Hegel e l'inizio della filosofia

Aperto da Koba II, 23 Marzo 2024, 09:51:14 AM

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Ipazia

#15
Citazione di: Koba II il 27 Marzo 2024, 11:19:24 AMInvece il realismo contemporaneo è perfettamente in linea con quello medievale e quindi con il platonismo. Infatti mettendo da parte la questione dell'esistenza iperuranica delle idee, la questione metafisica essenziale espressa dal platonismo è l'esistenza di una rete di universali che hanno priorità ontologica nei confronti delle cose. In questa prospettiva, nell'ascesa al sapere, il soggetto non arriva alla verità tramite generalizzazione dell'esperienza, ma scoprendo nelle cose reali il loro approssimarsi imperfetto alle essenze eterne.

Non mi sono espressa compiutamente, evidentemente: per "realismo" moderno intendo una visione post-rem, quindi il contrario del realismo scolastico, platonismo e "essenze eterne", ma solo una convenzionale categorizzazione della realtà. Basata su caratteristiche oggettive, quali il dna, organico-inorganico, struttura chimica della materia, ma pur sempre ordinate convenzionalmente in strutture linguistiche post-rem.

CitazioneIl realista ingenuo dei nostri giorni non capisce che se la verità della cosa, essendo espressa da un concetto universale, non viene formata dal soggetto (come in Kant dalle forme a priori, o come nel relativismo dallo sviluppo della cultura), deve essere costituita da qualcosa di essenziale che c'è già da sempre nella cosa.

"Realista" in senso scolastico, concordo, ma dubito ve ne siano ancora dopo Hegel.

CitazioneIl nominalismo medievale è invece in linea con posizioni epistemologiche alla Feyerabend, per intenderci.

Non così approfondite. Si limitavano a dire che le idee sono post-rem. Pensando al contempo che ci fosse un elemento in-re che Kant chiamerà noumeno.

CitazioneQuesta non è una disputa solo epistemologica. Riguarda l'essenza della realtà, quindi anche l'essenza della realtà umana, quindi, necessariamente l'etica.
Infatti alla domanda "cos'è la giustizia?" le risposte si differenziano innanzitutto a partire da come si intende tale concetto: qualcosa che ha un fondamento eterno, indipendente dalla storia, attinente l'essenza dell'umanità, o al contrario nozione da costruire in uno sforzo necessariamente influenzato dal proprio tempo e dalla propria civiltà.

Spiega meglio, per favore.

Spiego meglio: mischiare la "giustizia" con la realtà naturale mi pare porti solo confusione. Non esiste una giustizia para "noumenica" come può essere il dna o la struttura atomica nei loro rispettivi ambiti di senso. L'etica appartiene all'universo antropologico, non a quello naturale, per quanto su questo debba necessariamente appoggiare i suoi postulati: fossimo immortali non esisterebbe l'omicidio. Ma non basta la natura per produrre una legislazione etica. Ethos e physis restano entità distinte anche ontologicamente e quindi epistemicamente.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

Koba II

Citazione di: Ipazia il 27 Marzo 2024, 13:20:27 PMNon mi sono espressa compiutamente, evidentemente: per "realismo" moderno intendo una visione post-rem, quindi il contrario del realismo scolastico, platonismo e "essenze eterne", ma solo una convenzionale categorizzazione della realtà. Basata su caratteristiche oggettive, quali il dna, organico-inorganico, struttura chimica della materia, ma pur sempre ordinate convenzionalmente in strutture linguistiche post-rem.
Il realismo in filosofia ha un significato specifico e assai diverso da quello che ha nel senso comune.
Il realismo ritiene di poter esprimere la struttura oggettiva della realtà; quindi il suo operare non può essere descritto come "convenzionale categorizzazione".
Naturalmente i concetti che decide di usare per descrivere le forme oggettive della realtà sono evidentemente segni linguistici convenzionali, ma questi segni rimandano a forme oggettive, e tali forme si trovano sia nella realtà che nella testa del ricercatore, diciamo così.
Convenzionali sono le parole "dna" o i segni della formula chimica di esso e via dicendo. Ma l'idea di dna, della sua struttura generale, no.
Per questo motivo il realismo moderno è affine a quello medievale, ed entrambi sono affini al platonismo. Perché rimandano a forme originarie, a essenze vere della realtà.
Mentre l'anti-realismo, che a sua volta rimanda al nominalismo, esprime una convenzionalità forte nel senso che al di là dell'ovvia arbitrarietà dei segni linguistici utilizzati, i suoi contenuti sono modelli esplicativi che hanno solo la pretesa di essere strumenti utili alle previsioni e alle manipolazioni, non certo la capacità di rimandare alle forme autentiche della realtà.

Ipazia

Citazione di: Koba II il 27 Marzo 2024, 16:41:05 PMIl realismo in filosofia ha un significato specifico e assai diverso da quello che ha nel senso comune.
Il realismo ritiene di poter esprimere la struttura oggettiva della realtà; quindi il suo operare non può essere descritto come "convenzionale categorizzazione".
Naturalmente i concetti che decide di usare per descrivere le forme oggettive della realtà sono evidentemente segni linguistici convenzionali, ma questi segni rimandano a forme oggettive, e tali forme si trovano sia nella realtà che nella testa del ricercatore, diciamo così.
Convenzionali sono le parole "dna" o i segni della formula chimica di esso e via dicendo. Ma l'idea di dna, della sua struttura generale, no.
Per questo motivo il realismo moderno è affine a quello medievale, ed entrambi sono affini al platonismo. Perché rimandano a forme originarie, a essenze vere della realtà.

Ed è per questo che sono entrambi superati dalla visione epistemologica moderna che dà ragione ai nominalisti ponendo le idee post rem. L'ostinarsi della filosofia idealistica di voler dominare coi suoi mezzi l'ontologia è ritenuta inaccettabile fin dalla critica ottocentesca all'idealismo hegeliano ad oggi.

CitazioneMentre l'anti-realismo, che a sua volta rimanda al nominalismo, esprime una convenzionalità forte nel senso che al di là dell'ovvia arbitrarietà dei segni linguistici utilizzati, i suoi contenuti sono modelli esplicativi che hanno solo la pretesa di essere strumenti utili alle previsioni e alle manipolazioni, non certo la capacità di rimandare alle forme autentiche della realtà.

Che tutta l'epistemologia moderna ha dimostrato non essere criticamente sostenibili. Non è questione di convenzionalismo forte: la realtà esiste indipendentemente dalle convenzioni con cui la si manipola e alcuni postulati hanno un carattere paradigmatico forte, ma nessuno si sogna più di mettere le mani e la reputazione sulle "forme autentiche della realtà", che fanno rientrare la cosa-in-sè dalla finestra, dopo averla cacciata dalla porta dell'episteme. E dell'epistemologia.

Questo relativismo non porta alla notte ontologica in cui tutte le vacche sono nere, ma circoscrive rigorosamente il campo di esistenza (dicibile) in cui un paradigma è valido. Fino a prova (sperimentale) contraria. Inclusi i margini, più o meno accettabili e gestibili, di indeterminatezza.
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bobmax

Limitare l'etica al genere umano è una forzatura arbitraria, che a mio parere può avere come unica motivazione l'orrore del non essere.

Cioè si percepisce la natura come vuoto meccanismo, quindi un non essere, e si reagisce attribuendo a se stessi, alla propria specie, una diversità ontologica.
La natura è in definitiva un non essere, ma noi no!

Eppure basterebbe osservare con un po' di attenzione il comportamento di un animale per riscontrarvi un'etica.
Cioè una distinzione tra il bene e il male
Magari più rudimentale della nostra. E ci mancherebbe! Viste le maggiori performance logiche del nostro cervello. Ma comunque si tratta di etica.

Che poi, non so se abbia davvero insegnato più io, ai cani con cui ho avuto a che fare, che non loro a me...
Tardi ti ho amata, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amata. Tu eri con me, mentre io ero lontano da te.

Ipazia

L'etica ha i suoi fondamenti nell'etologia e riguarda tutte le specie sociali, anche nelle relazione aspeciste. Su questo substrato naturale si innestano comportamenti meno istintivi e più elaborati in rapporto alla complessità delle relazioni sociali. 

L'etica, come filosofia, per quanto se ne possano trarre spunti da animali a noi contigui, generalmente molto più "veridicamente" filosofici di noi, è una elaborazione umana delle relazioni antropologiche, ed è difficilmente assimilabile alle problematiche di altre specie viventi, per il livello di astrazione che si dà e per la necessità di razionalizzare, positivizzandoli (tavole della Legge, codici), i fondamenti condivisi.

Tale opera di esplicitazione necessita di artefici di esclusiva pertinenza umana. Può non piacere, ma così funziona l'universo antropologico.
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bobmax

Non è possibile alcuna razionalizzazione dell'etica.
Proprio perché ne è impossibile l'astrazione.

Il bene e il male si presentano nella loro immediatezza.
E solo dopo, si può cercare di ragionarci. Però consapevoli di averne già perduto l'essenza.

Difatti la autentica filosofia etica non razionalizza l'etica, ma la vive come assoluto. È infatti pura metafisica.
Se viceversa una pretesa filosofia vuole comunque razionalizzarla, semplicemente non è filosofia.

La distinzione noi sì, loro no; io sì, tu no; è la fonte di ogni male.
Tardi ti ho amata, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amata. Tu eri con me, mentre io ero lontano da te.

Ipazia

Trovo persino imbarazzante dover spiegare una cosa che era evidente persino ai primi estensori della Bibbia, ovvero come la tecnica abbia reso l'etologia umana incommensurabile con quella di qualsiasi altra specie dell'universo a noi nota.

La tecnica ha stravolto il concetto di bene (salute, libertà,  cibo, vita) e di male (malattia, fame, cattività, morte) inscritti in natura, inventando nuove fattispecie di bene e di male.

Posto che tanto le antiche che le nuove sono perfettamente razionalizzabili in questo mondo.

Nell'iperuranio, non so. Ma io vivo qui.
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bobmax

Se poi arriviamo al punto di far dipendere l'etica dalla tecnica...

O non si ha idea di cosa sia la tecnica oppure l'etica. O magari entrambe.
Tardi ti ho amata, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amata. Tu eri con me, mentre io ero lontano da te.

Ipazia

Citazione di: bobmax il 27 Marzo 2024, 22:38:28 PMSe poi arriviamo al punto di far dipendere l'etica dalla tecnica...
O non si ha idea di cosa sia la tecnica oppure l'etica. O magari entrambe.

"O non si ha idea di cosa sia la tecnica oppure l'etica. O magari entrambe."

O si ha di entrambe un'idea iperuranica. Decisamente inconciliabile con la mia e con la realtà antropologica.

Un esempio facile facile: il disastro etico legato alla guerra (tecnologica fin dalle prime scene di 2001 odissea nello spazio), o alla covidemia, esisterebbe in assenza della tecnica ?
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bobmax

Citazione di: Ipazia il 28 Marzo 2024, 09:08:38 AM"O non si ha idea di cosa sia la tecnica oppure l'etica. O magari entrambe."

O si ha di entrambe un'idea iperuranica. Decisamente inconciliabile con la mia e con la realtà antropologica.

Un esempio facile facile: il disastro etico legato alla guerra (tecnologica fin dalle prime scene di 2001 odissea nello spazio), o alla covidemia, esisterebbe in assenza della tecnica ?

Anche qui è evidente il fraintendimento riguardo all'etica e alla tecnica.
Una mancanza non banale. Perché così si confonde lo strumento con il suo utilizzo.

Mentre la tecnica di per se stessa non ha nulla a che vedere con l'etica.
La tecnica prescinde dal bene e dal male. Perché ogni tecnologia è semplicemente un prodotto della logica applicata al mondo materiale.
E la logica non è né buona né cattiva.
È sempre e solo l'uso che se ne fa ad essere buono o malvagio.

Un coltello può essere usato per tagliare il pane, per difendersi da una aggressione, oppure per aggredire e uccidere.
Ma il coltello in sé non ha nessuna valenza etica.

Se si confondono i due piani, ci si perde nell'assurdo. Nei complottismi, nella tecnica malvagia, nel a me non mi si fa fesso! 
E si brama l'autoritarismo, che così ci pensa lui a sistemare tutti 'sti malvagi. Lui, che è senz'altro buono...

Tardi ti ho amata, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amata. Tu eri con me, mentre io ero lontano da te.

Ipazia

Se la tecnica non esiste non se ne fa alcun uso. Se esiste l'uso può essere etico o non etico. Il rapporto nella dimensione antropologica tra tecnica ed etica è indissolubile. A prova di ogni tentativo di dissociazione logica.

La decisione di utilizzo di risorse sanitarie limitate per salvare tizio piuttosto che caio sono un ottimo esempio di dilemma etico tecnodipendente. In assenza di tecnologia sanitaria il dilemma non si pone e la natura segue il suo corso.
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Phil

L'etica si presenta come una collezione di universali privi di referente, sempre se non si scambia l'agente etico per oggetto etico (ossia confondere il pennello con l'opera d'arte). L'etica non è fatta di uomini, ma dagli uomini (così come il quadro non è fatto di pennelli, ma da pennelli, e non solo...). Chiaro che senza uomini non c'è etica, ma ragionare sull'etica comporta fare un passo oltre la semplice constatazione di esistenza dell'uomo (che poi è il passo di astrazioni e convenzioni che lo allontanano dalla ferinità fatta di istinto, e sarei ben cauto nel proiettare nel comportamento animale le nostre categorie di bene e male; gli uomini tendono sempre a sovrainterpretare tutto ciò che li circonda, è la "condanna alla complessità" dell'animale semantico).
Con lo sviluppo della tecnica cambiano (e si complicano) le questioni etiche, ma non gli universali che vengono chiamati in causa (giustizia e altri valori vari). L'etica del rapporto di relazione con l'altro non è una gnoseologia; dunque esistono gli enti umani che si relazionano fra loro, ma l'etica non è fatta da universali rispetto all'esistere di tali enti (che hanno universali appunto gnoseologici), ma rispetto alle relazioni fra tali enti. Le relazioni non sono enti (né referenti oggettuali, semioticamente parlando), ma eventi.
Gli "universali etici" sono quindi "ante rem" o "post rem"? Se non c'è un'ontologia dell'etica (essendo fatta di relazioni, non semplicemente di enti in sé), si tratta di una falsa questione (se così impostata); oppure platonicamente esiste l'idea di giustizia che le etiche cercano di ricordare (a se stesse e agli uomini), oppure si tratta piuttosto di un "per rem", uno pseudo-universale "durante e per l'uomo" (per-durante la cosa-uomo, per dirla in postmodernese)?

Ipazia

Citazione di: Phil il 28 Marzo 2024, 11:57:01 AML'etica si presenta come una collezione di universali privi di referente, sempre se non si scambia l'agente etico per oggetto etico (ossia confondere il pennello con l'opera d'arte). L'etica non è fatta di uomini, ma dagli uomini (così come il quadro non è fatto di pennelli, ma da pennelli, e non solo...). Chiaro che senza uomini non c'è etica, ma ragionare sull'etica comporta fare un passo oltre la semplice constatazione di esistenza dell'uomo (che poi è il passo di astrazioni e convenzioni che lo allontanano dalla ferinità fatta di istinto, e sarei ben cauto nel proiettare nel comportamento animale le nostre categorie di bene e male; gli uomini tendono sempre a sovrainterpretare tutto ciò che li circonda, è la "condanna alla complessità" dell'animale semantico).

Appunto, il referente è: le relazioni umane, semantiche anzichenò.

Concordo sulla proiezione etica specista per quanto, con gli animali a noi più prossimi, indubbiamente si instaurano relazioni etiche trans-speciste, spesso molto educative anche per la specie egemone.

CitazioneCon lo sviluppo della tecnica cambiano (e si complicano) le questioni etiche, ma non gli universali che vengono chiamati in causa (giustizia e altri valori vari).

In ciò sta la bellezza del gioco etico: cambiare le regole in corso d'opera. E vinca il migliore. Col cambiamento si modificano pure gli universali (se non vogliamo considerarli scatole vuote): è il nostro precipuo modo di modificare la realtà antropologica.

CitazioneL'etica del rapporto di relazione con l'altro non è una gnoseologia; dunque esistono gli enti umani che si relazionano fra loro, ma l'etica non è fatta da universali rispetto all'esistere di tali enti (che hanno universali appunto gnoseologici), ma rispetto alle relazioni fra tali enti. Le relazioni non sono enti (né referenti oggettuali, semioticamente parlando), ma eventi.

Anche gli eventi hanno una loro gnoseologia. Si chiama: Storia. Rammento, en passant, che un filosofo disse che il mondo è costituito di fatti, non di cose.

CitazioneGli "universali etici" sono quindi "ante rem" o "post rem"? Se non c'è un'ontologia dell'etica (essendo fatta di relazioni, non semplicemente di enti in sé), si tratta di una falsa questione (se così impostata); oppure platonicamente esiste l'idea di giustizia che le etiche cercano di ricordare (a se stesse e agli uomini), oppure si tratta piuttosto di un "per rem", uno pseudo-universale "durante e per l'uomo" (per-durante la cosa-uomo, per dirla in postmodernese)?

Oppure si tratta di universali che si trasformano post-rem, anche molto tecnicamente condizionati, e, per quanto l'animale semantico sia refrattario all'apprendimento etico, certamente non lo fa per via ante-rem, se non nel suo vacuo immaginario.


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Phil

Citazione di: Ipazia il 28 Marzo 2024, 14:02:30 PMAnche gli eventi hanno una loro gnoseologia. Si chiama: Storia. Rammento, en passant, che un filosofo disse che il mondo è costituito di fatti, non di cose.
Per un filosofo che dice che il mondo è la totalità dei fatti, se ne trova un altro che sostiene non ci siano fatti, ma solo interpretazioni. Si tratta quindi, per me, di non indulgere in metafore e allegorie, tenendo ben distinta la gnoseologia degli enti (scienza ed epistemologia) da quella, metaforica, degli eventi (storia ed etica), altrimenti il rigore filosofico del discorso ne risente.

Ipazia

Gli eventi storici e antropologici sono materia gnoseologica scrutabile con lo stesso rigore degli eventi naturali e costituiscono parimenti, ed anzi ancor più, materiale di riflessione e prassi etica. Senza metafore aggiunte.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
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