Hegel e l'inizio della filosofia

Aperto da Koba II, 23 Marzo 2024, 09:51:14 AM

Discussione precedente - Discussione successiva

Koba II

Per Aristotele esiste solo l'individuale. Apparentemente si contrappone all'idealismo di Platone. Tuttavia nella metafisica di Aristotele la priorità va alla forma, non alla materia. È la forma a determinare l'individuo. La forma intesa come essenza che dall'interno fa in modo che la cosa realizzi se stessa, come deve essere, il suo fine.
Il seme contiene in se' la forma della quercia, dell'albero finito. La forma che plasma dall'interno il seme e che condurrà, guiderà, l'intero processo fino all'individuo compiuto, è anche il suo concetto. L'essenza-concetto di una certa cosa è ciò che ne determina lo sviluppo da dentro e che la fa essere quella specifica cosa e non un'altra.
Questo per quanto riguarda Aristotele.
In Hegel le cose sono simili ma per lui si tratta di approfondire come questi concetti formino un'unità vivente.
C'è un primo momento che è quello in cui l'intelletto analizza i concetti, distinguendoli, l'uno dall'altro.
Tuttavia ogni cosa richiama altre cose, ogni singolo concetto è in relazione con altri concetti. Platone nel Sofista, nella confutazione della filosofia di Parmenide, darà una descrizione del sapere come una rete di idee che il filosofo deve percorrere, idee che sono identiche a se stesse (e in questo si conferma l'idea centrale di Parmenide: l'essere è e non può non essere) ma diverse da tutte le altre (in questo invece ci si allontana da Parmenide: l'essere può non essere, cioè il niente è, ma in senso relativo, riferito a tutte le altre idee).
Ma le idee di Platone sono eterne e separate dal mondo sensibile. Una struttura statica. È il pensiero a scorrere per questa rete di relazioni. Le essenze eterne invece sono come cristallizzate. Legate insieme da relazioni ma immodificabili.
Il problema lasciato aperto da Platone è il rapporto tra il mondo delle essenze e il mondo sensibile. Ogni cosa è tale perché esprime, imperfettamente, la sua essenza eterna. Ma come avviene questa partecipazione? Come avviene il mutamento, lo sviluppo?
Aristotele dirà che Platone ha semplicemente raddoppiato il mondo. La sua metafisica (di Aristotele), come si è visto sopra, cercherà di dar conto del mutamento.

Ma torniamo a Hegel. Dicevamo che il primo momento è quello dell'analisi dell'intelletto. Il momento della distinzione delle singole essenze. Ad esso succede il momento propriamente dialettico, quello negativo, in cui ciascun concetto richiama ciò che non è, il suo altro. Infine c'è il momento positivo: il costituirsi di una nuova unità, tenuta insieme alla distinzione. Un'unità viva, fluida.

- - continua - -

Koba II

La "Fenomenologia dello Spirito" era stata pensata come un'introduzione alla filosofia (!), nel senso dell'itinerario della coscienza dal senso comune al sapere assoluto. La "Scienza della logica" descrive invece il sistema nella sua compiutezza. In un certo senso si può pensare che la verità filosofica contenuta nella Logica sia basata sulle dimostrazioni della Fenomenologia. Cioè la Fenomenologia dimostra i presupposti su cui poi si baserà la Logica.

Ora, proprio questo è il problema. Feuerbach contesterà il primo gradino della Fenomenologia, quindi l'infondatezza di tutto il sistema hegeliano.
Il primo gradino è la coscienza sensibile. Il suo oggetto è ciò che appare nell'immediatezza. Ciò che si manifesta qui e ora. La singolarità di ciò che appare.
Hegel vorrebbe dimostrare che già fin da subito ciò di cui la coscienza fa esperienza non è la singolarità ma l'universale.
Qui davanti a me vedo un albero. Mi volto e ciò che mi appare è una casa. E via dicendo. Tutto ciò che mi appare davanti è transitorio. Ciò che rimane è invece proprio la nozione del "qui", un "qui" generico che poi, via via, si riempie di singolarità impermanenti, ciascuna delle quali si identifica dalla negazione delle altre.

In altre parole, noi ci ritroviamo fin da subito con l'universale. Il linguaggio (uno degli argomenti presentati da Hegel) ci inchioda all'essenza generale, al concetto astratto. Sembrerebbe impossibile uscirne.
Ma ciò che si può contestare a Hegel non è la sensatezza di questo ragionamento, della sua posizione, ma la pretesa che tale itinerario sia necessario.
Infatti c'è necessità di questo passaggio solo in riferimento all'intenzione di costruire un sapere permanente. Nella sensibilità facciamo esperienza di cose singole, anche se poi esse svaniscono velocemente. Che poi per comunicarle dobbiamo necessariamente usare il linguaggio e quindi concetti astratti non significa che in tale immediata esperienza la singolarità che ci aspettavamo di incontrare si sciolga e svanisca necessariamente nell'universale.

Mi sto sbagliando?

bobmax

Non ti stai sbagliando.

Difatti "fin da subito" non si fa mai esperienza dell'universale, ma sempre del particolare.
Soltanto dopo si applica, eventualmente, la categoria universale che meglio descrive il particolare.

Universale indispensabile per poter ragionare, operare e comunicare. Ma che fa irrimediabilmente perdere la profondità del reale.
Quando siamo all'universale, abbiamo già perduto il reale.

Che il reale sia soltanto ciò che è razionale, è infatti il grave fraintendimento della modernità.
Tardi ti ho amata, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amata. Tu eri con me, mentre io ero lontano da te.

green demetr

Come fattomi notare recentemente dal mio maestro, Aristotele è nemico di Platone.
E' evidente fin dall'inizio laddove Platone parla di morale, laddove quello di enti e sostrati.

Ora non so se Hegel sia l'ennesimo allievo di Aristotele.
Nè cosa intenda per idea Platone.
L'unica cosa che so è che non è quello che dice Aristotele e dunque dell'intera industria culturale.
Platone è il nemico invicibile dell'oggi.

Per quanto riguarda Feurbach, non conosce la sua critica, se è quella che ci hai detto, ossia che Hegel fraintende l'esperienza singola con quella universale, potremmo ragionarci sopra.

Infatti l'universale o linguaggio che dir si voglia, non è questione dell'esperienza ma della conoscenza che ho di quell'esperienza.

Io non potrei esperire che quell'albero sia vero, meglio reale, se non esistesse qualcun altro che mi dice che anche lui lo percepisce e che dunque sia vero.

La reminescenza di Hume (anche se quello che conosco è quella impartitami dall'industia culturale, e quindi sempre da prendere con i vari distinguo futuri) è evidente.
Il linguaggio è lo strumento tramite cui l'universale si fa conoscere come tale.
Ossia l'idea di albero, non è l'albero.
Ma noi non trattiamo mai dell'albero, bensì sempre dell'idea di albero.
E' proprio l'esperienza che viene a mancare, infatti il tempo del qui e ora destituisce il tempo del suo valore generale anzitutto.
Ossia convenzionale.
Che il soggetto sia una convenzione è quello che ne segue.
Noi non conosciamo mai il singolare ma sempre l'universale.
Ciò che appare, non è ciò che è.
Ci sembra, mi sembra sia una pecora, ma andando vicino è una roccia vicino ad un gregge, e di seguito tutte i patemi linguistici del novecento.

Ma l'inizio della filosofia non ha nulla a che fare con queste cose appunto.
Direi che invece il Platone aristotelico è già la fine della filosofia.

Platone non ha alcuna esigenza che non sia morale.
Vai avanti tu che mi vien da ridere

green demetr

Citazione di: bobmax il 23 Marzo 2024, 14:21:41 PMNon ti stai sbagliando.

Difatti "fin da subito" non si fa mai esperienza dell'universale, ma sempre del particolare.
Citazione di: bobmax il 23 Marzo 2024, 14:21:41 PMNon ti stai sbagliando.

Difatti "fin da subito" non si fa mai esperienza dell'universale, ma sempre del particolare.
Soltanto dopo si applica, eventualmente, la categoria universale che meglio descrive il particolare.

Universale indispensabile per poter ragionare, operare e comunicare. Ma che fa irrimediabilmente perdere la profondità del reale.
Quando siamo all'universale, abbiamo già perduto il reale.

Che il reale sia soltanto ciò che è razionale, è infatti il grave fraintendimento della modernità.

Universale indispensabile per poter ragionare, operare e comunicare. Ma che fa irrimediabilmente perdere la profondità del reale.
Quando siamo all'universale, abbiamo già perduto il reale.

Che il reale sia soltanto ciò che è razionale, è infatti il grave fraintendimento della modernità.
D'accordo però come negare che noi il reale lo cogliamo solo nella sua forma universale?
Non è semplicemente che non possiamo stare lì a distiguere da foglia a foglia, ma per esempio in ottica contemporanea tra milioni cellule e chissà quanti triliardi di particelle.
Il mio maestro fa notare d'altronde che le equazioni matematiche anticipano il mondo. E quindi per assurdo ne sono i mattoni costituenti.
Che la realtà sia una matrice era cosa nota nei tempi antichi, poi è arrivato Aristotele...
Il problema è il voler entizzare il mondo.
Ma come dice a Dio a Giobbe: dove eri tu quando io creai il firmamento e tutte le stelle...etc...etc....
L'arroganza di Aristotele e allievi è gravissima e un insulto alla morale.
Sto ragionando a spanne, Aristotele non mi interessa punto.
Vai avanti tu che mi vien da ridere

bobmax

Citazione di: green demetr il 23 Marzo 2024, 17:08:40 PMD'accordo però come negare che noi il reale lo cogliamo solo nella sua forma universale?
Bisogna vedere cosa intendiamo con "cogliere".

Se intendiamo utilizzare in qualche modo, allora sì, il reale lo possiamo utilizzare solo attraverso l'universale.

Ma se cogliere significa per noi avere esperienza, vivere la presenza dell'altro, allora è proprio quel singolo nella sua unicità.
Perché è "unico" e ogni universale non ne è che un travisamento.

Per esempio, il valore di una persona, per te, è proprio di quella specifica persona.
Può sembrare che il suo valore dipenda dagli universali che la descrivono.
Ma non è così!
I suoi attributi giocano senz'altro un ruolo nel determinare cosa provi per lei. Ma se rifletti sul suo valore per te, sarà sempre oltre ogni sua caratteristica.

Il guaio nel considerare Verità il pensiero logico, è che si finisce per appiattire il valore di ogni cosa in base agli universali. In questo modo ogni persona è sostituibile con un'altra.
È solo una questione di universali...

Ma così facendo si perde il vero valore.
Che è celato nella unicità.

E ne consegue, inevitabile, l'orrore del vuoto esistenziale.
Tardi ti ho amata, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amata. Tu eri con me, mentre io ero lontano da te.

Koba II

Citazione di: green demetr il 23 Marzo 2024, 16:54:26 PMCome fattomi notare recentemente dal mio maestro, Aristotele è nemico di Platone.
E' evidente fin dall'inizio laddove Platone parla di morale, laddove quello di enti e sostrati.

Ora non so se Hegel sia l'ennesimo allievo di Aristotele.
Nè cosa intenda per idea Platone.
L'unica cosa che so è che non è quello che dice Aristotele e dunque dell'intera industria culturale.
Platone è il nemico invincibile dell'oggi.
[...]
Platone non ha alcuna esigenza che non sia morale.

Non è vero. Platone si occupa di tutti i problemi della filosofia (teoria della conoscenza, natura del sapere, vera struttura della realtà, interpretazione del linguaggio, politica e morale).
Basterebbe dare un'occhiata ai grandi dialoghi dialettici della maturità (Sofista, Parmenide, Politico).
Al limite si potrebbe dire, semplificando, che la motivazione profonda che ha condotto la costruzione di tutta la sua filosofia sia derivata dallo shock per la condanna a morte di Socrate. Quindi una riflessione sulla giustizia che ha alimentato il suo primo slancio filosofico.

Aristotele, come tutti i filosofi, è partito dal suo maestro per poi "superarlo" (almeno nelle sue intenzioni). Quindi la sua riflessione non può che essere impregnata di platonismo.
Così come quella di Fichte parte da Kant, e quella di Hegel da Kant, Fichte e Schelling, e quella di Marx da Hegel.
Che poi ciascuno presenti la propria soluzione come naturale, esprimendo al contempo imbarazzo per l'ingenuità delle idee del proprio maestro, non è di per se' significativo, è solo gioco polemico, cattiva educazione.

Citazione di: green demetr il 23 Marzo 2024, 16:54:26 PMPer quanto riguarda Feurbach, non conosce la sua critica, se è quella che ci hai detto, ossia che Hegel fraintende l'esperienza singola con quella universale, potremmo ragionarci sopra.
[...]
Ma l'inizio della filosofia non ha nulla a che fare con queste cose appunto.
Direi che invece il Platone aristotelico è già la fine della filosofia.


Il punto è che la Fenomenologia dello Spirito presenta l'itinerario della coscienza dell'uomo della strada dalle (apparenti) certezze del senso comune fino al sapere assoluto, all'episteme.
Hegel non fa come Cartesio che nel discorso del metodo fa iniziare il percorso del sapere da una decisione "teoretica": stanchi di vivere nell'incertezza si inizia a fare filosofia. Alla base c'è una decisione che il soggetto decide di prendere, consapevolmente.
Hegel vuole invece descrivere come la coscienza, senza essersi inizialmente posta alcun obiettivo, nella propria vita normale finisce necessariamente per percorrere tutto il cammino fino del sapere assoluto.
E il motore di questo inesorabile itinerario è la negazione, cioè la distruzione della certezza di ciascuno degli stati in cui inizialmente il soggetto pensava di avere trovato la sua verità.
Tuttavia, al di là dell'angoscia e dell'inquietudine per il fatto di continuare a morire a se stessi, la negazione di un errore (ciascuna di queste singole posizioni esistenziali, filosofiche) è pur sempre una verità, cioè apre a qualcosa di positivo.
Per questo si può dire che la verità per Hegel è processo, sviluppo, totalità, e non singola posizione, espressa da una singola proposizione.

Koba II

A proposito di universali.

La questione di che cosa sia l'universale, se essenza eterna realmente esistente o semplice segno senza vera sostanza (se non quella di essere parola nel linguaggio e immagine mentale nell'attività del pensiero), è stata ampiamente trattata nel medioevo.

Si distinguono tre posizione: quella realista, quella nominalista e quella che si può definire realismo moderato.

La posizione realista (platonica) sostiene l'effettiva realtà degli universali.
Quella nominalista (Roscellino di Compiègne) sostiene che a esistere nella realtà siano solo le cose singole, particolari, e che gli universali siano ingiustificate semplificazioni della realtà concreta. Quindi la conoscenza, che per sua natura è attinente ai caratteri generali delle cose, è arbitraria, impossibilitata nel dare una rappresentazione della realtà.
Infine la posizione del realismo moderato (Abelardo): a esistere è solo l'individuo, ma la razionalità umano è in grado di analizzare (le diverse caratteristiche della cosa singola) e raggruppare (diverse cose singole sotto la stessa specie). Su questa operazione di raggruppamento hanno origine gli universali. Ne consegue che la conoscenza generica restituisce qualcosa di effettivamente reale, inerente le cose singole.

Una versione contemporanea di questa disputa la si può vedere in epistemologia: realismo contro antirealismo.
Infatti il realismo attuale in ambito scientifico sostiene che la rappresentazione che il ricercatore si fa di un fenomeno corrisponde a qualcosa di reale: la legge scientifica riporta tramite segni linguistici la vera struttura della realtà, che quindi va scoperta, non ricreata in modo seppur arbitrario comunque funzionale alle manipolazioni tecniche successive.

green demetr

#8
Citazione di: bobmax il 23 Marzo 2024, 22:16:05 PMBisogna vedere cosa intendiamo con "cogliere".

Se intendiamo utilizzare in qualche modo, allora sì, il reale lo possiamo utilizzare solo attraverso l'universale.

Ma se cogliere significa per noi avere esperienza, vivere la presenza dell'altro, allora è proprio quel singolo nella sua unicità.
Perché è "unico" e ogni universale non ne è che un travisamento.

Per esempio, il valore di una persona, per te, è proprio di quella specifica persona.
Può sembrare che il suo valore dipenda dagli universali che la descrivono.
Ma non è così!
I suoi attributi giocano senz'altro un ruolo nel determinare cosa provi per lei. Ma se rifletti sul suo valore per te, sarà sempre oltre ogni sua caratteristica.

Il guaio nel considerare Verità il pensiero logico, è che si finisce per appiattire il valore di ogni cosa in base agli universali. In questo modo ogni persona è sostituibile con un'altra.
È solo una questione di universali...

Ma così facendo si perde il vero valore.
Che è celato nella unicità.

E ne consegue, inevitabile, l'orrore del vuoto esistenziale.
Ma è impossibile che io colga la tua unicità.
Proprio per questo l'uomo è destinalmente portato all'infelicità.
Il capitolo 1 della fenomenologia si chiude con la frase terribile: nessun animale riesce a vivere.

Il punto in Hegel non è tanto nella relazione io-tu che appunto è necessariamente dentro il linguaggio.
Quanto proprio la relazione tra l'io pensante e l'io che si conosce, e si conosce vero ("ossia appunto dentro l'univerale") solo tramite l'appogiarsi all'altro.
Ovvero all'universale dell'altro.
In Hegel non c'è almeno nel primo capitolo una indagine sul rapporto tra in 2 universali, perchè prima deve dare spiegazione, comprensione, di ciò che è la verità, nel sendo del suo contrario.
La verità potremmo dire che è costituita dalla negazione costante.
Ma la negazione costituisce quello che noi IPOTIZZIAMO di essere, appunto soggetti.
La mia opionione è che non solo non si è capito il PROBLEMA del soggetto come allertava Hegel, ma proprio si è scelto come società umana, di pensarsi come soggetto d'intentità.
Da lì poi proviamo pensare alle nuove problematiche che si innestano, dall'LGBTQ+ ai nuovi pensieri NEW AGE, ai pericolosissimissimissimi programmi di riduzione comportamentale, fino alle annose questioni della fede.

Se il soggetto dimentica di essere TUTT'ALTRO che IDENTITA' diventa un vero problema antropologico.
Tanto che oggi l'antropologia umanista, umanistica etc...diventa il terreno su cui le speranze della filosofia cieca moderna si appiattisce.
Diventa identità contro identità.
Dove l'unica cosa che si accresce è proprio l'idea assurda di identità.
Ma come diceva Carmelo Bene: ed io non sono più io, citando autori della mistica come giovanni della croce.
Infatti la mia identità è sempre diversa, anche a distanza di un ora.
Avvengono cambiamenti organici, di pensiero, continui.

Ma se seguiamo la fisica le cose diventano ancora più complicate, riporto una frase del mio maestro.

"Se la matematica si "adattasse al fenomeno" allora il fenomenico sarebbe semplicemente la realtà mentre, come insegna Kant, vi è anche il noumenico. La realtà non è mai semplice ma complessa, strutturata, alcuni, tra cui il sottoscritto, la definiscono come una "proprietà emergente" e questo è proprio coincidente con i principi fondamentali della meccanica quantistica. Schrödinger ci dice chiaramente che è il collasso della funzione d'onda a determinare la possibilità di una localizzazione della particella nel campo, ossia, in termini più comuni: è la nostra osservazione a consentire l'emergere dell'osservato e, qui, il fenomenico diventa instabile e dipendente da altre funzioni, come, per l'appunto, la funzione d'onda. Purtroppo il discorso non è facile."
cit mio maestro  O:-)


Scusate se ho aggiunto troppi input...ma appunto giusto per capire quanto siamo capre!  ;) :D

https://www.youtube.com/watch?v=kKI23zZgsWQ
Vai avanti tu che mi vien da ridere

green demetr

Citazione di: Koba II il 25 Marzo 2024, 10:39:47 AMIl punto è che la Fenomenologia dello Spirito presenta l'itinerario della coscienza dell'uomo della strada dalle (apparenti) certezze del senso comune fino al sapere assoluto, all'episteme.
Hegel non fa come Cartesio che nel discorso del metodo fa iniziare il percorso del sapere da una decisione "teoretica": stanchi di vivere nell'incertezza si inizia a fare filosofia. Alla base c'è una decisione che il soggetto decide di prendere, consapevolmente.
Hegel vuole invece descrivere come la coscienza, senza essersi inizialmente posta alcun obiettivo, nella propria vita normale finisce necessariamente per percorrere tutto il cammino fino del sapere assoluto.
E il motore di questo inesorabile itinerario è la negazione, cioè la distruzione della certezza di ciascuno degli stati in cui inizialmente il soggetto pensava di avere trovato la sua verità.
Tuttavia, al di là dell'angoscia e dell'inquietudine per il fatto di continuare a morire a se stessi, la negazione di un errore (ciascuna di queste singole posizioni esistenziali, filosofiche) è pur sempre una verità, cioè apre a qualcosa di positivo.
Per questo si può dire che la verità per Hegel è processo, sviluppo, totalità, e non singola posizione, espressa da una singola proposizione.


Capisco, invece per quel che posso capire, il positivo che tu citi, per me è semplicemente una illusione, una conseguenza della negatività cioè.
Questa illusione o positività come tu dici, altro non è che il soggetto.
Per questo ho sussultato quando ha parlato di verità.
Mi verrebbe quasi da pensare che la verità hegeliana, sia sostanzialmente un tutt'uno con la mistificazione di stato assoluto.(cosa che ad Hegel viene sempre mossa come critica...e che non so se sia vero, potrebbe però venire da questo visione AUTO-determinata, ossia decisa dall'altro.)
Pazienta che finisco la FDS. ;)
Vai avanti tu che mi vien da ridere

green demetr

Citazione di: Koba II il 25 Marzo 2024, 10:44:23 AMA proposito di universali.

La questione di che cosa sia l'universale, se essenza eterna realmente esistente o semplice segno senza vera sostanza (se non quella di essere parola nel linguaggio e immagine mentale nell'attività del pensiero), è stata ampiamente trattata nel medioevo.

Si distinguono tre posizione: quella realista, quella nominalista e quella che si può definire realismo moderato.

La posizione realista (platonica) sostiene l'effettiva realtà degli universali.
Quella nominalista (Roscellino di Compiègne) sostiene che a esistere nella realtà siano solo le cose singole, particolari, e che gli universali siano ingiustificate semplificazioni della realtà concreta. Quindi la conoscenza, che per sua natura è attinente ai caratteri generali delle cose, è arbitraria, impossibilitata nel dare una rappresentazione della realtà.
Infine la posizione del realismo moderato (Abelardo): a esistere è solo l'individuo, ma la razionalità umano è in grado di analizzare (le diverse caratteristiche della cosa singola) e raggruppare (diverse cose singole sotto la stessa specie). Su questa operazione di raggruppamento hanno origine gli universali. Ne consegue che la conoscenza generica restituisce qualcosa di effettivamente reale, inerente le cose singole.

Una versione contemporanea di questa disputa la si può vedere in epistemologia: realismo contro antirealismo.
Infatti il realismo attuale in ambito scientifico sostiene che la rappresentazione che il ricercatore si fa di un fenomeno corrisponde a qualcosa di reale: la legge scientifica riporta tramite segni linguistici la vera struttura della realtà, che quindi va scoperta, non ricreata in modo seppur arbitrario comunque funzionale alle manipolazioni tecniche successive.
Il problema degli universali è che sono sempre dentro una società.
Chi affibbia cosa a qualcosa o peggio ancora a qualcuno?
Il soggetto come vediamo ampiamente, e in maniera inequivocabile drammaticamente dopo il 2020, è ALTAMENTE influenzabile.
Così la scienza funesto servitore dei padroni.
La filosofia manualistica su queste cose si tappa gli occhi, le orecchie e sopratutto in maniera miserabile la bocca.
Il grido del giovane Hegel è un grido anarchico disperato contro la scienza.
Poi, si dice, si narra, oscurato dal bonapartismo.
E' vero che scrive male, ma non così tanto da volerlo far passare per l'"oscuro", oscuri sono tutti questi miserabili, nemici di Platone manco a dire.
Siamo sicuri che Platone sia quello dei manuali?
Io grazie al mio maestro lo sto leggendo al contrario.
Platone IRONIZZA.
Fa credere al non iniziato il contrario, ma lascia nel testo, tutto ciò che è meta-testo.
Indizi che rilanciano ad una filosofia fiammeggiante che questo tempo ghiacciato non capirà mai anche volendo.
Per ora sono all'Apologia e al Critone, li chiamo le 2 TORRI d'entrata.
Troppo complessi, troppo per chi come me non ha una cultura classica.
Mi hanno sconvolto, e allo stesso tempo bloccato.
Anche se riuscissi a vivere ancora per un decennio...mi pare una montagna troppo alta per me.
Lascio la cosa a chi vuole spiegare Platone in 20 minuti.
Io prenderò quel che posso, passetto passetto.

Ma non era il nominalismo a pretendere che l'universale fosse solo nelle parole?
Mentra il realismo a credere che l'universale fosse nel singolare fisico?
Occam vs Scoto?
Boh  :D ;)

Vai avanti tu che mi vien da ridere

bobmax

Citazione di: green demetr il 25 Marzo 2024, 17:42:09 PMMa è impossibile che io colga la tua unicità.
Proprio per questo l'uomo è destinalmente portato all'infelicità.

La unicità non la può cogliere il pensiero razionale, che necessariamente determina.
Cioè per comprendere separa in parti e ne valuta le interazioni.

La unicità invece la cogli come pura  intuizione etica.
È una certezza a-razionale, che si impone da sé medesima.
Perché è semplice, estremamente semplice... ma proprio per questo tanto difficile.

Il tuo prossimo è unico.
Ogni volta che lo incontri, ti ritrovi infatti di fronte l'unicità.

Lo puoi vedere senza ombra di dubbio quando ti muore l'amato.
È sufficiente che tralasci ogni altra considerazione, che non sia il tuo amore per lui.

L'altro è unico.
In quanto Uno.
Tardi ti ho amata, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amata. Tu eri con me, mentre io ero lontano da te.

green demetr

Citazione di: bobmax il 26 Marzo 2024, 16:35:29 PMLa unicità non la può cogliere il pensiero razionale, che necessariamente determina.
Cioè per comprendere separa in parti e ne valuta le interazioni.

La unicità invece la cogli come pura  intuizione etica.
È una certezza a-razionale, che si impone da sé medesima.
Perché è semplice, estremamente semplice... ma proprio per questo tanto difficile.

Il tuo prossimo è unico.
Ogni volta che lo incontri, ti ritrovi infatti di fronte l'unicità.

Lo puoi vedere senza ombra di dubbio quando ti muore l'amato.
È sufficiente che tralasci ogni altra considerazione, che non sia il tuo amore per lui.

L'altro è unico.
In quanto Uno.
Certo è ance quello proposto da Phyrosphera!
Ma è quello che dice il mio maestro, ossia che la questione umana è una questione  unicamente etica.
L'ontologia non c'entra niente.
Temo che siamo ancora troppo bloccati da Aristotele.
Purtroppo andando avanti con Hegel, la cosa già fatta notare da Kobayashi, è che in Hegel la concezione di Vero, è una concezione di vero ontologico.
In Hegel si parla di essenze e di non-essenze, tirando in ballo qualcosa come la forza, che è per lui un essenza.
Come già detto dal mio maestro, questi autori si muovono ancora in un contesto meccanicistico.
Nel nuovo contesto quantistico, invece il noumeno emerge non come una essenza ma come una equazione matematica.
Detto in parole semplici, ma l'avevo già presupposto quando studiavo Einstein, noi siamo una equazione.
L'ente è una eqazione e dunque non è un ente.
L'ente presunto (di un intero, di cui purtroppo Hegel è ossessionato) è invece una superposizione.
Non esiste cioè un ente di un tutto, ma solo un tutto.
Il punto è che mi piace Hegel perchè quando parla di ritorno del sè (per lui coscienza, ossia cognizione sensoriale) come ripiegamento del sè su se stesso come parte in generale (perchè lui pensa sempre al tutto), egli chiarifica che è necessario la scoperta dell'altro che non è sensoriale.
Ora ribadisco lasciando da parte il delirio hegeliano e come fa a raggiungere questo pensiero di base che esiste un sè un soggetto e uno spirito.
Io dico ripartiamo da quello, poichè in tutti e 3 i momenti (come li chiama lui) altro non sono che la proiezione dell'io penso su ciò che lo determina ossia rispetto all'ente e rispetto allo spirito.
Poichè il sè è rigettato dall'ente, dunque il VERO sè (questo sono io NON Hegel) è il prodotto della conoscenza dello spirito.
Ed è inequivocabilmente MORALE.
Da qui si riparte da Leopardi-Nietzche e l'antichità greca che meglio hanno pensato la meta-noia.
Con la postilla avanzata dal mio maestro: che la volontà che emerge da questa meta-noia è SEMPRE errata.
Poichè nella sua critica (del mio maestro), questa è volontà di qualcosa.
Cioè la filosofia fa un grave errore quando si ribella al suo maestro Platone e si ripiega sull'infame Aristotele.

Certo tutto bene: ma io mi chiedo come interpretate il CRITONE?
O l'inizio del processo di Kafka?

Perchè per me l'abiezione della filosofia-letteratura sta in chi capisce e chi no.
Bè cose un pò troppo avanzaste per questo forum, ancora giovane e acerbo.
Saluti!
Vai avanti tu che mi vien da ridere

Ipazia

#13
Citazione di: green demetr il 25 Marzo 2024, 18:24:57 PMIl problema degli universali è che sono sempre dentro una società.
Chi affibbia cosa a qualcosa o peggio ancora a qualcuno?
Il soggetto come vediamo ampiamente, e in maniera inequivocabile drammaticamente dopo il 2020, è ALTAMENTE influenzabile.
Così la scienza funesto servitore dei padroni.
La filosofia manualistica su queste cose si tappa gli occhi, le orecchie e sopratutto in maniera miserabile la bocca.
Il grido del giovane Hegel è un grido anarchico disperato contro la scienza.
Poi, si dice, si narra, oscurato dal bonapartismo.
E' vero che scrive male, ma non così tanto da volerlo far passare per l'"oscuro", oscuri sono tutti questi miserabili, nemici di Platone manco a dire.


Ma non era il nominalismo a pretendere che l'universale fosse solo nelle parole?
Mentra il realismo a credere che l'universale fosse nel singolare fisico?
Occam vs Scoto?
Boh  :D ;)

La disputa sugli universali , lungi dall'essere questione di lana caprina medioevale, si trascina attraverso la modernità neoqualcosa fino ai nostri giorni e continua ad alimentare differenti visioni della realtà.

Le soluzioni proposte dai medioevali sono tutte interessanti e, togliendo il nume ante-rem di tutte le cose, un po' si legittima epistemologicamente, ma continua ad infrangersi contro il muro dello scetticismo che informa di sè la postmodernità, ballonzolante intorno a sovraestesi principi metafisici di indeterminazione.

Almeno sulle definizioni storiche non dovrebbero esserci ambiguità: i "realisti" ponevano l'idea ante-rem, i "nominalisti" post-rem. Quindi il contrario di quello che pensava green e che pare più logico a noi moderni e post.

La soluzione alla disputa la dà Tommaso col suo "veritas est adaequatio rei et intellectum". Ma lascia democristianamente in sospeso la questione di chi si adegua a chi.

Non è che Kant ed Hegel abbiano detto molto di più di antichi e medioevali. Kant è un aristotelico tomista che sposta il focus (essenza) sul noumeno (in-re). Hegel un idealista-platonico, "realista" in senso scolastico (ante-rem) e inesorabilmente più teista di Kant. Anche la mathesis universalis di Galileo prefigura un ante-rem idealistico neoplatonico che arriva fino ad Einstein e, sotto influsso di Hume, a iano, e di Kierkegaard e Jaspers a bobmax.

Tutte le visioni idealistiche si fondano su un ente universalistico ante-rem, più o meno personalizzato. Prescindendo dal nume, anche la Genesi parla chiaro: prima vengono le cose e poi l'intelletto (privilegiato) che dà loro un nome. Il quale nome non può avere pretese ontologiche che vadano oltre la sua convenzionalità.

Secondo me il nodo da sciogliere sta nel dualismo tra universo naturale e antropologico, formato intorno allo strumento tecnico del linguaggio.

La confusione diventa inestricabile quando si coinvolge l'etica in una diatriba che dovrebbe essere essenzialmente epistemologica e non a caso la confusione ontologica è maggiormente presente nella visione neo-platonica ante-rem. Un buon motivo per essere nominalisti in senso scolastico e realisti in senso moderno. Come Guglielmo di Baskerville:

Stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus.

pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

Koba II

Citazione di: Ipazia il 27 Marzo 2024, 10:36:42 AMLa confusione diventa inestricabile quando si coinvolge l'etica in una diatriba che dovrebbe essere essenzialmente epistemologica e non a caso la confusione ontologica è maggiormente presente nella visione neo-platonica ante-rem. Un buon motivo per essere nominalisti in senso scolastico e realisti in senso moderno. Come Guglielmo di Baskerville:


Invece il realismo contemporaneo è perfettamente in linea con quello medievale e quindi con il platonismo. Infatti mettendo da parte la questione dell'esistenza iperuranica delle idee, la questione metafisica essenziale espressa dal platonismo è l'esistenza di una rete di universali che hanno priorità ontologica nei confronti delle cose. In questa prospettiva, nell'ascesa al sapere, il soggetto non arriva alla verità tramite generalizzazione dell'esperienza, ma scoprendo nelle cose reali il loro approssimarsi imperfetto alle essenze eterne.
Il realista ingenuo dei nostri giorni non capisce che se la verità della cosa, essendo espressa da un concetto universale, non viene formata dal soggetto (come in Kant dalle forme a priori, o come nel relativismo dallo sviluppo della cultura), deve essere costituita da qualcosa di essenziale che c'è già da sempre nella cosa.
Il nominalismo medievale è invece in linea con posizioni epistemologiche alla Feyerabend, per intenderci.

Questa non è una disputa solo epistemologica. Riguarda l'essenza della realtà, quindi anche l'essenza della realtà umana, quindi, necessariamente l'etica.
Infatti alla domanda "cos'è la giustizia?" le risposte si differenziano innanzitutto a partire da come si intende tale concetto: qualcosa che ha un fondamento eterno, indipendente dalla storia, attinente l'essenza dell'umanità, o al contrario nozione da costruire in uno sforzo necessariamente influenzato dal proprio tempo e dalla propria civiltà.

Citazione di: Ipazia il 27 Marzo 2024, 10:36:42 AMSecondo me il nodo da sciogliere sta nel dualismo tra universo naturale e antropologico, formato intorno allo strumento tecnico del linguaggio.

Spiega meglio, per favore.

Discussioni simili (5)