Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica

Aperto da Vito J. Ceravolo, 02 Febbraio 2020, 18:09:52 PM

Discussione precedente - Discussione successiva

Vito J. Ceravolo

Ciao Boomax,
è dove hai colto che io separo l'essere dal divenire se ho invece scritto che sono inscindibili?
Mi sono fermato a questa tua dichiarazione, il resto non l'ho letto. Sai perché? Le cose sono tre: o non sai cosa significa inscindibile; o ti stai rifacendo a una ontologia primitiva e arcaica (nichilista o realista) piena di contraddizioni che ti impedisce di vedere quello che ho scritto anche se l'ho scritto 2 volte ; o hai letto talmente di fretta da aver dato primario sfogo alla chiusura della tua conoscenza piuttosto che all'apertura di un nuovo modo di pensare.

"Inscindibile" vuol dire che non possono essere separati. L'essere non è scindibile dal divenire, a nessun livello.

Io spero che non debba essere questo il livello di discussione. Ti chiedo pertanto di fermarti è riflettere prima di parlare, che già è faticoso rispondere a 5 persone alla volta, se poi ci ritroviamo a questo livello la cosa mi perde di interesse.

Phil

Citazione di: Vito J. Ceravolo il 03 Febbraio 2020, 16:32:11 PM
coi manuali non cambi nulla, senza offesa agli studi approssimati. Non ti piace la classificazione? Chiamala come vuoi...
Con i manuali, oltre a prevenire proprio l'approssimazione (di cui sono talvolta reo), si apprende/comprende una basilare (in tutti i sensi) consapevolezza delle puntate precedenti (molte, prima di arrivare al "nichilismo attivo", se non erro, di Deleuze e Vattimo); quanto più si approfondisce, a partire dai manuali e poi andando oltre (ad esempio realizzando che il nichilismo non afferma "a=-a" e rappresentarlo con una forma logica innesca qualche dovuta perplessità; Severino r.i.p.), tanto più ci si rende conto che il «senza precedenti» e/o il «rivoluzionario» sono etichette da usare con estrema cautela in filosofia, anche se la premessa sorniona è «giochi di pensiero».
Ad esempio
Citazione di: Vito J. Ceravolo il 03 Febbraio 2020, 16:32:11 PM
chi perde l'oggetto, chi perde il soggetto, chi annulla tutto e poi ci sono io che affermo sia l'oggetto che il soggetto e che rinchiudo il nulla a nessun valore, quindi togliendoli anche la possibilità di negazione dei valori
ebbene, "affermare sia l'oggetto che il soggetto rinchiudendo il nulla a nessun valore", non mi pare una novità filosofica (chiedere ad esempio ai suddetti Kant ed Husserl, ma la lista nei manuali è lunga...).
Il rapporto fra «nulla» e «negazione dei valori» merita poi un'attenta circospezione:
Citazione di: Vito J. Ceravolo il 03 Febbraio 2020, 16:32:11 PM
come la negazione della finzione (di cui parli tu)
Non ho parlato di «negazione della finzione»(?) ma di finzione basata sul nulla, come esempio di nichilismo pensante (riconoscere la nullità del fondamento su cui nondimeno la finzione si attua realmente); notoriamente, non è prudente maneggiare "un nulla" come mero sinonimo di «negazione» (sofismi linguistici a parte).
Inoltre, non sono sicuro della correttezza "contenutistica" di:
Citazione di: Vito J. Ceravolo il 03 Febbraio 2020, 16:32:11 PM
Per chiarirci immaginiamo una linea siffatta, dove "-1"  è il male estremo, "1" è il bene estremo, "0" è il confine fra due mondi:

-1 ...... 0 ...... 1

Il mondo che va da 0 a -1 è quello proprio del nichilismo e di alcune declinazione della filosofia orientale e realista. Mentre il mondo che va da 0 a 1 è il mondo di cui vi sto parlando.
Ora, come detto, alcuni nichilisti potrebbero anche innalzare valori di bene, quindi spingersi da "-1"  verso quello "0", ma non sconfineranno mai dall'odio che li è insito nel dare del niente alle cose (nientità dell'essere).
dunque (al di là dalla rivisitazione in chiave emotiva del nichilismo ontologico à la Gorgia) il nichilismo, un certo pensiero orientale e un certo realismo, propendono al «male estremo»? «Male» di che tipo? Secondo quale scala di valori (magari veritativa e assoluta)? Soprattutto, tale scala di giudizio da -1 a 1, su quali assiomi/dogmi è fondata?
Il problema del fondamento è infatti centrale proprio per il nichilismo, per un certo pensiero orientale e per un certo realismo.


P.s.
@Ipazia
Intendevo esattamente quello che hai esplicitato (e che il "novum" presentato non prende in considerazione), a parte che il nichilismo non «chiude illusoriamente» quel discorso filosofico, piuttosto lo "hackera" disinnescando (annullando) gli ingranaggi "inopportuni"; tecnica di "ingegneria inversa" compatibile con la decostruzione (reperibile nei migliori manuali di bricolage filosofico).

davintro

la dicotomia realismo-nichilismo (che a mio avviso ha una sua ragion d'essere, nella misura in cui l'idealismo, a cui manualisticamente il realismo viene di solito contrapposto, viene considerato nel suo esito necessario, al di là delle aspettative di partenza, cioè l'impossibilità di ammettere una qualunque verità, mancando il riferimento a una realtà extramentale, trascendente la fallibilità dei pensieri umani, realtà extramentale a cui la verità dovrebbe per sua definizione adeguarsi), intesa come dicotomia tra una visione che afferma l'esistenza delle cose stesse come del tutto trascendenti rispetto alla coscienza (realismo) e una visione in cui la realtà si relativizza a seconda dei punti di vista soggettivi, richiamandosi alla formula di Protagora "l'uomo è misura di tutte le cose", può essere superata integrando i punti meritori di entrambe le prospettive. La prospettiva realista evita l'autocontraddizione in cui cade ogni discorso scettico, cioè la negazione di una verità oggettiva, aderente a una realtà che è tale indipendentemente dal fatto di essere pensata, che, coerentemente seguita dovrebbe invalidare lo scetticismo stesso a porsi come discorso "vero" (quale verità se non vi è nulla di reale a partire da cui ammettere una corrispondenza?". Il discorso nichilista, che, azzardo ma potrei sbagliarmi se non ho ben compreso l'ottica in cui la discussione è stata introdotta, si potrebbe definire "soggettivista" o "fenomenista", nella misura in cui non vede nulla oltre l'apparire fenomenico, per quanto ontologicamente errata, ha un fondamentale merito di natura critica-epistemologica: il principio per cui ogni affermazione sulla trascendenza per essere filosoficamente, e dunque razionalmente, fondata deve essere dedotta dall'analisi dei fenomeni, cioè l'ambito di cui, anche portando all'estremo il dubbio sull'esistenza della realtà, resta come residuo necessario dell'esperienza. Questo principio "purifica" il realismo dalla patina di dogmatismo ancora presente nella sua variante "ingenua". Quel realismo ingenuo che attesta l'esistenza della realtà extramentale limitandosi ad ammettere un certo grado di costanza dei fenomeni come presunta prova della reale esistenza delle cose a cui i fenomeni sono riferiti "dopo 4 o 5 volte che vedo l'albero di fronte a me potrei essere certo che l'albero esista davvero", senza porsi il problema di discutere la validità delle percezioni,. Contro tutto ciò, l'istanza soggettivista ci ricorda la necessità di una conversione dello sguardo, dal livello ingenuo in cui percezione soggettiva e cosa oggettiva sono confusi, a quello in cui il fenomeno viene inteso in se stesso, analizzato, mirando a isolare quel nucleo entro cui il fenomeno viene recepito ad un livello originario, preesistente alle arbitrarie interpretazioni e proiezioni dell'Io, individuandolo nella misura in cui lo recepiamo in modo puramente passivo, cioè proveniente da una dimensione di ulteriorità rispetto all'Io, cioè la realtà oggettiva. Come in precedenza ho provato ad argomentare contro lo scetticismo mostrandone l'autocontraddittorietà, cioè considerando, non la realtà fattuale direttamente, ma l'ambito logico del pensiero, dei collegamenti logici delle definizioni entro cui un discorso è costruito per testarne la coerenza interna, ora, entrando in un livello meno formalista, anche la passività testimoniante la dipendenza dell'Io da una realtà ulteriore e oggettiva, si è potuta mettere in evidenza mettendo tra parentesi, metodologicamente, lo sguardo diretto sulla realtà esteriore, per considerare i fenomeni soggettivi nella loro purezza. E questo riferimento "soggettivista" ha permesso di riconoscere, stavolta non dogmaticamente ma criticamente, la presenza di un'oggettività. E penso che proprio questo "realismo critico" sia la strada per armonizzare, in qualche modo, i poli opposti soggettivo-oggettivo

paul11

Citazione di: Vito J. Ceravolo il 03 Febbraio 2020, 16:32:11 PM

Ciao Pauli11,
 Allora tu dovresti verificare l'effettiva realizzazione di tale accesso, il che chiaramente non lo hai fatto, perché quando parli di "interazione necessaria fra soggetto-oggetto" come impedimento alla buona riuscita di tale impresa, ...

Hai frainteso: per me è necessaria l'interazione fra soggetto e oggetto, e non un impedimento

Vito J. Ceravolo

Ciao Phil,
se  ho frainteso scusa, comunque lì si vede come la necessaria interazione soggetto-oggetto non nega l'accesso ne a uno ne all'altro. Comunque, dir si voglia, la manualistica è assai spannometrica e per quanto possa introdurre a un discorso non è mai completa. La cosa si evidenzia davanti a grandi pensatori che mettono in evidenza aspetti prima tralasciati. Severino, che citi, ne è un esempio, benché egli metta in evidenza la forma contraddittoria del nichilismo solo sotto l'aspetto della possibilità. Nietzsche stesso non vedeva l'incoerenza del suo sistema in maniera così esemplare: 

  • Linguisticamnte,nientità dell'essere = l'essere è niente = essere è non essere = essere non è
Non per questo da Hegel in poi, la logica formale è stata un po' messa in disparte o addirittura derisa dalla filosofia occidentale... appunto perché, altro che perplessità, è il segno evidente dell'incoerenza formale del "sistema" nichilista. Infatti il sopra gioco linguistico (1) formalmente è inequivocabile: A=non-A. 
Ma se tu su questo non sei d'accordo, saprai sicuramente trovare un meccanismo linguistico/formale che dimostri il contrario... oppure continuerai a parlare di "perplessità" in merito all'uso formale dei concetti. Magari come lo Hegel no?

Lo ripeto: la novità filosofica non si esaurisce nel dire una cosa prima mai detta, ma nell'essere in grado di dimostrarla, giustificarla. Anche il mio panettiere dice che non c'è alcuna novità nel dire che esiste il soggetto e l'oggetto, ma non è in grado di giustificarlo come non lo sono né Kant, Husserl e qualunque altro nome tu venga a citare. Tutti costoro, dal panettiere a Kant, sono lontani da me a pari modo. E questo è semplice e non capisco perché lo devo ripetere: dire "per me oggetto e soggetto non si contraddicono" è ben diverso dal dimostrarlo. E nella capacità di dimostrare ciò sta la mia novità filosofica, la svolta rivoluzionaria che tale rimane fin quando qualcuno non è in grado di mostrare il contrario. Questa differenza (fra dire e giustificare) è fondamentale, è ciò che differenzia una scienza da una opinione. Quindi se tutti possono pensare un'idea ma nessuno era mai riuscito a giustificarla... allora giustificarla si chiama, a ben diritto, svolta, novità, rivoluzione. 

Eppure a me sembra proprio che tu abbia detto "negazione della finzione". Infatti quando dici che la finzione si basa sul nulla (nullità del fondamento) stai implicando un nulla creatore; il che non è solo formalmente impossibile, ma lo è anche dal punto di vista delle scienze fisiche le quali negano il vuoto pneumatico e affermano oltremodo la possibilità di creazione da almeno un quanto. E se tale è, se nulla si crea dal nulla, allora la tua affermazione di finzione creatasi dal nulla fondante comporta necessariamente la negazione della finzione. Sì, certo che c'è differenza fra nulla e negazione, ma io ho non nego ciò, dico invece che affermando un nulla fondante (nichilismo) di riflesso si nega la validità formale e fisica delle proprie affermazioni.

Il male e il bene? Il bello? Tu... tu non hai letto "linguaggio e noumeno". Ti sembra corretto scrivere più di quanto leggi anche quando ti si chiede di leggere prima di continuare? Forse invece di usare 20 minuti del tuo tempo per pormi un problema, avresti potuto usare quel tempo per andare a vedere dove ti ho detto di cercare la soluzione. Ora sono stanco... magari la prossima volta ti faccio un copia e incolla.

Ben sia chiaro però che io non uso dogmi. I dogmi sono propri delle religioni come il nichilismo e il cristianesimo. Io uso concetti formalmente e materialmente coerenti, criticabili e verificabili per via formale o materiale. Dove la scala è il fondamento, la soluzione positiva del fondamento; ma ti ho già detto anche qui come reperirla se ne sei così interessato.
 
Ciao davintro,
certo, è come scrivi tu. E questo è risaputo da quanti si definiscono pensatori: nichilismo come esito necessario della caduta dell'in sé, avvenuta ufficialmente da Kant e compiutasi in conclusione con Nietzsche. Ma questo non è proprio contestabile, a meno che non si vogliano avanzare teorie insospettate finora nel mondo filosofico. [nota 1, scalata critica al nichilismo]

Io... Davintro, trovo ineccepibile quanto hai scritto. Divergo solo nel termine conclusivo: non voglio chiamarlo "realismo critico", perché a ben vedere, scavando nelle sue implicazioni, questo è proprio un mondo lontano dal realismo ingenuo quanto dal nichilismo ingenuo, tanto che chiamarlo "realismo critico" darebbe pari diritto di chiamarlo "nichilismo critico", così assopendo l'immensa differenza che intercorre fra questo nuovo paradigma e quanto prima esistito prima di esso.
È stato un piacere leggerti.

iano

#20
Ciao Vito.

Mi sono un po' perso, ma questa storia di soggetto e oggetto inscindibili  non mi convince, quanto non mi convince il suo contrario .
Dire che sono inscindibili significa dire comunque che hanno un confine ben definito , ma questo confine quando lo si cerca diventa sfuggente, mentre quando non lo indaghiamo ci rimane solo una sua percezione che ingenuamente pensiamo come netta.
Sembrano soggetto e oggetto piuttosto permeabili , il che me li fa' vedere come arte-fatti , che , siccome utili , dovremmo imparare a maneggiare meglio.
Imparare questa arte piuttosto che prendere parte.

Quindi infine nel dire che oggetto e soggetto sono inscindibili non trovo un senso.

Nel privilegiare l'oggetto o il soggetto , come da "vecchia" filosofia bipolare vedo solo una alternanza dialettica  fra progresso e conservazione  alla quale ognuno prende parte in base alla propria indole.
La vera terza via sarebbe imparare a interpretare entrambe le parti , indipendentemente dall'indole e dall'anagrafe.
Si distrugge solo per ricostruire in un gioco che non ha fine.
Non vedo negatività nel distruggere come nel costruire se considerati in unainscindibile 😊alternanza.
Un nichilismo costruttivo?
Magari finora abbiamo visto solo la parte distruttiva e questo può comprensibilmente generare ansia.



Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

Phil

Citazione di: Vito J. Ceravolo il 03 Febbraio 2020, 23:53:46 PM
Nietzsche stesso non vedeva l'incoerenza del suo sistema in maniera così esemplare: [/left]

  • Linguisticamnte,nientità dell'essere = l'essere è niente = essere è non essere = essere non è
Non per questo da Hegel in poi, la logica formale è stata un po' messa in disparte o addirittura derisa dalla filosofia occidentale... appunto perché, altro che perplessità, è il segno evidente dell'incoerenza formale del "sistema" nichilista. Infatti il sopra gioco linguistico (1) formalmente è inequivocabile: A=non-A.
Ma se tu su questo non sei d'accordo, saprai sicuramente trovare un meccanismo linguistico/formale che dimostri il contrario... oppure continuerai a parlare di "perplessità" in merito all'uso formale dei concetti. Magari come lo Hegel no?
La perplessità, come ho scritto, è nel voler/poter tradurre il nichilismo in una proposizione logica. Ad esempio, quel'è allora la proposizione logica che "traduce" l'idealismo? O quella del realismo?

Va bene cercare di essere sintetici e "logici", ma direi che bisogna rispettare comunque la complessità essenziale di un approccio filosofico, e se questo eccede un'uguaglianza logica, è necessario, almeno secondo me, spendere qualche parola in più. Il "gioco linguistico" che tu attribuisci al nichilismo, secondo me (forse anche secondo i manuali e alcuni autori nichilisti) non è affatto adeguato a sintetizzarlo: come già citato, il nichilismo di Gorgia non è quello di Nietzsche, che non è quello di Vattimo, etc. basta riconoscere questo per dover rinnegare la pertinenza di quella proposizione logica (ammesso e non concesso che un approccio filosofico possa essere ridotto ad una proposizione logica).

Citazione di: Vito J. Ceravolo il 03 Febbraio 2020, 23:53:46 PM
Anche il mio panettiere dice che non c'è alcuna novità nel dire che esiste il soggetto e l'oggetto, ma non è in grado di giustificarlo come non lo sono né Kant, Husserl e qualunque altro nome tu venga a citare. Tutti costoro, dal panettiere a Kant, sono lontani da me a pari modo.
Forse non ho capito: stai dicendo che Kant e Husserl non hanno "giustificato" l'esistenza e/o le relazioni di soggetto ed oggetto? Se mi consenti la battuta: chi dovrebbe andare a cercare tale risposta nei testi di chi?

Citazione di: Vito J. Ceravolo il 03 Febbraio 2020, 23:53:46 PM
Infatti quando dici che la finzione si basa sul nulla (nullità del fondamento) stai implicando un nulla creatore; il che non è solo formalmente impossibile, ma lo è anche dal punto di vista delle scienze fisiche
Per fondazione non intendo ovviamente una derivazione meccanicistico/causale; non a caso sin dal primo post ho parlato di nulla semantico (non ontologico, oppure vogliamo far dire allo strawman-nichilista che "tutto è nulla" nel senso che nulla esiste, nemmeno lui?).
Provo comunque a riassumere: Iano aveva parlato di «finzione» come (se non l'ho frainteso) dimensione rappresentativa della necessità pratica di "immedesimarsi" in una prospettiva; mi sono quindi agganciato a questa sua considerazione, rilevando che, se in generale ogni finzione è sempre finzione-rispetto-a-qualcosa, in questo caso (volendo esemplificare un approccio nichilista) non si trattava di essere finzione rispetto ad una verità assoluta, ma finzione rispetto ad un nulla, ovvero non essere finzione di qualcosa, cioè finzione senza un fondamento positivo, veritativo, etc. praticamente una finzione "reale" in sé perché non rimanda ad altro da sé.
Provo a spiegarmi con un altro esempio; il concetto di identità può fornire un caso di "finzione": è una finzione che il mio dito sia/abbia un'identità logica, ma non perché in verità esso sia altro (non sia un dito), quanto piuttosto perché è solo una "costruzione" arbitraria e concettuale, una struttura convenzionale (linguistica) in cui, per dirla con le parole di Iano, ci immedesimiamo e riteniamo reale (fermo restando che in questo caso parliamo comunque di materia e non di un orizzonte di senso in cui immedesimarci).

Citazione di: Vito J. Ceravolo il 03 Febbraio 2020, 23:53:46 PM
Il male e il bene? Il bello? Tu... tu non hai letto "linguaggio e noumeno". Ti sembra corretto scrivere più di quanto leggi anche quando ti si chiede di leggere prima di continuare? Forse invece di usare 20 minuti del tuo tempo per pormi un problema, avresti potuto usare quel tempo per andare a vedere dove ti ho detto di cercare la soluzione. Ora sono stanco... magari la prossima volta ti faccio un copia e incolla.
Non ti ho chiesto del «bello» (puoi controllare), ti ho domandato delucidazioni dell'esempio che ho citato (dal tuo post) in cui parlavi dell'intervallo fra -1 ed 1 riferendoti ai due estremi come, cito, «male estremo» e «bene estremo» (anche qui puoi controllare il relativo post).
Apprezzo la proposta del copia e incolla, ma so che estrapolare un paragrafo da un testo organico può essere compromettente per il suo senso; magari lo leggerò per interno in un altro momento.
Grazie comunque delle risposte e degli spunti.

Vito J. Ceravolo

Ciao Iano,
il rapporto fra oggetto e soggetto e loro inscindibilità è riportata in Dieci argomenti di filosofia, capitolo 1, dieci minuti di lettura, dove se ne definisce il confine che non è sfuggente ma linguisticamente definibile per quanto permeabile come fra A e non-A
Qui: https://filosofiaenuovisentieri.com/2017/07/16/dieci-argomenti-di-filosofia/

Tutto il discorso ne deriva. Se ti puoi prendere dieci minuti, solo per quel capitolo, poi possiamo avanzare il discorso.

Ciao Phil,
come già detto la forma logica dell'idealismo è la stessa del nichilismo, essendo quest'ultimo una conseguenza diretta del primo, una sua implicazione resa visibile da Nietzsche. In entrambi i casi, da Kant sino ad oggi, tutta la filosofia occidentale si è mossa sull'inesistenza della realtà in sé, cioè sulla forma A=non-A.
Per quanto riguarda il realismo, invece, quindi da Platone sino a Kant, tutta la filosofia dominante si è mossa sulla forma parmenidea A=A e non può esser non-A, senza però essere in grado di giustificare tale forma (cfr. problemi parmenidei) e quindi con la conseguente caduta del sistema ingenuo realista.

Si, hai capito benissimo, né Kant né Husserl sono stati in grado di giustificare le loro tesi, essendo le loro tesi inconsistenti, cioè contraddittorie o nel loro rapporto formale o nel loro rapporto materiale. La giustificazione di una tesi è valida solo se essa è consistente, e ciò che è consistente ha coerenza formale e materiale. Chiarisco: giustificare una tesi non significa dire "è così", come hanno tentato costoro, ma significa che tale "è così" è consistente, cosa che loro non sono riusciti a fare. Anche perché se ci fossero riusciti... non ci sarebbe mica più il problema. Quindi sì: segnalami i testi in cui costoro o altri hanno giustificato consistentemente le loro tesi in merito al rapporto soggetto-oggetto.  Ma ti posso assicurare che non esistono questi testi, fra coloro.

Bene, ho letto il tuo concetto di fondazione, ma come già detto, finzione o realtà o immaginazione o altro che sia, nella mia filosofia non c'è solo un aspetto psicologico derivante dal soggetto, ma anche un aspetto logico derivante dall'oggetto. In questo caso la finzione non è tale rispetto a un nulla fondante (formalmente e fisicamente impossibile) ma in confronto a un concetto veritativo.

Allora facciamo così come dici tu, quando hai 30 minuti di tempo, in merito al concetto di male e di bene, troverai nell'articolo Linguaggio e noumeno (nella seconda parte) un riferimento alla bellezza in senso universale. Tale procedimento di universalizzazione della bellezza, che non cancella il concetto di bellezza relativo, può essere applicato ugualmente al bene e al male.

Grazie a te.

Grazie a tutti voi.

iano

@Vito.
Grazie per le tue risposte e la tua pazienza.
Ho letto i tuoi link ,ma non ho capito.
Ho apprezzato i tuoi post laddove li ho definiti "fulminati" , e quindi comunque qualcosa porto a casa.😊
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

Ipazia

La ragione non ha l'in sé delle cose, ma il per noi delle cose. A questa  "verità" era giunto anche Hegel tanto tempo fa (archiviando il noumeno nella sostanza se non nel desiderio).

Da allora il sapere (fisico e metafisico) ne ha fatto tesoro realizzando una "nuova oggettività" che ha contestualizzato l'oggetto e riscritto - togliendogli l'aura arcaica animistico-fenomenologica - intersoggettivamente il soggetto.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

iano

#25
Citazione di: iano il 03 Febbraio 2020, 10:25:49 AM
Se può essere utile vivere in una finzione , non è utile ricordare sempre a noi stessi che si tratti di una finzione .
«finzione» rispetto a cosa? Rispetto ad una fondante Verità assoluta? No, rispetto a nulla (che non è «rispetto al Nulla»); questo è per me nichilismo "performativo", l'uomo come ente (pensante) fra gli enti, senza idealismo e senza solipsismo.


[/quote]
@Phil
Forse l'uso che ho fatto del termine finzione non è stato felice.
La finzione richiama la pura arbitrarietà, ma i prodotti dell'interazione con la realtà non sono arbitrari , ma neanche univoci.
Ma perché la "finzione" possa essere scambiata per realtà occorre che sia condivisa , di modo che si rafforzi per reciproca conferma .
La condivisione infatti si presta come argomento contro la "finzione" , ma le cose non stanno così.
Semplicemente l'utilita' andrebbe a cadere senza condivisione.
Comunque si giunga a questa condivisione , che sembra miracolosa , non conoscendone appieno le dinamiche , stiamo un po' parlando di una vecchia storia.
Le finzioni adesso sono le ipotesi su cui si basano le teorie scientifiche.
Per queste i meccanismi di condivisione non sono misteriosi , o comunque possono essere analizzati , e questa analisi può gettare luce sul suddetto mistero.
Naturalmente ciò che è condiviso non è perciò vero , ma questo non è un problema se non siamo alla ricerca della verità.
Ma la non ricerca della verità non significa aprire la strada all'arbitrio , perché siamo comunque condizionati dalla realtà, e lo siamo tutti insieme, essendo sostanzialmente simili.
Il soggetto più interessante non sembra essere l'uomo quindi , ma l'umanita' , che poi è solo una parte degli esseri viventi.
L'umanita' stessa è una "finzione " in quanto arbitrari , ma comunque funzionali , sono i criteri che la distinguono dal resto dei viventi.
Non dovremmo perciò cercare il vantaggio dell'umanita' , come non è da cercare il vantaggio dei maschi piuttosto che delle femmine , perché andremmo a cercare il vantaggio di "definizioni di comodo" , come se il definirli desse loro vera sostanza di soggetto.
Gli effetti del cercare il "nostro" vantaggio su questa terra sono cronaca quotidiana.
Le discriminazioni sessuali e razziste pure , e purtroppo nascono dal nostro senso di realtà che anima le nostre arbitrarie ma condivise definizioni.
Questo senso crea la realtà dandole la consistenza di uno spigolo contro il quale è meglio non sbattere.
Se hai dei dubbi prova, e così la nostra realtà è dimostrata.
Ma rimane sempre nostra e non può essere spacciata per verità, perché noi stessi non siamo assoluti.
Non siamo centrali , anche se così ci percepiamo perché noi siamo il nostro punto di vista.
Ma il mio non è un invito all'umilta' , ma anzi un invito all'orgoglio di essere se stessi , per quel che siamo .
La strada di fatto che abbiamo intrapreso credo sia appunto quella di prendere coscienza dei nostri mezzi.
Ma è una strada di fatto , dove la coscienza in se' non è da esaltare , perché di fatto equivale al vizio di esaltare noi stessi in forma dissimulata.
È uno dei nostri strumenti , da conoscere , da maneggiare sempre meglio , per il nostro bene, che non è mai solo il nostro bene , almeno di non credere fino in fondo a ciò che ci inventiamo e che definiamo.
Vecchio , ma umanissimo vizio.
Personalmente sono convinto che non c'è sostanzialmente molto di nuovo sotto il sole , ma tutto appare tale sotto l'uso della coscienza sempre più usata.
Ciò che facciamo in coscienza abbiamo sostanzialmente sempre fatto anche senza , ovviamente non sapendo come.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

bobmax

Citazione
Divenire dell'identità: Nel divenire, A e non-A devono essere necessariamente diversi, altrimenti il trasformarsi di uno nell'altro non sarebbe un divenire ma un restare. In questo senso A si trasforma in non-A. Ne segue che A non può essere mai altro da sé benché possa divenire altro da sé modificandosi da ciò che è, e in questo nuovo sé essere uguale a se stesso (non-A=non-A) benché diverso da ciò che era prima

A è perciò essere, nel presente.
Un essere che però diviene...

Questo tanto per chiarire. Non disturberò oltre.
Tardi ti ho amata, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amata. Tu eri con me, mentre io ero lontano da te.

Ipazia

Citazione di: Vito J. Ceravolo il 03 Febbraio 2020, 18:52:14 PM
Per chi vorrà testare questo pensiero. Un'introduzione:

1. Qui troverete lo scioglimento della dicotomia oggetto-soggetto, quindi noumeno-fenomeno, non come annullamento di uno o l'altro, ma come riconoscimento delle loro verità distinte ma dipendenti, senza contraddizione (derivante dallo scioglimento del conflitto fondamentale)

Le verità delle dicotomie citate sono concettuali e del concetto hanno il difetto di non accedere al noumeno che rimane - canonicamente e secondo autorevole tradizione - inconoscibile (e quindi illusorio lo scioglimento del "conflitto fondamentale" che resta isolato nel concettuale)

Citazione2. Qui troverete una nuova metafisica, in breve:
«Mi riferisco a Nietzsche che a ben vedere criticò la metafisica del tempo, ma che troppo ingenuamente la cancellò invece di riformarla in questi termini: senza duplicazione di realtà, ma con un'unica realtà di un ordine al contempo sensibile e intelligibile; senza separazione fra corpo e anima, ma con un unico medio, ragione in sé, che si combina dalla meccanica sino alla biologia fin anche la cultura; con una realtà in sé che ben conta nelle definizioni della realtà apparente, ragione universale capace di giustificare sia il razionale che l'irrazionale, il prevedibile e le possibilità, il particolare e l'individualità, [la determinazione e la libertà].» (cfr. Guida mistica al noumeno, nota 2)

Friedrich Nietzsche (FN) non ebbe "l'ingenuità di cancellare la metafisica del tempo senza riformularla" ma la saggia umiltà e l'arguzia filosofica (da antenna sensibile qual'era) di lasciare al futuro le competenze specialistiche che sapeva di non possedere fornendo solo alcune pregevoli intuizioni che nutriranno la nascente psicologia scientifica, il relativismo gnoseologico, fenomenologia, linguistica e logica. Ovvero tutta l'ontologia moderna con diritto - secondo Ludwig Wittgenstein (LW) - di parola.

Da filosofo di razza FN ci ha lasciato anche una tortuosa eredità sullo specifico sopravvissuto della filosofia che LW rivela in epigrafe al suo Tractatus chiamandolo "Mistico": la questione etica (= estetica)

Citazione
3. Qui troverete una nuova ontologia (una sintesi velocissima tratto dal libro "Mondo. Strutture portanti. Dio, conoscenza ed essere", ed. Il prato, pp. 91-170):

  • Identità: Quando diciamo "Socrate è Socrate" (A=A) stiamo parlando di un unico Socrate (A) uguale a se stesso (=A), possibile in quanto identico a sé e non diverso da sé. Nell'identità quindi non si parla di essere uguali ad altro (es. A=B), ma di un'uguaglianza continua che si serve di uno stesso termine A come se fossero due A=A benché il termine sia sempre uno. Cosicché in A=A il termine A ritorna a sé all'infinito: se A=A allora A; se A=A=A=A=A... etc allora A.
  • Composizione dell'identità: L'identità A=A è composta dal contenuto "A" è dalla relazione "=" che lo uguaglia a se stesso.  Il contenuto "A" è la materia dell'essere mentre la relazione "=" è la forma dell'essere. Cosicché dire "A=A" significa dire "essere (A) è (=) essere (A)" in cui si ha un unico essere che si rapporta a sé tramite se stesso; una materia che si rapporta a sé tramite la propria forma.
  • Esclusione dell'identità: Dire A=A significa escludere da A ciò che esso non è: A è diverso da non-A. In tal senso A porta in sé la mancanza di ciò che non è. E portare in sé la mancanza di qualcosa è ben diverso dal portare in sé quella cosa: "portare in sé la fame è diverso da portare in sé la sazietà" benché la sazietà sia un nostro possibile momento. Cioè:  "essere" (potenza) e "dover essere" (potenziale) non sono uguali laddove uno necessariamente esclude l'altro fintantoché si affermi la possibilità di distinguere un oggetto da un altro.
  • Confini dell'identità: Per essere se stesso, A deve avere dei precisi confini che lo distinguono dal restante permettendoci di concepirlo distintamente senza pensare a ciò che non è (come possiamo pensare alla pera senza dover necessariamente pensare alla mela); anche se dal restante non può essere realmente separato poiché A è ciò che è in quanto non è ciò che non è. In questo senso A, per essere se stesso, è indissolubilmente legato a ciò che esso non è (non-A). Quindi diciamo A e non-A inscindibili ma discernibili, inseparabili ma distinguibili. Ossia: A è isolato in sé per essere l'unità che è, ma oltre la propria unità si lega a ciò che esso non è, quindi non è isolato oltre sé.
  • Divenire dell'identità: Nel divenire, A e non-A devono essere necessariamente diversi, altrimenti il trasformarsi di uno nell'altro non sarebbe un divenire ma un restare. In questo senso A si trasforma in non-A. Ne segue che A non può essere mai altro da sé benché possa divenire altro da sé modificandosi da ciò che è, e in questo nuovo sé essere uguale a se stesso (non-A=non-A) benché diverso da ciò che era prima.

Spero che questa breve introduzione possa facilitare la comprensione del complesso filosofico di questo nuovo paradigma, dove in termini spiccioli potete distinguere fra ontologia, come studio dell'essere tramite la ragione, e metafisica, come studio della ragione con la ragione. Sempre ben intendendoli non come corpi separati, bensì come uno l'espressione sensibile di quel sovrasensibile e viceversa.

Con tutto il rispetto per quanto sopra e pure per la bella forma fenomenologico-narrativa dei vari link che ho letto, mi pare che l'ontologia ormai se la sia presa la scienza, incluse la parte di "noumeno" che ci è dato di manipolare. Temo che nessun nuovo sistema filosofico possa reggere il confronto ontologico con le diavolerie della Big Science e che la logica abbia già dato il massimo di sè, la sua noumenica volontà di potenza, all'epoca di Frege-Russell, accettando, dopo la fine dell'utopia neo-ontologica globale, di ritagliarsi fettine di conoscenza applicata utili per programmare le intelligenze artificiali e formulare algoritmi probabilistici, senza più alcuna velleità filosofica.

Quanto alla metafisica, si può farla su tutto, anche sull'episteme, che ne ha gran bisogno per non partorire i mostri che sogna mentre la ragione dorme.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

Phil

Citazione di: iano il 04 Febbraio 2020, 08:42:37 AM
@Phil
Forse l'uso che ho fatto del termine finzione non è stato felice.
La finzione richiama la pura arbitrarietà, ma i prodotti dell'interazione con la realtà non sono arbitrari , ma neanche univoci.
Ma perché la "finzione" possa essere scambiata per realtà occorre che sia condivisa , di modo che si rafforzi per reciproca conferma .
La condivisione infatti si presta come argomento contro la "finzione" , ma le cose non stanno così.
Semplicemente l'utilita' andrebbe a cadere senza condivisione.
[...]Naturalmente ciò che è condiviso non è perciò vero , ma questo non è un problema se non siamo alla ricerca della verità.
Ma la non ricerca della verità non significa aprire la strada all'arbitrio , perché siamo comunque condizionati dalla realtà, e lo siamo tutti insieme, essendo sostanzialmente simili.
[...]Ma rimane sempre nostra e non può essere spacciata per verità, perché noi stessi non siamo assoluti.
Non siamo centrali , anche se così ci percepiamo perché noi siamo il nostro punto di vista.
Il termine «finzione» mi sembra invece particolarmente calzante; ho spesso parlato al riguardo di "gioco di società": ci accordiamo su delle regole e stiamo al gioco; poi con l'arrivo generazionale di nuovi giocatori, ci si accorda (talvolta con le buone, talvolta con le cattive) su cambiamenti alle regole precedenti. La filosofia, anch'essa con un suo "dinamismo" storico, è generalmente la riflessione sui (o la proposta dei) fondamenti di tali regole o almeno delle chiavi di lettura del "gioco di società" in atto.
Trovo molto pertinente anche il richiamo alla funzionalità pragmatica e la sottolineatura che non si tratta di una finzione basata su "gaia anarchia" o sull'alienazione totale dal mondo circostante, da cui ereditiamo invece quel "senso di realtà" che rende credibile la finzione: che il fondamento sia convenzionale (cioè "un nulla" per chi ricerca gli ab-soluti) e che le regole possano essere cambiate (come di fatto accade), non significa banalmente che "allora una regola vale l'altra" né che "ognuno si fa le sue regole"; nasciamo e viviamo in una società già strutturata, siamo chiamati ad interagire fra simili in un contesto non vergine (non siamo catapultati a vivere da soli sulla luna). L'esempio che faccio sempre è quello delle lingue: le regole grammaticali sono arbitrarie, relative a ciascuna lingua, ma ciò non comporta che ognuno parli di fatto una sua lingua "autoprodotta" o che, in un dialogo reale, parlare inglese o parlare russo sia indifferente (quantomeno non lo sarà per il nostro interlocutore). Il fondamento di ciascuna lingua è dunque una verità assoluta e necessaria? Quella cosa, in realtà, in verità, si chiama «pen» o «penna»? Le regole linguistiche sono cogenti pur essendo autoreferenziali, eppure le lingue funzionano, si modificano, etc. lo stesso accade con le visioni del mondo filosofiche (tranne quelle che si prendono così sul serio da non riconoscersi come finzione, ma invece come verità assoluta, solo perché all'interno del loro sistema, i conti tornano).

Il nichilismo è per me proprio la consapevolezza di questa finzione, "consistente" (non ontologicamente) nel nulla sotteso al senso del gioco (che non è negazione della possibilità del senso del gioco, anzi proprio a causa di tale nulla sono molte le finzioni possibili...). La stessa interpretazione nichilista non ha un fondamento assoluto e veritativo (essendo molto più destruens che costruens), è piuttosto solo la (sconsolata?) constatazione che i fondamenti finora proposti come assoluti (dalle scienze umane, il nichilismo filosofico non parla di quanti e leggi fisiche), semplicemente non lo sono perché, al di là del loro successo storico, sono incapaci di uscire dalla propria autoreferenzialità (la scienza ci riesce infatti percorrendo altre vie, non solo teoretiche).
Tuttavia, senza tali sistemi filosofici non ci sarebbe potuto essere il "gioco parassitario" del nichilismo, che richiede precedenti proposte non nichiliste per autoidentificarsi come tale (e per questo non è veritativo, se intendiamo che contenga una proposta di verità assoluta) basandosi proprio sul fatto che i sistemi filosofici funzionano perché stanno ognuno al proprio gioco, come accade in tutte le finzioni (e come accade in tutti i sistemi logici: gli assiomi sono esclusi dalle dimostrazioni che essi stessi fondano; per questo la "soluzione" del "filosofo x", se ben strutturata, è coerente e consistente nel suo sistema, ma non è completa, non applicandosi ai propri assiomi; quindi non è definitiva, soprattutto per chi parte da assiomi differenti; per questo la filosofia può continuare ad interrogarsi ed è così che si fonda l'ermeneutica, ma questa è un'altra storia...).

Sariputra

Mi sembra non corretto usare il termine 'finzione'. Per finzione s'intende qualcosa creato dalla mente con l'immaginazione ( diz.Treccani), non con la ragione. Mi sembra più consono dire: ipotesi razionali.
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

Discussioni simili (5)