Hegel e l'inizio della filosofia

Aperto da Koba II, 23 Marzo 2024, 09:51:14 AM

Discussione precedente - Discussione successiva

Alberto Knox

Citazione di: green demetr il 03 Aprile 2024, 20:50:04 PM..e con lui il 99.9 per cento della gente, tranne me.
su questo non avevo alcun dubbio :)
Noli foras ire , in teipsum redi, in interiore homine habitat veritas.

Phil

Citazione di: green demetr il 03 Aprile 2024, 21:05:52 PMDunque possiamo dire che il soggetto che è il fascio delle sensazioni dovute all'evento oggetto, differisce in termini morali, dalla descrizione meramente ontologica degli stessi (ente-oggetto)?
Direi di sì: la morale è una sorta di plusvalore della conoscenza descrittiva, quando applicata ad un altro uomo: se posso (ri)conoscerlo come ente-uomo, allora tale conoscenza produce un "plusvalore in debito" (per quanto suoni paradossale, ma in fondo tutta l'etica lo è), nel senso che gli devo (debito) un atteggiamento morale. A prescindere che egli sia morale o immorale con me, solitamente la mia morale universale (ecco il paradosso degli "universi paralleli" in campo etico) dovrebbe essere un mio a priori nel relazionarmi con lui.
Se ti individuo come essere umano, ti devo (imperativo etico) trattare come qualcosa di differente da tutti gli altri enti (oggetti), differente da tutte le altre forme di vita (ecologia permettendo), in quanto interlocutore morale. Questo se accettiamo il "comandamento zero" di ogni morale: devi avere una morale.

Citazione di: green demetr il 03 Aprile 2024, 21:05:52 PMIn fin dei conti non potremmo ascrivere questo tempo come un tempo in cui sempre più la dimensione del racconto sovrasta quella dei fatti.
Portando alla famosa dissonanza cognitiva.
Concordo: l'ipercomunicazione odierna, le micro-narrazioni dell'utente che da casa produce e dissemina informazioni sul web (youtuber e blogger vari, grandi e piccoli), le postverità, complottismi e negazionismi vari, etc. sono l'apoteosi di quella che da sempre è l'affabulazione narrativa che caratterizza l'uomo; il fascino del racconto che si sovrappone al fascino della realtà (e sappiamo che il racconto non è la realtà, essendo la realtà non-verbale).
Non si potrebbe né, soprattutto, dovrebbe (imperativo etico) dire, ma anche l'etica è perlopiù narrazione; ereditata, accreditata, magari necessaria, ma pur sempre "manuale del gioco di società" che ci circonda (e più persone differenti hanno voce in capitolo, e più il gioco si complica, multiculturalismo docet; la dissonanza cognitiva è solo uno degli effetti collaterali di tale complicazione dello scenario con annessa cacofonia di voci e strepiti vari).

Ipazia

Citazione di: Phil il 04 Aprile 2024, 14:53:01 PMDirei di sì: la morale è una sorta di plusvalore della conoscenza descrittiva, quando applicata ad un altro uomo: se posso (ri)conoscerlo come ente-uomo, allora tale conoscenza produce un "plusvalore in debito" (per quanto suoni paradossale, ma in fondo tutta l'etica lo è), nel senso che gli devo (debito) un atteggiamento morale. A prescindere che egli sia morale o immorale con me, solitamente la mia morale universale (ecco il paradosso degli "universi paralleli" in campo etico) dovrebbe essere un mio a priori nel relazionarmi con lui.
Se ti individuo come essere umano, ti devo (imperativo etico) trattare come qualcosa di differente da tutti gli altri enti (oggetti), differente da tutte le altre forme di vita (ecologia permettendo), in quanto interlocutore morale. Questo se accettiamo il "comandamento zero" di ogni morale: devi avere una morale.

Comandamento zero perché imposto dall'evoluzione naturale per ogni specie sociale che non deve avere una morale, in quanto geneticamente ce l'ha ...

CitazioneConcordo: l'ipercomunicazione odierna, le micro-narrazioni dell'utente che da casa produce e dissemina informazioni sul web (youtuber e blogger vari, grandi e piccoli), le postverità, complottismi e negazionismi vari, etc. sono l'apoteosi di quella che da sempre è l'affabulazione narrativa che caratterizza l'uomo; il fascino del racconto che si sovrappone al fascino della realtà (e sappiamo che il racconto non è la realtà, essendo la realtà non-verbale).
Non si potrebbe né, soprattutto, dovrebbe (imperativo etico) dire, ma anche l'etica è perlopiù narrazione; ereditata, accreditata, magari necessaria, ma pur sempre "manuale del gioco di società" che ci circonda (e più persone differenti hanno voce in capitolo, e più il gioco si complica, multiculturalismo docet; la dissonanza cognitiva è solo uno degli effetti collaterali di tale complicazione dello scenario con annessa cacofonia di voci e strepiti vari).

... con affabulazione al seguito, a causa del logos, ma pure con una componente etica epistemica, in seguito alle capacità cerebrali di questa specie sociale. Anche in campo comunicativo si tratta di sfruttare al meglio lo strumento, senza strapparsi le vesti pechè i padroni del mondo se ne sono impossessati. Che padroni sarebbero se non l'avessero fatto ? La soluzione c'è e si chiama rovoluzione. Non facile ma: hic Rodhus hic salta.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

iano

#78
Citazione di: Ipazia il 04 Aprile 2024, 15:08:40 PMComandamento zero perché imposto dall'evoluzione naturale per ogni specie sociale che non deve avere una morale, in quanto geneticamente ce l'ha ...


Credo anch'io che l'evoluzione sia sufficiente a spiegare il possesso di un etica come caratteristica vincente fra gli esseri sociali, perchè avere un etica significa avere un comportamento sufficientemente prevedibile, ciò che è un requisito secondo me indispensabile per instaurare un rapporto sociale duraturo.
Avere o non avere un etica è un problema che viene prima di quale etica avere.
Socialmente ''è giusto avere un etica'' è fondamentale rispetto  a quale etica sia giusto avere.
Infatti come è possibile accettare come socio colui il cui comportamento non abbia un minimo di prevedibilità?
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

Koba II

Citazione di: green demetr il 31 Marzo 2024, 23:32:19 PMHo iniziato purtroppo la seconda parte della fenomenologia: si parla di forza.
Ma la forza di cui parla, sottrazione all'universale, al tutto, in favore del singolo, è semplicemente sbagliata.
Infatti si riferisce ad un idea meccanicista del mondo, dove l'universo è chiuso.
Ma l'universo è aperto, e non esiste una forza generale, la gravità nel mondo piccolo non esiste. Esistono altre forze.
A ogni grado entropico agiscono forze differenti.

Hai frainteso. Nel capitolo dedicato all'intelletto e alla forza Hegel analizza e critica l'approccio scientifico, proprio quella visione meccanicistica della natura che tu gli imputi.
L'andamento della fenomenologia è sempre lo stesso: si procede di gradino in gradino, e in ogni "stazione" si prende consapevolezza dei limiti della conoscenza che inizialmente sembrava appagante.
Per esempio nel primo capitolo sulla Certezza sensibile se all'inizio il soggetto pensa di avere la verità della cosa che gli sta di fronte in modo immediato, poi prende consapevolezza del fatto che questa verità si dilegua in un continuo mutamento (quando il soggetto si gira, o quando passa del tempo), e ciò che gli rimane è l'universale vuoto del qui e dell'ora.
Da lì si va poi al capitolo della Percezione tenendo inizialmente ferma la convinzione che la conoscenza sia basata sugli universali, per poi prendere atto dei limiti di questa posizione.
E via dicendo.
In particolare alla fine del capitolo della percezione l'aporia era come tenere insieme l'oggetto quando esso ci appare come una serie di determinazioni diverse quali (facendo l'esempio del sale utilizzato da Hegel stesso): "bianco" ma anche "sapido" ma anche "a grani" etc. Determinazioni tenute insieme da quell'anche.
Così nel capitolo dell'intelletto con l'approccio scientifico, con le leggi di natura, il soggetto si affanna a cercare di risolvere tali aporie con l'unità formale della legge.
Ma, ad essere sinceri, le argomentazioni del capitolo sono più criptiche del solito...
Comunque sul senso complessivo di questo capito scrive Jean Hyppolite: "Hegel rimprovera dunque il formalismo dell'intelletto di negare la differenza qualitativa in un'astratta formula di conservazione. In particolare si può sottolineare che egli non crede alla fecondità delle equazioni matematiche. [...] Un linguaggio formale incapace di trattenere nella rete delle sue equazioni la differenza qualitativa." (Genesi e struttura della Fenomenologia dello Spirito, p. 201).

E bisogna ricordare che qui, nel capitolo dell'intelletto, siamo solo alla terza parte della Coscienza. Poi ci saranno le tre parti dell'Autocoscienza, a cui seguiranno le tre parti della Ragione, dove si conclude questo itinerario di iniziazione alla filosofia, dal senso comune a quella che per Hegel è la verità assoluta.

Devo dire che in generale rimango sempre un po' perplesso dalla tendenza, presente in quasi tutti i filosofi, di confondere la legittima convinzione di una certa posizione con la sua necessità.
C'è qualcosa che non torna a livello di sincerità con se stessi.

Ipazia

L'aveva osservato anche Hume: il piano inclinato dall'essere al dover essere, che finisce col taroccare l'essere in sterili metafisiche totalitarie autoreferenziali.

https://it.m.wikipedia.org/wiki/Legge_di_Hume
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

green demetr

Citazione di: Koba II il 07 Aprile 2024, 11:41:27 AMHai frainteso. Nel capitolo dedicato all'intelletto e alla forza Hegel analizza e critica l'approccio scientifico, proprio quella visione meccanicistica della natura che tu gli imputi.
L'andamento della fenomenologia è sempre lo stesso: si procede di gradino in gradino, e in ogni "stazione" si prende consapevolezza dei limiti della conoscenza che inizialmente sembrava appagante.
Per esempio nel primo capitolo sulla Certezza sensibile se all'inizio il soggetto pensa di avere la verità della cosa che gli sta di fronte in modo immediato, poi prende consapevolezza del fatto che questa verità si dilegua in un continuo mutamento (quando il soggetto si gira, o quando passa del tempo), e ciò che gli rimane è l'universale vuoto del qui e dell'ora.
Da lì si va poi al capitolo della Percezione tenendo inizialmente ferma la convinzione che la conoscenza sia basata sugli universali, per poi prendere atto dei limiti di questa posizione.
E via dicendo.
In particolare alla fine del capitolo della percezione l'aporia era come tenere insieme l'oggetto quando esso ci appare come una serie di determinazioni diverse quali (facendo l'esempio del sale utilizzato da Hegel stesso): "bianco" ma anche "sapido" ma anche "a grani" etc. Determinazioni tenute insieme da quell'anche.
Così nel capitolo dell'intelletto con l'approccio scientifico, con le leggi di natura, il soggetto si affanna a cercare di risolvere tali aporie con l'unità formale della legge.
Ma, ad essere sinceri, le argomentazioni del capitolo sono più criptiche del solito...
Comunque sul senso complessivo di questo capito scrive Jean Hyppolite: "Hegel rimprovera dunque il formalismo dell'intelletto di negare la differenza qualitativa in un'astratta formula di conservazione. In particolare si può sottolineare che egli non crede alla fecondità delle equazioni matematiche. [...] Un linguaggio formale incapace di trattenere nella rete delle sue equazioni la differenza qualitativa." (Genesi e struttura della Fenomenologia dello Spirito, p. 201).

E bisogna ricordare che qui, nel capitolo dell'intelletto, siamo solo alla terza parte della Coscienza. Poi ci saranno le tre parti dell'Autocoscienza, a cui seguiranno le tre parti della Ragione, dove si conclude questo itinerario di iniziazione alla filosofia, dal senso comune a quella che per Hegel è la verità assoluta.

Devo dire che in generale rimango sempre un po' perplesso dalla tendenza, presente in quasi tutti i filosofi, di confondere la legittima convinzione di una certa posizione con la sua necessità.
C'è qualcosa che non torna a livello di sincerità con se stessi.
Grazie Koba, sto avendo problemi seri coi denti, mi sono fermato DI NUOVO...
un altra cosa da aggiungere all'elenco delle cose da mettere in preventivo: la salute declina.

Ma torniamo a Hegel, ti ringrazio di fare un pò di chiarezza, si il metodo "dialettico" l'ho capito, è che proprio trovo difficoltà a pensare una "forza" come qualcosa che non sia qualitativamente un forza, ossia mera proiezione matematica e dunque pura quantità.
Naturalmente non mi muovo di una virgola sul fatto che la scienza è il male contemporaneo, ma non vedo perchè sfidarla sul "suo campo".
O almeno capisco benissimo che in un tempo dove vigeva il meccanicismo (la quantistica non era ancora nata) si fosse "naturalmente" portati a vedere sistemi chiusi, dove particolare e universale facevano parte dell'equazione.
Probabilmente è per questo che parlano di necessità, anche se io questi autori dell'800 non li leggo così, li leggo come indagatori spirituali.
E però se il buon Hegel nel primo capitolo era stato niente di meno che geniale che immetere una domanda fondamentale per questa ricerca fondamentale: ossia come l'autocoscienza si "giustifica", alias per come la leggo io-soggetto conoscente, come l'io inteso come anima, si possa riconoscere come tale.
Ossi l'io-soggetto come fa a determinare l'io-anima?
E' ovvio, o almeno per me lo è che questa determinazione è in realtà una indeterminazione perchè l'io-anima partecipa del DIO.
Ora mi pare che la fenomenologia invece che domandarsi del senso-mondo, stia declinando con il secondo capitolo, sul senso-oggettivo che si evince dal tutto-Dio.
Non vorrei che l'errore fosse banalmente porre un tutto-DIO in quanto universalità della quantità particolare rispetto alla "qualità" universale.
Sarebbe clamoroso perchè la qualità universale, a pare mio, è sempre un discorso di quantità.
E come fa a nascere una morale da tutto questo?
Naturalmente mi sto buttando in considerazioni mie.
Rimanendo al testo dire che è criptico è poco, infatti ho perso il filo del discorso di Hegel. E mi sa dovrò fare uno sforzo supplementare per seguirlo pazientemente,
ossia accettare temporaneamente il suo universo finito, per vedere se c'è qualcosa dell'antico logos, che possa tornare utile ad un discorso spirituale.(che comunque nel primo capitolo ha già raggiunto vette altissime).
Certo l'analisi dell'Hypolite torna molto utile, grazie ancora dell'aiuto.
PS.
L'ha già detto Nietzche che i filosofi sistematici provano solo una cosa: la loro disonestà rispetto alla vita.
Citazione colta o magnifico lapsus?
Ripeto Hegel mi è caro per aver fatto capire benissimo la differenza fra soggetto e io.
Tutte le critiche che sento su di lui, o tutte le cose buone che sento su di lui, hanno il caveat invicibile nicciano come premessa.
OVVIAMENTE. 8) :D ;)
Vai avanti tu che mi vien da ridere

Koba II

Citazione di: green demetr il 17 Aprile 2024, 21:51:20 PM[...] E però se il buon Hegel nel primo capitolo era stato niente di meno che geniale che immettere una domanda fondamentale per questa ricerca fondamentale: ossia come l'autocoscienza si "giustifica", [...] come l'io inteso come anima, si possa riconoscere come tale.


Sì, la domanda implicita che determina tutto l'itinerario della coscienza è: come fa la coscienza a conoscersi come spirito (tu dici anima, Hegel dice spirito). La fenomenologia è la descrizione di questo itinerario del soggetto verso la sua verità, che è appunto riconoscersi come spirito assoluto, spirito oggettivo, nell'ambito di una concezione filosofica idealista in cui pensiero ed essere sono lo stesso.
Prendiamo per esempio la prima parte della sezione Ragione. Hegel, nella sezione precedente ha mostrato i limiti dell'autocoscienza, con le famose figure della dialettica servo-signore e della coscienza infelice.
In questa prima parte la riflessione del soggetto, dopo le esperienze di separazione, di lontananza dall'Essere, da un Dio pensato come il tutto di fronte al sentimento di nullità di se stessi, capisce finalmente che nell'osservazione del mondo non fa che ritrovare se stesso. E in effetti studiare la natura significa ritrovare un logos, un'evoluzione organica: "cose", in fondo, umane, cose attinenti la razionalità umana.
Tuttavia la ragione che osserva e studia la natura è come se si dimenticasse nell'oggetto osservato fino al paradosso di convincersi di avere ritrovato l'essenza dell'uomo in un osso (la conclusione comica della frenologia: "lo spirito è un osso"; ma ai nostri tempi si potrebbe dire qualcosa di analogo con le neuroscienze...).
Da questa delusione, dalla consapevolezza che lo studio scientifico non potrà mai dirci chi siamo, si passa all'azione. Faust che nauseato dalla sua scienza decide di agire nel mondo sociale. Per godere, amare, etc.
L'individualismo moderno e i suoi limiti.
Poi altre tappe, probabilmente per noi irricevibili: l'etica della propria comunità, del proprio popolo, la religione etc.

Considerazione da sviluppare: la figura della coscienza infelice è posta a metà del cammino: che sia invece per noi il centro? Il tema più intimo? Dove scovare realmente la verità del nostro spirito?

Oltre a Hyppolite c'è un altro autore che promette una lettura comprensibile del testo di Hegel, non una sua libera interpretazione, ma, almeno nelle intenzioni, una "traduzione" da un Hegel criptico ad un Hegel comprensibile, ed è Terry Pinkard ("La Fenomenologia di Hegel. La socialità della ragione", Mimesis).
Ma devo ancora leggerlo. Il lavoro, questa assurda calamità, si prende quasi tutto, mi rimane veramente poco tempo e pochissima energia... già questo, tornando a Hegel, è una confutazione della sua dialettica servo-signore: con il servizio, con la dedizione del lavoro non ottieni alcuna libertà, solo un riconoscimento provvisorio, che ogni giorno può essere ritrattato, perché il lavoratore, essendo pensato come una macchina da chi controlla e gestisce i processi, non ha mai una storia individuale, le macchine non hanno una storia, così un calo di performance è un'anomalia che va giustificata, anche se preceduta da dieci anni di ottime performance...
Ma alla fine ho il denaro per fare vacanze che non voglio fare, o per acquistare oggetti che non mi servono...
Un mondo di individui infelici, i più fortunati con una vita privata che dà conforto, ma che non basta. Tutto un sistema costruito per la ricchezza assurda e insensata di una minoranza. Il concetto di aristocrazia non morirà mai...

Pio

L'infelicità della coscienza, che si cerca di non ascoltare tramite il conforto dato da cose e persone, se va bene, è una specie di brusio interiore continuo. Sembra quasi un acufene interno; un sibilo sottile di infelicità. Come con una pentola a pressione cerchiamo di controllarlo abbassando la fiamma del desiderio. Però rimane lì, solo più sordo. È la caratteristica umana.
Non ci abitueremo mai ai metodi ruvidi di Dio, Joseph (cit. da Hostiles film)

green demetr

Citazione di: Koba II il 19 Aprile 2024, 12:00:14 PMSì, la domanda implicita che determina tutto l'itinerario della coscienza è: come fa la coscienza a conoscersi come spirito (tu dici anima, Hegel dice spirito). La fenomenologia è la descrizione di questo itinerario del soggetto verso la sua verità, che è appunto riconoscersi come spirito assoluto, spirito oggettivo, nell'ambito di una concezione filosofica idealista in cui pensiero ed essere sono lo stesso.
Prendiamo per esempio la prima parte della sezione Ragione. Hegel, nella sezione precedente ha mostrato i limiti dell'autocoscienza, con le famose figure della dialettica servo-signore e della coscienza infelice.
In questa prima parte la riflessione del soggetto, dopo le esperienze di separazione, di lontananza dall'Essere, da un Dio pensato come il tutto di fronte al sentimento di nullità di se stessi, capisce finalmente che nell'osservazione del mondo non fa che ritrovare se stesso. E in effetti studiare la natura significa ritrovare un logos, un'evoluzione organica: "cose", in fondo, umane, cose attinenti la razionalità umana.
Tuttavia la ragione che osserva e studia la natura è come se si dimenticasse nell'oggetto osservato fino al paradosso di convincersi di avere ritrovato l'essenza dell'uomo in un osso (la conclusione comica della frenologia: "lo spirito è un osso"; ma ai nostri tempi si potrebbe dire qualcosa di analogo con le neuroscienze...).
Da questa delusione, dalla consapevolezza che lo studio scientifico non potrà mai dirci chi siamo, si passa all'azione. Faust che nauseato dalla sua scienza decide di agire nel mondo sociale. Per godere, amare, etc.
L'individualismo moderno e i suoi limiti.
Poi altre tappe, probabilmente per noi irricevibili: l'etica della propria comunità, del proprio popolo, la religione etc.

Considerazione da sviluppare: la figura della coscienza infelice è posta a metà del cammino: che sia invece per noi il centro? Il tema più intimo? Dove scovare realmente la verità del nostro spirito?

Oltre a Hyppolite c'è un altro autore che promette una lettura comprensibile del testo di Hegel, non una sua libera interpretazione, ma, almeno nelle intenzioni, una "traduzione" da un Hegel criptico ad un Hegel comprensibile, ed è Terry Pinkard ("La Fenomenologia di Hegel. La socialità della ragione", Mimesis).
Ma devo ancora leggerlo. Il lavoro, questa assurda calamità, si prende quasi tutto, mi rimane veramente poco tempo e pochissima energia... già questo, tornando a Hegel, è una confutazione della sua dialettica servo-signore: con il servizio, con la dedizione del lavoro non ottieni alcuna libertà, solo un riconoscimento provvisorio, che ogni giorno può essere ritrattato, perché il lavoratore, essendo pensato come una macchina da chi controlla e gestisce i processi, non ha mai una storia individuale, le macchine non hanno una storia, così un calo di performance è un'anomalia che va giustificata, anche se preceduta da dieci anni di ottime performance...
Ma alla fine ho il denaro per fare vacanze che non voglio fare, o per acquistare oggetti che non mi servono...
Un mondo di individui infelici, i più fortunati con una vita privata che dà conforto, ma che non basta. Tutto un sistema costruito per la ricchezza assurda e insensata di una minoranza. Il concetto di aristocrazia non morirà mai...
Ma certo siamo individui sfiniti.
La socialità ha fatto di noi automi.
E' famosa la frase di Adorno che vede, per chi se lo può permettere, una vita appartata di puro studio della letteratura (non della filosofia notare).
Quando Eco lo intervista un ventennio dopo i Minima Moralia, cercando di ottenere da Adorno quello che per Eco deve essere stato il suo sogno erotico proibito: ridurre la gente a degli automi, Adorno risponde: giovanotto, si lavora sempre.
Il lavoro intellettuale non può mai spegnersi.
Noi lo facciamo tra un travaglio ed un altro.
E credo che sebbene sfiniti, siamo ancora umani, e questo mi basta.
Sulla coscienza infelice: sono d'accordo è proprio questo il punto che immaginavo Hegel trattasse. Che come il soggetto non può mai riconosceri come tale, per cui è costretto a pensarsi parte dello spirito.
Così speravo che intendesse dire che non si riconosce nemmeno in Dio.
Per cui si può riconoscere come pura anima, puro desiderio.
Puro desiderio erotico, puro desiderio trascendente.
Non sono cose opposte.
Ciò che è opposto è ciò che si rivela come IL MALE.
Noi sentiamo questo puro desiderio, come puro BENE.
Ma noi CONOSCIAMO solo il MALE.
Ovvero noi non conosciamo MAI il BENE.
Mi ero orientato a pensare così Hegel.
La sua ossessione per il concetto, per la conoscenza delle idee che si fanno concetto.
Ma se lo spirito è invece conoscibile, ecco allora che arrivano le cagate DIO PATRIA FAMIGLIA.
OSSIA puro DISTRUZIONE DEL DESIDERIO, e chi GODE nel distruggere il DESIDERIO altrui, ovvero i potenti, DISTRUGGE PARIMENTI il suo desiderio di trascendenza DIVENTANDO ANIMALI, braccati dalla paura della MORTE, della morte del potente come animale.
A cui solo la distruzione del suddito può mettere una breve pausa di goduria.
Sono le forze di thanatos, che nel signore sono indagabili filosoficamente, e che anzi sono la sua missione.
l'altra parte della missione ossia la riaccensione del desiderio erotico, a mio parere passa solo per assurdità forse, proprio dal riaccendere il desiderio trascendente.

OSSIA LEGGERE LIBRI DI LETTERATURA, cosa che già facevamo.
Bè io ho smesso troppo presto.

ora che comincio a capire che effettivamente la letteratura è sempre stata la risposta.
che già lo sapevo, e che mi dispiace solo non aver capito che la gente è sfinita come noi.
l'unica differenza è che non lo sanno, o non sanno dargli nome, o non sanno perchè.

E d'altronde l'apocalittica schmitt-heidegger completamente ereditata da nietzche è l'etica degli DEI.
tornare a pensare l'impossibile. tornare a far diventare CRISTO CARNE.
trascendenza che si fa carne. appunto hegel (ma appunto prima di leggere del concetto di forza, come forza di un tutto, meramente immaginario, che poi diventa nazismo...NON A CASO).
però non mi arrendo e voglio continuare;  magari hyppolite si è sbagliato. :P
e d'altronde il lettore piu visionario di hegel, tal kojeve.
non disse forse: l'unica persona interessante con cui parlare oggi è schmitt.
Schmitt superiore a Heidegger, alla pari con Kojeve.
l'avevo iniziato kojeve, la dialettica come pensiero della morte.
credo sia corretto. all'epoca mi sembrava delirio...pensavo ancora a l'hegel dei manuali.
quello che manca in tutti questi filosofi santoni PERO' sono i fatti.
come è che non parlano MAI di fatti?
forse perchè sono tutti servi del MALE? comincio a pensarlo davvero.
tutti antisemiti...fa impressione  ???

come dire non c'è apocalittica senza storia.
sto studiando...ma mi annoio.
intanto dopo il dente, è arrivata la tendinite.... :D
in attesa dell'atomica mi porto avanti  :D scherzoooo!  ;)
Vai avanti tu che mi vien da ridere

green demetr

Citazione di: Pio il 19 Aprile 2024, 14:15:36 PML'infelicità della coscienza, che si cerca di non ascoltare tramite il conforto dato da cose e persone, se va bene, è una specie di brusio interiore continuo. Sembra quasi un acufene interno; un sibilo sottile di infelicità. Come con una pentola a pressione cerchiamo di controllarlo abbassando la fiamma del desiderio. Però rimane lì, solo più sordo. È la caratteristica umana.
Si però non facciamola diventare una scusa al non pensiero questa caratteristica.
Perchè a volte mi sembra di leggere questo in queste affermazioni paradossalmente vere. Ovvero che se da una parte si riconosce l'infelicità, sembra che sia una felicità riconsocere questa infelicità, e poi sotto con lo stato, la patria e la famiglia.
l'essere umano è abietto da se stesso prima che esserlo secondo gli "altri": motivo per cui arriva l'idea di collettivismo.
comunismo+islam= globalismo (di sinistra)

dove è il concetto di libertà cristiano? non ne è rimasto nemmeno l'odore.
tutti transumanisti oggi AIO'.

Come dice Zizek l'amore umano è la sua follia piu grande ma senza di esso siamo destinati alla dannazione.
(ovviamente zizek è un transumanista comunista....ricordiamoci del buon ADORNO che ci spiega COME MAI questa gente si riempie di parole giuste SOLO per fare POI IL CONTRARIO NEI FATTI).

i FATTI signori.
la STORIA.
su su tutti a studiare il medio-oriente...non me lasciate solo. ;)

ps
proprio per questa visione dell'amore che zizek commuta da hegel, zizek viene riconosciuto come uno dei massimi hegeliani.
fino ad ora non l'ho trovata questa visione, e non riesco a dedurla dagli aiuti che ci ha dato koba.
Vai avanti tu che mi vien da ridere

Koba II

Citazione di: green demetr il 23 Aprile 2024, 08:39:58 AMSulla coscienza infelice: sono d'accordo è proprio questo il punto che immaginavo Hegel trattasse. Che come il soggetto non può mai riconoscersi come tale, per cui è costretto a pensarsi parte dello spirito.
Così speravo che intendesse dire che non si riconosce nemmeno in Dio.
Per cui si può riconoscere come pura anima, puro desiderio.
Puro desiderio erotico, puro desiderio trascendente.


Potremmo dire che l'oscillazione è tra la coscienza della propria finitezza e la tenace e istintiva aspirazione all'infinito, nel senso di aspirazione ad un pieno appagamento, al vero bene, mai raggiunto.
Il destino, dice Hegel nei suoi scritti precedenti la Fenomenologia, è la consapevolezza che questo contrasto alberga nel fondo della propria interiorità, la consapevolezza che questo contrasto è quasi l'essenza del proprio Sé, percepito però come nemico.
"Il destino è la coscienza di se stesso, ma come d'un nemico": le sue parole esatte.
Nel tentativo di sciogliere questo conflitto si passa all'azione, diciamo così, producendo la storia. E nell'azione l'Altro, che inizialmente era percepito come puro ostacolo, come la realtà che fa da barriera, viene riconosciuto come costituito di una sostanza comune al Sé.
L'inizio della riconciliazione tra singolare e universale: tema che nella Fenomenologia viene continuamente ripreso su vari livelli, dal piano gnoseologico a quello, successivo, dell'etica.
Da qui per esempio le analisi sulla Città antica, in cui il singolo è già fin dall'inizio tutt'uno con lo spirito del suo popolo, anche se in modo inconsapevole. Sulla tragedia antica, sul passaggio drammatico tra legge divina e legge umana (Antigone), etc. Come un lungo processo di comprensione di se stessi. Appunto, autocomprensione dello spirito.

Tu dici: riaccendere il desiderio! Sicuramente, ma il desiderio, che si tratti di un eros carnale o di un desiderio per la trascendenza (per Platone si tratta solo di gradazioni diverse di purezza dello stesso eros), il fine non è forse sempre quello della totalità, dell'unità? (altra idea di Platone...). Del superamento dell'accidentalità del singolo, della sua finitezza, della sua alienazione, con l'approdo nella certezza di una verità superiore, che sia sostanza, materia comune, del Noi, e non solo verità frammentaria dell'Io?

Per quanto mi riguarda non provo alcun entusiasmo per il Noi...
Ma l'interesse per Hegel, dal mio punto di vista, non sta nelle sue soluzioni, quanto nelle questioni poste, nella ricchezza dei temi affrontati. Basta confrontare la sua Fenomenologia allo stile laconico del Tractatus di Wittgenstein, il quale essendo un testo di riferimento della filosofia contemporanea ci dice quanto il nostro tempo abbia perso in coraggio e, diciamo pure, in sfrontatezza nel pensare.

Koba II

Tornando all'infelicità della coscienza: in realtà questa infelicità dovrebbe essere il motore per una qualche azione, quindi non una forma inconscia di godimento.
In senso stretto, nella sezione specifica della Fenomenologia, l'infelicità della coscienza è l'alienazione che deriva dal sentire che il proprio bene, la propria verità, è in Dio, in un Dio però che rimane separato da se stessi.
Ma in senso generale dipende sempre dalla consapevolezza del soggetto di essere un frammento di un'unità spezzata.
Se nella Città antica il soggetto si identifica spontaneamente nella comunità, per cui non c'è in lui separazione dall'universale, nell'Impero romano questa unità è persa, e inizia il percorso storico per ritrovarla (nella Rivoluzione francese).
Ma tornando a noi: il nostro tempo non assomiglia forse, come sostenevano qualche anno fa Negri e Hardt, all'impero, cioè un tempo in cui non esiste alcuna politica e in cui l'unica strada per l'individuo sembra essere quello della ricerca della ricchezza (seppure ciò di fatto è realistico solo per una minoranza fortunata)?
Come nello Stato assolutistico del periodo moderno, dove alla nobiltà del cavaliere che è disposto a sacrificare tutto per il re (visto come l'universale, la legge, astrazione ideale dalla sua persona) subentra appunto il monarca assoluto, e all'avventura nobile subentra la scalata nel benessere?
Che sia iniziato un nuovo ciclo, dopo le delusioni (anch'esse cicliche) per il fallimento della rivoluzione (questa volta comunista)?
Insomma, alienazione e infelicità, sembrano, nel nostro tempo, necessari...
Ecco infatti l'apprezzamento di filosofie quali lo stoicismo e lo scetticismo.
Vale la pena ricordare che Severino descrive la filosofia contemporanea come una massiccia ripresa del tema scettico.

bobmax

Non vi è alcuna infelicità della coscienza.

Semmai, vi è coscienza della infelicità.
Tardi ti ho amata, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amata. Tu eri con me, mentre io ero lontano da te.

Koba II

Ovviamente parlavo della figura della "Coscienza infelice", del IV capitolo della Fenomenologia dello spirito di Hegel.

Comunque in filosofia non si sentenzia, si argomenta.

Discussioni simili (5)