Giuspositivismo e Giusnaturalismo: c'è veramente differenza?

Aperto da Eutidemo, 04 Novembre 2016, 07:49:52 AM

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Angelo Cannata

Citazione di: Eutidemo il 05 Novembre 2016, 08:56:04 AM
Quanto al fatto che: "... si può individuare, per esempio, nell'arco di cinquemila anni una coscienza umana a cui ripugna uccidere, siamo costretti a tener presente che in ogni attimo la natura tende a mettere in questione anche questa legge di coscienza.".
Non è così!
...

Per cui non credo proprio che l'innata ripugnanza ad uccidere il proprio simile (sia nell'uomo che nei mammiferi in generale), possa essere evolutivamente superata; nè a medio, nè a breve, nè a lunghissimo termine.
Difatti avevo scritto "mettere in questione", non "superata".

Eutidemo

Citazione di: Angelo Cannata il 05 Novembre 2016, 09:08:54 AM
Citazione di: Eutidemo il 05 Novembre 2016, 08:56:04 AM
Quanto al fatto che: "... si può individuare, per esempio, nell'arco di cinquemila anni una coscienza umana a cui ripugna uccidere, siamo costretti a tener presente che in ogni attimo la natura tende a mettere in questione anche questa legge di coscienza.".
Non è così!
...

Per cui non credo proprio che l'innata ripugnanza ad uccidere il proprio simile (sia nell'uomo che nei mammiferi in generale), possa essere evolutivamente superata; nè a medio, nè a breve, nè a lunghissimo termine.
Difatti avevo scritto "mettere in questione", non "superata".


Ok  ;)

maral

#17
Citazione di: Eutidemo il 04 Novembre 2016, 07:49:52 AM
Al termine della sua esposizione, io alzai la mano per ottenere la parola, e chiesi: "Professore, si potrebbe sintetizzare il tutto, dicendo che i Giuspositivisti ritengono che sia giusto osservare solo la legge "scritta", mentre i Giusnaturalisti, invece, ritengono che sia giusto osservare anche la legge "non scritta", quale impressa nella nostra coscienza (sia pure condizionata culturalmente)?"
Lui rispose: "Sintetizzando all'estremo, in effetti, il nocciolo della questione è proprio questo.".
"Ma allora...", feci io "...in effetti anche i Giuspositivisti sono Giusnaturalisti, in quanto, "a monte" della loro asserzione di voler dare la preminenza alla legge scritta, c'è pur sempre un giudizio valoriale; e, cioè che è GIUSTO osservare la legge scritta, a prescindere da ciò che ci detta la nostra coscienza personale. MA NON E' FORSE SEMPRE LA LORO COSCIENZA PERSONALE, AD AVERLI INDOTTI A TALE SCELTA, CIRCA CIO' CHE E' GIUSTO O MENO OSSERVARE?"
Trovo che la tua osservazione sia fondamentalmente giusta, anche se alla base sia della "coscienza personale" che della legge scritta  si debba considerare il contesto sociale di cui l'una e l'altra sono espressioni, è infatti questo contesto sociale che determina il prevalere della posizione che privilegia il formalismo oggettivante e pubblico della norma per prenderla a definizione, oppure quella che rimanda alla problematicità individuale del significato di ciò che sta scritto per tutti. In realtà la scelta tra uno o un altro modo di fare non dipende fondamentalmente né da una coscienza personale del soggetto né da ciò che sta scritto in oggetto di norma, essendo sia la coscienza personale che lo scritto modi diversi di tradurre l'esperienza culturale e sociale da un lato per riconoscerla nella propria vita concreta insieme agli altri, dall'altro per preservarla definendola nel modo meno ambiguo possibile e quindi astratto, di principio.
Mi sembra interessante filosoficamente richiamare qui il famoso dialogo di Platone "Critone", ove appunto Critone, amico e discepolo di Socrate, si presenta a Socrate condannato a morte per empietà, proponendogli di fuggire (fuggire alle leggi sulla base delle quali  era stato giudicato ingiustamente reo). Le ragioni morali che Critone presenta sono tre: non fuggendo Socrate farebbe torto a se stesso (egli infatti è innocente), farebbe torto ai suoi figli che verrebbero di lui privati, farebbe torto ai suoi amici che perderebbero ogni pubblica considerazione non avendo fatto tutto il possibile per salvarlo. Socrate risponde che la pubblica considerazione non è un criterio sufficiente a stabilire ciò che è giusto o no fare, ma il ragionamento corretto e per questo immagina che siano le Leggi stesse a venire a chiedergli: chi si occupato della tua nascita e di quando eri bambino? Sei soddisfatto del modo in cui si celebrano i matrimoni nella tua città? Chi ti ha allevato? Chi si occupa di ciò che accade nella Città?
In questa "Prosopopea" Le Leggi ricordano a Socrate che esse offrono cura a ogni individuo della comunità affinché la comunità stessa con la sua possibilità di cura possa preservarsi, quindi non è bene sottrarsi ad esse per motivi soggettivi proprio in ragione di questa cura (epimeleia). Ma proprio in quanto la ragion d'essere delle leggi sta nella cura (una sorta di profilassi terapeutica) non penso che vadano accettate semplicemente della loro lettera che vuole fissarle formalmente, ma sempre pubblicamente comprese, condivise e rimesse anche coraggiosamente in discussione in nome della verità della cura per come si realizza nella vita di ogni individuo della comunità, a partire dal proprio quotidiano sentire per come trova riscontro pubblico.
Di quali individui dunque le nostre leggi si prendono davvero cura per esercitare la funzione in ragione della quale sussistono?  Questa è una domanda che non trova risposta nell'ottemperanza formale della lettera della norma in quanto tale, le leggi non sono degli assoluti semplici per i quali basta la lettera, occorre comunque per esse l'assunzione di una coscienza politica.

Eutidemo

Citazione di: maral il 05 Novembre 2016, 19:31:23 PM
Citazione di: Eutidemo il 04 Novembre 2016, 07:49:52 AM
Al termine della sua esposizione, io alzai la mano per ottenere la parola, e chiesi: "Professore, si potrebbe sintetizzare il tutto, dicendo che i Giuspositivisti ritengono che sia giusto osservare solo la legge "scritta", mentre i Giusnaturalisti, invece, ritengono che sia giusto osservare anche la legge "non scritta", quale impressa nella nostra coscienza (sia pure condizionata culturalmente)?"
Lui rispose: "Sintetizzando all'estremo, in effetti, il nocciolo della questione è proprio questo.".
"Ma allora...", feci io "...in effetti anche i Giuspositivisti sono Giusnaturalisti, in quanto, "a monte" della loro asserzione di voler dare la preminenza alla legge scritta, c'è pur sempre un giudizio valoriale; e, cioè che è GIUSTO osservare la legge scritta, a prescindere da ciò che ci detta la nostra coscienza personale. MA NON E' FORSE SEMPRE LA LORO COSCIENZA PERSONALE, AD AVERLI INDOTTI A TALE SCELTA, CIRCA CIO' CHE E' GIUSTO O MENO OSSERVARE?"
Trovo che la tua osservazione sia fondamentalmente giusta, anche se alla base sia della "coscienza personale" che della legge scritta  si debba considerare il contesto sociale di cui l'una e l'altra sono espressioni, è infatti questo contesto sociale che determina il prevalere della posizione che privilegia il formalismo oggettivante e pubblico della norma per prenderla a definizione, oppure quella che rimanda alla problematicità individuale del significato di ciò che sta scritto per tutti. In realtà la scelta tra uno o un altro modo di fare non dipende fondamentalmente né da una coscienza personale del soggetto né da ciò che sta scritto in oggetto di norma, essendo sia la coscienza personale che lo scritto modi diversi di tradurre l'esperienza culturale e sociale da un lato per riconoscerla nella propria vita concreta insieme agli altri, dall'altro per preservarla definendola nel modo meno ambiguo possibile e quindi astratto, di principio.
Mi sembra interessante filosoficamente richiamare qui il famoso dialogo di Platone "Critone", ove appunto Critone, amico e discepolo di Socrate, si presenta a Socrate condannato a morte per empietà, proponendogli di fuggire (fuggire alle leggi sulla base delle quali  era stato giudicato ingiustamente reo). Le ragioni morali che Critone presenta sono tre: non fuggendo Socrate farebbe torto a se stesso (egli infatti è innocente), farebbe torto ai suoi figli che verrebbero di lui privati, farebbe torto ai suoi amici che perderebbero ogni pubblica considerazione non avendo fatto tutto il possibile per salvarlo. Socrate risponde che la pubblica considerazione non è un criterio sufficiente a stabilire ciò che è giusto o no fare, ma il ragionamento corretto e per questo immagina che siano le Leggi stesse a venire a chiedergli: chi si occupato della tua nascita e di quando eri bambino? Sei soddisfatto del modo in cui si celebrano i matrimoni nella tua città? Chi ti ha allevato? Chi si occupa di ciò che accade nella Città?
In questa "Prosopopea" Le Leggi ricordano a Socrate che esse offrono cura a ogni individuo della comunità affinché la comunità stessa con la sua possibilità di cura possa preservarsi, quindi non è bene sottrarsi ad esse per motivi soggettivi proprio in ragione di questa cura (epimeleia). Ma proprio in quanto la ragion d'essere delle leggi sta nella cura (una sorta di profilassi terapeutica) non penso che vadano accettate semplicemente della loro lettera che vuole fissarle formalmente, ma sempre pubblicamente comprese, condivise e rimesse anche coraggiosamente in discussione in nome della verità della cura per come si realizza nella vita di ogni individuo della comunità, a partire dal proprio quotidiano sentire per come trova riscontro pubblico.
Di quali individui dunque le nostre leggi si prendono davvero cura per esercitare la funzione in ragione della quale sussistono?  Questa è una domanda che non trova risposta nell'ottemperanza formale della lettera della norma in quanto tale, le leggi non sono degli assoluti semplici per i quali basta la lettera, occorre comunque per esse l'assunzione di una coscienza politica.

Sono fondamentalmente d'accordo quasi su tutto.
Ed invero, non c'è dubbio che, in buona parte, sia alla base della "coscienza personale", sia alla base che della "legge scritta",  si debba considerare il contesto sociale di cui l'una e l'altra sono espressioni; ed infatti, in non piccola misura, è questo contesto sociale che determina il prevalere della posizione che privilegia il formalismo oggettivante e pubblico della norma per prenderla a definizione, oppure quella che rimanda alla problematicità individuale del significato di ciò che sta scritto per tutti. 
Ma, a mio avviso, non si riduce tutto a questo.
Ed infatti è frequente riscontrare che persone che provengono dallo stesso contesto socio-culturale (ad esempio dei fratelli), sul tema, hanno atteggiamenti COMPLETAMENTE diversi; ciò che influisce sulle scelte personali, infatti, è anche l'"individuale" esperienza coscienziale, e lo sviluppo di "proprii" ragionamenti e convinzioni maturate nel tempo.
Anzi, col tempo, queste possono mutare anche all'interno di un singolo individuo.
Peraltro, se è vero che il contesto socio-culturale influisce -in parte- sull'individuo, è anche vero anche il contrario: ed infatti, molti pensieri "individuali", espressi in libri che "hanno fatto la storia", hanno anche indubbiamente contribuito a cambiare il contesto sociale, e quello che era il vecchio "pensiero prevalente".
Tra singoli individui (autonomamente pensanti) e contesto culturale, secondo me c'è una continua interazione...in entrambi i sensi.
In concreto, comunque, secondo me la scelta "tra uno o un altro modo di fare", dipende fondamentalmente sia dalla coscienza personale del soggetto,  sia da ciò che sta scritto nelle norme oggettive di diritto; o meglio ancora, o dalla concomitanza tra le due cose (come di regola dovrebbe accadere), ovvero, in caso di contrasto tra l'una e l'altra, dal "libero arbitrio" dell'individuo, che, in concreto, opera la scelta.
Ad esempio, le prescrizioni legali che vietano l'omicidio, in genere (ma non necessariamente) concordano con la coscienza personale dei singoli individui; ma quelle che concernono l'eutanasia, invece, molto spesso non collimano con la coscienza e la sensibilità individuale (per non parlare della ragione).
Per cui, il soggetto che, secondo la sua coscienza (in determinate circostanze), ritiene giusto praticarla, deve scegliere se fare ciò che ritiene GIUSTO, ovvero quello che sa essere LEGALE; e si tratta indubbiamente di una scelta individuale, che può essere emotiva o razionale, ovvero anche determinata da mera convenienza pratica (evitare la sanzione penale).
Comunque mi sembra MOLTO appropriata la tua citazione del CRITONE, in cui Socrate sostiene una tesi sostanzialmente GIUSPOSITIVISTICA; che è l'opposto di quella GIUSNATURALISTICA di Sofocle nell'ANTIGONE, quando quest'ultima dice a Creonte: " Non pensavo che i tuoi editti avessero tanta forza, che un mortale potesse trasgredire le leggi non scritte e incrollabili degli dei".
Non mi è invece ben chiara la tua conclusione, quando scrivi:
"Di quali individui dunque le nostre leggi si prendono davvero cura per esercitare la funzione in ragione della quale sussistono?  Questa è una domanda che non trova risposta nell'ottemperanza formale della lettera della norma in quanto tale, le leggi non sono degli assoluti semplici per i quali basta la lettera, occorre comunque per esse l'assunzione di una coscienza politica."
Secondo me, infatti, tu introduci nel dibattito una ulteriore prospettiva: quella "politica", che, se ho ben capito, dovrebbe (giustamente) tendere a far modificare quelle leggi che non esercitano più esercitare la funzione in ragione della quale sussistono.
Sulla quale cosa sono perfettamente d'accordo.
Quanto, invece, al tuo principio "ermeneutico" per il quale l'obbedienza alla legge non consiste:"...nell'ottemperanza formale della lettera della norma in quanto tale, le leggi non sono degli assoluti semplici per i quali basta la lettera", essa corrisponde pienamente all'idea (sostanzialmente) GIUSNATURALISTICA, superbamente espressa da San Paolo, quando scrive: "La lettera uccide, solo lo spirito vivifica" (2Cor 3,6).
Non corrisponde del tutto, però, sotto il profilo GIUSPOSITIVISTICO, a quanto espresso dall'art.12 delle PRELEGGI, per il quale: "Nell'applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore.".
Quest'ultima è la c.d. "interpretazione logica" che mira a stabilire lo "scopo" che il legislatore ha inteso realizzare, emanandola; ma, si noti la congiunzione proposizionale "e", che è un connettivo logico attraverso il quale, a partire da due proposizioni (A e B) si forma una nuova proposizione, la quale è vera se siano entrambe vere, mentre è falsa in tutti gli altri casi possibili.
Per cui, in parole povere, l'unica intenzione del legislatore "positivisticamente" recepibile, è solo quella che deriva dal senso che, a seguito dell'esegesi giuridica del testo scritto, scaturisce dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse.
Ma se tale "scopo", sia pure correttamente interpretato ai sensi dell'art.12, contrasta con quello che qualcuno ritiene essere il "diritto" naturale (come nelle leggi razziali), anche correttamente interpretando lo spirito della norma, la nostra coscienza può benissimo rifiutarne l'osservanza.
Per cui l'antinomia permane!

sgiombo

#19
Citazione di: maral il 05 Novembre 2016, 19:31:23 PM

Di quali individui dunque le nostre leggi si prendono davvero cura per esercitare la funzione in ragione della quale sussistono?  Questa è una domanda che non trova risposta nell'ottemperanza formale della lettera della norma in quanto tale, le leggi non sono degli assoluti semplici per i quali basta la lettera, occorre comunque per esse l'assunzione di una coscienza politica.

CitazioneE infatti quella dell' ottemperanza alla "legge" (in senso lato: alle decisioni "legali" che in sostanza venivano fatte risalire direttamente a Hitler) é stata la principale "scusante" dei propri comportamenti avanzata in sede legale (in qualche caso anche in sede puramente etica) dai principali gerarchi nazisti sconfitti e non suicidatisi.

P.S.: Mi sia concesso complimentarmi con Eutidemo per la sua notevolissima competenza (va beh, essendo "del mestiere" può essere considerata ovvia; però personalmente conosco non pochi colleghi -miei- che in pratica "se la cavano" senza una grande preparazione professionale) e chiarezza di esposizione e argomentazione (e questa non é scontata).
(Fine sviolinata; peraltro sincera. Spero prima o poi di dissentire anche con lui per poterlo un po' anche "maltrattare dialetticamente" e naturalmente essere ripagato della stessa moneta; non mi va di passare per "buonista").

Eutidemo

Citazione di: sgiombo il 06 Novembre 2016, 10:21:25 AM
Citazione di: maral il 05 Novembre 2016, 19:31:23 PM

Di quali individui dunque le nostre leggi si prendono davvero cura per esercitare la funzione in ragione della quale sussistono?  Questa è una domanda che non trova risposta nell'ottemperanza formale della lettera della norma in quanto tale, le leggi non sono degli assoluti semplici per i quali basta la lettera, occorre comunque per esse l'assunzione di una coscienza politica.

CitazioneE infatti quella dell' ottemperanza alla "legge" (in senso lato: alle decisioni "legali" che in sostanza venivano fatte risalire direttamente a Hitler) é stata la principale "scusante" dei propri comportamenti avanzata in sede legale (in qualche caso anche in sede puramente etica) dai principali gerarchi nazisti sconfitti e non suicidatisi.

P.S.: Mi sia concesso complimentarmi con Eutidemo per la sua notevolissima competenza (va beh, essendo "del mestiere" può essere considerata ovvia; però personalmente conosco non pochi colleghi -miei- che in pratica "se la cavano" senza una grande preparazione professionale) e chiarezza di esposizione e argomentazione (e questa non é scontata).
(Fine sviolinata; peraltro sincera. Spero prima o poi di dissentire anche con lui per poterlo un po' anche "maltrattare dialetticamente" e naturalmente essere ripagato della stessa moneta; non mi va di passare per "buonista").

Ti ringrazio molto per gli (immeritati) complimenti.
Ma, secondo me, qui non siamo "in gara" per far prevalere dialetticamente la nostra tesi; come è invece (anche deontologicamente) necessario in un'aula di giustizia...o in politica!
Qui, invece, io cerco -come ho già detto in un'altra discussione- di attenermi il più possibile ai principi dialogici della c.d. "Nuova Scuola di Francoforte", ed in particolare al primo (Giustezza-Richtigkeit); che è il più difficile da osservare.
Esso, infatti, prescrive di rispettare sempre  le norme della situazione argomentativa, e, cioè, di cercare di capire VERAMENTE le tesi altrui; e, eventualmente di ritirare o correggere le proprie, qualora si siano dimostrate false o, comunque, opinabili.
Ma, come ho detto, la cosa non è affatto facile!
:)

maral

Citazione di: Eutidemo il 06 Novembre 2016, 06:47:46 AM
Sono fondamentalmente d'accordo quasi su tutto.
Ed invero, non c'è dubbio che, in buona parte, sia alla base della "coscienza personale", sia alla base che della "legge scritta",  si debba considerare il contesto sociale di cui l'una e l'altra sono espressioni; ed infatti, in non piccola misura, è questo contesto sociale che determina il prevalere della posizione che privilegia il formalismo oggettivante e pubblico della norma per prenderla a definizione, oppure quella che rimanda alla problematicità individuale del significato di ciò che sta scritto per tutti.
Ma, a mio avviso, non si riduce tutto a questo.
Ed infatti è frequente riscontrare che persone che provengono dallo stesso contesto socio-culturale (ad esempio dei fratelli), sul tema, hanno atteggiamenti COMPLETAMENTE diversi; ciò che influisce sulle scelte personali, infatti, è anche l'"individuale" esperienza coscienziale, e lo sviluppo di "proprii" ragionamenti e convinzioni maturate nel tempo.
Anzi, col tempo, queste possono mutare anche all'interno di un singolo individuo.
Peraltro, se è vero che il contesto socio-culturale influisce -in parte- sull'individuo, è anche vero anche il contrario: ed infatti, molti pensieri "individuali", espressi in libri che "hanno fatto la storia", hanno anche indubbiamente contribuito a cambiare il contesto sociale, e quello che era il vecchio "pensiero prevalente".
Tra singoli individui (autonomamente pensanti) e contesto culturale, secondo me c'è una continua interazione...in entrambi i sensi.
In concreto, comunque, secondo me la scelta "tra uno o un altro modo di fare", dipende fondamentalmente sia dalla coscienza personale del soggetto,  sia da ciò che sta scritto nelle norme oggettive di diritto; o meglio ancora, o dalla concomitanza tra le due cose (come di regola dovrebbe accadere), ovvero, in caso di contrasto tra l'una e l'altra, dal "libero arbitrio" dell'individuo, che, in concreto, opera la scelta.
Ad esempio, le prescrizioni legali che vietano l'omicidio, in genere (ma non necessariamente) concordano con la coscienza personale dei singoli individui; ma quelle che concernono l'eutanasia, invece, molto spesso non collimano con la coscienza e la sensibilità individuale (per non parlare della ragione).
Per cui, il soggetto che, secondo la sua coscienza (in determinate circostanze), ritiene giusto praticarla, deve scegliere se fare ciò che ritiene GIUSTO, ovvero quello che sa essere LEGALE; e si tratta indubbiamente di una scelta individuale, che può essere emotiva o razionale, ovvero anche determinata da mera convenienza pratica (evitare la sanzione penale).
Comunque mi sembra MOLTO appropriata la tua citazione del CRITONE, in cui Socrate sostiene una tesi sostanzialmente GIUSPOSITIVISTICA; che è l'opposto di quella GIUSNATURALISTICA di Sofocle nell'ANTIGONE, quando quest'ultima dice a Creonte: " Non pensavo che i tuoi editti avessero tanta forza, che un mortale potesse trasgredire le leggi non scritte e incrollabili degli dei".
Non mi è invece ben chiara la tua conclusione, quando scrivi:
"Di quali individui dunque le nostre leggi si prendono davvero cura per esercitare la funzione in ragione della quale sussistono?  Questa è una domanda che non trova risposta nell'ottemperanza formale della lettera della norma in quanto tale, le leggi non sono degli assoluti semplici per i quali basta la lettera, occorre comunque per esse l'assunzione di una coscienza politica."
Secondo me, infatti, tu introduci nel dibattito una ulteriore prospettiva: quella "politica", che, se ho ben capito, dovrebbe (giustamente) tendere a far modificare quelle leggi che non esercitano più esercitare la funzione in ragione della quale sussistono.
Sulla quale cosa sono perfettamente d'accordo.
Quanto, invece, al tuo principio "ermeneutico" per il quale l'obbedienza alla legge non consiste:"...nell'ottemperanza formale della lettera della norma in quanto tale, le leggi non sono degli assoluti semplici per i quali basta la lettera", essa corrisponde pienamente all'idea (sostanzialmente) GIUSNATURALISTICA, superbamente espressa da San Paolo, quando scrive: "La lettera uccide, solo lo spirito vivifica" (2Cor 3,6).
Non corrisponde del tutto, però, sotto il profilo GIUSPOSITIVISTICO, a quanto espresso dall'art.12 delle PRELEGGI, per il quale: "Nell'applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore.".
Quest'ultima è la c.d. "interpretazione logica" che mira a stabilire lo "scopo" che il legislatore ha inteso realizzare, emanandola; ma, si noti la congiunzione proposizionale "e", che è un connettivo logico attraverso il quale, a partire da due proposizioni (A e B) si forma una nuova proposizione, la quale è vera se siano entrambe vere, mentre è falsa in tutti gli altri casi possibili.
Per cui, in parole povere, l'unica intenzione del legislatore "positivisticamente" recepibile, è solo quella che deriva dal senso che, a seguito dell'esegesi giuridica del testo scritto, scaturisce dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse.
Ma se tale "scopo", sia pure correttamente interpretato ai sensi dell'art.12, contrasta con quello che qualcuno ritiene essere il "diritto" naturale (come nelle leggi razziali), anche correttamente interpretando lo spirito della norma, la nostra coscienza può benissimo rifiutarne l'osservanza.
Per cui l'antinomia permane!
Sì Eutidemo, sono d'accordo sul fatto che l'individuo nella sua peculiare differenza entra comunque in gioco davanti alla legge, ma non è l'individuo che sceglie questa sua differenza e quindi "opera la scelta", semplicemente la vive in ambito collettivo e per come la vive la intende giusta o no. E la legge stessa considera comunque in termini sociali quell'individuo e se l'eutanasia oggi presenta una problematica legislativa non è perché la legge prende in esame una particolare sensibilità individuale (che pur sussiste), ma perché esiste un ambito culturale collettivo e sociale in cui quella particolare sensibilità individuale trova pubblica ragion d'essere, per cui la scelta che sembra del singolo è già una scelta socialmente attuabile, il modo comune e pubblico di vedere le cose consente di sentirla e assumerla lecita. Resta comunque il "costume pubblico" che esprime la legge e i modi di sentire degli individui, ma mentre la legge la si può fissare uguale per tutti in forma scritta, gli individui no, essi vivono del loro diverso e sempre variante modo di sentire, che non è "scelto" da loro, ma partecipa di una determinazione sociale fatta di prassi condivise (e a loro volta varianti) nella quale possono sentirsi esclusi o compresi. Poi è chiaro che l'esclusione, quando coinvolge il modo di sentire sociale di più individui, può a sua volta determinare un diverso modo sociale condiviso e quindi forzare una riscrittura della legge e qui entra in ballo il discorso politico che riprendo alla fine.
Mi sembra chiaro che la posizione giuspositivista con il suo riferimento alla lettera intende mantenere il campo fermo, giacché solo a "bocce ferme" si può avere la formale certezza di un giudizio, ma in realtà le bocce non sono mai ferme, per questo occorre tener conto dello "spirito" che, per dirla come dice San Paolo vivifica, laddove la legge uccide. Anche se questo introduce un nuovo problema, perché lo spirito enunciato nella legge come "intenzione del legislatore", se preso a sua volta nel suo senso letterale non potrà che continuare a uccidere. E quindi il problema resta; né un'ermeneutica infinita, né una riduzione alla lettera che vede il significato espresso da ben definite connessioni sintattiche può risolverlo. Occorre, credo, in ogni caso, mantenersi in una posizione intermedia dettata da un "buon senso" pubblico sempre inevitabilmente discutibile.
Giustamente tu vedi nella posizione di Socrate nel "Critone" un richiamo giuspositivisco, però in fondo le Leggi rivolgono a Socrate una domanda (che possiamo sentirla anche in modo retorico, ma non è detto che la si debba sentire come tale), ossia gli chiedono se trova che esse si siano prese cura di lui, di lui proprio come individuo. Qui è l'individuo Socrate che è chiamato a giudicare le Leggi e non sulla loro lettera, ma sulla concreta cura che esse hanno saputo offrirgli. E Socrate le assolve: le Leggi hanno fatto ciò che dovevano, dunque, coerentemente, lui non trova giusto sottrarsi ad esse: la cura è stata propriamente esercitata, non per forma, non a priori, ma per sostanza. Egli quindi accetta la sua condanna a morte, pur sapendola ingiusta, proprio perché quelle leggi che bene lo hanno preso in cura, possano continuare a prendere in cura, come lui, ogni altro cittadino ateniese. In questo senso non avverto un'assunzione formale per cui la Legge domina assoluta con la sua perfezione a cui è doveroso conformarsi alla lettera, ma un giudizio politico sulle prassi (e non sintattico sulla forma) che ogni individuo dalla legge stessa è chiamato onestamente a esprimere assumendosene fino in fondo le conseguenze. Certo quel giudizio non è semplicemente di Socrate, soggetto individuale, partecipa della storia e della cultura in cui Socrate è vissuto, ma lui è chiamato nella sua individualità a farsene carico e, facendosene carico, assumendosene cioè una responsabilità politica, l'individuo nella "polis" torna al centro di ogni questione. 


       

sgiombo

Citazione di: Eutidemo il 06 Novembre 2016, 13:32:46 PM
Citazione di: sgiombo il 06 Novembre 2016, 10:21:25 AM
Citazione di: maral il 05 Novembre 2016, 19:31:23 PM
CitazioneP.S.: Mi sia concesso complimentarmi con Eutidemo per la sua notevolissima competenza (va beh, essendo "del mestiere" può essere considerata ovvia; però personalmente conosco non pochi colleghi -miei- che in pratica "se la cavano" senza una grande preparazione professionale) e chiarezza di esposizione e argomentazione (e questa non é scontata).
(Fine sviolinata; peraltro sincera. Spero prima o poi di dissentire anche con lui per poterlo un po' anche "maltrattare dialetticamente" e naturalmente essere ripagato della stessa moneta; non mi va di passare per "buonista").

Ti ringrazio molto per gli (immeritati) complimenti.

Ma, secondo me, qui non siamo "in gara" per far prevalere dialetticamente la nostra tesi; come è invece (anche deontologicamente) necessario in un'aula di giustizia...o in politica!
Qui, invece, io cerco -come ho già detto in un'altra discussione- di attenermi il più possibile ai principi dialogici della c.d. "Nuova Scuola di Francoforte", ed in particolare al primo (Giustezza-Richtigkeit); che è il più difficile da osservare.
Esso, infatti, prescrive di rispettare sempre  le norme della situazione argomentativa, e, cioè, di cercare di capire VERAMENTE le tesi altrui; e, eventualmente di ritirare o correggere le proprie, qualora si siano dimostrate false o, comunque, opinabili.
Ma, come ho detto, la cosa non è affatto facile!
:)
CitazioneConcordo sia sul principio sia sulla non facilità (in molti casi) dell' applicarlo (la mia finale era solo una battuta dettata dall' imbarazzo di poter passare per "buonista").

green demetr

Direi che non è che il giuspositivismo fa parte del giusnaturalismo, ma il contrario, in quanto è evidente, che non esistendo Dio, ogni cosa è giuspositivista.

Nelle conferenza da me viste alla posizione giuridica positivisa di Zagrebelski, si è più volta contrapposta la posizione politica di Cacciari.
(pur entrambi schierati sul comune problema filosofico-giurdico del politico contemporaneo).
Fondamentalmente per l'uno il giuridico spiega il politico, per il secondo è il politico che informa il giuridico.

Con questa affermazione Zagrebelski indica più una costitutivo peso nel discorso positivo politico del giuridico, molto maggiore di quanto il politico spesso spera possa avere.
Cacciari invece intende dire che lo stesso discorso giuridico nasce come una forma del politico.

A sentire gli amici laureati in legge, molti dicono che la loro è una professione legata sopratutto alla circuizione delle leggi stesse, alla ricerca dei vuoti costituzionali, vuoti che appunto sarebbero lì mica per caso.

( e in generale il problemo del giuridico-giudaico-romano starebbe alla base di un discorso serio sul politico, ahimè l'opera fondamentale di questa tradizione, rimane non tradotta dal francese, quindi non ne so dire niente).
Vai avanti tu che mi vien da ridere

Eutidemo

Citazione di: maral il 06 Novembre 2016, 19:48:22 PM
Citazione di: Eutidemo il 06 Novembre 2016, 06:47:46 AM
Sì Eutidemo, sono d'accordo sul fatto che l'individuo nella sua peculiare differenza entra comunque in gioco davanti alla legge, ma non è l'individuo che sceglie questa sua differenza e quindi "opera la scelta", semplicemente la vive in ambito collettivo e per come la vive la intende giusta o no. E la legge stessa considera comunque in termini sociali quell'individuo e se l'eutanasia oggi presenta una problematica legislativa non è perché la legge prende in esame una particolare sensibilità individuale (che pur sussiste), ma perché esiste un ambito culturale collettivo e sociale in cui quella particolare sensibilità individuale trova pubblica ragion d'essere, per cui la scelta che sembra del singolo è già una scelta socialmente attuabile, il modo comune e pubblico di vedere le cose consente di sentirla e assumerla lecita. Resta comunque il "costume pubblico" che esprime la legge e i modi di sentire degli individui, ma mentre la legge la si può fissare uguale per tutti in forma scritta, gli individui no, essi vivono del loro diverso e sempre variante modo di sentire, che non è "scelto" da loro, ma partecipa di una determinazione sociale fatta di prassi condivise (e a loro volta varianti) nella quale possono sentirsi esclusi o compresi. Poi è chiaro che l'esclusione, quando coinvolge il modo di sentire sociale di più individui, può a sua volta determinare un diverso modo sociale condiviso e quindi forzare una riscrittura della legge e qui entra in ballo il discorso politico che riprendo alla fine.
Mi sembra chiaro che la posizione giuspositivista con il suo riferimento alla lettera intende mantenere il campo fermo, giacché solo a "bocce ferme" si può avere la formale certezza di un giudizio, ma in realtà le bocce non sono mai ferme, per questo occorre tener conto dello "spirito" che, per dirla come dice San Paolo vivifica, laddove la legge uccide. Anche se questo introduce un nuovo problema, perché lo spirito enunciato nella legge come "intenzione del legislatore", se preso a sua volta nel suo senso letterale non potrà che continuare a uccidere. E quindi il problema resta; né un'ermeneutica infinita, né una riduzione alla lettera che vede il significato espresso da ben definite connessioni sintattiche può risolverlo. Occorre, credo, in ogni caso, mantenersi in una posizione intermedia dettata da un "buon senso" pubblico sempre inevitabilmente discutibile.
Giustamente tu vedi nella posizione di Socrate nel "Critone" un richiamo giuspositivisco, però in fondo le Leggi rivolgono a Socrate una domanda (che possiamo sentirla anche in modo retorico, ma non è detto che la si debba sentire come tale), ossia gli chiedono se trova che esse si siano prese cura di lui, di lui proprio come individuo. Qui è l'individuo Socrate che è chiamato a giudicare le Leggi e non sulla loro lettera, ma sulla concreta cura che esse hanno saputo offrirgli. E Socrate le assolve: le Leggi hanno fatto ciò che dovevano, dunque, coerentemente, lui non trova giusto sottrarsi ad esse: la cura è stata propriamente esercitata, non per forma, non a priori, ma per sostanza. Egli quindi accetta la sua condanna a morte, pur sapendola ingiusta, proprio perché quelle leggi che bene lo hanno preso in cura, possano continuare a prendere in cura, come lui, ogni altro cittadino ateniese. In questo senso non avverto un'assunzione formale per cui la Legge domina assoluta con la sua perfezione a cui è doveroso conformarsi alla lettera, ma un giudizio politico sulle prassi (e non sintattico sulla forma) che ogni individuo dalla legge stessa è chiamato onestamente a esprimere assumendosene fino in fondo le conseguenze. Certo quel giudizio non è semplicemente di Socrate, soggetto individuale, partecipa della storia e della cultura in cui Socrate è vissuto, ma lui è chiamato nella sua individualità a farsene carico e, facendosene carico, assumendosene cioè una responsabilità politica, l'individuo nella "polis" torna al centro di ogni questione.  


     




Ottimo sviluppo argomentativo, che, nel suo complesso, non si può non condividere.
;)

Eutidemo

Citazione di: green demetr il 07 Novembre 2016, 00:24:51 AM
Direi che non è che il giuspositivismo fa parte del giusnaturalismo, ma il contrario, in quanto è evidente, che non esistendo Dio, ogni cosa è giuspositivista.

Nelle conferenza da me viste alla posizione giuridica positivisa di Zagrebelski, si è più volta contrapposta la posizione politica di Cacciari.
(pur entrambi schierati sul comune problema filosofico-giurdico del politico contemporaneo).
Fondamentalmente per l'uno il giuridico spiega il politico, per il secondo è il politico che informa il giuridico.

Con questa affermazione Zagrebelski indica più una costitutivo peso nel discorso positivo politico del giuridico, molto maggiore di quanto il politico spesso spera possa avere.
Cacciari invece intende dire che lo stesso discorso giuridico nasce come una forma del politico.

A sentire gli amici laureati in legge, molti dicono che la loro è una professione legata sopratutto alla circuizione delle leggi stesse, alla ricerca dei vuoti costituzionali, vuoti che appunto sarebbero lì mica per caso.

( e in generale il problemo del giuridico-giudaico-romano starebbe alla base di un discorso serio sul politico, ahimè l'opera fondamentale di questa tradizione, rimane non tradotta dal francese, quindi non ne so dire niente).


Tu sostieni: "... non è il giuspositivismo fa parte del giusnaturalismo, ma il contrario, in quanto è evidente, che non esistendo Dio, ogni cosa è giuspositivista."
Tale assunto si basa sul presupposto che il giusnaturalismo trovi il suo fondamento esclusivamente nella c.d. "legge divina"; come, in effetti, storicamente è spesso avvenuto.
Ma, in effetti, il giusnaturalismo può essere fondato anche su altri presupposti; come la RAGIONE, ovvero la FILOGENESI dei comportamenti (come da me sostenuto nella mia Tesi di Laurea).
Ed infatti, i criminali nazisti di Norimberga, non vennero condannati in base al "diritto positivo" (in fondo, loro, avevano semplicemente obbedito alla legge positiva del loro Paese), bensì in base al "diritto naturale" delle genti; "diritto naturale" , che, in quel caso, non era stato affatto invocato dai giudici come di ispirazione divina.
Come non necessariamente deve essere di ispirazione divina il "tirannicidio", e qualsiasi altra ribellione -o semplice disubbidienza civile o resistenza passiva- ad una legge dello Stato, che la nostra coscienza personale (o, a volte, di gruppo) ritiene iniqua.
8)
                                           ***
Quanto al dibattito tra Zagrebelski e Cacciari, non vi ho assistito; ma in generale , secondo me, la contrapposizione tra visione "positivista" (rectius: "giuridica") del primo e quella "politica" del secondo, esula dalla tematica della contrapposizione tra "giuspositivismo" e "giusnaturalismo", di cui alla presente discussione.
Ed infatti:
1)
La contrapposizione tra visione "positivista" (rectius: "giuridica") e visione "politica", attiene al diverso approccio "euristico" con il quale si affrontano determinate problematiche, in quanto:
- l'approccio giuridico attiene alla esegesi ed alla valutazione tecnica di determinate disposizioni di legge, che possono, sotto tale profilo, essere considerate giuridicamente difettose e contraddittorie, oltre che scadenti nel loro complesso (come, a mio avviso, la legge di riforma costituzionale che andremo presto a votare);
- l'approccio politico, invece, prescinde dall'analisi tecnica del testo di legge, e della sua maggiore o minore perspicuità giuridica, ma attiene soprattutto alla valutazione dell'impatto istituzionale, sociale, economico (ed anche culturale) che determinate normative possono -o potrebbero- avere, e mira, precipuamente, a cambiare o a conservare una certa legislazione, più che ad interpretarla. 
Si tratta di due approcci che, a mio avviso, andrebbero entrambi congiuntamente sviluppati, nell'affrontare una stessa problematica; ma non sempre le competenze di chi la affronta sono parimenti adeguate alla bisogna...il che è naturale, perchè, a differenza che nell'antica Grecia, al giorno d'oggi il "tuttologi" non esistono più.
2)
La contrapposizione tra "giuspositivismo" e "giusnaturalismo", invece, in un certo senso, potrebbe definirsi "metagiuridica" e "metapolitica", in quanto squisitamente FILOSOFICA: è una problematica, cioè, che si svolge su un PIANO DIVERSO.
Ovviamente nessuno vive nel mondo "iperuranio", per cui è ovvio che, nel decidere se prestare o meno osservanza ad una legge scritta, occorre previamente capire CHE COSA SIGNIFICA, sia giuridicamente che politicamente; ma, una volta effettuata tale operazione, starà alla nostra coscienza individuale decidere se, nonostante il nostro personale eventuale disaccordo, sia più giusto prestarle "giuspositivamente"obbedienza, ovvero "giusnaturalisticamente" negargliela.
                                                 ***
Quanto ai tuoi amici laureati in legge, tu riferisci che: "...molti dicono che la loro è una professione legata sopratutto alla circuizione delle leggi stesse, alla ricerca dei vuoti costituzionali, vuoti che appunto sarebbero lì mica per caso."
Al riguardo, sarebbe meglio precisare a chi ti riferisci, in quanto la "laurea in legge" non è una professione, mentre lo sono le successive specializzazioni (avvocato, giudice e notaio); e, a seconda della strada professionale intrapresa, il modo di affrontare le varie problematiche giuridiche è COMPLETAMENTE DIVERSO.
E "deve" esserlo, in quanto (lasciando perdere il NOTAIO):
1) L'AVVOCATO, nei limiti del dovere di lealtà e probità processuale sancito dall'art.88 c.p.p. (la cui violazione comporta sanzioni), deve principalmente DIFENDERE il proprio assistito; per cui deve "doverosamente" mettere in risalto l'interpretazione della legge a lui più favorevole.
2)  IL GIUDICE, invece, non deve difendere nessuna parte, ma deve semplicemente interpretare la legge ed i fatti ("ixta alligata et probata partium"), nel modo che a lui sembra più giusto.
Ma da qui a dire che la legge ognuno la legge la interpreta come gli pare, ce ne corre.
Ed infatti, anche il diritto, in fondo, è una "scienza" (ancorchè umanistica); ma, in tutte le scienze, anche quelle fisiche, si possono avere teorie e diverse interpretazioni degli stessi fenomeni.
Il che è perfettamente legittimo, a meno che non ci sia qualcuno che si mette a barare: come l'avvocato che produce falsi testimoni, il giudice che si lascia corrompere...o il paleontologo che falsifica i fossili (come il famoso "cranio di Piltdown).
;D
                                                      ***
Purtroppo, soprattutto in Italia, tale "quadro" viene inquinato da un problema di fondo: TROPPE LEGGI E SCRITTE TROPPO MALE!!!
Come diceva Tacito: "PESSIMA REPUBLICA PURIMAE LEGES!!!".
Ed infatti, secondo "Yahoo Answers" il numero delle leggi varate dai parlamenti europei, ad oggi, sarebbe il seguente: 
1. Gran Bretagna: 3.000 leggi
2. Germania: 5.500 leggi
3. Francia: 7.000 leggi
4.Italia: 150.000 - 200.000 leggi.
Sinceramente, mi pare un po' eccessivo.
Secondo Normattiva, invece, un più serio progetto della Presidenza del Consiglio dei Ministri, del Senato e della Camera dei Deputati – in collaborazione con la Corte Suprema di Cassazione, l'Agenzia per l'Italia Digitale e l'Istituto poligrafico della Zecca dello Stato, invece, le leggi italiane sono circa 75.000: più di dieci volte la seconda in classifica.
Detto tra parentesi, trovo, quindi, SORPRENDENTE che qualcuno osi sostenere che il "bicameralismo paritario" rallenta la produzione delle leggi; e meno male che le rallenta....se fosse vero, io le camere le raddoppierei invece di dimezzarle!!!
;D

Quanto ai "tempi medi" di approvazione, i ddl governativi (che sono quelli più importanti) vengono approvati nella media dei tempi europei; i ddl di iniziativa parlamentare, invece, hanno tempi di esame veramente "biblici", ma per il semplice fatto che i parlamentari inondano le camere con MIGLIAIA di ddl all'anno, per cui è OVVIO che i tempi di risposta si allunghino.
Se mi arrivano 5 e-mail al giorno, rispondo a tutte il giorno dopo, ma se me ne arrivano 500, alla maggior parte rispondero nel giro di mesi o di anni!
State attenti quando vi fanno il gioco delle tre carte sotto il naso!
;)

Scusate la divagazione un po' "off topics", ma era solo per mettere in rilievo come,  TROPPE LEGGI (molte scritte male), comportino un eccessivo lavoro per l'interprete, e, molto spesso, comportino l'INOSSERVANZA DELLA LEGGE SCRITTA!
                                                ***
 Quanto al problema del diritto "giuridico-giudaico-romano", sinceramente, è un tema che non conosco, in quanto ignoravo del tutto che ci fosse stata una qualche "contaminatio" in tal senso (a parte, forse, nel Diritto Canonico).
Mi piacerebbe saperne qualcosa di più al riguardo, perchè trovo la cosa molto interessante...per cui, se puoi, dammi qualche riferimento.
Grazie!
:)

baylham

La differenza tra giusnaturalismo e il positivismo giuridico non va individuata nell'atteggiamento di osservanza o meno della norma da parte del singolo individuo, la sua coscienza morale contrapposta alla legge vigente; una condizione, uno stato di fatto che è insopprimibile.

Come giustamente riassume Bobbio in Giusnaturalismo e positivismo giuridico, la differenza sostanziale è che per il giusnaturalismo ci sono due diritti concorrenti, il diritto naturale e il diritto positivo, mentre per il positivismo giuridico c'è esclusivamente il diritto positivo. Perciò ritengo il giusnaturalismo una concezione del diritto incoerente ed obsoleta.

Eutidemo

Citazione di: baylham il 07 Novembre 2016, 11:47:54 AM
La differenza tra giusnaturalismo e il positivismo giuridico non va individuata nell'atteggiamento di osservanza o meno della norma da parte del singolo individuo, la sua coscienza morale contrapposta alla legge vigente; una condizione, uno stato di fatto che è insopprimibile.

Come giustamente riassume Bobbio in Giusnaturalismo e positivismo giuridico, la differenza sostanziale è che per il giusnaturalismo ci sono due diritti concorrenti, il diritto naturale e il diritto positivo, mentre per il positivismo giuridico c'è esclusivamente il diritto positivo. Perciò ritengo il giusnaturalismo una concezione del diritto incoerente ed obsoleta.

Tu scrivi che la legge vigente è: "... una condizione, uno stato di fatto, che è insopprimibile."
Al riguardo:
- che si tratti di uno "stato di fatto" (anzi, di diritto), nessuno lo mette in dubbio;
- che, invece, sia "insopprimibile", è alquanto opinabile, poichè si tratta di uno  "stato di fatto" che è stato molte volte sovvertito dalle rivoluzioni, ovvero disatteso individualmente dalla resistenza (attiva e/o passiva) dei cittadini.
Bobbio dice che la differenza sostanziale è che per il giusnaturalismo ci sono due diritti concorrenti, il diritto naturale e il diritto positivo, mentre per il positivismo giuridico c'è esclusivamente il diritto positivo; questo è generalmente vero, con l'eccezione di alcune Costituzioni più evolute, come quella del Brandenburgo, da me già citata, la quale,  all'art. 6 afferma: "Contro le leggi in contrasto con la morale e l'umanità sussiste un diritto di resistenza".
Quindi, anche i diritto positivo a volte riconosce l'esistenza, e, anzi, la supremazia del diritto naturale. 
Circa il fatto, poi, che il "giusnaturalismo" sia una concezione del diritto incoerente ed obsoleta, secondo me è obsoleta proprio tale convinzione; che risale al  "positivismo" ottocentesco.
A tale ottocentesca concezione, invero, tentarono di aggrapparsi -peraltro, a volte, non senza un qualche fondamento- gli avvocati dei gerarchi nazisti nel Processo di Norimberga; ma i loro assistiti vennero quasi tutti condannati (molti dei quali all'impiccagione).
Credo che a loro il "giusnaturalismo" non sembrò poi così obsloleto, quando si ritrovarono con la corda al collo.
:-\
Ed anche più recentemente, alcuni Capi di Stato (come Karadžić, che è stato condannato nel marzo 2016 a 40 anni di reclusione) sono stati condannati, oltre che per la specifica violazione di norme scritte, anche  per "crimini contro la morale l'umanità"; le cui fattispecie, come nell'art.6 della Costituzione Brandemburghese, non sono mai state positivamente codificate, nè del loro Paese, nè del Diritto Internazionale, essendo rimesse a principi  "latu sensu " giusnaturalistici".
I quali, quindi, PER FORTUNA, sono più attuali che mai; essendo, però, ovviamente obsolete le concezioni "giusnaturalistiche" medievali (a cui precipuamente si riferisce Bobbio).
;)

baylham

La condizione, lo stato di fatto insopprimibile cui mi riferivo è la libertà del singolo o di gruppi di accettare o respingere la legge. IN realtà ciò è valido indipendentemente dalla concezione che si abbia del diritto.

L'art. 6 del Brandeburgo è un esempio di circolo logico autoreferenziale contraddittorio, paradossale, a meno che non sia riferito alle leggi di un altro Stato. Il processo di Norimberga e simili pongono numerosi problemi di legalità del diritto internazionale, non necessariamente collegati al tema in discussione e che comunque non sono in grado di valutare per la mia ignoranza.

Che delle leggi facciano riferimento alla morale, agli usi o ai costumi per regolare dei comportamenti imprevedibili fa parte delle norme di chiusura di un sistema giuridico, anche se generalmente le norme penali lo escludono.

Trovo incoerente che ci siano due diritti, quello positivo e quello naturale, resto convinto con Bobbio che il diritto sia unico. Trovo  obsoleta l'ipotesi di un ordine della natura che giustifica il diritto naturale, come mostra l'altro tema aperto nel forum "Nulla è contro natura".

Bobbio non si riferiva affatto al giusnaturalismo medioevale, anzi la sua riflessione giuridica e filosofica nel volume citato prendeva spunto proprio dalla rinascita nel dopoguerra del giusnaturalismo a causa dei crimini nazisti.

Eutidemo

Citazione di: baylham il 07 Novembre 2016, 15:10:54 PM
La condizione, lo stato di fatto insopprimibile cui mi riferivo è la libertà del singolo o di gruppi di accettare o respingere la legge. IN realtà ciò è valido indipendentemente dalla concezione che si abbia del diritto.

L'art. 6 del Brandeburgo è un esempio di circolo logico autoreferenziale contraddittorio, paradossale, a meno che non sia riferito alle leggi di un altro Stato. Il processo di Norimberga e simili pongono numerosi problemi di legalità del diritto internazionale, non necessariamente collegati al tema in discussione e che comunque non sono in grado di valutare per la mia ignoranza.

Che delle leggi facciano riferimento alla morale, agli usi o ai costumi per regolare dei comportamenti imprevedibili fa parte delle norme di chiusura di un sistema giuridico, anche se generalmente le norme penali lo escludono.

Trovo incoerente che ci siano due diritti, quello positivo e quello naturale, resto convinto con Bobbio che il diritto sia unico. Trovo  obsoleta l'ipotesi di un ordine della natura che giustifica il diritto naturale, come mostra l'altro tema aperto nel forum "Nulla è contro natura".

Bobbio non si riferiva affatto al giusnaturalismo medioevale, anzi la sua riflessione giuridica e filosofica nel volume citato prendeva spunto proprio dalla rinascita nel dopoguerra del giusnaturalismo a causa dei crimini nazisti.


Chiedo scusa, Baylham, quando avevi parlato di "condizione e di stato di fatto insopprimibile", non avevo capito che intendevi  riferirti alla libertà del singolo o di gruppi di accettare o respingere la legge (che è valido indipendentemente dalla concezione che si abbia del diritto); messa la questione in questi termini, infatti, almeno se ora ho compreso meglio il tuo pensiero, sono d'accordo con te.
Quanto all'art. 6 della Costituzione del Brandeburgo, in effetti, diritti di "resistenza" analoghi sono previsti anche nella Costituzione dell' Assia e di Brema (sempre del secondo dopoguerra); e non mi sembra che si tratti di circolo logico autoreferenziale contraddittorio, in quanto non c'è nulla di contraddittorio nel fatto che la stessa Costituzione di uno Stato ammetta che, nel caso di violazione dei diritti fondamentali di giustizia e di umanità, i cittadini (singolarmente e/o collettivamente) abbiano il diritto di "resistere" alla legge scritta ordinaria, che li viola.
Tale tipo di norme, in buona parte, forse sono derivati da un abuso del "giuspositivismo" ai tempi del Nazifascismo; ed in effetti, la stessa Sottocommissione incaricata di elaborare la prima parte della nostra stessa Costituzione, al 2° comma dell'art.50, voleva inserire la seguente analoga disposizione, "Quando i pubblici poteri violino le libertà fondamentali ed i diritti garantiti dalla costituzione, la resistenza all'oppressione è diritto e dovere del cittadino". 
Ma poi, visto il clima di scontro politico tra DC e PCI, e poichè la parola "resistenza" suonava troppo vicina a quella di "rivoluzione", tale disposizione venne stralciata.
Però, hai perfettamente ragione nel dire che il processo di Norimberga e simili pongono numerosi problemi di legalità del diritto internazionale, non necessariamente collegati al tema in discussione; ma, questo, non tanto per quanto concerne l'applicazione di principi di carattere giusnaturalistico, quanto, piuttosto, per alcune palesi "disparità di trattamento".
Per esempio, l'Ammiraglio Karl Dönitz venne condannato (anche se non a morte) per un ordine concernente la guerra sottomarina indiscriminata, che, con le stesse identiche modalità, era stato emanato anche dall'Ammiraglio Chester Nimitz, comandante della flotta USA nel Pacifico nella guerra sottomarina contro i Giapponesi; cosa che lo stesso Nimitz dovette ammettere, ma che non fu mai processato per questo.
Ed avevano pure la stessa desinenza in ;D
Ora, se è vero che la storia la fanno sempre i vincitori, per la giustizia (soprattutto quella "naturale"), non dovrebbe essere così.
Ma tant'è! ???
Ma, a parte questo, secondo me, sarebbe stato (ed è tutt'ora) inaccettabile che un qualunque soggetto, politico o militare, possa nascondersi dietro il dito di "aver obbedito alla legge scritta" del suo Stato, per essere esonerato da qualsiasi responsabilità, anche in caso di crimini contro l'umanità; sarebbe troppo comodo, ed è avvenuto troppo spesso in passato, perchè la cosa possa ripetersi ancora.
Per cui ritengo del tutto GIUSTO (giusnaturalisticamente parlando) che i responsabili dell'olocausto siano stati condannati a morte ed impiccati; e che i loro corpi siano stati bruciati nei forni crematori di DACHAU, e le loro ceneri disperse nell'acqua.
E, questo, non solo per rendere giustizia ai milioni di loro vittime...ma anche come monito perchè tale abominio non si verifichi ancora, potendosi i criminali fare scudo dell'alibi "giuspositivistico".
Per cui, su tale punto, nel mio piccolo, dissento RADICALMENTE dal pensiero di Bobbio; pur riconoscendone l'autorevolezza e la competenza giuridica, che sono DI GRAN LUNGA superiori alla mia.
Secondo me, infatti, non c'è epoca in cui un "aggiornato" giusnaturalismo sia più attuale,di quella attuale.

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