Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica

Aperto da Vito J. Ceravolo, 02 Febbraio 2020, 18:09:52 PM

Discussione precedente - Discussione successiva

bobmax

@Ipazia

È proprio perché non c'è condivisione che tenga che esiste l'inferno.

Inevitabile destino di cerca la Verità.
Tardi ti ho amata, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amata. Tu eri con me, mentre io ero lontano da te.

Ipazia

Citazione di: bobmax il 18 Febbraio 2020, 16:28:09 PM
@Ipazia

È proprio perché non c'è condivisione che tenga che esiste l'inferno.

Inevitabile destino di cerca la Verità.

Tolta la vita, che è veridicamente individuale, tutto il resto è condivisibile.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

Phil

Citazione di: Ipazia il 18 Febbraio 2020, 15:47:47 PM
Mi sembra una differenza da maestro di sofistica. Il linguaggio é medium tra fatti e intelletto (adequatio), ma il pungere dell'ago (significato, non significante) é veridicamente a priori di ogni sua dizione e concettualizzazione, é fondativo di un discorso di verità.
Il pungere dell'ago è evento, è vissuto, è "fatto"; non necessita, per esser tale, di un discorso che ne parli e gli assegni verità (o falsità). Il fondativo del discorso di verità non può essere a sua volta la verità (mistica a parte), altrimenti tutto sarebbe confinato nel discorrere e resterebbe fuori il mondo esterno (quindi il linguaggio sarebbe medium "a vuoto", fra intelletto e sé stesso). Tale fondativo della verità discorsiva (soliloquiale, concettuale, etc.) è di fatto l'esistenza, l'accadere, che fonda la verità, ma non è la verità, essendo appunto fuori dalla dimensione discorsiva: l'esistenza del referente è la condizione della verità, tuttavia, esternamente al discorrere, è solo esistenza (corollario: l'esistenza può essere falsa solo in un discorso...).
Non so se si tratti di un sofisma, ma per me è un riflesso della differenza (im)portante fra categorie del discorso-concetto e mondo dell'esistente-referente (tanto per non ripetere sempre «mappa e territorio»).

P.s.
Citazione di: Ipazia il 18 Febbraio 2020, 15:47:47 PM
Sul resto, incluso Lao Tzu, sfondi una porta aperta: come l'immateriale agisce sul materiale, modificandolo. Lieta che alfine tu lo condivida.
Nel mio piccolo, quando parlo di linguaggio, concetti, etc., proprio come quando parlo di software, non penso all'immateriale.

P.p.s.
Sono l'unico che, nella finestra di scrittura del post, non ha più la barra con i pulsanti della formattazione, per il testo in corsivo, per l'inserimento di link, etc.?

Vito J. Ceravolo

SULLA VERITÀ
Senza alcuna critica al tema iniziato da Sampitura, mi limito a ripetere la mia panoramica generale sulla verità... un misero contributo a margine, perché credo anche io che «per evitare fraintendimenti, occorra tener presente l'osservazione di Ipazia e distinguere le varie "tipologie" di verità» (cit. Phill).
Come detto ho questo quadro della verità: oggettiva (naturale); intersoggettiva (sociale); soggettiva (personale ). Oppure: assoluta; relativa. O ancora: noumenica; fenomenica. Oppure... https://www.azioniparallele.it/30-eventi/atti,-contributi/174-verita-realismo-costruttivismo.html Il tutto in una sorta di patto reciproco di non contraddittorietà.
Da questo quadro faccio queste 2 considerazioni:
• Si dice che perdendo un quadro oggettivo entro cui porre la soggettività muore tanto la verità oggettiva quanto quella soggettiva, ritrovandoci prima o poi sulla filosofia della post-verità (se l'oggetto non fosse il soggetto oggettivamente non sarebbe, si sgretolerebbe...). Cioè «senza una verità manca il referente assoluto» (cit. Paul11) manca la possibilità di dire qualcosa di vero sul soggetto;
• Se abbiamo una verità che è l'Uno, l'inizio (cit. Boomax), abbiamo che se è vero l'inizio è vero anche ciò che accade da esso. E che qualcosa accada neanche uno scettico lo nega; e che questo accadere non sia nulla lo comprende chi sa che il nulla non può accadere; e che l'Uno non sia Niente, qui andiamo al fondamento e mi fermo perché non parlo del fondamento.

Per il conflitto immanente-trascendente, scusatemi se vi rifletto su questa formula:
A(B)  A={B}

Per ora vi sto solo leggendo...



Ciao Ipazia,
lì non c'è alcuna dimostrazione sull'assiomatica della ragione in sé, ma ti riporto "a braccio" quanto è presente in altri articoli e nel libro in merito al problema che avanzi. Sì... confronto sull'attendibilità della ragione in sé. 

Assumiamo tale assioma, necessariamente innegabile per non contraddirci:
1.   Ciò che appare necessità di ciò da cui apparire il quale conseguentemente non può apparire ma dal quale conseguentemente si dà quell'apparire.
Qui si intravede «la pretesa genetica [della ragione in sé sul fenomeno] (cit. Ipazia, domanda)»

Assumiamo la ragione in sé come quel sovrasensibile da cui appare il sensibile.
2.   Ratio efficiens (ragione efficiente) come causa dell'ordine sovrasensibile.
Qui si intravede come l'immateriale agisce sul materiale, cioè il concetto causale della ragione in sé da cui il suo adequatio all'effetto fenomenico che ne deriva.

Quindi per quanto sia vero che qualsiasi cosa appaia è un fenomeno e mai la ragione in sé, ciononostante, tutto ciò che appare ha un adequatio con la ragione per cui è tale; tale che:
3.   La ragione si rileva dal suo adequatio rispetto alle osservazione (dati) e alle previsioni (ricerca).
Qui si intravede come la scienza naturale non può sondare il sovrasensibile noumeno, ma può sondare ogni effetto sensibile che attribuiamo a tale ratio efficiens.

Secondo me la cosa più difficile è capire la semplicità della ragione in sé. L'altra cosa più difficile è capire che con la ragione in sé si arriva necessariamente a un punto letteralmente cieco, invisibile, e lì non si può far altro che credere oppure no. Ma in fondo questo è un problema presente da tutte le parti... credere alle invisibili ragioni espresse tramite le proprie sensibili spiegazioni, discorsi, pensieri etc... La terza cosa che è invece difficile da capire per me è: come proseguiamo? dove vi è manchevole tale introduzione?



Ciao Sampitura,
sincero, stavo cercando di essere simpatico, solo che la mia "simpatia" non risulta agli altri poi così tanto divertente. Serio: ho letto proprio volentieri il tuo post sopra il mio precedente post... e ne ho letto anche la fine, anche quelle cinque righe dopo il tuo accenno a Gödel.
Vediamo: so cosa sono gli indicibili e non ho corretto Gödel. Però mi sono spesso chiesto...
(1) se quelle mie forme sono logicamente corrette
(2) e se esse sono capaci di contenere il sistema di Gödel come da lui "profetizzato"
(3) allora è un teorema di coerenza e completezza.

Io comunque, ripeto, non ho corretto Gödel. Ciò che ho fatto è risolvere alcuni blocchi logici errati (es. A può dimostrare se B ha A o A) così cambiando alcune possibilità formali. Oppure ho formalizzato alcune definizioni (es. gli indicibili) così aprendo un diverso sistema formale. In entrambi i casi non ho mai corretto Gödel, gli ho solo messo sopra nuove possibilità formali. Forme che a me pare, correttezza permettendo, abbiano un'elevata ampiezza. In ogni caso, se mi hai solo chiesto perché non è un articolo puramente logico... boh, difficile per me ora fare un lavoro del genere.
Credo di aver letto qualcosa della tua prima citazione, mentre sono sicuro di non aver letto quel libro di Cassiser. Controllo...


Ciao Lou,
solo un saluto.



P.S. Da me non c'è più l'intera formattazione del testo: bold, italico, allineamenti etc ... 

green demetr

Citazione di: paul11 il 18 Febbraio 2020, 01:23:34 AM
ciao Phil,
Capisco sempre meno certi atteggiamenti"moderni"
Pierce fondatore della semiologia e Wittgenstein grande pensatore del linguaggio proposizionale, ritenevano che le dimostrazioni fosse nella natura, però riconoscevano che alla base ci fosse l'intuito.Wittgenstein riconosciuto un grande dalla comunità internazionale fugge a fare il maestro per i ragazzi nelle elementari ,mi pare in Svizzera, e lui stesso fa il mistico scappando in una capanna sperduta, mi pare in Norvegia, a dar da mangiare dalle proprie mani agli uccelli migratori.
E lo vedi che recita le tavole delle verità sopra una collina nel grande nord a picco sul grande mare, in totale solitudine?

Capisco sempre meno chi fa discorsi formali in un dominio, chi riconosce l'intuito in un altro dominio, e chi fa il mistico esistenziale esercitando però ufficialmente un ruolo formale.
Mi sembrano tutti come dei nobel che professano grandi formalismi, però di notte si vestono da transessuali per esercitare una vita diversa. Mi sembrano il "vecchio professore che vai cercando in quel portone, quella di giorno chiami con disprezzo pubblica moglie; quella che di notte stabilisce il prezzo alle tue voglie"(F.De Andrè "Citta vecchia"): non capisco davvero queste schizofrenie.
Il problema è forse dentro di noi, abbiamo poca leggibilità di noi stessi e cerchiamo sicurezze là fuori . Incompresi però, le nostre vere passioni le esercitiamo di nascosto, furtivamente.
Godel, grandissimo logico, era un credente. A parte il suo esercizio logico sull'esistenza di Dio, come riusciva a collegare in se stesso la sua fede, probabilmente inspiegabile a livello logico, con la sua professione. Cantor, da ebreo costruisce l'insiemistica ingenua perché vuol spiegare l'infinito di Dio. C'è sempre qualcosa di mistico e misterioso in noi, inspiegabile per molti, io invece lo esterno e cerco di comprenderlo anche filosoficamente. Ma proprio perché se il compito della filoso è alla fin fine parlare di vita, non può tralasciare nulla, nemmeno l'inspiegabile il misterioso che è dentro e fuori di noi. Forse alla fine è la solo retorica, la dialogia, la dialettica, il confronto che può persuadere o meno se una filosofia è sulla giusta via. Ho già scritto che il linguaggio non è solo segno, significato, denotazione, senso, ecc.solo che per i misteri intimi umani mancano spesso le parole.

Tu hai fede SOLO nel mondo empirico esteriore: sei convinto o sei come gli illustri personaggi, di cui potrei aumentare la lista? Quando studio un testo voglio capire l'autore, a che età lo ha scritto, i suoi studi, la sua famiglia, la sua biografia non ufficiale se riesco, una filologia prima di una filosofia, per capire perché ha scritto quel determinato testo.
Le verità dei profeti resistono da millenni e c'è da farsene una ragione, non sono leggi empiriche che durano un battito d'ali di farfalle. Se fossero fasulle, chiediamoci piuttosto perchè resistono?Che cosa spinge un uomo a credere? E' una necessità?
Una verità necessariamente se è verità ha implicitamente una autorità, diversamente non è verità, è opinione.Una verità deve essere superiore alla coltre nazionalpopolare alla "gggente" perché diversamente ogni persona che compone la "gggente" si sente autorizzata(mancando l'autorità) a dare la propria autoritaria opinione spacciandola per verità. Una delle cose che non si riesce a far capire è che non è togliendo Dio, profeti o verità incontrovertibili che si è superata quella cultura, semplicemente lo si vuol dimenticare , fino all'estrema unzione; quando si chiama il prete, perché non si sa mai cosa davvero succede post-mortem. Non è verniciando una parete che noi la nascondiamo.

Ma tu sai perché esisti, quale ragionamento ti fai dentro di te? Anche qualcuno ha già detto cenere alla cenere. Ci sono buchi conoscitivi troppi ampi nella cultura che crede alla sola natura e materia e non voglio infierire perché creerebbe solo incomunicabilità, ognuno si mostra arroccandosi come se fosse una debolezza cercarsi dentro ,intimamente interrogativi mistici, misteriosi.
I profeti al tempo non parlavano per logiche formali, ma per metafore, allegorie, insegnavano la vita con esempi:quello che manca. Non dimostravano nulla , perchè non dovevano dimostrare nulla, ma arrivano al cuore, ai nervi,al cervello, all'anima.

Intanto mi scuso con Vito J Ceravolo, devo ancora leggere gli articoli (quello generale sul nichilismo).

Caro Paul

Sono questi interventi che ti rendono a me caro.

Naturalmente anche in me monta una rabbia inconsolabile di fronte a questo periodo storico.

Al contrario di te, non credendo minimamente al concetto di natura, mi chiedo sempre quale sia la composizione reale delle relazioni, siano esse fra uomo e oggetto (fenomenologia) siano esse fra uomo e uomo (psicanalisi).

Nella fenomenologia si è perso la ricerca del fondamento, ossia quella ricerca che spetta sempre a pochi (così già nella tradizione ebraica, l'unica che abbia a disposizione un storia così ricca di saggezza: la ricerca di pochi ebrei, porta avanti la ricerca di tutti gli ebrei).
E' una crisi dettata proprio dal concetto di verità, che non essendo naturale, si è dimostrata invece passibile di potenzialmente infiniti formalismi deduttivi.(Tante quante sono le verità ammesse al suo interno).
Dall'altra parte come già ricordato in parentesi, manca decisamente il concetto di comunità religiosa, tramontato con il decadimento delle auctoritas.(grazie a Dio in verità).

Rimangono a questo punto le infinite ricerche individuali.

Quelle formali come quella di Vito J Ceravolo, che però hanno in mente il fine di una migliore comprensione del reale (con il mio caveat solito di fondo, ma che qua lasciamo appunto silente, che il reale non è il naturale), le trovo insolite ma come hai detto anche tu, interessanti, almeno nell'atteggiamento complessivo, poi leggerò con calma, e dirò cosa mi convince e cosa eventualmente no.

Ma poi esiste la ricerca individuale spirituale.
Ci sono persone caro Paul che non sentono più questa necessità.

Ma d'altronde ti eri già risposto all'interno del tuo intervento-sfogo, laddove affermi che non capisci più questa società schizofrenica.

Esatto caro amico, come spiega in lungo e in largo la pscianalisi, la SCHISI, è il SINTOMO principale di questo periodo storico.

Qualche vecchio marxista la imputava al capitalismo, il completo cedimento della mente al suo oggetto, l'incapacità di astrazione, come presa di allontamento, come vigilanza sui processi di MIMESI.

Io divento il mio oggetto, io sono soggetto a me stesso. Io sono il datore di verità di me stesso. Quando invece è l'oggetto (mentale/ideologico o reale/alienante) a dominarci.

Andando più a fondo ricordo come al solito Nietzche e i moralisti francesi, e in campo psicanalitico, uno degli ultimi sforzi di freud, in psicologia delle masse.

Ovviamente questa consapevolezza non ci aiuterà caro Paul, la rabbia rimarrà.
Tanto per non illudere nessuno, che tenti una redifinizione del proprio stato nel Mondo.

saluti.
Vai avanti tu che mi vien da ridere

paul11

ciao Green


La natura è indifferente all'uomo, imperterrita segue le condizioni del perché a sua volta c'è.
Macina vite, rigenera se stessa nei cicli della vita,con le stagioni, con le condizioni per cui esiste e per le condizioni per cui può rigenerare la vita biologica.
Chi è naturalista e materialista, ritiene che la natura sia in-sè  e contraddice se stesso quando ritiene che la natura fisica neghi un soprasensibile. Ha anch'esso una fede, anch'esso fa metafisica nel momento in cui il pensiero ,non essendo naturale, ma mentale, costruisce relazioni.
Essendo a misura dei nostri sensi, la dimostrazione è fattuale non linguistica, è sperimentale.
Ma la natura non ha necessità di dimostrarsi e rappresentarsi sperimentalmente,  rimane indifferente a gioia e dolore, imperterrita offre possibilità di vita e come una clessidra segna la morte, è sempre l'uomo che decide quale rappresentazione e modello mentale rappresentare di lei.


Questa rappresentazione e/o modello mentale fa la cultura e la cultura a sua volta determina motivazioni e atteggiamenti pratici che entrano nel nostro quotidiano artificiale, perché l'organizzazione umana non è natura, la natura non crea urbanistiche e problemi parlamentari, non è nè comunista, né capitalista, segue da sempre proprie condizioni universali per potere sussistere e costruisce a sua volta le condizioni affinchè vi sia vita all'interno delle proprie regole .
Ritenere che la natura risponda a se stessa significa non sapere vedere oltre il pianeta Terra, nemmeno un astrofisico ci crede più e cerca esopianeti nei sistemi stellari oltre il nostro.
La natura non risponde a se stessa, risponde a regole e ordini superiori e non possono che essere universali. La Terra ha offerto le condizioni affinché fiorisse il bios, ma queste condizioni  non sono a loro volta create in-sè, perché il nostro pianeta risponde a leggi fisiche e non metafisiche all'interno del sistema solare e il sistema solare è dentro una galassia, la Via Lattea, e le stelle hanno un ciclo di vita a loro volta ..... questa ridondanza, per cui tutto ha un ciclo che ci appare come l'eterno ritorno.
Nulla risponde a se- stesso, ma tutto deve avere una regola comune dentro un ordine universale che costruisce vita e morte e rinascita  e rimorte. Il governo fisico non può definire se stesso, è incompleto, perché manca una causa prima incausata affinchè vi siano queste regole e ordini.
Questa è una prima considerazione,che nell'antichità non era messa in discussione La seconda considerazione deriva dalla prima: ma perché queste regole e ordine  e non un altro? La risposta a questa seconda considerazione ha determinato prima i miti, poi le religioni e spiritualità. La modernità censurando la prima considerazione, cassandola come indimostrabile nel sensibile e accettando la dimostrazione e la sperimentazione empirica ha fatto della natura una meta-fisica.
Quando l'uomo ha spostato la verità dal soprasensibile, eludendo la prima considerazione, si è accorto che la tecnica generava potenza e se guidata dalla volontà poteva trasformare la natura seguendo il suo potere intellettivo, creativo.
Il fallimento di questa cultura è che al crescere della potenza tecnica non è corrisposta una crescita di gioia e felicità nella vita, essendo inevase, perché censurate, perché cancellate le verità che sono insite nella prima considerazione: tutto ,ma proprio tutto nell'universo ha regole e ordini comuni che si esplicitano nei diversi sistemi in cicli, seppur diversi questi cicli sono indifferenti all'uomo e al suo decadere e suicidio . L'uomo decade, ma essendo interno alla sua volontà di potenza si affida alla tecnica, alla medicina, all'atomo, alla sua capacità artificiale di ricreare natura secondo la volontà umana, contravvenendo agli ordini universali. E la natura si ribella. Sembra che si ribelli, ma percorre indifferente da sempre al volere umano le condizioni che subisce e che a sua volta detta affinchè vi sia vita biologica. Il risultato è che l'uomo finge di credere alla natura, invece piega la natura alla sua volontà perché si ritiene il prodotto più evoluto del suo grembo, ritenendo la tecnica la sua salvezza,non la natura.


La fenomenologia di Husserl, ma già prima la trascendentalità di Kant ,indipendentemente che piacciano o meno, offrono spunti interessanti per riflettere il come noi costruiamo,
psicologicamente, deduttivamente, intuitivamente il sistema di relazione fra noi e gli oggetti, i fenomeni.


Le verità nel mondo empirico del sensibile e dei fenomeni appaiono e scompaiono come i fenomeni stessi.
L'errore della chiesa cristiana romana è una forte istituzione a scapito di debole interpretazioni.
L'organizzazione ecclesiale cattolica è potente e fu suddivisa in parallelo a quella feudataria.
Nell' ebraismo il rabbino e nell'islam l'imam non hanno questo potere organizzativo, il potere lo lasciano alle sacre scritture, e a mio parere è più giusto. Perchè una sacra scrittura rimane, gli uomini passano, come i fenomeni. Quindi il rischio è che l'autorità nella verità passi al potere umano, invece della sacra scrittura.


Apprezzo il tentativo di Vito C. che iniziando dal sensibile fenomenico, collegandoli ai linguaggi,insiemistico e logico, alle descrizioni argomentate,cerca di fare analisi e sintesi collegando il tutto alla ragione in-sè, da cui è dato questo universo che si mostra nei fenomeni che appaiono e scompaiono e da questa ragione eterna in-sè che ha deciso regole e ordini inviolabili,
indifferenti alle nostre interpretazioni, non separando sensibile e soprasensibile.


E si vede che non sentono più la necessità spirituale, soffrono psichicamente, ci sono malattie psichiche che sono tipiche solo dell'occidente. Ci pensa l'industria del farmaco a bloccare i sintomi di panico, ansia, del "non ce la posso fare...", ci pensa il progresso tecnico a destabilizzare la psiche umana e il grande timore individuale di essere inadeguati ai tempi della tecnica, al tempo dei desideri inutili e degli acquisti ancora più inutili. Sono le cose che sostituiscono gli affetti: manca la presenza.


Forse invece questa società schizofrenica l'ho capita troppo bene. Conoscere è un po' soffrire, la consapevolezza che non si possa fare nulla di pratico per cambiare. Spesso ci si chiude in silenzio.
Allora appare questa società chiassosa come un rumore di fondo che disturba. E' involuta in se stessa e le persone hanno sempre meno umanità. Guai se si fermano a pensare a farsi domande serie, svicolano, non hanno tempo, e perché mai farsi domande? Cercano di concentrarsi nei loro problemi particolari individuali e se sono sociali non capiscono che è la cultura che determina le modalità di tutte le scienze, di tutte le economie e politiche,Si sentono liberi e sono invece condizionati come non mai in questa società di plastica e liquida che non offre un appiglio per poterne uscire dal suo contorcimento.


Hannah Arandt, citata ultimamente da Sariputra, capì le contraddizioni comuniste e le disse in faccia a Trockij. Ci sono state personalità intelligenti e critiche, che ovviamente questa cultura imperante non ha interesse a nobilitare più di altro:  si dice che sono scomode.


Hai ragione, non si sa quanto ci condizionino i nostri pensieri diventati credenze, ideologie mentali.
L'antidoto è riflettere sulle proprie antitesi, provare a pensare il contrario di quello che crediamo,
una dialettica interiore


un saluto anche a te

Lou

"La verità è brutta. Noi abbiamo l'arte per non perire a causa della verità." F. Nietzsche

paul11


Jean

Citazione di: paul11 il 19 Febbraio 2020, 21:06:07 PM
Citazione di: Lou il 19 Febbraio 2020, 20:53:53 PM
@paul
L' uomo appartiene alla natura.


@lou
la natura non appartiene all'uomo



@lou @ paul
Il pensiero dell'uomo non appartiene alla natura.

paul11

Citazione di: Jean il 19 Febbraio 2020, 21:54:06 PM
Citazione di: paul11 il 19 Febbraio 2020, 21:06:07 PM
Citazione di: Lou il 19 Febbraio 2020, 20:53:53 PM
@paul
L' uomo appartiene alla natura.


@lou
la natura non appartiene all'uomo



@lou @ paul
Il pensiero dell'uomo non appartiene alla natura.


caro Jean
infatti, l'uomo è fisicamente natura; la mente ,senza inoltrarmi all'anima, già non l'appartiene.
Ma l'errore culturale di chi crede che noi siamo tutto natura  è di non rispettarla; viene alterata  con la volontà di potenza tecnica che ritengono superiore alla stessa natura.

Ipazia

Citazione di: Vito J. Ceravolo il 18 Febbraio 2020, 21:08:15 PM
Secondo me la cosa più difficile è capire la semplicità della ragione in sé.

Ancora più semplice da capire escludendo metafisica e sovrasensibile. I naturalisti la spiegano così: ad un certo punto l'evoluzione naturale ha prodotto animali autocoscienti.

CitazioneL'altra cosa più difficile è capire che con la ragione in sé si arriva necessariamente a un punto letteralmente cieco, invisibile, e lì non si può far altro che credere oppure no.

Il "punto cieco" é il dualismo cartesiano che le neuropsicoscienze e la sintesi filosofica risolvono quotidianamente con le loro brave metodologie che non sono riducibili ad un cieco fideismo. Pertanto non direi...

CitazioneMa in fondo questo è un problema presente da tutte le parti... credere alle invisibili ragioni espresse tramite le proprie sensibili spiegazioni, discorsi, pensieri etc...

... in quanto abbiamo realizzato buoni dispositivi cognitivi che interrogano e danno risposte riproducibili sulla realtà in toto che, come osserva Lou, comprende anche l'uomo, ricomponendo il dualismo "funzionale".

CitazioneLa terza cosa che è invece difficile da capire per me è: come proseguiamo? dove vi è manchevole tale introduzione?

Proseguiamo migliorando la qualità della vita umana, visto che sulla natura e quantità se ne occupano altri saperi.

"Sapendo di sapere quello che si sa e sapendo di non sapere quello che non si sa" come disse un saggio. E quindi tappando i buchi dell'episteme/gnosi, ricercando, ricercando, ricercando.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

Sariputra

#161
Se si studiano le vita di praticamente tutti i filosofi si nota uno 'scarto' importante, una contraddizione vivente tra le loro affermazioni e la loro vita. Partendo da ciò, un grande studioso della 'menzogna',François Noudelmann,  fa notare come la menzogna filosofica, il mentire, voluto o inconsapevole, anche a se stessi, sottostà a tre regimi diversi di "economia psichica":  nel primo caso, fa leva sull'opposizione binaria vero/falso e mette in scena una drammatizzazione che punta alla vittoria finale della luce sulle tenebre; nel secondo, ribadendo il diniego, rilancia una verità, a partire dalla resistenza che essa gli oppone; nel terzo, infine, sospendendo l'antitesi vero/falso, inventa delle nuove verità che presentano la bellezza della coerenza intellettuale...

[«Quest'ultima menzogna impegna un'economia dissipativa e non compensativa. L'affermazione non è più il contrario della negazione, sfugge al controllo»

Così, a riguardo di un'affermazione teorica, questa, nel caso di una filosofia, non si limita a enunciare una 'verità' (per es. la "verità di Dio" o la "verità che tutto è relativo"), ma, dal punto di vista dell'investimento psichico attuato dal filosofo, o dal pensatore, comporta l'assumere una varietà di forme che implicano processi di identificazione, di fissazione e di ripetizione a riguardo di una determinata tesi...

«un'intenzione affermativa è sempre richiesta [dalla filosofia] per fondare la legittimità del suo discorso»

Ora, la forza con cui affermiamo qualcosa è sempre commisurata al diniego del suo contrario. Così, nel momento in cui si costruisce una 'menzogna', diamo inizio ad una controverità che è , per la menzogna, una risorsa infinita.
La menzogna così può proliferare e andare verso una deriva senza limiti. Avanzando, senza alcuna barriera, può così moltiplicare le sue forme.
Naturalmente la menzogna filosofica è anche una forma di libertà del pensiero da un 'verità senza ombre', che potrebbe imporsi come una specie di tirannia. Naturalmente restando sempre menzogna filosofica...

P.S. Ovviamente sto andando OT, ma la discussione iniziata da @Vito Ceravolo mi sembra arenata...

Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

niko

Citazione di: Vito J. Ceravolo il 17 Febbraio 2020, 17:10:43 PM
In sequenza Sampitura e Ipazia, Boomax, Nico, Pauli11 e Phil

Ciao Sampitura (e Ipazia),
alla tua affermazione «L'autorità definisce la 'verità'», contrappongo quella di Ipazia «La verità dell'universo antropologico non è la verità dell'universo fisico». Lo faccio perché dobbiamo riconoscere diversi livelli di verità (es. oggettiva, intersoggettiva, soggettiva)  e che tu nei hai parlato a livello di categoria politica, ma poi appunto c'è anche la verità come categoria naturale e poi... io qui parlo di tali distinzioni di verità: cap. 8  https://www.azioniparallele.it/30-eventi/atti,-contributi/174-verita-realismo-costruttivismo.html
"Mondo = Luogo come risultato di leggi universali e particolari" Dizionario Vito

Ciao boomax,
«Ma la Verità assoluta non ha alcun condizionamento. Non necessita di alcuna falsità da negare [e non l'ha]».

Ciao Nico,
ti segnalo questo tuo errore: «Non se ne esce, se il nulla non ha determinazioni ha almeno una determinazione, quella di non avere determinazioni, ed è il fantasma dello sfero di Parmenide.» L'errore sta in questo:

Con la proprietà A posso dimostrare se B ha la proprietà A oppure no ØA.
Quindi, con la determinazione A posso dire se B è determinabile A o indeterminabile ØA.
"Determinare che è indeterminabile", "determinare che non è determinabile", significa pertanto "non essere in grado di determinarlo", "non essere determinabile".
Cfr:
cap. 3 https://filosofiaenuovisentieri.com/2019/04/14/unificazione-generale-della-logica-classica-e-non-classica/
cap. 5 https://filosofiaenuovisentieri.com/2017/05/14/teoremi-di-coerenza-e-completezza-epimenide-godel-hofstadter/

Il tuo presupposto, di determinare il niente, decade. Quindi decade il discorso che ne derivi, anche se poi ci puoi aver detto dentro cose intelligenti, decade comunque il tuo discorso.
Questa è la "quinta" forma con cui ti rispondo, permettimi quindi di invitarti a leggere qualcuno dei miei articolo di questo "gioco" (quelli sopra sono formali), così alziamo il tenore della discussione e mi eviti copiaincolla.













Io non voglio determinare il niente né affermare che il niente non ha determinazioni, io dico che il nulla assoluto non esiste se non come caso limite (come "caso estremo" se vogliamo) del nulla relativo: quello che per te è il nulla assoluto per me è il nulla relativo dell'essere, il concetto di quello che anche  tu hai chiamato "vuoto" o "nulla relativo" applicato però non più ad una cosa o circostanza  determinata, come chiedersi cosa ci sia sul tavolo, ma all'essere come totalità. Dire nulla assoluto, è come estendere un concetto già noto e dire, invece che "non c'è niente sul tavolo", "non c'è niente nell'universo mondo, nel cosmo": non è un concetto nuovo, ma l'estensione di un unico e già definito concetto a una circostanza diversa.


Ogni nulla relativo ha determinazioni, e anche il nulla relativo dell'essere ha determinazioni, infatti è identico all'essere, la sua determinazione è l'essere: il modo specifico, empiricamente prima che logicamente riscontrabile, in cui l'assenza di ogni cosa non c'è, e c'è invece qualcosa, è la presenza di ogni cosa. La meraviglia che ci fa la l'esistenza di noi stessi e del mondo, il fatto che ci sia qualcosa e non il nulla, è una conseguenza tanto dell'essere che del nulla, perché il nulla "sparisce" nell'essere, e non nel nulla. Tramonta, nel senso di diventare altro, andare oltre. La differenza tra essere e nulla, non è "a parte" nella realtà delle cose e non merita di essere indicata un concetto a parte, è identica, come differenza, a quella già empiricamente ed intuitivamente nota intercorrente tra essere e niente (ovvero tra essere e vuoto, o nulla relativo). Non è un concetto solo logico, ma un concetto che ha una componente osservativa: si riscontra che c'è qualcosa piuttosto che il nulla e questo qualcosa è anche e soprattutto un modo specifico -che si dà a prescindere da un'eventuale e ulteriore modo aspecifico- di essere nulla (di non manifestarsi) del nulla. La differenza tra essere e nulla va pensata come differenza non tra essere e non essere, ma tra sé e altro: una cosa x non è un'altra cosa y, e non è tutte le altre cose (tutte le altre cose indicate da tutte le altre lettere, meno x), ma questo è quanto: non c'è un altro modo di non essere che non sia l'essere altro, ulteriore all'essere altro. Una cosa non è un'altra cosa, ma il nulla non esiste se non in questa forma, non esiste come concetto ulteriore a questo.


L'effetto del caso limite è che si va a definire non una distinzione tra una cosa e il suo contrario, o la sua assenza, o ciò che la sostituisce nel flusso del divenire, come nei normali casi in cui diciamo "non c'è niente sul tavolo", ma  una distinzione nominale tra due indiscernibili perché la determinazione dell'essere è l'essere, e anche quella del nulla lo è. Questo è il difetto di applicare un concetto che vale per circostanze limitate a una totalità: di solito la differenza tra due cose, o tra una cosa e il suo divenire, è discernibile, quella tra essere e nulla no, quindi si dà una determinazione del nulla che va bene anche per l'essere.


Riassumendo il mio sillogismo non è


non avere determinazioni è una determinazione
il nulla non ha determinazioni
dunque il nulla ha determinazioni




ma è:


il nulla relativo, o vuoto, ha determinazioni, che in linea generale vanno cercate non nella differenza tre essere e niente, ma tra sé e altro a partire della specifica cosa di cui si predica il nulla relativo.


il nulla che alcuni chiamano "assoluto" è un'elemento dell'insieme del nulla relativo, non è che un suo caso possibile (è sbagliato chiamarlo assoluto).


dunque il nulla assoluto ha determinazioni.




Insomma nella mia concezione c'è solo il nulla relativo. Il nulla assoluto non indica nemmeno il non essere o il niente o il non essente, è un caso limite, e un fraintendimento frequente, del nulla relativo.


Se invece si stabiliscono un nulla assoluto e un nulla relativo, come due cose diverse,descritte da due concetti diversi, e non l'uno un caso particolare dell'altro, succedono alcuni paradossi, il cui più ovvio è che l'essere non descrive più la totalità: se c'è un x non essente, la totalità è l'insieme di tutti gli essenti + x, dunque l'essere è meno della totalità, che è il superinsieme di essere e nulla. Tra essere e nulla c'è un terzo termine. Cosa che non sarebbe necessaria laddove la totalità fosse interamente descrivibile dall'essere, o dal nulla.
Ci hanno detto che potevamo scegliere tra la pace e il climatizzatore, non abbiamo ottenuto nessuno dei due.

Phil

Citazione di: Sariputra il 20 Febbraio 2020, 10:58:04 AM
Se si studiano le vita di praticamente tutti i filosofi si nota uno 'scarto' importante, una contraddizione vivente tra le loro affermazioni e la loro vita. Partendo da ciò, un grande studioso della 'menzogna',François Noudelmann,  fa notare come la menzogna filosofica, il mentire, voluto o inconsapevole, anche a se stessi, sottostà a tre regimi diversi di "economia psichica"
A ulteriore dimostrazione di come la parola «verità» sia pericolosamente ambigua (quindi strumentalizzabile), questo autore (su cui ho letto fugacemente solo questo), mi pare giocare sulla confusione verità/menzogna e coerenza/incoerenza intesa in senso biografico. Non è nuova la storia del prete che «predica bene, ma razzola male», il che ovviamente non comporta affatto che egli menta, più o meno consapevolmente, quando afferma le verità in cui crede (ma che non pratica).
La menzogna portante mi pare quindi quella dell'autore che presenta l'incoerenza opere/vita come fosse menzogna (come se ogni opera contenesse un giuramento che riguarda anche le scelte di vita dell'autore).

Se chiediamo ai filosofi di incarnare con l'esempio di vita le loro teorie, li stiamo scambiando per leader politici, guide spirituali o simili; se gli chiediamo verità incontrovertibili che non siano interpretazioni, li stiamo scambiando per scienziati; se gli chiediamo orizzonti di senso, più o meno praticabili nella prassi, allora (per me) non ha rilevanza commisurare la "verità" professata nello scritto con la cronistoria delle scelte di chi l'ha proposta (indicare non è percorrere, soprattutto se si parla di teoresi). Le teorie filosofiche hanno spinto (anche o solo) altri a scendere in piazza brandendo falci e martelli, o a suicidarsi o a cambiare religione, etc. la biografia di chi ha lanciato il sasso non deve necessariamente essere colpita dagli schizzi dell'acqua per dimostrare la verità "fattibilità" del senso proposto.
Ormai mi pare piuttosto palese che i filosofi sono professionisti del pensare/scrivere, non del vivere, e che la filosofia è più arte del senso (un'estetica della trascendenza, per dirla in metafisichese) piuttosto che "arche-ologia" della verità; quantomeno osserverei che, in ambito strettamente teoretico, la filosofia costruisca più verità (al plurale) di quante ne scopra...


Citazione di: Sariputra il 20 Febbraio 2020, 10:58:04 AM
«un'intenzione affermativa è sempre richiesta [dalla filosofia] per fondare la legittimità del suo discorso»

Ora, la forza con cui affermiamo qualcosa è sempre commisurata al diniego del suo contrario.
Concordo, quanto più ci si ostina a chiedere alla filosofia una verità forte, uno slogan a cui asservirsi, un dogma/assioma per cui lottare, etc. tanto più è vera la tua considerazione e tanto più si sarà inclini a passare, come scrivo sempre, dalla negazione all'avversione (ad esempio, dall'a-teismo all'anti-clericalismo, etc.).
La verità potrebbe dunque essere anche debole, plurale, non aggressiva, etc.? Nel ventunesimo secolo, direi di sì; può esserci, anzi ormai c'è, anche la categoria di "verità debole", affianco ad una verità forte.
Permane in molti casi un'anacronistica fiducia nella filosofia come mezzo per trovare la verità (non in senso logico, ma in senso metaforico-valoriale, quindi, di nuovo, confusa con il Bene, il Giusto, etc.); l'esito più probabile di tale speranza mi sembra essere, come pare esemplificare l'autore citato, la delusione (che può avvilire sino a vedere la menzogna nell'incoerenza). Tuttavia, è una dinamica psicologica tutta interna al pensiero forte, che prima alimenta un'aspettativa forte e poi ne deve affrontare l'altrettanto forte frustrazione.

Sariputra

#164
Penso che la 'verità' non sia mai aggressiva. Può esserlo invece la volontà di imporre una sua interpretazione soggettiva. Dire Infatti: " Non è verità l'esistenza di Dio", è profondamente diverso dal dire:" Non è verità l'esistenza di Dio e TUTTI devono crederci". Quindi più che ambiguità del termine direi che può diventare ambiguo l'uso che viene fatto di un termine, al di fuori del suo contesto. Per questo parlavo dell'ambiguità interpretativa e non del fatto in sé, come evidenziato dalla Arendt. Il linguaggio è per sua natura ambiguo. E' solo uno strumento in fondo.
Già 2.000 anni fa Yeoshwa raccomandava: "il vostro dire sia  sì sì, no no, tutto il resto viene dal...E infatti oppose il nobile silenzio alla domanda pragmatica di Pilato: "COSA è la verità?"
Evidenziando come la 'verità' non sia una categoria del linguaggio, molto saggiamente direi.

A riguardo di Noudelmann, quello che trovo interessante della sua riflessione è il fatto che spesso,a suo parere, nel costruire una teoria filosofica si cerca anche di costruire una sorta di alter-ego diverso da quello che si è in vita, e la teoria proposta si alimenta costantemente di questo sforzo di "uscire da sé" concettualmente. Spesso fa notare che l'alter ego filosofico, che non è necessariamente un 'falso', ma solo un sè "ideale", teorizza e afferma l'opposto di quello che il filosofo fa  effettivamente nella vita.
Per dirla: io non sono un filosofo, ma continuo a scrivere in questa sezione, senza averne la competenza, creando un "Sariputra" ideale che discute di filosofia, magari perché desidero esserlo senza ammetterlo. La 'menzogna'  in questo caso è data non da quello che scrivo, ma piuttosto dalle motivazioni del perché lo faccio...
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

Discussioni simili (5)