I limiti della conoscenza.

Aperto da iano, 20 Aprile 2021, 20:54:07 PM

Discussione precedente - Discussione successiva

viator

Citazione di: iano il 21 Aprile 2021, 15:29:50 PM
Citazione di: Ipazia il 21 Aprile 2021, 13:48:49 PM
La conoscenza filosofica è sommamente delimitante traendo origine dall'epigramma sul tempio oracolare di Delfi: γνῶθι σαυτόν.

Conoscere se stessi pone una delimitazione individuale, di specie, e gnoseologica, poiché delimitiamo la realtà con una esclusivamente nostra episteme.

Questi tre livelli delimitano aree di conoscenza distinte. Non sempre idilliache, perché il guardarsi dentro non è esente da pericoli ed abissi. Dai quali mette in guardia uno scrutatore certosino dell'animo umano e della conoscenza.

CitazioneChi combatte contro i mostri deve guardarsi dal non diventare egli stesso un mostro. E quando guardi a lungo in un abisso, anche l'abisso ti guarda dentro

Un invito a delimitare con giudizio, prendendosi anche salutari spazi di evasione tra i tre livelli della conoscenza.
C'è molta saggezza in quel che scrivi, ma credo che la conseguenza necessaria della coscienza sia di portar fuori ciò che è dentro, continuando pur a restare parte di noi.
Noi lo chiamiamo scienza e tecnologia, ma siamo sempre noi.
Mi sembra di vederti passeggiare per boschi inseguendo alcun pensiero.
Essendo te stessa , prendendoti salutari pause dal voler sapere cosa, o mentre curi i tuoi fiori con gioia per il motivo  di nulla.

Perdonatemi ma..............leggendo di un simile duetto dialettico...........(criptocultura cui risponde criptosentimentalismo)................mi sembra proprio che Ipazia e iano stiano somministrandoci l'epitaffio di Logos ! Chissà se mi sbaglio ! Saluti.
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

paul11

#16
 X Viator
C' una bella differenza i, fra un luogo geografico fisico già esistente   sul pianeta Terra, quali possono essere lo scoprire le sorgenti del Nilo  o le spedizioni al Polo Nord e Sud, e la creazione del pianeta Terra dentro una galassia chiamata Via Lattea e un sistema planetario con una stella detta Sole. E' la stessa differenza di chi non vede la trave negli occhi mentre guarda la Luna.
Fra lo scoprire fisicamente e chiedersi cosa, come e perchè esiste questo mondo, ci sono domini di conoscenza ben diversi, ma è tipico di chi vive senza sapere che vive.


X Iano
Non so cosa intendi per "filosofia creatrice di mondi".
A volte si intende sottovalutare l'uomo, a volte sopravvalutarlo.
Quando si dice che l'uomo ha dei limiti è vero, ma quei limiti comunque permettono nonostante tutto, di manipolare la natura, di costruire tecniche e tecnologie, applicazioni pratiche grazie a teoretiche costruite in analogie con il mondo. Perché se il nostro cervello non fosse in analogia con la realtà non costruiremmo men che che niente, dal mattone alla sonda che va su Marte.
Ci sottovalutiamo in questo e ci sopravvalutiamo quando riteniamo che manipolando la natura noi siamo esenti dalle regole della natura, nasciamo e moriamo come qualunque organismo vivente. L'uomo non può come corpo fisico metabolico che necessita di cibo ed aria porsi fuori o al di sopra della natura. Il nostro limite fisico è quindi interno alla natura .


Un animale , un organismo vivente, reagisce agli stimoli ambientali , l'uomo fa qualcosa di molto di più,  indaga i meccanismi  ambientali, è capace di chiedersi le cause e cercare le risposte.
Questo processo non può che pervenire da conoscenze dei fenomeni naturali.
La filosofia è chiamata in causa per chiedersi "ma cosa c'è dietro la causa? Perché deve esserci proprio quell'effetto?" e non essendo particolaristica, cerca di ricomporre non tanto il puzzle, poiche sarebbe ancora un concetto di quantità, come dire quanti pezzi di puzzle compongono l'universo?  E' impossibile trovare nell'indeterminatezza di una quantità infinita di  pezzi di puzzle il quadro completo dell'universo , che in teoria dovrebbe, ma per me non è vero, darci la verità.
Quindi la conoscenza quantitativa , espansiva non è nella conoscenza della  moltitudine dei fenomeni apparenti.
Questo concetto è il limite fra scienza e filosofia e ciò lo capirono già più di duemila anni fa.


Il problema pratico è questo: nonostante abbiamo limiti di conoscenza della realtà fisica del mondo, nonostante potrebbero le filosofie e persino le religioni, aver sbagliato deduzioni, interpretazioni, eppure, nonostante tutto questo abbiamo costruito un mondo parallelo alla natura, chiamato cultura alla quale noi tutti dipendiamo quanto il nostro organismo ha necessità di cibo e aria.
Il punto filosofico è questo oggi : così come l'uomo agisce sul sistema ambiente cercando di conoscerlo , e non reagisce con soli impulsi che l'ambiente detta come le piante e animali, lo stesso avviene nel sistema culturale che è una creazione umana e questo dice molto su come l'intelligenza, la conoscenza può costruire a sua volta in analogia con la natura, anche se in maniera dissimile.
I fenomeni fisici li studiano le discipline scientifiche fisiche e naturali, ma il sistema culturale chi e come si è evoluto, quali sono le sue regole sociali interne? Noi pensiamo alla cultura prodotto dell'uomo in modo errato, lo pensiamo come un destino naturale impossibile da modificare nelle sue regole , la contraddizione invece è che  se la vita e la morte nascono non da una nostra volontà, la cultura invece sì.
La nostra cultura attuale invece compie l'inverso ,se ci pensiamo bene. Ci fanno credere che è  possibile agguantare la natura, ma impossible gestire le problematiche culturali : economiche ,sociali, politiche.
Natura e cultura sono originariamente diverse , ma analogiche eppure non simili. Noi ci illudiamo di leggere la cultura come se fosse un fenomeno naturale, non siamo solo impulsi. La prima conoscenza allora è quello di chiederci cosa siamo, chi siamo , che senso ha la nostra vita .
L'aspetto che avviene dopo è la relazione uomo natura e la relazione uomo cultura. Poichè siamo gli unici organismi viventi che possono andare contro-natura  e creare cultura, bisogna capire dove stanno le origini dei problemi . Questo è il compito della filosofia .
Il tempo di indagare come l'uomo costruisce intenzioni, motivazioni, appercezioni, ormai la psicologia, il cognitivismo le neuroscienze lo hanno scientificamente abbastanza dedotto, la linguistica analitica a sua volta lo ha analizzato . Ma nessuno può dirci perché siamo fatti così  così come siamo  e con delle facoltà che se potrebbero essere naturali ,si esplicano  anche in modo  innaturali, quale l'intelligenza . Innaturale poiché se l'intelligenza sorgesse da una evoluzione naturale, questa può praticare innaturalmente, contro natura ,la propria cultura. Allora dove nasce il giudizio, la giustizia,  dove nasce la sovranità, dove nasce lo Stato, dove nasce la finanza, dove nasce la dignità?  I tentativi culturali  e apologetici di dire che i fenomeni culturali sono  in analogia al dominio naturale  è un falso , noi non abbiamo costruito solo manufatti artificiali dalla forchetta al grattacielo , non esistenti in natura, noi vogliamo dominare  l'atomo quanto il coronavirus. La qualità della conoscenza è capire la natura umana, siamo dei caini o degli abele, o siamo un insieme di entrambi contraddittorio domabile o indomabile, possiamo dominarci e che cosa possiamo o  non possiamo fare?
La conoscenza qualitativa è manchevole

Socrate78

#17
A mio avviso alcuni soggetti sono più simili al modello di Caino (tendenzialmente malvagi) e altri più o meno vicini ad Abele. Nessuno è comunque veramente perfetto e innocente ed anche gli uomini più santi hanno le loro magagne, ad esempio la storia della Chiesa parla di santi (comunque moralmente integerrimi) che si autopunivano mortificando con digiuni, penitenze dolorose il loro corpo, ma è una deviazione dalla normale spiritualità, poiché il corpo ci è stato dato da Dio ed è unito all'anima, se lo mortifichi di conseguenza commetti il male. Il concetto di espiazione attraverso il dolore è a mio avviso un'enorme menzogna. E' forse più vicino alla verità il concetto ebraico che possono esistere semmai i "giusti", ma non i santi.

Ipazia

#18
Sul motivo per cui religione e politica vogliono farci apparire naturali e immutabili i fenomeni sociali Marx ha scritto una filosofia della storia e Nietzsche una critica fondamentale.

La cultura, nella sua veste dominante, è  anche questo, uno scorpione con la coda avvelenata che difende con violenza fisica e veleno ideologico la sua posizione di privilegio e dominio.

Oggi ne abbiamo ennesima conferma nella gestione dall'evento pandemico e nel bias vaccinale, non esente da rigurgiti di pancia forcaiola, laddove il primo motore immobile ha più a che fare con la cultura di potere che con la cultura scientifica.

La delimitazione tra i livelli della conoscenza non è esclusivamente un viale fiorito. Anzi, ci vuole pazienza certosina e grande fede umanistica per andare in cerca di fiori tra le rovine della conoscenza umana.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

iano

#19
@Paul 11.
Il nostro limite, mi pare tu dica, è all'interno della natura, anche se la tentazione di posizionarci fuori da essa è sempre presente, e ha come conseguenza il sopravalutarci o sottovalutarci, in base all'umore dei tempi.
Considerarci pienamente naturali , ne' più ne' meno, sarebbe una buona base di partenza, che non diamo per scontata, seppure dovrebbe apparirci ovvia.
In questo modo risolviamo il problema dei nostri limiti, se questo fosse l'argomento della discussione, equiparandoli ai limiti che la natura possiede, posto che abbia senso parlare di limiti riferendosi alla natura.
Ci poniamo quantomeno così in modo preciso dentro qualcosa che però rimane imprecisata.
Ma ne traiamo che sarebbe più saggio chiedersi cosa sia la natura, piuttosto che chiederci cosa siamo noi.
Se però insistiamo nel chiederci cosa siamo noi possiamo dare quindi la sola risposta corretta di essere parte integrante della natura.
Non possediamo quindi limiti, nel senso che non sono definibili i limiti della natura.
Viviamo pienamente dentro alla natura, ma nella misura in cui siamo coscienti, viviamo anche in un mondo parallelo esclusivo, sempre interno alla natura, da noi creato.
È il mondo della percezione cosciente che deriva più che dai sensi ,dalla scienza e dalla tecnologia con ineludibile, per quanto ci si provi, contributo della filosofia.
Tutto ciò non ci limita, ma ci definisce, seppur in modo contingente.
Ci dice quello che siamo in un certo momento della storia naturale.
La filosofia naturale ( e cosa altro potrebbe essere se non naturale?) esplicita in una visione ciò che è al contempo fuori e dentro di noi, avendo mi pare privilegiato finora ciò che è fuori.
Ma questo quadro, i colori che abbiamo scelto, il pennello usato, lo stile della pennellata, auto definiscono noi, all'interno di qualcosa di più grande sicuramente, ma solo quantitativamente, non qualitativamente.
Non è facile indagare la natura in genere essendo indefinibili i suoi limiti, quindi di solito ci limitiamo a isolarne un sottosistema, come una scatola che sta dentro alla natura, ma da cui noi siamo fuori.
Pure in questo modo limitato, ci pare di stare indagando la natura in modo completo, e da ciò traiamo l'illusione di poterci porre fuori da essa.
Noi stessi siamo una di quelle scatole già bella e pronta , ma trascuriamo di considerarci tali.
Certo non possiamo porci fuori di essa , come occorrerebbe per essere testimoni indipendenti delle sistema scatola, ma davvero non possiamo trarre alcuna informazione su noi stessi, e quindi in definitiva sulla natura, osservandone la forma che via via assume, al mutare dei nostri quadri filosofici?

Le scatole perfettamente isolate dal contesto sono in fondo solo un idealizzazione.
Nella realtà non esistono.
Sono sufficientemente isolate relativamente a ciò che vogliamo indagare, ma mai del tutto.
A mio parere ci sono diversi indizi che ci definiscono, che di solito trascuriamo.
Il loro elenco equivale all'elenco di tutto ciò che ci appare ovvio, posto che in natura le ovvietà esistono esclusivamente all'interno nel nostro mondo parallelo.
È propriamente dentro quel mondo esclusivo, chiuso come una scatola,che possiamo trovare la nostra specificità, perché a noi specifico, seppur tutto dentro alla natura
La filosofia ci dice chi siamo.
Dimmi che pensi e ti dirò chi sei..

Certo siamo anche liberi di pensare, e infatti non siamo mai la stessa cosa.
Siamo un sistema sufficientemente isolato da poterci dare un senso.
Poco scappa dalla scatola chiamata noi, ma quel poco tendiamo a trascurare.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

iano

#20
Che cosa è la filosofia se non uno strumento della coscienza attraverso la quale specificamente ci evolviamo , in modo preferenziale, secondo natura?
È davvero saggio metterla da parte?
Ha davvero senso costruire una scatola che ci contenga e che la escluda?
Che tipo di scatola sarebbe?
Immagino una scatola semplificata, più semplice da studiare, ma priva di ogni senso la sua costruzione .


Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

paul11

 Sul controllo, presentato da Alexander, a suo tempo scrissi.
E' vero che l'uomo cerca da sempre un controllo, ma non è un desiderio, in politica lo si potrebbe definire come stato di normalità che viene posto in emergenza da una minaccia esterna; eventi naturali, una pandemia, alluvioni, siccità, terremoti, o addirittura altri gruppi umani come Stati che minacciano la nostra "norma-lità".
Noi superiamo l'emergenza quando siamo in grado di com-prenderla. Questa attività conoscitiva che può essere personale, e che nel sociale si esplica come unità politica intesa come centro della prassi decisionale, prima cerca di conoscere la minaccia, classificarla, registrarla, dopo di che si appronta la prassi affinché la minaccia venga estinta. Se quella minaccia viene compresa, conosciuta, alza il livello personale o sociale di "normalità" in quanto ora essendo conosciuta in qualche modo non è più una minaccia poiché sono state approntate misure appropriate, potremmo dire che diventa cultura.
Allora, se un tuono allarma gli animali che reagiscono per impulso, l'uomo supera l'allarme e la minaccia in diverse modalità: lo gestisce come segno simbolico, lo fa diventare un totem , un segno divino, naturale; oppure lo gestirà come fenomeno, cercherà di capire cosa sia il tuono, capirà che spessissimo segue un lampo di luce, che vi sono nubi, insomma che vi sono circostanze affinché quel tuono possa sussistere, seguirà pioggia, ecc.
Il controllo non necessita di una conoscenza assoluta, di capire fino in fondo il procedimento causale del perché avviene il tuono, l'importante è che l'uomo comprendendolo lo "interiorizzi", in qualche modo lo razionalizzi, per cui la ragione lenisce il problema sorto emotivamente.
Il controllo è l'esercizio pratico che ha portato alla tecnica : prima c'è la paura di una minaccia naturale ambientale, poi c'è una normalizzazione di quella minaccia per cui la controlliamo, ma poi avviene il passaggio successivo che quella minaccia portatrice di una nuova normalità e di conoscenza ora è addirittura superabile come un farmaco con una malattia, possiamo andare oltre, a gradini tecnici successivi.
Gli stati di emergenza, di eccedenza rispetto ad una normalità culturale individuale o sociale, potremmo dire che ci fanno maturare ci portano a step, gradini successivi superiori.
Quindi il controllo sembrerebbe più una necessità di performare ,più che un desiderio, continue emergenze, minacce.

iano

#22
Citazione di: paul11 il 22 Aprile 2021, 13:55:22 PM

Allora, se un tuono allarma gli animali che reagiscono per impulso, l'uomo supera l'allarme e la minaccia in diverse modalità: lo gestisce come segno simbolico, lo fa diventare un totem , un segno divino, naturale; oppure lo gestirà come fenomeno, cercherà di capire cosa sia il tuono, capirà che spessissimo segue un lampo di luce, che vi sono nubi, insomma che vi sono circostanze affinché quel tuono possa sussistere, seguirà pioggia, ecc.

Ma forse la modalità e' unica , salvo distinguere i diversi modi  di realizzarsi col senno di poi, in base al relativo tasso di successo.
La distinzione fra reazione istintiva e reazione consapevole inoltre non è qualitativa, ma quantitativa, e si misura in quanto tempo abbiamo per reagire, quindi il discrimine rimane arbitrario.
Una risposta razionale fuori tempo massimo non sembra una buona strategia.
Ciò che sembra ovvio, distinguere fra ragione e istinto, dunque tanto ovvio non è.
Cerchiamo e troviamo distinzioni dove non ve ne sono, ma che, seppur fittizie, sembrano funzionali al controllo della natura. Ciò perché nella pur omogenea natura rileviamo salti che ci permettono utilmente di raffigurarla come fatta di parti distinte , a cui poter applicare il gioco delle cause e degli effetti, traendone quindi leggi che impropriamente chiamiamo naturali. Esse iniziano da un se, e proseguono in un allora, e a volte funzionano, anche quando a rigore, non c'è nessun vero se' e nessun allora realmente corrispondenti in natura.
Così nasce in filosofia la incolmabile dicotomia fra uno e molti.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

paul11

 Iano,


Se una cultura collocata temporalmente, cioè è storia cronologica, sopravvaluta o sottovaluta , può essere almeno coerente nella sua valutazione se fra teoria e prassi  non vi sono contraddizioni.
Come dire che se una cultura impronta le sue fondamenta originarie su una contraddizione è ovvio che tutto ciò che è ricaduta teoretica e pratica seguirà quella originaria contraddizione, ma almeno è coerente come procedimento .
La contraddizione culturale moderna nasce invece da un dualismo interno che è già all'origine contraddittorio, per certe cose ci sopravvalutiamo, per altre ci sottovalutiamo. Quando accade questo bisogna interrogarsi filosoficamente, culturalmente, del perché la cultura (perché comunque di cultura si tratta, quando si interpreta la natura si fa cultura non natura) ha insita, in sé, questa originaria modalità di distinguere i campi teoretici e pratici in modalità diverse.


Prendiamo pure la tesi cultural filosofica che siamo natura. Allora dovremmo accettare come derivazione della tesi originaria, che la cultura promossa dal solo organismo vivente che è l'uomo , è una ulteriore evoluzione del processo naturale.
Mi si dovrebbe però spiegare come mai la cultura, se deriverebbe pedissequamente da un ulteriore gradino evolutivo, può essere contro-natura. La cultura ha connotazioni originarie assai diverse dalla natura, persino in antitesi e contraddittorie. La natura non postula, si mostra, ci appare, non ci dice, noi la interpretiamo , la modelliamo, la modifichiamo, usiamo tecniche anche contr-natura, la superiamo, la distruggiamo, insomma noi la plasmiamo teoreticamente e praticamente , per noi la natura se da una parte è una "schiavitù", nel senso che vita e morte non sono nostra volontà, dall'altra è possibilità culturale di manipolarla . La natura è crudele, ma non ha etica o morale, non ha una giustizia, ha semmai sue regole e ordini interni appunto crudeli(ma anche il termine crudeli è un giudizio nostro culturale). La natura non crea finanza e Stati, Parlamenti o Leggi , non crea monete, banche, fabbriche o luoghi di lavoro. Tutta la nostra cultura è dentro un artificio chiamato città , paesaggio (che è l'insieme di natura e costruzioni, come case, strade, ecc).
La nostra cultura tecnica è costruita per vincere il destino della morte, e quindi è contro-natura, poiché la natura è ineluttabile.


Noi siamo parte integrante della natura all'atto della nascita (già come nasciamo grazie all'ostetricia ci pone già nella cultura) e all'atto della morte. In mezzo ,fra nascita e dipartita, è tutta cultura. Siamo educati nella cultura del luogo dove nasciamo. Persino Freud abbandonò gli istinti per descrivere la psiche umana passando a "pulsioni". Noi siamo una tabula rasa rispetto agli impulsi degli animali che rispondono specializzandosi nell'ambiente. Gli occhi di una libellula sono altamente specializzati, i sensi animali sono fortemente specializzati , noi siamo "imbelli" più di qualunque essere naturale, tutto ciò che ci viene insegnato ed educato costruisce l'"armamento" umano, quindi è cultura non natura.
Se fossimo paracaduti nel mezzo di una giungla, di un deserto, quasi sicuramente soccombiamo se non siamo "addestrati". Addestrati significa tecnica, conoscenze dell'ambiente e tecniche di sopravvivenza e questo daccapo è cultura.


Bisogna capire un concetto, noi interpretiamo la natura costruendo conoscenze, quando descriviamo la natura siamo cultura, detto in altro modo è la cultura che descrive la natura e non viceversa. Questo è un passo ineludibile per capire l'uomo. L'uomo di per sé non muta fisicamente quanto non mutano nello spazio diciamo di duemila anni, gli organismi (se non i virus, forse i batteri), Da duemila anni a questa parte cosa è mutato radicalmente? La cultura, non la natura che segue incessantemente i suoi cicli .


La potenza, se così si può dire, dell'intelligenza umana, è andare al di là della natura, cercarne un origine della natura e dell'uomo stesso: questa è una problematica tipicamente filosofica ed è chiaro che per quanto posa essere logicamente induttiva-deduttiva, rimane pur sempre una interpretazione.
Ma la domanda successiva da porsi è se davvero la cultura "è salvifica", se la tecnica, l'arteficio umano ci pongono al riparo dalla natura, dalle sue minacce. Per questo la problematicità del Novecento fra Essere e Tecnica è ancora importante. Quando ad esempio un Nietzsche è posizionato come "irrazionalista" ,il perché lo si trova nella sua interpretazione della rapporto natura cultura, in cui ritiene la cultura come schiavizzante per l'uomo . O un Heidegger che .come ho scritto, ritiene che la tecnica abbia entificato l'Essere, cioè l'uomo stesso creatore della tecnica, ha perso la capacità di gestire la tecnica che è divenuta come la natura, ineludibile, impossible da fermare e da gestire, tanto che l'uomo è diventato una "cosa", un oggetto a sua volta manipolabile come una risorsa naturale.
Questo pone il dilemma sulla conoscenza  non solo il suo limite che è ovviamente umano in quanto da lui prodotto, ma che cosa è giusto o sbagliato , e quali sono i criteri di giudizio?

paul11

Citazione di: iano il 22 Aprile 2021, 14:57:22 PM
Citazione di: paul11 il 22 Aprile 2021, 13:55:22 PM

Allora, se un tuono allarma gli animali che reagiscono per impulso, l'uomo supera l'allarme e la minaccia in diverse modalità: lo gestisce come segno simbolico, lo fa diventare un totem , un segno divino, naturale; oppure lo gestirà come fenomeno, cercherà di capire cosa sia il tuono, capirà che spessissimo segue un lampo di luce, che vi sono nubi, insomma che vi sono circostanze affinché quel tuono possa sussistere, seguirà pioggia, ecc.

Ma forse la modalità e' unica , salvo distinguere i diversi modi  di realizzarsi col senno di poi, in base al relativo tasso di successo.
La distinzione fra reazione istintiva e reazione consapevole inoltre non è qualitativa, ma quantitativa, e si misura in quanto tempo abbiamo per reagire, quindi il discrimine rimane arbitrario.
Una risposta razionale fuori tempo massimo non sembra una buona strategia.
Ciò che sembra ovvio, distinguere fra ragione e istinto, dunque tanto ovvio non è.
Cerchiamo e troviamo distinzioni dove non ve ne sono, ma che, seppur fittizie, sembrano funzionali al controllo della natura. Ciò perché nella pur omogenea natura rileviamo salti che ci permettono utilmente di raffigurarla come fatta di parti distinte , a cui poter applicare il gioco delle cause e degli effetti.


Distinguiamo.
Un animale difficilmente impara, per dire che mai o quasi mai impara, a capire il tuono.
Il nostro cervello, come lo descrive la neurologia e neuroscienze, ovviamente ha delle priorità sugli allarmi di pericolo.
Ad esempio il nervo ottico, quindi la ricezione di segnali ottici esterni, sensazioni, prima di depositare nel cervello "ciò che l'occhio ha visto" passa per una memoria detta amigdala che ha il compito diciamo emotivo. Se il segnale visivo è di allarme questa amigdala avverte l'organismo a partire dal cervello che fa secernere a ormoni che mutano la pressione sanguigna ,ec. In poche parole se noi vediamo qualcosa che ci pone in pericolo, l'organismo deve essere velocissimo o a fuggire o a trovare una soluzione.
Allora la soluzione del fuggire è tipico, diciamo di tutti gli organismi viventi. L'uomo può conoscere tecniche, conoscenze, che controllano lo stato di allarme e guidano alla soluzione dell'allarme disinnescandolo . Gli altri organismi non hanno questa soluzione . Se ad esempio sta appiccando un fuoco in casa, la prima reazione è emotiva, ma se so come arrestare il fuoco , il saperlo mi tranquillizza e procedo a tentare di  spegnere il fuoco

iano

#25
@paul 11.
Tutti discorsi corretti, ma che partono dalla supposizione errata di aver ben chiaro cosa sia natura.
Per noi colloquialmente è un concetto molto elastico, e ogni volta dovremmo specificare se ci stiamo ponendo dentro e fuori.
Porsi fuori è un errore a volte solo accettabile in base al contesto limitato in cui ci poniamo..
Puoi anche dare una definizione di natura per esclusione, dicendo cosa non ne fa parte., ma non dimostrando così di aver chiaro cosa sia.
Tuttavia meglio un definizione per esclusione che nessuna. Rimane il fatto che è una tua definizione arbitraria fra tant'è possibili.
Ma la verità è che noi ne usiamo diverse, e a volte contemporaneamente, con grande inevitabile confusione.
Se tu dici che la cultura non fa' parte della natura ne stai dando una definizione accettabile, ma solo una delle possibili.
Ogni definizione di natura è più o meno volutamente tendenziale, non potendosi ne dimostrare ne' negare.


Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

iano

#26
E allora eccoti la mia, una fra tante.
La natura, qualunque cosa sia, è unica ma disomogenea, quindi utilmente raffigurabile in diversi modi in parti, e ogni rappresentazione è una cultura , cioè una possibile interpretazione della natura, che in quanto tale, è già implicita nella natura stessa.
Una volta divisa la natura in parti non dovremmo poi sorprenderci di poterne ricavare leggi di cause ed effetti fra le parti.
Esse non dimostrano la correttezza della divisione, la sua realtà , la sua non arbitrarietà..
Esse sono fittizie quanto le parti che ne abbiamo ricavato, e altro non fanno che ricordarci l'arbitrarietà usata nell'averla divisa. Quelle leggi ci dicono che le parti sono ricomponibili.  Le leggi sono l'operazione inversa alla divisione.
Sono la reazione alla nostra azione di divisione, per tirarmela da Newton.😁
Quelle leggi hanno un senso e  sono utili solo se ha un senso dividere il mondo in parti, e a quanto pare un senso c'è, per quel che ci risulta, che è quello di controllarlo in qualche modo.


C'è però una cosa che vorrei sottolineare fortemente.
Non c'è una differenza qualitativa fra dire che la natura è unica e disomogenea e il dire che i fulmini li manda Giove.
Anche le differenze fra culture vivono di continuità, nonostante le apparenze.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

viator

Salve paul11. Citandoti : "Mi si dovrebbe però spiegare come mai la cultura, se deriverebbe pedissequamente da un ulteriore gradino evolutivo, può essere contro-natura".


Scusa ma................una simile osservazionepuò scaturire solamente da............una insufficiente osservazione della natura !.

Ma come si fa a concepire che il contenitore di tutto (quindi anche di quelle manifestazioni culturali che SIAMO SOLO NOI UMANI A TROVARE CONTRONATURA.........mentre certe contraddizioni sono unicamente CONTRO-LA-NATURA-UMANA)................contenga anche ciò che neghi la sua origine naturale !.

Evidentemente tu relativizzi invece la natura, considerandola creazione di un Dio il quale - sempre secondo te - le è estraneo e superiore. A tal punto prevale la visione fideistica per la quale tutto ciò che sarebbe contrario ai dettami divini rappresenterebbe la versione maligna dell'uomo e della natura.

Resta il problema dato dal fatto che i "dettami di Dio" non rappresentano affatto una evidenza, ma una opinione rigorosamente umana. Saluti.
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

iano

#28
@ Viator.
È una singolare arte magica la tua  di trarre fuori da ognuno il suo Dio, come coniglio dal cappello , a prova del loro peccato di irrazionalità.
Inutile dichiararsi a più tornate di essere dei senza Dio.
Non ci salviamo con ciò di divenire a turno le tue vittime sacrificali, e mi verrebbe da chiedere a quale tuo Dio, che tu non sai,  ci sacrifichi? 😁
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

Jacopus

Il discorso uomo/natura o cultura/natura può essere così riassunto. Per 3 miliardi e mezzo di anni, l'evoluzione delle specie è stata organica, più denti aguzzi, pelle impermeabile, corno sopra il naso, veleno, capacità di volare o di nuotare, termoregolazione e cosi via. Tutte modifiche formulate secondo il famoso principio di caso e necessità ma che rientravano nelle modifiche organiche. Ad un certo punto, dopo una preparazione lunga sei milioni di anni ( a quell'epoca risalgono i nostri antenati ancestrali, gli australopitechi), la natura fa spuntare un soggettino con un organo abnorme, il cervello, con il quale sopperisce alle sue evidenti magagne e con il quale vince (temporaneamente) la scommessa evolutiva ponendosi sulla vetta della catena alimentare.
Ma per fare questo manipola la natura stessa, attività mai sperimentata prima da altre specie. In questa frattura sta la distinzione cultura/natura, almeno originariamente. Sottolineare che siamo parte della natura è ovvio, ma non ci da nessuna informazione sulla nostra effettiva posizione nel mondo naturale. Posizione diversa da quella di qualunque altra specie, proprio perché noi per avere successo ci affidiamo a protesi tecnologiche. Una novità assoluta che ci obbliga a pensare anche alle conseguenze negative del nostro successo evolutivo. I dinosauri dovettero aspettare un meteorite. Noi potremmo essere il meteorite di noi stessi.
E questo discorso ci porta ancora una volta un po' più in là, ovvero alla responsabilità etica che homo sapiens dovrebbe avere in forza del suo grande potere come specie dominante. Pensare invece in termini di una natura onnicomprensiva, disinnesca questo principio, poiché :"saranno le leggi naturali a rimettere le cose a posto" Il che è anche vero, visto che cov-sars 2 è solo un timido preavviso, ma l'umanità nel frattempo che finalità si sta dando? La cultura, spezzando il cerchio magico e inconsapevole della natura, deve interrogarci su questo, ad esempio ma non solo, sui limiti da autoimporci nel nostro stesso interesse.
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

Discussioni simili (5)