Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica

Aperto da Vito J. Ceravolo, 02 Febbraio 2020, 18:09:52 PM

Discussione precedente - Discussione successiva

Phil

Citazione di: Sariputra il 20 Febbraio 2020, 15:21:43 PM
Già 2.000 anni fa Yeoshwa raccomandava: "il vostro dire sia  sì sì, no no, tutto il resto viene dal...E infatti oppose il nobile silenzio alla domanda pragmatica di Pilato: "COSA è la verità?"
Evidenziando come la 'verità' non sia una categoria del linguaggio, molto saggiamente direi.
Probabilmente Yeoshwa non rientra nella casistica della menzogna proposta da Noudelmann; tuttavia, considerando che si era presentato come «io sono la verità», è inevitabile che non potesse avere una concezione della verità come mera categoria linguistica (al di là della condizione della linguistica come disciplina alla sua epoca o la sua eventuale conoscenza in merito). Trovo interessante, pur non essendo un filologo né tantomeno un esegeta biblico, che la verità di cui si parla nella bibbia, quindi quella fatta uscire dalla bocca di Yeoshwa, nella versione greca è «aletheia», quindi "disvelamento", o ancor meglio, «rivelazione» (trattandosi di religione rivelata). La rivelazione implica decisamente un andare oltre il linguaggio, verso il mondo degli eventi (o verso il cielo delle Verità assolute, o entrambi).
La verità intesa odiernamente credo abbia sostituito pian piano il concetto di "rivelazione" con quello di adaequatio (medievali), "isomorfismo" (Wittgenstein), corrispondenza, etc.; il che potrebbe riassegnare l'aletheia-rivelazione alla sua dimensione spirituale di pertinenza (non risolvendo comunque l'attuale uso ambiguo della parola «verità»).

Può essere significativo anche rintracciare una differenza fra aletheia-greca e veritas-latina:
«Il termine veritas rimanda a qualcosa da accettare in quanto conforme ad una realtà oggettiva non da svelare attraverso la conoscenza. Un significato opposto quindi al termine alètheia: nel caso della veritas si tratta di dimostrare la conformità di un'asserzione alla realtà mentre per quanto riguarda l'alètheia la comprensione della realtà è insita nello stesso svelamento» (tratto da qui) oppure «I romani fanno di veritas un concetto legato alla giustizia e al diritto mentre in Grecia alétheia è espressione della Tradizione e di ciò che non deve essere dimenticato. In un caso verità è strumento dei giudici nell'altro è espressione dei poeti» (tratto da qui).

Ipazia

La necessità di forzare una verità antropologica è data dalla determinazione della verità costituita nel suo volersi imporre con la forza. L'ateismo illuministico non poteva permettersi mezze misure di fronte ai campestri dell'Inquisizione cui contrappose alfine la ghigliottina. Mutatis mutandis...

L'universo antropologico necessita di verità forti per conseguire l'adaequatio tra cosa e intelletto sociali, invadendo il campo semantico della giustizia. Emulando così pure la verità forte della natura e delle sue leggi in un processo che è tanto più persuasivo quanto più le due verità dialogano tra loro. In questo dialogare ritengo si collochi la verità filosofica. Nel punto di intersezione tra a-letheia e veritas, disvelamento e nomos, laddove costantemente si riscrive l'episteme. Che avrà pure un carattere transeunte e convenzionale, ma in alternativa a niente, come si dice, meglio un piuttosto, intersoggettivamente autorevole.

Questa diveniente rifondazione normativa annulla le pretese dell'in sè e dei centri di gravità assoluti che la sua metafisica richiede. Annullando al contempo la semantica assolutistica della menzogna e le contrapposizioni radicali tra vero e falso, bene e male. Che non vengono nichilisticamente nullificate, ma ricondotte ermeneuticamente al sistema (dialettico) in cui storicamente (ethos) operano.

(Più concretamente, sul versante naturalistico etologico, ritengo non infondata la ricerca di un fondamento di verità prelogico nell'interazione sensibile tra il vivente e il suo ambiente. Fondamento codificato dall'eredità genetica ed educato dalle cure parentali, anche in assenza di un linguaggio logico che è prerogativa umana, peraltro assente nella primissima età evolutiva, non certo priva di relazioni tra cucciolo e ambiente che prefigurano un rudimentale e istintivo contesto di verità)
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

Phil

Citazione di: Ipazia il 20 Febbraio 2020, 19:47:49 PM
L'universo antropologico necessita di verità forti per conseguire l'adaequatio tra cosa e intelletto sociali, invadendo il campo semantico della giustizia.
Per me fra quella cosa e quell'intelletto, non c'è verità, ma interpretazione (al di qua della tautologia «le leggi dello stato sono leggi "vere" per i suoi cittadini»). Mentre la realtà esterna e l'intelletto interno (all'uomo) sono due "elementi" ben differenti (Cartesio docet), la "cosa sociale" e l'"intelletto sociale" sono invece due aspetti dello stesso unico "elemento", la società, la cui autocomprensione "di massa" è il fondamento delle veritas che ogni società si racconta (e tali racconti innescano, come detto, eventi reali).
Per quanto riguarda i bisogni primari (o maslowiani) siamo in fondo come bambini: non percepisco la verità della fame, percepisco la fame e basta; così come quando sono sazio non percepisco la falsità della fame (e non sento la verità dell'essere realizzato, ma mi sento realizzato e basta, inversamente, non sento la falsità della mia realizzazione, ma mi sento non-realizzato).


P.s.
Citazione di: Ipazia il 20 Febbraio 2020, 19:47:49 PM
(Più concretamente, sul versante naturalistico etologico, ritengo non infondata la ricerca di un fondamento di verità prelogico nell'interazione sensibile tra il vivente e il suo ambiente. Fondamento codificato dall'eredità genetica ed educato dalle cure parentali, anche in assenza di un linguaggio logico che è prerogativa umana, peraltro assente nella primissima età evolutiva, non certo priva di relazioni tra cucciolo e ambiente che prefigurano un rudimentale e istintivo contesto di verità)
In tale intersezione vivente/ambiente, a mio modesto parere, non c'è fondamento prelogico della verità: c'è stimolo/risposta sensoriali, piacere/dolore, etc. solo quando si innesca una narrazione su tutto ciò, il discorso si apre alla possibilità di verità/falsità.
Quando il cucciolo-bambino si relaziona all'ambiente o alla madre, secondo me, non usa le categorie di verità/falsità, semmai quella di identità-riconoscimento: se vede una donna minacciosa che gli porge la mano, suppongo il pargolo non concettualizzi pensando «non è vero che lei è mia madre» o «lei è una falsa mamma», quanto piuttosto (parlo da ignorante in materia) direi che non riconosce nella donna l'identità della madre e/o identifica quell'atteggiamento sconosciuto come pericoloso (probabilmente la sua logica identifica per affermazione e negazione, «mamma» e «non-mamma», ma non per finzione/realtà: «falsa mamma» vs «vera mamma»). L'ingenuità dei bambini (almeno fino ad una certa età) consiste forse proprio nel non concepire il falso, la menzogna, etc. senza i quali la verità non può determinarsi, coincidendo a tal punto con l'esistenza: come dicevo, la falsa esistenza è infatti artificio solo del discorso (o dei giochi di prestigio o degli effetti speciali cinematografici, ma non cavillerei troppo).

green demetr

sulle ultime considerazioni di Sariputra e Phil e Ipazia

La verità non è una accezione formale come qualla presunta dal filosofo che avete citato.
La verità è invece come dal maestro Nietzche fatto notare in EX ERGO dall'inizio, il modo da cui prende avvio la filosofia.
Ma è il nostro amato maestro del sospetto che fa notate, e "perchè non dalla menzogna?".
Ed è da questa verità minore che si può partire, ossia che la Verità quella in tonalità maggiore sia solo una ideologia.
Esattamente come qualsiasi formalismo sari-buddista o philliano è una ideologia vessatoria della condizione paranoica.
Vessatoria perchè come al solito non pensa il reale.
E il reale non è il naturale. Purtroppo anche Paul fa questo errore.
Nemmeno il reale fugge all'astrazione in realtà, questo per stroncare anche le velleità ipaziane.
Questo in estrema sintesi il problema odierno nel forum.
Ci metterei anche Ceravolo perchè questa idea della cosa in sè mi sa molto di Natura.
Ma prima voglio capire meglio.  ;) può essere che mi sbagli (difficile ma possibile).


Questa in estrema sintesi le ancore del forum.


Gli altri utenti hanno posizioni che sono troppo ristrette di visuale o troppo apodittiche.

Vai avanti tu che mi vien da ridere

Ipazia

Citazione di: green demetr il 21 Febbraio 2020, 11:44:35 AM
Nemmeno il reale fugge all'astrazione in realtà, questo per stroncare anche le velleità ipaziane.

Il reale (concetto) è parte del cogito che è parte della natura che riporta alla terra e a Nietzsche di cui - ma più gaiamente di lui - condivido le velleità. L'astrazione, liberata (decostruita) dalle illusioni platoniche e neo, è un ottimo strumento deduttivo di ordinamento antropomorfico della realtà (reale, fisica, materiale,...), comunque necessario alla via umana della conoscenza.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

paul11

Citazione di: green demetr il 21 Febbraio 2020, 11:44:35 AM

E il reale non è il naturale. Purtroppo anche Paul fa questo errore.



..e ancora mi pensi naturalista?


Se utilizziamo i nostri piedi o l'automobile e non vogliamo cozzare contro un muro o fare incidenti, abbiamo necessità che funzionino i sensi e il cervello attraverso l'attenzione e la concentrazione.
Significa che almeno "parte" della realtà fisica indubbiamente la conosciamo,almeno per sopravvivere.


Il reale fu prima un concetto metafisico come il razionale, poi la mimesi moderna ha mutato  i significati.
Affinchè si possa costruire una filosofia, oggi regna l'anti-filosofia che ha plagiato le moltitudine umane per renderle servizievoli agli apparati, è necessario seguire un'analitica e una sintesi appunto utilizzando induzione e deduzione. Per potere accedere alla ragione in sè, è necessario che la realtà naturale venga portata al reale dell' in sè e non può eludere il fenomeno fisico, sarebbe allora fantasia. Insomma perchè funzioni l'induttivo che sale dal particolare della realtà naturale all'in sè della ragione e il deduttivo che scende dall'in sè della ragione al particolare della realtà naturale, siano coerenti.
L'errore è eludere o il mondo naturale o l'in sè della ragione, non sarebbe più filosofia, sarebbe chiacchiera.

Ipazia

Citazione di: Phil il 20 Febbraio 2020, 22:15:33 PM

Per quanto riguarda i bisogni primari (o maslowiani) siamo in fondo come bambini: non percepisco la verità della fame, percepisco la fame e basta; così come quando sono sazio non percepisco la falsità della fame (e non sento la verità dell'essere realizzato, ma mi sento realizzato e basta, inversamente, non sento la falsità della mia realizzazione, ma mi sento non-realizzato).
...
In tale intersezione vivente/ambiente, a mio modesto parere, non c'è fondamento prelogico della verità: c'è stimolo/risposta sensoriali, piacere/dolore, etc. solo quando si innesca una narrazione su tutto ciò, il discorso si apre alla possibilità di verità/falsità.
Quando il cucciolo-bambino si relaziona all'ambiente o alla madre, secondo me, non usa le categorie di verità/falsità, semmai quella di identità-riconoscimento: se vede una donna minacciosa che gli porge la mano, suppongo il pargolo non concettualizzi pensando «non è vero che lei è mia madre» o «lei è una falsa mamma», quanto piuttosto (parlo da ignorante in materia) direi che non riconosce nella donna l'identità della madre e/o identifica quell'atteggiamento sconosciuto come pericoloso (probabilmente la sua logica identifica per affermazione e negazione, «mamma» e «non-mamma», ma non per finzione/realtà: «falsa mamma» vs «vera mamma»). L'ingenuità dei bambini (almeno fino ad una certa età) consiste forse proprio nel non concepire il falso, la menzogna, etc. senza i quali la verità non può determinarsi, coincidendo a tal punto con l'esistenza: come dicevo, la falsa esistenza è infatti artificio solo del discorso (o dei giochi di prestigio o degli effetti speciali cinematografici, ma non cavillerei troppo).

Trovo artificioso, quasi ideologico, limitare la coppia verità/falsità alle forme e formalismi della ragione. La (dis)equazione:

mamma ≠ non mamma

è fatta propria dal cucciolo ben prima che la verità/falsità logica gli sia nota. Ed anche se confonde, ed io con lui, l'identità con la verità, tale confusione gli è veridicamente propedeutica alla sopravvivenza prima, e al ragionamento sul mondo che lo circonda, poi.

Nella ricerca dei fondamenti prelogici della verità vi stanno certamente i piani bassi della grafica maslowiana che, passando dai bisogni agli strumenti per soddisfarli, coinvolgono tutta la nostra sensorialità nella veridica e prelogica lotta per la sopravvivenza laddove il falso e il vero della percezione sensoriale passano attraverso la stretta cruna dell'ago di un agguato/fuga riusciti.

In tal caso la lettura vera o falsa del fatto naturale fa la differenza e  il bravo predatore/preda lo impara assai presto, confermando con la sua longevità di avere bene appreso, non sul piano logico ma su quello fatale, cognitivo, la differenza tra vero e falso di un messaggio sensoriale (olfattivo, uditivo, visivo,...)
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

Vito J. Ceravolo

Ciao,
ho raccolto diverso materiale da questo confronto è spero di riuscire a far emergere una sintesi degna delle note che avete messo in evidenza. Più che chiamarlo "arenato" direi che siamo arrivati a un punto in cui gli argomenti principali sono stati scandagliati; e mi scuso se ci sono stati alcuni vostri argomenti che ho guardato solo da lontanto... In ogni caso, per adesso vi ringrazio tutti nessuno escluso.

P.S. peccato che non c'è più la formattazione del testo... l'espressione filosofica ne risente.



Se questo che segue fosse un sillogismo...

Paul: L'uomo appartiene alla natura
Lou: La natura non appartiene all'uomo
Jean: Il pensiero dell'uomo non appartiene alla natura

...accogliendo le premesse di Paul e Lou, la conclusione di Jean, cercando soluzioni, dovrebbe essere che il pensiero dell'uomo è un'evoluzione della naturale che acquista capacità artificiali, cioè con capacità di assemblare la natura in modo non adattivo (naturale) ma adattandola (artificiale).
Se questo fosse un sillogismo...



Ciao Niko,
letto con piacere e condividendo in gran parte i tuoi passaggi, ringraziandoti per la premura, arrivo alla fine del tuo discorso dove però devi scusarmi se mi distanzio:

Il nulla relativo è pur sempre un essere che in quanto essere non può divenire un non-essere.
Il nulla assoluto non è un sottoinsieme del nulla relativo né viceversa, poiché non-essere.
Quindi è vero che fra i due esiste solo il nulla relativo, che quindi è un essere, mentre il nulla assoluto non esiste, quindi non è.

Il paradosso che ne deriva e di cui parli alla fine... esiste e fa parte dei problemi del fondamento e io non parlo qui del fondamento, ma è un problema formalmente e semanticamente risolto in "Infinito. Principi supremi" (un  libro). Ma non importa: sospendiamo qui il discorso, scusandomi se qui e ora mi fermo alla sola discussione del paradigma in esame, evitando ogni discorso intorno al fondamento.



Ciao Ipazia,
letto con piacere la tua risposta. 



A presto
VjC

Vito J. Ceravolo

#173
È così difficile parlare della vita... guardo la vostra scioltezza e mi galvanizza, a me che riesco a dire una cosa sulla vita ogni 100 pagine di teoretica...
Le forme e i concetti più astratti mi aiutano solo a non perdermi nella grande confusione del caos fenomenico... nella vita, nell'uomo, nella politica sino all'arte, il cuore, ma anche presso la più bruta delle materie.
È un argomento stupefacente la vita. Dovrebbe essere nostro compito disegnarla quanto più bella si possa, senza paura di trovare un limite.
Peccato che io sulla vita ho poche parole.

bobmax

Citazione di: Vito J. Ceravolo il 21 Febbraio 2020, 18:34:01 PM
È così difficile parlare della vita... guardo la vostra scioltezza e mi galvanizza, a me che riesco a dire una cosa sulla vita ogni 100 pagine di teoretica...
Le forme e i concetti più astratti mi aiutano solo a non perdermi nella grande confusione del caos fenomenico... nella vita, nell'uomo, nella politica sino all'arte, il cuore, ma anche presso la più bruta delle materie.
È un argomento stupefacente la vita. Dovrebbe essere nostro compito disegnarla quanto più bella si possa, senza paura di trovare un limite.
Peccato che io sulla vita ho poche parole.

Aver poche parole, riguardo alla vita, è già un buon punto di partenza.

Perché rivela, a mio parere, la necessità di fare un passo indietro.
Avviene sempre così, quando avvertiamo il sacro.

Le parole verranno. Quando la teoria non basterà più.
E allora le parole saranno per te dense di significato, cifre di ciò che è inesprimibile.

Ma non sarà facile comunicare.
Perché l'autentica comunicazione è rara, il più delle volte vi è solo mero chiacchiericcio...
Tardi ti ho amata, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amata. Tu eri con me, mentre io ero lontano da te.

Phil

Citazione di: green demetr il 21 Febbraio 2020, 11:44:35 AM
Esattamente come qualsiasi formalismo sari-buddista o philliano è una ideologia vessatoria della condizione paranoica.
Vessatoria perchè come al solito non pensa il reale.
Per me non si può pensare il reale (inteso come mondo esterno al singolo pensante); il reale si percepisce, si vive, etc. si può invece pensare al reale (mnemonicamente) o pensare un discorso sul reale, ovvero una sua concettualizzazione.
In quanto discorso, le sue regole (logiche, linguistiche, concettuali, etc.) credo non vadano confuse con leggi di altro tipo (siano esse della natura, della giurisprudenza o altro), che ovviamente non vengono sostituite da tale discorso, ma semmai "raccontate" e "indicate" da esso.
Il discorso sul reale non è il reale, sebbene influenzi il reale nel momento in cui diventa azione o comunicazione (che quindi innesca azioni altrui). Distinguere il discorso dal reale, non è escludere il reale o rinnegarlo, ma essere consapevoli dello scarto fra narrazione e "res exstensa" (di cui il narrante fa parte, ma non divaghiamo), fra verità del/nel discorso ed esistenza alinguistica, fra tutti i sutra e il sorriso di Buddha a Kasyapa (oppure, giocando sull'ambiguità del termine, fra «verità» come funzione logica e "verità" come realtà extra-logica).


Citazione di: Ipazia il 21 Febbraio 2020, 16:03:29 PM
La (dis)equazione:

mamma ≠ non mamma

è fatta propria dal cucciolo ben prima che la verità/falsità logica gli sia nota. Ed anche se confonde, ed io con lui, l'identità con la verità, tale confusione gli è veridicamente propedeutica alla sopravvivenza prima, e al ragionamento sul mondo che lo circonda, poi.
Intendevo esattamente questo; la conoscenza di quella (dis)equazione è proprio ciò che consente al cucciolo di (soprav)vivere anche senza fare ragionamenti (pre)logici di vero/falso. Essendogli ignota la distinzione vero/falso, non si può dire che egli faccia confusione: non può confondere ciò che usa con ciò che non (ri)conosce, semplicemente perché non gli è ancora stata insegnata (noi adulti dovremmo avere qualche scusante in meno).
Citazione di: Ipazia il 21 Febbraio 2020, 16:03:29 PM
coinvolgono tutta la nostra sensorialità nella veridica e prelogica lotta per la sopravvivenza laddove il falso e il vero della percezione sensoriale passano attraverso la stretta cruna dell'ago di un agguato/fuga riusciti.

In tal caso la lettura vera o falsa del fatto naturale fa la differenza e  il bravo predatore/preda lo impara assai presto, confermando con la sua longevità di avere bene appreso, non sul piano logico ma su quello fatale, cognitivo, la differenza tra vero e falso di un messaggio sensoriale (olfattivo, uditivo, visivo,...)
Più che la «lettura di», direi il «discorso (umano) su» verità/falsità del fatto naturale: dal canto suo, il predatore "legge" gli eventi tramite vero/falso o tramite, ad esempio, identificazione predabile/non-predabile? Davvero quando la preda vede sbucare il predatore da un cespuglio pensa concettualmente «diamine! quello era un falso arbusto! In verità era un predatore nascosto!» piuttosto che semplicemente «fuga!» o, ancor più verosimilmente, nemmeno quello? Scherzi a parte, chiaramente non ho prove di quel che passa nella testa degli animali, faccio solo la mia scommessa "alla cieca". Noi umani lo raccontiamo nei documentari in stile National Geographic usando le categorie di vero/falso, ma non so se sia lecito proiettare "antropocentricamente" le nostre categorie narrative nella mente del leone (piuttosto diversa della nostra, suppongo).


P.s.
Citazione di: Ipazia il 21 Febbraio 2020, 16:03:29 PM
Trovo artificioso, quasi ideologico, limitare la coppia verità/falsità alle forme e formalismi della ragione.
Secondo me, aiuta ad essere meno ambigui nei discorsi riguardo «verità», «realtà», «coerenza», «esistenza», etc. certamente la ricerca di accuratezza rischia di sconfinare nell'artificioso (questione di "unità di misura"). Ammetto di non capire bene in che modo tu e green demetr mi accostate all'"ideologia".


P.p.s
Citazione di: Vito J. Ceravolo il 21 Febbraio 2020, 18:09:03 PM
In ogni caso, per adesso vi ringrazio tutti nessuno escluso.
Grazie a te per gli stimolanti contributi.

Ipazia

Citazione di: Phil il 21 Febbraio 2020, 21:11:56 PM
Ammetto di non capire bene in che modo tu e green demetr mi accostate all'"ideologia".
Per me: nella difesa a spada tratta di un'area riservata del linguaggio logico e della sua sfera concettuale, escludendo dal tuo orizzonte teoretico il cordone ombelicale che lega il pensiero al pensato, la res cogitans alla extensa che in essa cogitante rimbalza da tutte le parti coi suoi continui stimoli.

Dà l'impressione di una cittadella razionale esclusiva ed escludente da difendere.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

Phil

Citazione di: Ipazia il 21 Febbraio 2020, 22:46:58 PM
Per me: nella difesa a spada tratta di un'area riservata del linguaggio logico e della sua sfera concettuale, escludendo dal tuo orizzonte teoretico il cordone ombelicale che lega il pensiero al pensato, la res cogitans alla extensa che in essa cogitante rimbalza da tutte le parti coi suoi continui stimoli.
Forse più che lama di spada è lama di rasoio: non ontologizzo la verità, non ne faccio un ente, né un concetto che condividono uomini ed animali; la confino al valore che ha in logica/linguistica, ma, come ripetuto più volte, non certo per rinnegare la realtà extensa, né il suo rapporto con essa, né la dimensione extra-linguistica (significherebbe negare la sensibilità, il che sarebbe inaudito, e il mistico, per cui ho scomodato Buddha), quanto piuttosto per tutelare ciò che non è linguaggio dall'essere confuso/identificato con categorie linguistiche.
Se rinchiudo la verità nella cittadella del linguaggio/concettualizzazione, è proprio per poter parlare poi con meno ambiguità di ciò che linguaggio non è (esistenza, realtà, etc.); in fondo propongo solo di non confondere le categorie della narrazione con quelle degli eventi narrati, facendo appello alla consapevolezza che il linguaggio è un medium, non l'"oggetto" del discorso (altrimenti sarebbe come pensare che le metafore non siano solo un fenomeno linguistico, ma anche qualcosa di "reale", sostanziale, extra-linguistico, etc.).

Hlodowig

Citazione di: Phil il 20 Febbraio 2020, 22:15:33 PM
..dei bambini consiste forse proprio nel non concepire il falso, la menzogna, etc. senza i quali la verità non può determinarsi, coincidendo a tal punto con l'esistenza..

Chiedo venia per l' imbecillità di aver leggermente modificato questa tua ultima parte.

Ma forse, credo di essere l' unico imbecille, che abbia trovato in questa frase, uno dei più bei concetti espressi della verità.

Grazie. ✋

niko

#179
Ciao Niko,
letto con piacere e condividendo in gran parte i tuoi passaggi, ringraziandoti per la premura, arrivo alla fine del tuo discorso dove però devi scusarmi se mi distanzio: Il nulla relativo è pur sempre un essere che in quanto essere non può divenire un non-essere.
Il nulla assoluto non è un sottoinsieme del nulla relativo né viceversa, poiché non-essere. Quindi è vero che fra i due esiste solo il nulla relativo, che quindi è un essere, mentre il nulla assoluto non esiste, quindi non è.
Il paradosso che ne deriva e di cui parli alla fine... esiste e fa parte dei problemi del fondamento e io non parlo qui del fondamento, ma è un problema formalmente e semanticamente risolto in "Infinito. Principi supremi" (un  libro). Ma non importa: sospendiamo qui il discorso, scusandomi se qui e ora mi fermo alla sola discussione del paradigma in esame, evitando ogni discorso intorno al fondamento.






Capisco cosa vuoi dire ma non lo condivido, il non essere è una negazione continua autoproducentesi, non basta dire che non è: o non lo si pensa proprio e si sospende il giudizio, (per questo prima parlavo di teologia negativa e silenzio mistico) ma se lo si pensa, bisogna ammettere che almeno una parte compositiva o un effetto determinato del suo non essere (se non la totalità, del suo non essere) è proprio l'essere; in senso modale, una singola qualsiasi determinata cosa che è, è un modo accidentale di non essere del nulla valido quanto "il nulla" stesso, in modo che non si può dire quale sia il vero modo di non essere del nulla, e ce ne sono infiniti.


Il nulla non preferisce non essere in sé stesso piuttosto che in una stella o in un uccello o in un granello di sabbia, il nulla è nulla, una doppia negazione che afferma, che si toglie da sé perché altro si dia, e se lo si pensa, lo si pensa identico all'essere, come sfondo e sorgente di tutto equivalente allo sfondo e sorgente di tutto che anche l'essere è. Se nel modo più assoluto non è, non è neanche se stesso, non può coincidere stabilmente neanche con sé stesso (da cui l'elemento dinamico, produttivo della sua essenza), e ha una identità residuale nell'altro da sé, in ciò che lo contraddice, che lo nega.


Il non essente anche come definizione, come parola/nulla, non si riferisce a niente se non a un generico altro da sé, all'insieme delle alternative non nulle al nulla incidentalmente reperito in una data circostanza e indicato dalla parola, e in questo senso anche il nulla assoluto è un nulla relativo, come dire: "non c'è niente sul tavolo.": l'espressione non si riferisce al tavolo in sé, o a una condizione o a un modo di essere particolare del tavolo, o a una circostanza atmosferico-ambientale di tempo e di luogo, all'aria, al "vuoto" vicino o intorno al tavolo, ma semplicemente all'insieme numerosissimo, quasi infinito, delle cose che ci potrebbero essere sul tavolo, e che questa volta, incidentalmente, non ci sono. Nessuna cosa spicca sulle altre, nessuna cosa si distingue, quindi nessuna cosa c'è. Nessuna cosa, si riferisce di base a una molteplicità di cose. Le cose possibili che ci possono essere su un tavolo, virtualmente nell'espressione ci sono tutte, anche se, al momento, nessuna è accessibile.


L'identità, tra essere e pensiero, non può prescindere dalla differenza, tra essere e pensiero, dal fatto che ogni pensiero è fallibile e ha un necessariamente un oggetto, una proiezione
incompiuta intrinseca verso l'altro da sé e l'esterno, verso il non pensiero, verso il mondo, verso l'essere dell'altro da sé che il pensiero vorrebbe cogliere. Non si dà il pensiero infallibile, e non si dà il pensiero vuoto.
Ci hanno detto che potevamo scegliere tra la pace e il climatizzatore, non abbiamo ottenuto nessuno dei due.

Discussioni simili (5)