la fede), sì.
L'artificiale è talmente reale e distinto dal naturale che ha ragione Paul a prospettarne la possibile, estrema, distopia. Ma anche in tal caso il ragionamento si inverte ab origine: chi ha dato un'anima, un pensiero, una volontà, un cervello, alla macchina, se non l'umano che a sua volta ha ereditato tutto ciò da un processo evolutivo naturale ?
Contronatura è un concetto etico che si oppone ad un concetto altrettanto etico come natura nella visione di Paul. Se invece ragioniamo in senso ontologico tutta la prospettiva cambia. Se contrapponiamo livello etico a livello ontologico otteniamo soltanto confusione. Le catastrofi generate dall'uomo - e nell'uomo come osserva giustamente Socrate78 - obbediscono alle leggi naturali tanto quanto le tecnologie benefiche; e così pure le macchine, per quanto onnipotenti divenissero, dovranno seguire quelle stesse leggi naturali.
Ontologicamente parlando, la natura vince sempre.
Cara Ipazia, tu mi confondi coi tuoi termini tecnici, che pur ammetto fanno parte di quel minimo che dovrei padroneggiare, e invece no.
I tuoi discorsi, quelli di Paul, e in verità un po' quelli di tutti, io li trovo ragionevoli e condivisibili, anche perché sono parte di quella cultura che finora insieme abbiamo respirato.
Tuttavia, e non per essere bast-ian contrario, mi pare che si profilino rivoluzioni culturali all'orizzonte, come naturalmente succede, alle quali ho provato a dare fiato , avvantaggiato nel farlo dall'aver poca reputazione filosofica da perdere.😅
Ribadisco quello che ho risposto a Paul.
Non sono d'accordo con lui, ma so' benissimo di cosa lui parla, mentre il viceversa non è vero.
Eppure dico le stesse sue cose , ma con parole diverse., da apparir contrarie.
Mi pare positivo che tutti condividiamo le stesse preoccupazioni, e ognuno a modo suo si darà da fare, certo del fatto che seppur nessuno conosca la soluzione, essa è certamente una fra le tante e diverse proposte.
Più sono meglio è.
Così dice la naturale selezione per soluzioni.😅
Interessante la discussione, seppur del tutto deviata da quella proposta,che vorrei ricordare.
Cosa ci dicono indirettamente di noi le nostre filosofie, le nostre teorie fisiche, indirettamente ,oltre che direttamente del mondo, visto che tutto sommato ne siamo parte?
Se si esce fuori dal trip del cercare la verità, ci si ritrova con teorie non necessariamente univoche, per quanto funzionali, che possiedono quindi gradi di libertà, e in quanto "scelte" anche quando non appaiono tali, devono allora dirci qualcosa di chi le ha fatte.
Certo può far paura guardare dentro se stessi, ma la nostra natura è proprio nel farlo senza scegliere di farlo.
Così ci si fa' più figura a dir di averlo scelto per salvar l'onore del nostro libero arbitrio.😊
Come abbiamo rinunciato alle rette parallele, al tempo costante, al geocentrismo, al giradischi e ai numi benefici e malefici, rinunceremo anche a qualche verità dell'oggi che non sarà più tale domani. E lasceremo spazio alle nuove generazioni con le loro visioni del mondo e filosofie *. Mica possiamo fare tutto noi !
*che non invidio per nulla quando se la dovranno vedere con il supermegagiga calcolatore che alla prima domanda che gli verrà quasi certamente posta: "esiste Dio ?" risponderà imperturbabile "Ora sì".
...e sei tu, o mio creatore. 😂
Salve. Per l'uomo è impossibile innovare rispetto a ciò che esiste in natura. Egli può solamente generare nuove forme (per proprio uso e consumo) di ciò che esisteva prima della nostra comparsa e tuttora, da qualche parte, esiste in natura.
Linee rette e geometrie ? E i frattali cosa sarebbero ? E le linee di accrescimento dei cristalli di ghiaccio ? E i miserabili chips che vorrebbero scimmiottare i neuroni ?. Ma per piacere !. Saluti.
Salve Ipazia. Citandoti : "*che non invidio per nulla quando se la dovranno vedere con il supermegagiga calcolatore che alla prima domanda che gli verrà quasi certamente posta: "esiste Dio ?" risponderà imperturbabile "Ora sì".
Al che io gli replicherei : "Ehi, pezzo di imbecille, e prima di diventare Dio grazie alla merdaccia fisica con la quale ti hanno costruito.........................dove cacchio eri ? Tu, caruccio, sei solo l'ultimo arrivato a questo mondo........vedi di metterti in fila insieme al resto !". Saluti.
X Donquixote,
le tue argomentazioni ,in sintesi, sembrano essere simili alle mie. Quindi sono d'accordo.
E' giusta la considerazione che fai fra sapienza e saggezza in termini di qualità della conoscenza che è diverso appunto dalla conoscenza "estesa" in termini di quantità.
La saggezza è un distillato, un'essenza di ciò che si conosce, che non è un sunto, ma sapere ciò che conta davvero e le sue dinamiche.
La dimostrazione di ciò che dici su Platone è che il mainstream culturale finge di non sapere che un libro intero di Platone è dedicato a particolareggiate descrizioni di Atlantide, dove, in un altro scritto un sacerdote egizio dice che i greci avevano perso la memoria, mentre gli egizi li avevano scritti.
Chi quindi pensa che gli antichi non sapessero è perché ritengono alla progressione storica anche della conoscenza parallelamente non alla saggezza, ma al potere pratico della tecnica che promuove la vanità esteriore.
Adatto che sono convinto di un'altra storia che non è nel "canone" storiografico occidentale, tant'è che le conoscenze finirono nell'ermetismo ed esoterismo ......è un discorso che porta lontano .
Introduci un aspetto temporale che è importante, infatti i greci non credevano ,come le altre tradizioni, ad un "progresso", dove il domani sarà migliore dell'oggi ( perché conosceremo di più, è il concetto che sarà dei moderni).
Il passaggio dalla saggezza dell'anziano antica ,all'anziano obsoleto moderno poiché nuove conoscenze richiedono continue ri-formazioni ,continui aggiornamenti.......e non ci si accorge dell'impoverimento generale culturale.....
Sull'aspetto conoscitivo simbolico delle religoni in particolare di Genesi , conosco un'altra storia.....magari ne accennerò nel forum Spiritualità, sui giganti.
P.S. cerco di seguire l'ordine cronologico degli interventi, quindi risponderò anche ai successivi....
Iano,
ciataz,
Non è la tecnica a minacciare il mondo, ma semmai l'uomo , che non possiede, se non nel senso che è ,quella tecnica.
sulla tecnica , vedo che nonostante abbia scritto in altre discussioni ,rimane un concetto "alieno" alla mentalità del forum, ma lo capisco.
Noi creiamo, modelliamo la natura, prima avevamo paura del fuoco, poi abbiamo capito che era possible "controllarlo" fino a produrlo per scaldarci, per tenere lontano gli animali feroci , poi abbiamo scoperto (io dico che qualcuno ci insegnò i rudimenti tecnici........ma è un'altra storia).che il fuoco fondeva qualcosa dalle pietre del focolare....fino alle prime metallurgie, all'età del bronzo, del ferro, .........nella modernità, taglio corto, la scienza "dona" all'umanità , quindi nella prassi tecnologie a iosa e in modo esponenziale fino ad oggi.
Se noi abbiamo creato la tecnica e padroneggiata , ad un certo punto assecondandone i "frutti" pratici che le scienze applicavano nelle prassi, come nuovi manufatti ,come nuovi processi, (pensiamo la macchinaa vapore come forma di energia, pensiamo al telegrafo, pensiamo alla lampadina, ecc.) questa tecnica non è più diventata "oggetto" creativo , è diventato rovesciando i termini soggetto in cui l'oggetto è l'uomo .Provate a fermare la tecnica.......impossibile, perché produce economia, produce tecnologia. Non ha importanza, come il luddismo inglese, se produce disoccupazione in quanto sostituisce l'uomo produttivo, non ha importanza se produce surplus produttivi, per altissime produttività in un unità di tempo , non ha importanza se l'atomo ha prodotto bombe atomiche, non ha importanza sela genetica altera la natura, dove la potenza tecnica si sostituisce e surroga la natura ......Se non capiamo che la tecnica è ormai inarrestabile e ci porterà verso il baratro..........non so come farlo comprendere........L'uomo ne è divenuto oggetto, una cosa, una risorsa (si dice risorsa umana infatti) come una risorsa energetica, come una materia prima.....Il comfort moderno lo pagheremo con la disumanizzazione . Se l'umanesimo inconsapevolmente (nel senso che non poteva sapere, in buona fede, dove saremmo arrivati e soprattutto dove ci porterà) promuoveva l'intelletto scientificizzato , solo dopo qualche secolo , siamo "masse individualizzate ": siamo nello stesso tempo sempre più soli, ma dentro concentrati urbani metropolitani con milioni di umani . Questo è nichilismo. La tecnica, come per certi versi il capitalismo, è impersonale, nel senso che è la sommatoria di richieste culturali di potenza .Nessuno ,individualmente, politicamente, economicamente può fermare questo "motore del procedere", perché è stato battezzato a suo tempo come "salvifico", come Bene supremo che toglie miserie materiali, che offre comfort a gò-gò. Chi si illude che è possibile condizionarlo, riposizionarlo, non ha capito che continue riconfigurazione del sistema tecnico e del capitalismo che ne è espressione economica egoistica si riconfigura da sè, dettando le forme di nuove competizioni e nuovi processi di accumulazione economica.....il problema è umano e nelle regole egoistiche competitive........chi si ferma è perduto! E' la tecnica che detta i tempi umani e non viceversa. E' l'uomo che deve prendere il treno in corsa.......e quel treno non ha più un conducente responsabile.
Salve paul11. Citandoti : "E' l'uomo che deve prendere il treno in corsa.......e quel treno non ha più un conducente responsabile".
Secondo me il treno non ha mai avuto un conducente responsabile (tra l'altro per i treni, lo scegliere una destinazione diversa da quella a cui conduce il binario...........risulterà sempre mooooolto problematico).
Sembra che tu vagheggi di circostanze passate al cui interno le vicende umane risultassero meglio "controllate" o "destinate" di oggi.
Mi piacerebbe allora conoscere epoche e destinazioni alle quali potresti riferirti. Erano meglio le caverne, le tribù, le civiltà guerriere, i tempi del monachesimo, dei feudatari, degli imperatori, del colonialismo, della "guerra fredda" ?. Saluti.
@ Paul 11.
Supponiamo che io aderisca del tutto al tuo pensiero.
Allora non mi resterà che trarne le conseguenze.
La tecnica è qualcosa di tanto inarrestabile quanto disastrosa.
A questo punto mi rimane una sola flebile speranza di salvezza: di aver torto.
Quindi mi domando speranzoso ... e se invece il rapporto uomo tecnica fosse intricato da non potersi dire che è soggetto e chi oggetto? Infatti non posso negare che certe assodate tecniche mi sono care, e che la mia avversione in effetti si riduce alle recenti. Ma forse che non è stato sempre così? Le ultime specialmente sono state, sempre le più temute.
Il timore è quello che me ne sfugga il controllo . Eppure finora questi timori si sono mostrati sempre infondati.
Ho davvero motivo di temere che questa volta non sia così?
Non è che io mi ritrovi ad essere attore inconsapevole di un copione vecchio come l'uomo, perché nato con esso?
Ma se è così a cosa serve questa recita?
Forse una funzione c'è l'ha, e forse irrinunciabile.
Somiglia a una variante della storia di Peppone e Don Camillo, dove ognuno vuole superare l'altro, ma quando uno vede che l'altro si attarda , si ferma ad aspettarlo.
Belle storie di un tempo che però non corrispondono alla realtà capitalistica, laddove nella nostra variante se uno corre l'altro lo frena, ma il risultato è sempre che arrivano insieme.
Sarà' per questo che alla fine il capitalismo funziona?
Per il fatto che non è mai davvero l'unico attore in scena?
Perché l'uomo è fatto di tante cose che sembrano stridere fra loro, ma parimenti l'umanità è fatta di tanti uomini di diversi umori, e che pure, anzi per questo, avanza in sicurezza, con le cautele del caso.
Certo a sentire ognuno degli attori le cose stanno ben diversamente.
Ma l'umanità è quel dramma intero, o la commedia, se vi pare.
Quando si illustra il progresso un classico è citare l'invenzione della ruota, che non ho alcun dubbio abbia suscitato immani timori, ma tutti dimenticano di citare quella del freno. ::)
Se l'uomo è quella parte di natura cha ha consapevolezza/coscienza di esser-natura, e che ha inoltre la capacità mentale e fisica di manipolare la natura che lo circonda (oltre che la propria), direi che più che "contro-natura" l'uomo è iper-natura, trans-natura (v. transumanesimo) o post-natura (se intendiamo tale post sempre connesso bio-logicamente al pre).
La tecnica più che alienazione o minaccia, mi sembra la conseguenza e la "materializzazione" delle tendenze psicologiche e delle potenzialità cognitive umane: la tecnica non è faber, l'uomo lo è, sia quando usa la tecnica per sottomettere il prossimo che quando la usa per curarlo, assecondando, in entrambi i casi e non a caso, due aspetti atavici della natura umana (natura umana che è fatta tanto di tecnica quanto di linguaggio, tanto di intelligenza quanto di istinti, etc.).
La tecnica, anche quando è algoritmo, è pur sempre oggetto anche se agente (è creatura, golem) viene progettata e realizzata finalisticamente, va attivata e, oggi come ieri, va anche "saputa vendere" da uomo a uomo, conoscendo appunto i meccanismi e le leve della natura umana; non è mai una tecnica (o un'economia) ipostatizzata ed autonoma ad agire (la pistola non è mai l'assassino), ma sempre altri uomini, tramite essa, per i loro scopi (a prescindere da come vengano giudicati; parlare di tecnica che ci ibrida è come parlare di medicina che ci cura: in realtà parliamo sempre e solo di homo, "technicus" e/o "medicus", che usa la sua natura sapiens e faber per interagire con il mondo e con gli altri). Stabilire il limite fra "poca tecnica" e "troppa tecnica", la sua giusta misura da non superare e il suo giusto impiego da tutelare, richiederebbe criteri e metacriteri che difficilmente sarebbero adeguatamente condivisi spontaneamente e planetariamente, come ci insegna la storia sin dalla notte dei tempi (per quanto resti indubbiamente legittimo interrogarsi filosoficamente su tali criteri e tali confini).
Citazione di: paul11 il 23 Aprile 2021, 20:33:05 PM
La saggezza è un distillato, un'essenza di ciò che si conosce, che non è un sunto, ma sapere ciò che conta davvero e le sue dinamiche.
Viviamo, in questi tempi, nel regno della quantità, tipico di una visione materialistica del mondo, della storia e dell'uomo.
Talmente materialistica che abbiamo "quantificato" e quindi materializzato anche concetti che non lo sono mai stati per adeguarli ad una visione che considera sic et simpliciter la quantità come tale una "ricchezza". Così abbiamo esaltato il multiculturalismo perchè, si afferma, più culture verranno in contatto con noi e vivranno insieme alla nostra e più aumenterà la nostra "ricchezza" culturale. Abbiamo esaltato la "libertà di pensiero" perchè più pensieri la gente ci vomiterà addosso e più saremo "ricchi" di pensieri. Abbiamo esaltato ogni sorta di stile di vita perchè più ce ne saranno e più noi saremo ricchi perchè potremo scegliere fra tanti stili di vita, e cambiarne magari uno al giorno come le mutande. Abbiamo esaltato la pretesa di ogni e qualsiasi diritto perchè convinti che più questi aumentano in quantità e più noi potremo considerarci parte dei paesi ricchi, e quindi "civili", e via elencando transitando ad esempio per le esperienze amorose (se uno cambia ragazzo/a ogni giorno aumenterà le sue esperienze e quindi diventerà più "ricco/a") o le esperienze di viaggio (si tende a visitare sempre più posti possibili pensando di conoscere un luogo, o chi vi abita, o qualche altro aspetto interessante nel breve volgere di mezza giornata) o le esperienze artistiche. Siamo preda di statistiche di ogni genere, sulla "qualità" della vita, sulla libertà di stampa, sulla corruzione, sulla criminalità, sull'istruzione e in generale su ogni aspetto sociale, basate tutte su parametri esclusivamente quantitativi e che ci assolvono o ci condannano sulla base di "numeri". Ovviamente questo vale a maggior ragione per la conoscenza, che viene valutata anch'essa esclusivamente in senso quantitativo (quanti libri leggi all'anno? Quanti minuti al giorno trascorri su Wikipedia? Quanti anni hai fatto di scuola? Quante lauree hai?)
La qualità si è completamente eclissata, nessuno ormai ne parla più, (e quando se ne parla anch'essa viene valutata quantitativamente: quanto guadagna quello? centomila euro al mese? Allora deve essere uno di qualità) a partire dai responsabili politici che "risolvono" i problemi "quantitativamente", un tanto al chilo: l'istruzione ha un problema perchè gli italiani sono sempre più ignoranti? Stanzio 10 miliardi, assumo 5000 insegnanti e il problema è risolto. Mancano medici anestesisti e infermieri?: stanzio 5 miliardi, assumo 2000 studenti universitari fuori corso e il problema è risolto. Crollano i ponti delle autostrade perchè il "boom edilizio" degli anni '60 ha penalizzato la qualità delle costruzioni? Stanzio 8 miliardi e il problema è risolto. Ognuno può fare migliaia di esempi, ma il fatto che rimane da sottolineare è che se si considera la quantità una ricchezza è del tutto ovvio che applicando questo concetto alla conoscenza non si potrà certo porle un limite, dato che in quel caso significherebbe impoverirsi volontariamente. E il bello è che anche i "professionisti" del pensiero che dovrebbero saper "pensare altrimenti" sono invischiati in questo vortice, totalmente incapaci di intravvedere una via d'uscita.
Iano
citaz.
Ma non è chiaro perché solo l'uomo dovrebbe essere innaturale
Giusta domanda, e a parer mio è proprio perché trovate contraddittorio pensare che la natura generi un essere a lei contrario che ritenete l'uomo nonostante tutto naturale.
Adatto che penso ad un altra storia secondo cui non è la natura che ci ha direttamente creati.........
per me è più facile vedere le due nature contraddittorie insite nell'uomo.
Dubito che la natura generi intelligenza ,questo è per me un punto importante.
Fin quando la scienza non mi dimostrerà come una scimmia possa evolvere il suo cervello diventando umano e non facendo ipotesi scientiste , perché creare due aree linguistiche, lo ribadisco con una corteccia cerebrale che unisce i due emisferi del cervello e un sistema di fonazione laringeo non è una cosa semplice . E significherebbe, se lo fosse, che la natura dà la possiblità ad un suo organismo di poterla annichilire e questo porta ad altre considerazioni, che la natura non è sovrana ma dipendente a sua volta da qualcosa d'altro che permette questo , che l'intelligenza non è un "bene", ma una forma ambigua fra due scelte , bene o male. Quindi si entra in categorie che non sono più naturali, se riteniamo la natura indifferente e quindi non morale, non portatrice di bene o male.
Jacopus,
sono d'accordo con te fino ad un certo punto.
Gli animali ,ribadisco, reagiscono ad impulsi ambientali e il grugnito di allarme, o il verso degli uccelli non è ancora segno di intelligenza. Quando un cane seppur addomesticato azzanna una persona che corre, o azzanna anche un parente in casa, che non riconosce come suo padrone e quindi capo branco, segue istinti e impulsi ambientali in base anche alla sua indole.
Non sono in grado gli animali di pensare la vita o la morte, non hanno il concetto temporale di ieri ,oggi e domani, non hanno nemmeno le basi per essere autonomamente costruttori di qualcosa, sono persino ridicole quelle vecchie sperimentazioni dove sanno fare le somme scimpanzè dove averli addestrati come circhi, o come Pavlov con i topi attraverso scosse o premi , perché è così che si addestra . Addestrare non significa affatto ,come nell'uomo , inserire concetti mnemonici dove un cervello anche di un bambino ti fa delle domande ,perchè sa fare correlazioni astratte e non in base a premi. Un cane addestrato o la scimmietta che sa fare le somme non modifica il suo DNA facendo nascere cani o scimmie già con qualità superiori.
Il discorso di responsabilità ci porta ad altro . Ma chi ha detto che dovremmo tornare indietro ?
Prima di tutto è impossibile, se c'è una cosa nel divenire che è sicuro e a cui la potenza umana non può fare nulla è proprio riguardo al tempo passato . Semmai lamento il fatto che proprio perché siamo potenti tecnicamente utlizziamo male questa possibilità. Perchè la tecnica apre a maggiori possibilità materiali, ti risulta che siamo più fraterni , più solidali, che non ci sono più guerre, che i vaccini sono distribuiti nel mondo in maniera equa (son sicuro che ci sarà sotto anche un mercato nero) ? Ribadisco ,io vedo un umano ancor meno responsabile di un antico , ma con sempre maggiore potenza tecnica. La tecnica ha reso obesa la parte del mondo chiamata Occidente, a danni dell'altro mondo non tecnico e distribuendola in maniera iniqua.....insomma siamo meno responsabili . La nostra conoscenza è quantitativa, e non depositaria di saggezza . Non possono nascere nel tempo della tecnica il taoismo, il confucianesimo, il buddismo, il cristianesimo, la prima filosofia greca , che depurata laicamente dall'aspetto religioso quanto meno tentava di responsabilizzare l'uomo . La tecnica ha fatto diventare l'uomo più cinico di quello che era , perchè offre maggiore potenza a chi la detiene .
Personalmente invece trovo che questa fatiscente libertà dell'andiamo avanti, e fa niente cosa ci aspetta, e questa pseudo democrazia dove tutti fanno e nessuno è mai è responsabile i di niente, è proprio tipico del tempo della tecnica che è anonima quanto una umanità anonima che inerte va avanti, come il Titanic contro l'iceberg.
Citazione di: donquixote il 24 Aprile 2021, 00:37:14 AM
Viviamo, in questi tempi, nel regno della quantità, tipico di una visione materialistica del mondo, della storia e dell'uomo.
Talmente materialistica che abbiamo "quantificato" e quindi materializzato anche concetti che non lo sono mai stati per adeguarli ad una visione che considera sic et simpliciter la quantità come tale una "ricchezza".
Non è la visione del mondo distinto quantitativamente il problema. Ma l'attribuire una valenza qualitativa a questa distinzione.
Nel mondo non vi è nessuna reale differenza qualitativa. Perché il mondo è la composizione di diverse quantità dell'uguale.
È sempre il medesimo che aggregandosi in quantità differenti crea la varietà del mondo.
Quantità e qualità finiscono sempre con l'interagire anche nel mondo transumanato dell'ipertrofia tecnica. Anche la quantità di strumenti di morte, come la ruota, inventa il suo freno, la sua deterrenza.
Sincronizzare quantità è qualità è il vero problema perché la tecnica procede per salti, mentre etica e consapevolezza hanno tempi lunghi di maturazione ed elaborazione capaci, col senno di poi, di separare l'apprendista stregone dal benefattore dell'umanità.
Una sapienza, a priori, appartiene più alla favolistica che alla realtà, perché per quanto la natura sia lo sfondo incontrovertibile dell'agire di tutti gli enti essa è benaltro che un Eden salvifico.
La sapienza è conoscenza accumulata ben testata, su cui la filosofia esercita la nobile funzione della memoria e custodia.
Appoggio Ipazia e approfondisco. Quantità e qualità non sono opposti. La civiltà si basa sulla lingua, la scrittura, la stampa, l'archiviazione dei dati e la loro elaborazione. Senza gli ultimi due punti ad esempio, non sarebbe stato possibile creare in un anno ben due vaccini a rna. L'accumulo di conoscenze ci permette di progredire in senso tecnico ma anche in senso etico. Solo studi psichiatrici seri e documentati hanno permesso di sciogliere le catene ai malati di mente. Solo ulteriori studi sulla natura umana hanno permesso di escludere l'omosessualità come malattia mentale.
Ma la questione sviluppata da Don Quixote non è peregrina. La moltiplicazione quantitativa ha spesso oscurato la contemporanea necessità di curare la qualità.
Di fronte a ciò di solito si trovano due posizioni. Chi predilige una visione aristocratica, per cui la qualità è raggiungibile solo da una minoranza di eletti, che avranno a disposizione dei servitori, incapaci di raggiungere la qualità, e che saranno, a modo loro, felici, perché non posti nell'attuale stato di continue scelte. Il servo della gleba non poteva mica decidere di diventare avvocato.
Un altro partito invece considera necessario che la qualità sia diffusa per motivi di giustizia, di equità e anche di razionalità, visto che solo in questo modo vi è la possibilità che i migliori possano emergere. Il pensiero illuminista, pur con i suoi limiti "dialettici", è il nucleo di questo secondo ipotetico partito. Ciò che si può obiettare a questo partito è che, tranne pochi intervalli, predica bene ma razzola male. Non si tratta in ogni caso, almeno per quanto mi riguarda, di una obiezione valida per tornare a Platone (con tutto il rispetto e la stima che ho per Platone).
In verità secondo me la psichiatria risente anche di influssi culturali, ed il fatto che l'omosessualità sia stata esclusa come malattia mentale (o come parafilia, deviazione sessuale) non significa che ciò sia vero, ma a mio parere è accaduto per il fatto che l'omosessualità con il passare del tempo è stata pian piano accettata dalla società, le associazioni gay hanno fatto sentire sempre di più il loro peso, e hanno fatto sì che l'omosessualità venisse alla fine depennata dal manuale diagnostico dei disturbi mentali. Ma tuttavia esistono, sia pure a livello minoritario, alcuni psichiatri non necessariamente cattolici (come Nicolosi, che scrisse "Omosessualità, un nuovo approccio") che affermano come non si tratti in molti casi di un istinto naturale, ma sia il frutto di traumi, di condizionamenti ambientali, di disfunzioni familiari, che hanno pesato sullo sviluppo dell'identità di genere e hanno fatto sì che l'individuo sviluppasse attrazione erotica verso il proprio sesso.
Nel mondo animale è discutibile che ci siano comportamenti omosessuali, infatti anche quando sembrerebbe che ad esempio un cane monti un altro cane, non lo farebbe per compiere un atto sessuale, ma solo per esprimere rapporti gerarchici di dominanza/sottomissione, oppure al limite si avrebbero atti omosessuali solo quando ci sarebbe scarsità di partner dell'altro sesso per motivi ambientali. Sarebbe quindi una pseudo-omosessualità.
Viator # 60
A mio parere invece sì. I tiranni erano scalzati brutalmente dal loro potere, se si oltrepassava il limite qualcuno pagava anche con la vita. Forse era fin troppo.Nella città in cui vivo c'è un balcone con una scritta ,dove il signor x fu buttato giù dal popolo.
La cultura che invece ha promosso anonimato, quella moderna , ribadisco anche chi e molti in buona fede, hanno prodotto una tecnica smisurata che ha portato persino la cultura giuridica a proporre l'anonimato di chi ha il potere economico cone le società per azioni (che erano definite società anonime appunto), democrazie anonime, con flotte di ignoranti al potere asservitori di gruppi sociali, corporazioni, società.....anonime, la massa anonima costruita sull'individualismo ed egoismo sociale, dove nessuno paga di suo, il maltorto, dove la regola è l'impunità.
Vedo acuirsi certi malesseri sociali ,che ci sono sempre stati storicamente, ma mai espansi come questo tempo incivile che invece si vanta di civiltà, e il populismo è la degradazione naturale dell democrazie, al chi urla di più con ben poca ragione per seguire la pancia. Per me questa sta diventando sempre più il luna park dove si dà "il gas esilarante"(come scriveva De Andrè nella "Domenica delle salme") abitata sempre più da umani inebetii pieni di farmaci ansiolitici, di problemi psicosomatici e nutrizionali, dove i ragazzi nelle scuole sparano, dove certi malesseri individuali e sociali sono tipici proprio di società "opulente", annoiate...rincoglionite (Minima Moralia di Adorno). Ma la gente, anche giustamente d'altra parte, vede che materialmente sta decisamente meglio se guarda indietro la storia, piena di miserie e come scrissi a suo tempo sceglie la sicurezza e non si accorge che moriamo lentamente instupiditi, aridi umanamente.
Se Platone denunciava queste problematiche di decadenza al suo tempo, in cui Atene e Sparta promuovevano la convivialità, perché sapevano che l'identificazione sociale, la fratellanza, cementavano la solidarietà, per cui la Città era forte se era forte il legame umano delle relazioni sociali fra le persone, oggi non se ne parla, o raramente, è diventato tutto abitudine ....va bene così....andiamo avanti.
Iano #61
I filosofi moderni e contemporanei, indicando la tecnica come potenza, pur sapendo che ogni filosofo ha delle sue specificità, adducono al pensiero greco antico l'inizio della nascita e la specificità dell'orizzonte culturale dell'Occidente. In fondo è da chiedersi perché noi occidentali siamo così come siamo e non siamo come altre tradizioni o viceversa? Che cosa ha prodotto il pensiero affinché la strada dell'Occidente imboccasse conoscenze, saperi così specifici e diversi da caratterizzare il nostro modo di essere e di fare?
La mia personale lettura interpretativa è che Aristotele, più di tutti è il fautore della modernità.
Platone con la figura maieutica e dialettica di Socrate è ancora dentro il tempo antico perché Platone sceglie la morale.
Nell'antichità vi sono due racconti correlati, il mito di Prometeo nella cultura greca e la storia nelle scritture ebraiche della Tenach (la Bibbia ebraica) che indicano la stessa problematica.
Il dio supremo die entrambe le culture se la prendono contro Prometeo, donatore della conoscenza e tecnica agli umani, così come il dio ebraico contro "gli angeli caduti" che diedero i primi rudimenti delle specificità della tecnica umana (conoscenza della metallurgia, della farmacologia, ecc.)
Perchè questo? Perchè la saggezza antica sapeva che l'uomo quando prova piacere per qualcosa, si inebria , si ubbriaca, non ha il senso del limite e si perde (perdizione). I miti e le storie religiose erano esempi concreti della saggezza, attraverso loro quando una persona nelle circostanze della vita si trovava appunto nella medesima posizione, gli insegnavano come comportarsi .
I concetti morali e religiosi, come peccato, colpa, perdizione, tentazione, di cui oggi si dice che finalmente ce ne siamo liberati (fin dall'illuminismo....) erano concetti del limite, i paletti pratici oltre cui non bisognava andare. Il saggio sapeva che se si è consapevoli di sé questo forma di sapere dominare i propri impulsi erano confacenti allo "stare bene", se si andava oltre si perdeva il senso della misura . Altri, meno consapevoli o più ignoranti, avevano bisogno che una forma esterna dicesse loro , insegnasse loro con la colpa ,il peccato, ecc. di non superare il senso della misura ,di tenersi in buona armonia che risponda a requisiti del corpo e dello spirito, oggi diremmo psicosomatici ed emotivi. Poco importa in questa discussione se poi i soliti potenti umani hanno strumentalizzato tutto ciò per asservire popoli, è vero, ma fuori dall'intento di questa discussione,
Questi concetti morali li troviamo nel taoismo, nel buddismo, nell'induismo, nell ebraismo, nel cristianesimo......e in tutte le tradizioni antiche.
Perché l'uomo nel piacere, attenzione non negarono il piacere ma dissero che doveva essere il giusto, il limitato, saper dominare i propri impulsi, per non tendere a perdersi, soprattutto in quelli carnali e materiali.
Spero di essere stato chiaro fin qui, perché si generano soliti e inutili formulazioni facendo una miscellanea di inappropriate concetti strumentalizzanti.
Adesso torniamo al motivo per cui, a parer mio, è Aristotele l'iniziatore, il propedeutica della tecnica moderna; perché è l'iniziatore della logica. Nella sua opera Organon ,negli analitici e topici si discute di categorie, si discute del sillogisma, della dialettica. Il sillogisma dimostrativo è la premessa della formulazione scientifica moderna . In filosofia si dimentica quanto i logici medievali, quanto la scolastica, quanto il tomismo hanno prodotto ed erano scuole aristoteliche. Quì vi sarebbe su Aristotele molto da dire su come Nietzsche e soprattutto Heidegger a mio parere fanno errori interpretativi compreso su Platone. Heidegger preferisce Aristotele poiché è più nella prassi, nelle pratiche , il suo Essere relazionato all'esistenza, aveva necessità di trovare collocazione nell'orizzonte del senso della vita......ma è un altro discorso.
Galileo rispetto alla genialità intuitiva di Leonardo Da vinci, fonda il protocollo scientifico costruito sull'osservazione sensitiva e formulata nel concetto logico matematico . Questo concetto ha rivoluzionato il mondo. Perchè è una procedura, un protocollo in cui la dimostrazione del ragionamento passa per ipotesi e si formula nella concretezza reale. La Verità, e poco importa se relativa o assoluta, è in ciò che si "vede", si osserva fisicamente . Bacone (i soliti inglesi e scozzesi...) beatificherà la scienza vedendone gli sviluppi e nasce l'Umanesimo che sconfessa metafisica che sconfesserà Dio e tutta al saggezza antica. Il nuovo fideismo, perché di questo si tratta, promuove la libertà ,intesa come liberazione e sconfessione di un dio condizionatore degli umani. E' qui che la tecnica apparirà in tutta la sua potenza con la circostanza storica dell' ascesa della borghesia , della fine del feudalesimo , spacciando per libertà i privilegi che verranno conseguiti con le forme giuridiche legislative , dove i valori morali inscritti nelle costituzioni degli Stati moderni, saranno pure enunciazioni......metafisiche, mai praticate, poiché la Tecnica è libera di muoversi ,sposata al capitalismo borghese .
La Tecnica è disastrosa poiché priva di morale, si muove come la natura, è crudele, indifferente, detta regole sue implicite. L'uomo come attore attivo lo ha promossa, ma ormai ha vita propria e per questo è impersonale, se ne frega di Tizio o Caio, imperterrita va avanti e promuove con le scienze scoperte e invenzioni, doni che diventeranno prima industria militare e poi civile , non ha limiti ,poichè non c'è freno inibitorio, non c'è morale che dica "in nome della fratellanza e dignità umana , fermiamoci e prima le condizioni più giuste...." Entrano in crisi la sovranità, la politica, la libertà, la democrazia .......la tecnica intanto avanza riconfigurando scenari tecnologici dove le relazioni sociali mutano poiché gli strumenti, come il digitale, riconfigurano i modi di produrre e accumulare, la moneta digitale, tutto diventa incorporeo eppure paradossalmente sempre più materico .
Non so cos'altro dire.........L'uomo è attore passivo, astante più che partecipante nella tecnica .
L'imprenditore taglia posti di lavoro in nome della competizione e globalità (concetti astratti impersonali eppure così concreti), e tutto ciò è figlio di quella cultura che promosse la tecnica , le scienze, che accompagnò la nascente borghesia con il suo compagno di viaggio, il capitalismo.
L'uomo diventerà daccapo attore attivo e non passivo, quando deciderà di toccare i paradigmi culturali costituenti la cultura moderna, umanistica, ormai fatiscenti. L'uomo al centro della cultura che superò il dio al centro del mondo , ha fatto di nuovo vedere come il suo appagamento materialistico non ha confini, è smisurato e decade, diventa in-civile e nascono le solite problematiche che le antiche saggezze già conoscevano. Mutano le scenografie storiche, ma l'uomo è ancora lo stesso.
Phil #63
non penso che tecnicismi costruiti dentro la tecnica possano essere deterrenti più confacenti a giudizi morali, francamente mi pare contraddittorio. La libertà che a mio parere non è un valore morale, fu esaltata dalla modernità proprio per liberarsi dai condizionamenti della tradizione storico culturale.
Bene, abbiamo visto a osa e dove ci sta portando. Non è praticabile assolutamente nulla che possa in qualche modo limitare la Tecnica e le sue forme di progressione che trascinano un uomo stanco e decadente. L'uomo "nuovo", se così posso dire, può nascere solo se ferma, pensa, riflette, sull'intera storia culturale occidentale e capisce dove stanno i paradigmi costruiti da lui stesso che promuovono e caratterizzano una cultura
Donquixote # 64
che dire....ben poco, sono completamente d'accordo.
La scuola nelle sue riforme è talmente funzionale alla Tecnica, che toglie materie umanistiche, così l'uomo sarà sempre meno critico, sempre più scemo, e atto ai meccanismi disumanizzanti della tecnica...........l'uomo automa . Hanno promosso stage, formazioni continue, aggiornamenti,...vite spese a correre dietro a innovazioni che la tecnica anticipa sui tempi della formazione scolastica tanto da indurla a pensare che la scuola è funzionale alla competizione nel mondo del lavoro, a sua volta asservita ai modelli produttivi, a sua volta asservita al modello socio economico, a sua volta asservito alla tecnica, a sua volta asservita ad una cultura delle quantità appunto.
La politica come dici giustamente è diventata dispensatrice di quantità economiche da investire, da promuovere per produrre altrettante quantità. Infatti i politici dicono " Ma avete visto quanto abbiamo investito?...."
Poco importa se giustizia, sanità scuola, i tre capisaldi che anche la cultura umanistica definirono come civiltà..........sono in decadenza. I pochi ,ma buoni, sono diventati nella quantità : "magari probabilisticamente ci sarà qualcosa che esce bene." Sic....
A leggere questa discussione viene da pensare che i limiti della conoscenza sono i limiti che ci autoimponiamo per confermare ciò che già pensiamo e che non vogliamo sia messo in discussione. Del resto anche questo è un argomento antico come la filosofia, ma a cui ha dedicato molta attenzione Gadamer, concentrandosi sul tema del circolo ermeneutico.
Ad esempio, facendo riferimento al precedente intervento di Socrate, sono stati osservati comportamenti omosessuali in circa 1500 specie animali, quindi dire che l'omosessualità è contro natura significa tentare di raddrizzare il comportamento di individui appartenenti a 1500 specie animali. Sarebbe più coerente affermare che l'omosessualità va corretta perché contraria a qualche principio sociale, culturale o religioso, non perché sia contro natura. D'altronde la natura come legge fondamentale, quasi fosse una Grund-Norm kelseniana, è un meccanismo che ritroviamo spesso nei campi più disparati. Sarebbe il caso di utilizzarla con più lucidità.
Citazione di: Jacopus il 24 Aprile 2021, 14:17:31 PM
Ad esempio, facendo riferimento al precedente intervento di Socrate, sono stati osservati comportamenti omosessuali in circa 1500 specie animali, quindi dire che l'omosessualità è contro natura significa tentare di raddrizzare il comportamento di individui appartenenti a 1500 specie animali.
Se osservo la fisiologia e il comportamento sessuale degli esseri viventi sessuati, noterò che posso dividerli con basso margine di errore in due sessi.
Non occorrerebbe quindi dimostrare che gli esseri viventi sessuati non si dividono in due sessi.
Se , in alternativa, aderisco ad uno scritto, sacro o meno, che affermi esistano due sessi, sposto l'errore dalla descrizione alla realtà.
Se le mie convinzioni non nascono dai fatti non saranno i fatti a ribaltarle.
È certamente un limite che ci poniamo, come ben dici.
Il fatto è che su questi limiti si fondano le società civili e religiose.
I limiti della conoscenza , prima ancora che nel linguaggio , risiedono nelle pratiche necessità descrittive.
Buongiorno Iano
E' anche vero che, un certo Nietzsche, diceva: "Non esistono fatti, solo interpretazioni". In effetti anche il comportamento sessuale degli animale noi lo "interpretiamo" come un comportamento omosessuale paragonandolo al nostro. In definitiva tutto è solo interpretazione mentale. Viene anche correttamente detto su WP: "L'omosessualità negli animali è la presenza, nel mondo animale, di comportamenti e pratiche interpretate come omosessuali". Purtroppo sembra che non possiamo fare altro.
Ciao Alexander.
I dati vanno interpretati , ma l'interpretazione poi va' scritta.
Le interpretazioni possono essere varie, ma andrebbero sempre corredate le relative relazioni scritte da un margine di errore senza il quale nessuna relazione scritta sarebbe credibile.
Dovremmo in alternativa limitarci a presentare i dati e lasciare che ognuno li interpreti.
Impossibile praticamente.
Se la interpretazione la scrive uno scienziato evidenzierà bene il margine entro il quale è da considerarsi valida, seppur sempre criticabile.
Se lo trovi scritto sulla Bibbia non esiste margine di errore, ma solo interpretazione possibile.
Se uno si convince di avere la giusta interpretazione, o se attribuisce autorità alla interpretazione di altri, la assumerà' quindi come verità ,cioè priva di errore, e se la realtà si accorgesse non dovesse corrispondergli del tutto, ne trarrà che vi siano impurezze e corruzioni nella realtà rispetto a una condizione iniziale di corrispondenza fra realtà e sua descrizione..
Il male non sta nei nostri limiti di conoscenza ma nel non trarne le giuste conseguenze.
In un certo senso le società umane continuano a fare sacrifici umani da porre a loro fondamento.
Chi non trova posto nelle semplificazioni dello statuto o del testo sacro' viene sacrificato.
Nei casi più virtuosi l'applicazione della legge si considera elastica, ma così la corruzione, in un modo o nell'altro là si tira sempre in ballo.😊
Se l'era dei lumi piange, quella dei numi non ride. Pensare ad un ritorno all'antico dopo l'abbondante debunking epistemico della tradizione religiosa è mero atteggiamento estetico À rebours. Certamente possiamo salvare i contenuti di saggezza delle epoche dominate dalla fede religiosa, avendo chiaro che quella sapienza etica è farina del nostro sacco ed in quanto tale è riciclabile pure in una società denumizzata.
I limiti ci pensa la natura a porli dato che l'hybris contro le leggi fisiche che essa impone viene regolarmente punita, insegnandoci, tra una bastonata e l'altra, a conoscerle e rispettarle. Le leggi etiche sono invece cosa nostra, non arbitrarie, ma razionalmente decifrabili nel contesto storico in cui essi si sono formate, superate, abrogate e riformate.
La tecnica è nel nostro destino evolutivo e possiamo soltanto liberarci da chi la monopolizza e domina riprendendoci la polis. Impresa ardua ma senza alternative retrodatate.