Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica

Aperto da Vito J. Ceravolo, 02 Febbraio 2020, 18:09:52 PM

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bobmax

La psicologia ha avuto senz'altro molti pregi, aiutando ad inoltrarci nella nostra mente. Tuttavia, ha comportato pure una grave perdita.
Perché è servita a nascondere a noi stessi l'orrore del Nulla.

Come aveva ben messo in luce Martin Buber, affrontare razionalmente le crisi esistenziali può essere efficace, sui sintomi, ma impedisce di affrontare il "limite", riducendolo a mero incubo.

Mentre il limite è, nella sua incomprensibilità razionale, segno imperscrutabile dell'Essere.

"Beati i poveri in spirito" perché affrontando il limite vedranno Dio.

Viceversa, chi è ricco in spirito, sta ancora giocando, nel giardino dell'esserci. Fino a quando, s'imbatterà nel limite che non potrà nascondere a se stesso, e si troverà allora povero.
Pronto per la notte oscura.
Tardi ti ho amata, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amata. Tu eri con me, mentre io ero lontano da te.

Ipazia

Sfondare i limiti epistemologici dell'episteme non è grande impresa, essendo una porta aperta. Sfondare quelli fisici è un po' più complicato e il giardino dell'esserci pare non offrire, se non immaginarie, alternative. Tanto vale fare di necessità virtù e riempire di spirito quel giardino. Finchè il limite, di fronte al quale siamo tutti equamente poveri (la livella), non ci separerà.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

green demetr

#212
Ciao Ipazia, rispondo alla tua richiesta di tumulazione dell'anima domani. Abbi pazienza.
Devo a Paul ancora un approfondimento e delle riflessioni a latere del suo scritto di qualche giorno fa.
Al di là della caduta di penna e di confronto dialettico di Ceravolo (peccato era una delle poche volte, forse l'unica che mi sarebbe piaciuto continuare a discutere con i pensatori di nuove filosofie), rimane sul tavolo la riflessione della rivoluzione filosofica.


Allora caro Paul tu scrivevi molto saggiamente:


"Il disvelamento riguarda l'essere: il problema, ribadisco, che l'essere per i metafisici è ontologicamente e gnoseologicamente diverso da chi invece lo cerca nell'esistenza.
Per fare un esempio concreto:  è giusta la critica di Heidegger verso Platone del "che cosa è l'essere?" E se fosse giusta dove,come, in che cosa consisterebbe l'essere per Heidegger?
Sono riflessioni.


L'essere, il logos, sono credenze? E il Sileno che crudelmente dichiara la tragedia umana della sua misera vita? A tua volta non ti chiedi da dove fuoriesce il Sileno e se sia migliore la sua sorte?


Heidegger mi risulta che scrive"Essere e tempo" e non "Enti e tempo".
Personalmente l'Essere ritengo sia come scrive inizialmente Nietzsche "l'uno primigenio", o archè, o ragione in sé, o chi lo identifica in Dio(non necessariamente in senso religoso)."



Allora direi che si qui ci siamo, il disvelamento dell'Essere, che non sia l'essere delle res extensa, ossia degli enti, ossia degli esistenti, è il tema centrale di chi pone il logos nel soprasensibile.

Per me questa e solo questa è metafisica. Dovremmo essere d'accordo, anche se purtroppo ci lasciamo dietro quasi per intero gli altri forumisti (con cui dovremo ancora confrontarci sulle res extensa).

Cosa sia per Heidegger l'Essere ancora non lo so nella sua completezza. Mi manca la lettura diretta dei testi (prima o poi inizierò).
Approcciando le varie conferenze e ragionando di mio, mi pare che L'Essere sia ben definibile come nel recentissimo libro sottratto alle fauci delle Bompiani e curato dal professore Alfieri, come la casa dell'esserci.
L'heimat come lo definisce Heidegger, è il luogo di appartenenza e solo nei suoi confini la nostra destinalità è portata felicemente a termine.
Diversa cosa è la destinalità della storia.
Si tratta per Heidegger di recuperare questa dimensione mediana di cui l'uomo è abitatore, e che per ora storicamente ci consegna invece nell'inautenticità.
Non siamo ancora a casa nostra.
E' chiaramente una visione decostruens che deve il suo iter alla stessa storia della filosofia e che vede il nostro riprendere le tematiche della grecità. (di cui sono ignorante).
Mi mancano le letture sul parmenide, sull'eraclito e su tutto il pensiero della svolta.
Anche Heidegger torna ai greci dunque.
Ma dovrai attendere che legga prima essere e tempo, e poi mi inoltrerò in queste letture.(il che potrebbe non avvenire mai) Purtroppo nelle conferenze i maggiori filosofi rimangono sempre alle premesse, e proprio nelle premesse sembrano già perdersi.

Come già stavi dicendo a Ipazia, sono i Greci ad aver pensato maggiormente alla autenticità del vivere insieme, l'ethos di cui le parlavi, va già nella direzione dell'essere, e giammai dell'esserci, non è una sociologia, complimenti Paul, è così. (ma è anche uno dei motivi per cui rimango sospettoso nei confronti della grecità, prima o poi mi confronterò con essa, pur conoscendo solo il latino, e non il greco.Ma gli amici grecisti mi dicono che sia proprio quello il problema, che non possedendo io la conoscenza della lingua, non intendo nemmeno il loro pensare. Si mi sento molto lontano dalla grecità, non la sento mia. Preferisco recuperare tramite altri, il senso di qualche termine e portarlo all'altezza dello sguardo contemporaneo.
Questo per rispondere o mettere a latere di quello che chiedevi, fosse esso solo un mera domanda retorica per proseguire il discorso, o un vero domandar di senso di Platone e company. Ripeto rare volte ho pensato di mio alla grecità.
Sono ancora scottato dai danni del modernismo.

Dunque cosa è l'Essere, che idea mi son fatto io?
Il mio maestro è di fatto Nietzche o Hegel o mi dicono anche Bruno.

L'Essere è ciò che non può essere noto e in quanto non noto è ciò che chiamiamo DIO.

Ma è un DIO nascosto, un DIO dell'impossibilità.

L'unica cosa che sappiamo è che noi, qualsiasi cosa noi siamo al di là del tempo, al di là della soggettività, nella Gloria come direbbe Severino, "sappiamo esistere l'ESSERE" in quanto induttivamente l'unica premessa possibile, al nostro DIVENIRE SOGGETTI.
Poichè nell'eterno cambiare del tempo, infiniti soggetti noi siamo, eppure cosa ci lega?
La memoria di qualcosa che persiste, e che chiamiamo anima.
Ci sentiamo da sempre all'interno di un movimento, un movimento che chiamiamo Storia, e che determina il nosto esserci. Nel qui e ora c'è già l'intera storia di quel movimento.
L'orizzonte a cui muove la nostra anima si chiama destinalità, ed è il vero fulcro del problema filosofico.

E' solo alla luce della destinalità che l'archè acquista i suoi colori.

Ogni filosofo tende alla propria destinalità, e ognuno di noi tende alla propria.

Ma ognuno di essi deve render conto di quella proprietà come vana, come volontà di potenza. In realtà siamo deserti come diceva Nietzche, o come dice Heidegger siamo solo spettatori, del disvelamento dell'Essere, nella storia comune degli essenti.
Di ogni essente dall'inanimato all'animato.
L'uomo ovviamente è interessato a se stesso.

Per capire la necessità di una nuova antropologia, decentrata rispetto al proprio soggetto, (sopratutto se pensato alla maniera moderna come se fosse una res mentale).
E' necessario avere in mente i 3 passaggi fondamentali, il primo il fondamento dell'esser uomo, l'archè che lo contraddistingue, ossia che lo accompagna, l'archè appunto, il logos etc...
Il secondo il desiderio la tensione dell'anima ad essere in armonia, a essere da medium tra le istanze dello svelamento e le proprie infinite soggettività.
Che è poi il problema del soggetto, il problema meramente etico. Ossia l'andare oltre il bene e il male.
E infine il tema che ghiaccia o che infiamma, l'orizzonte a cui siamo chiamati, a cui siamo chiamati a rispondere, o a tacere (che è poi un modo di rispondere).
E che io chiamo l'analisi. Che al suo interno ha il problema della tecnica ma non solo, di solito lo chiamo il tema del politico. E che poi sarebbe quello il punto nodale della rivoluzione.

Ma senza una distinizione dei tre momenti, senza una piena consapevolezza della fondazione (da dove vengo') del sè (movimento animico) consapevolezza di essere soggetti perennemente decentrati (antropologia) vedo dura vedere il futuro (la rivoluzione filosofica, del FARE FILOSOFIA) in maniera drammatica (come di fatto è).

Siamo nel mondo dello spettacolo dell'eterna dannazione del non ricordo di sè, e della provenienza di quel sè. Figuriamoci pensare gli orizzonti.

Oggi come oggi un filosofo non può che essere pessimista, ma guai se smette di pensare (compreso il suo stesso pessimismo).

A domani per la terza trance dove mi pare poni dopo l'archè il problema del soggetto. Come da me auspicato tra l'altro.
Vai avanti tu che mi vien da ridere

green demetr

Citazione di: bobmax il 04 Marzo 2020, 10:54:59 AM
La psicologia ha avuto senz'altro molti pregi, aiutando ad inoltrarci nella nostra mente. Tuttavia, ha comportato pure una grave perdita.
Perché è servita a nascondere a noi stessi l'orrore del Nulla.

Come aveva ben messo in luce Martin Buber, affrontare razionalmente le crisi esistenziali può essere efficace, sui sintomi, ma impedisce di affrontare il "limite", riducendolo a mero incubo.

Mentre il limite è, nella sua incomprensibilità razionale, segno imperscrutabile dell'Essere.

"Beati i poveri in spirito" perché affrontando il limite vedranno Dio.

Viceversa, chi è ricco in spirito, sta ancora giocando, nel giardino dell'esserci. Fino a quando, s'imbatterà nel limite che non potrà nascondere a se stesso, e si troverà allora povero.
Pronto per la notte oscura.




Molto ben scritto BOBMAX, condivido il tutto. Ovviamente io distinguo tra la psicologia che cura i comportamenti o elimina i sintomi, e la psicanalisi che invece li analizza (i sintomi ) nel loro fluire stesso, li cura facendo imparare al soggetto a vivere.


Naturalmente nei casi di psicosi grave, l'analisi è praticamente impossibile, ma non impossibile in assoluto, queste sono scelte drammatiche da fare, infatti il malato o presunto tale, perchè in analisi si chiamo l'analizzante, non il malato.
Si sta curando da solo, o viene aiutato a curarsi da solo traversando in toto il sintomo per capire la sua origine.


Proprio per via di queste pratiche l'analisi è molto molto vicina alla filosofia.(entrambe insegnano ad accettare forme di coaudiuvazione, ad affrontare il tema dell'altro).


E' solo nella comunità che il limite va affrontato con forza, da soli è facile rimanere atterriti.
Vai avanti tu che mi vien da ridere

paul11

ciao Ipazia,




La virtù  in Grecia, nacque con il nomos di Esiodo che insieme dichiarava i principi di sovranità del re.
La virtù  era l'armonia che nasceva dal rapporto cielo e terra e quindi l'uomo.
Non si capirebbe altrimenti come mai tradizioni più antiche di quella greca, quella vedico indiana, egiziana, sumerico babilonese, già la interpretavano nel divino.


Aristotele è un filosofo con un piede ancora nell'antichità e un altro predispone la modernità.
E' il periodo ellenistico, quello di Alessandro Magno, di cui Aristotele era aio, precettore.
La scuola peripatetica, quindi aristotelica arriva fino al tomismo e la scolastica.
Aristotele si contraddistingue per una visione più pratica che teoretica ed è per questo che la sua influenza arriva più di Platone a certi filosofi moderni che seguono comunque il filone empirista.


Come ho scritto altrove il passaggio dalla civiltà greca a quella latina sposta anche le direzioni del pensiero. Il diritto latino si occupa più della domus che del nomos greco, degli interessi privati più che delle virtù in senso originario.
Quindi da una parte è corretto dire che Aristotele influisce in qualche modo sullo spartiacque fra morale ed etica, in cui la morale del nomos svanisce secondo l'interpretazione etica che deriva dalle prassi. Ed è quello che vado dicendo da un bel po' di tempo. Perchè il comportamento etico non ha fondamenti, se non l'osservazione di gruppi sociali, di società di tradizioni diverse. Quindi ogni gruppo sociale, stato, nazione, tradizione, addirittura luoghi diversi hanno etiche diverse.
Non è fondativo osservare, semmai è capire la legge che governa l'osservazione. L'etica che diventa usanze diverranno parti dei codici legislativi. Ma questo non cambia nulla né dal punto di vista teoretico, in quanto la morale è virtù e l'etica prassi comportamentale e la mores usanza.


Gli studi "rigorosi scientifici moderni" sui comportamenti sono limitati a  test. Sull'attendibilità di tutti i test, compresa statistica, stocastica, calcolo delle probabilità , lo lascio ai rumors intestinali del mainstream culturale. A cosa poi servono in pratica? A imbonire le folle con pubblicità, marketing economico e politico, culto dell'immagine.


Ti zappi sui piedi se credi nel comunismo. Il comportamentismo alla Pavlov che con scosse elettriche si insegna al topo la via per mangiare il formaggio? E' superato dal cognitivismo.
Persino le ideologie liberali e liberiste, "prendono atto" degli individualismi e impongono alla politica di non intromettersi, in quanto  secondo il loro dettame il dare e avere, le transazioni, sono equilibratrici ed esaltano l'astuzia, il cinismo, l'egoismo, il narcisismo, la megalomania.
Il migliore, il più "forte" vince e il povero è un inetto. Questa è la sentenza del "rigore scientifico".


Spinoza è un ebreo, e gli ebrei sono più materici di quanto possa far sembrare le loro mistiche, non mi sorprende affatto.


Libertà è una bellissima parola, come l'amore. Si uccide per libertà e amore.
Sottrarsi ad una condizione, non significa essere più liberi, perché la libertà crea nuove problematiche e condizioni. Un cane alla catena dovrà il padrone sostentarlo. Un cane randagio dovrà badare a se stesso compreso il sostentamento.
C'è chi nasce per non prendersi responsabilità e sono le moltitudini di pecore smarrite che cercano  sempre l' uomo forte" e lo votano alle politiche perché, essendo  illusi e ingenui, gli risolva i loro problemi. Per esperienze sociali mie personali, sono pochi che hanno "gli attributi" per decidere
e prendersi le responsabilità e molti scappano per "non sporcarsi le mani".


La metafisica oggi è un coronavirus del regno animale e naturale che manda al tappeto una cultura di scientisti che vorrebbero andare su Marte e non riescono nemmeno a vivere sul pianeta natale.

paul11

#215
ciao Green,


poniti questa riflessione: perché la prima opera di Nietzsche è sulla tragedia greca?
Perchè la cultura greca ha strutture storiche, pensieri, uniche. La musica, i riti, la nascita
delle arti con le Muse, sono un insieme di consapevolezza tragica della vita umana e nello stesso tempo di esorcismo della morte rappresentandola. Sublimano la morte con la tragedia, con suoni, voci, maschere, cori, la esorcizzano con i suoni della vita. Nietzsche desidera che la cultura tedesca allora decadente prenda esempio dai greci, così come il suo amore per la musica lo fa contattare  Wagner e il primo Schopenhauer, quello pessimista lo ispira. Sceglie una strada intuitiva per descrivere ,fra arte e filosofia. Tant'è che più anziano  riflettendo sulle sue opere giovanili , avrebbe voluto che avesse scritto la tragedia greca non in prosa, ma in aforismi.


Nietzsche influisce a sua volta su Heidegger. Quando Essere e tempo di fatto rimane incompiuto, non risolve la problematica dell'essere, Heidegger dirà che solo l'arte avrebbe potuto descrivere ciò che parole non riescono a denotare, a esaurire concettualmente. Nietzsche, piaccia o non piaccia, è quasi un mistico, con vene poetiche e perspicace dell'intimità umana. E l'intimo umano, l'anima, la psiche, non è descrivibile con la logica, questo Heidegger avrebbe dovuto saperlo.
Un umano che si cerca, e cerca la via dell'essere e vuole socializzare il suo pensiero non può usare la logica, o la logica da sola. I Vangeli si esprimono in parabole, non in logiche. La qualità del linguaggio metaforico ed allegorico è il richiamo visuale all'immaggine perché la psiche, l'animo umano lavora su simboli e immagini, non formule logiche.


L'esercizio logico dialettico di Hegel e Severino rischiano di anestetizzare la vita, anche se Hegel vuole arrivare allo spirito, anche se Severino vuole arrivare alla gioia.
Ma la vita non è possibile ridurla a formula logica,come descrivo uno stato di gioia o dolore, quando persino le parole rimangono chiuse in gola, diventano silenzio?


L'essere è qualcosa che intuitivamente, prima ancora che concetto,  mostra questo enorme gioco di immensità che è l'universo, dove tutto è e tutto si trasforma. Necessariamente tutto è collegato e nulla è negato se non nella specificità particolare. Se l'uomo moderno nega questa necessità autoreogola se stesso riducendosi. Allora dà importanza ai particolari e perde il quadro di riferimento di insieme. Siamo immersi in un magico mistero con due riferimenti fondamentali, la nostra vita, il nostro percorso e l'essere. Esaltare l'uno o l'altro perdendo di vista uno dei due, signifca a mio parere perdersi nella schizofrenia quotidiana di un percorso dove i gesti quotidiani non hanno senso se non per sopravvivenza. Ma sopravvivere non è vivere. Gli esseri viventi sopravvivono, gli esseri senzienti umani vivono.
Penso che più o meno siamo d'accordo.


Non penso possibile andare oltre il bene e il male. Prima del bene e del male c'è la natura che ne è esentata con le sue regole con un suo ordine, fatto di abbondanza e scarsità ciclica, di catene alimentari dipendenti, dove il feroce è la necessità e il fuggire pure.
Ma per l'umano? Anticamente, come ho già scritto vi era un ordine da rispettare ed era in merito alle relazioni fra cielo, terra, fra divino e natura che l'uomo capiva di esserne dipendente e rispettava. Ma cosa ormai rispettiamo? Quale è il limite dell'azione di responsabilità?
Il bene e il male segno un confine morale e la morale era far azioni per il bene, senza ricevere ricompense, ma perché ciò era implicito all'equilibrio a quell'armonia che cielo e terra dettavano.
La morale è il deterrente etico comportamentale. Se la morale non abita la coscienza umana ogni azione anche la più turpe si autogiustifica perché non c'è confine fra bene e male. E la cultura crea una coscienza.


Penso chela struttura filosofica di Vito. C. abbia possibilità di andare nel senso giusto.
Il presupposto è unire il sensibile e il soprasensibile, o se vuoi, la fisica e la metafisica, strutturandole come unità e riconoscendo una "ragione in-sè", per il semplice fatto che l'universo funziona in un certo modo e questo modalità non può che essere una "ragione".
Semplicemente perché a sua volta è leggibile dalla ragione umana. Si tratta di non esaltare una parte sull'altra anche qui. Il troppo soprasensibile può far perdere l'indirizzo della vita; esaltare la vita può significare perdersi perché non c'è la bussola, l'orientamento che può solo dare l'idea di senso del soprasensible.

Ipazia

Citazione di: paul11 il 04 Marzo 2020, 19:48:30 PM
ciao Ipazia,
 
La virtù  in Grecia, nacque con il nomos di Esiodo che insieme dichiarava i principi di sovranità del re.
La virtù  era l'armonia che nasceva dal rapporto cielo e terra e quindi l'uomo.
Non si capirebbe altrimenti come mai tradizioni più antiche di quella greca, quella vedico indiana, egiziana, sumerico babilonese, già la interpretavano nel divino.

Leggere il pensiero greco attraverso le lenti deformanti della teologia non rende un gran servizio alla verità all'ermeneutica storica. Appena i greci si divincolarono dalla superstizione e cominciarono a ragionare filosoficamente si posero la questione dell'archè e non la trovarono nel logos, ma in acqua-aria-terra-fuoco, atomi, universo infinito (apeiron). Su questo disputarono le menti più illuminate dell'epoca e gli dei li vedevano come una specie aliena di immortali che si fa i fatti suoi su cui era inutile tergiversare. Così limitati che se si usava oculatamente il "divino" immanente che è in noi, l'intelligenza, ci si poteva barcamenare tra i loro dissidi e portare la pelle a casa come fece quel campione carismatico di hybris che sfuggì alla morte denominandosi Nessuno (già sulla gestibilità logica del Nulla avevano le idee chiare, evidentemente: ma è un Logos tutto umano).

Il seguito della storia ...

CitazioneAristotele è un filosofo con un piede ancora nell'antichità e un altro predispone la modernità.
E' il periodo ellenistico, quello di Alessandro Magno, di cui Aristotele era aio, precettore.
La scuola peripatetica, quindi aristotelica arriva fino al tomismo e la scolastica.
Aristotele si contraddistingue per una visione più pratica che teoretica ed è per questo che la sua influenza arriva più di Platone a certi filosofi moderni che seguono comunque il filone empirista.

Come ho scritto altrove il passaggio dalla civiltà greca a quella latina sposta anche le direzioni del pensiero. Il diritto latino si occupa più della domus che del nomos greco, degli interessi privati più che delle virtù in senso originario.
Quindi da una parte è corretto dire che Aristotele influisce in qualche modo sullo spartiacque fra morale ed etica, in cui la morale del nomos svanisce secondo l'interpretazione etica che deriva dalle prassi. Ed è quello che vado dicendo da un bel po' di tempo. Perchè il comportamento etico non ha fondamenti, se non l'osservazione di gruppi sociali, di società di tradizioni diverse. Quindi ogni gruppo sociale, stato, nazione, tradizione, addirittura luoghi diversi hanno etiche diverse.
Non è fondativo osservare, semmai è capire la legge che governa l'osservazione. L'etica che diventa usanze diverranno parti dei codici legislativi. Ma questo non cambia nulla né dal punto di vista teoretico, in quanto la morale è virtù e l'etica prassi comportamentale e la mores usanza.

... riporta ad una concezione immanente del Nomos per il pensiero "alto" antico. L'aretè contenuta nella cicuta di Socrate non deriva dalla superstizione che arriva fino a Kant del dio introiettato, ma dal rispetto al nomos di Atene. Così come la virtus romana è strettamente correlata allo sviluppo della civis romana, fino a chiudere il cerchio ermeneutico di una religione "anglicanizzata" nella figura divinizzata dell'imperatore che di quella civis globale era il simbolo supremo. Un dio mortale, e già questa è una grazia evolutiva di rara intelligenza.

CitazioneGli studi "rigorosi scientifici moderni" sui comportamenti sono limitati a  test. Sull'attendibilità di tutti i test, compresa statistica, stocastica, calcolo delle probabilità , lo lascio ai rumors intestinali del mainstream culturale. A cosa poi servono in pratica? A imbonire le folle con pubblicità, marketing economico e politico, culto dell'immagine.

Ti zappi sui piedi se credi nel comunismo. Il comportamentismo alla Pavlov che con scosse elettriche si insegna al topo la via per mangiare il formaggio? E' superato dal cognitivismo.
Persino le ideologie liberali e liberiste, "prendono atto" degli individualismi e impongono alla politica di non intromettersi, in quanto  secondo il loro dettame il dare e avere, le transazioni, sono equilibratrici ed esaltano l'astuzia, il cinismo, l'egoismo, il narcisismo, la megalomania.
Il migliore, il più "forte" vince e il povero è un inetto. Questa è la sentenza del "rigore scientifico".

Il rigore scientifico serve a falsificare le idee bislacche e per questo è giustamente avversato dalla religione che su quelle idee pascola dalla notte dei tempi. Pure le idee bislacche secolari, perchè Minerva, a differenza di S.Pietro, è incorruttibile e non basta benedire l'acqua per convincerla (nemmeno i virus convinci) o stabilire la verità per decreto statale.

CitazioneSpinoza è un ebreo, e gli ebrei sono più materici di quanto possa far sembrare le loro mistiche, non mi sorprende affatto.

Ma dobbiamo concedere loro che anche se sono all'origine di quell'errore millenario del Logos coniugato con l'orrore millenario del totalitarismo monoteistico - che tanti danni arreca anche nel nostro tempo -, almeno hanno prodotto pensatori come Spinoza, Marx, Freud, Einstein che hanno rivoltato come un calzino questa visione del mondo:

CitazioneLibertà è una bellissima parola, come l'amore. Si uccide per libertà e amore.
Sottrarsi ad una condizione, non significa essere più liberi, perché la libertà crea nuove problematiche e condizioni. Un cane alla catena dovrà il padrone sostentarlo. Un cane randagio dovrà badare a se stesso compreso il sostentamento.
C'è chi nasce per non prendersi responsabilità e sono le moltitudini di pecore smarrite che cercano  sempre l' uomo forte" e lo votano alle politiche perché, essendo  illusi e ingenui, gli risolva i loro problemi. Per esperienze sociali mie personali, sono pochi che hanno "gli attributi" per decidere
e prendersi le responsabilità e molti scappano per "non sporcarsi le mani".

... fatta di pecore, pastori e cani da guardia rigorosamente alla catena perchè scordino in eterno di essere lupi addomesticati.

CitazioneLa metafisica oggi è un coronavirus del regno animale e naturale che manda al tappeto una cultura di scientisti che vorrebbero andare su Marte e non riescono nemmeno a vivere sul pianeta natale.

Torniamo alle preghiere, processioni, ossa di santi e acque benedette ?
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

paul11

ciao Ipazia
A tuo parere c' è  da una parte "rigore scientifico"  e dall'altra "specchi deformanti", e da quale deduzione è posto un simile giudizio? A me risulta che vi siano scienziati credenti, anche oggi, e credenti che vanno dal medico.  Non tiene argomentativamente un cotal giudizio.


La superstizione? Sicura che l'uomo che professa scienza "non si tocchi", non abbia cornini, non abbia ritualità compulsive? A mio parere sbagli a contrapporre l'uno sull'altro


Ricorderei che il "rigore scientifico" è un metodo. Non è la strumentazione, che è amplificazione sensitiva, a dare il risultato; bensì l'interpretazione dei dati strumentali rispetto a un quadro di riferimento che è sempre rappresentazione e mai realtà.


Secondo me con il coronavirus si " toccano i gioielli di famiglia", prendendo magari misure precauzionali. Il caso è invincibile, anche per la scienza che ne prende atto con statistica, stocastica,, calcolo delle probabilità. Ci sono cose che sono imponderabili...per chiunque.

Ipazia

Citazione di: paul11 il 05 Marzo 2020, 15:18:45 PM
ciao Ipazia
A tuo parere c' è  da una parte "rigore scientifico"  e dall'altra "specchi deformanti", e da quale deduzione è posto un simile giudizio? A me risulta che vi siano scienziati credenti, anche oggi, e credenti che vanno dal medico. Non tiene argomentativamente un cotal giudizio.

Tiene eccome, soprattutto per la seconda parte. Per la prima, la scienza aiuta a liberarsi dalle superstizioni, ma, contrariamente alla religione, non si avventura oltre quello che sa, ma lo fa rigorosamente, usando pure la stocastica dove non ha elementi sufficienti per la deduzione. Imperdonabile sarebbe comunque che lo scienziato credente avesse le idee poco chiare su ciò che spetta a Cesare e ciò che spetta a Dio, confondendo la sua imperizia con la volontà divina e la perizia altrui coi miracoli.

CitazioneLa superstizione? Sicura che l'uomo che professa scienza "non si tocchi", non abbia cornini, non abbia ritualità compulsive? A mio parere sbagli a contrapporre l'uno sull'altro

c.s.

CitazioneRicorderei che il "rigore scientifico" è un metodo. Non è la strumentazione, che è amplificazione sensitiva, a dare il risultato; bensì l'interpretazione dei dati strumentali rispetto a un quadro di riferimento che è sempre rappresentazione e mai realtà.

Fatta la tara della superstizione dell'assoluto, resta la bontà oggettiva del risultato: aspirina vs. preghiera

CitazioneSecondo me con il coronavirus si " toccano i gioielli di famiglia", prendendo magari misure precauzionali. Il caso è invincibile, anche per la scienza che ne prende atto con statistica, stocastica,, calcolo delle probabilità. Ci sono cose che sono imponderabili...per chiunque.

Vuoi mettere una messa grande con musiche d'autore e corteo in processione con reliquie varie, che ignora il coronavirus e blatera di punizioni divine e trame sataniche  ;D
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

Phil

Citazione di: paul11 il 04 Marzo 2020, 19:48:30 PM
Un cane alla catena dovrà il padrone sostentarlo. Un cane randagio dovrà badare a se stesso compreso il sostentamento.
C'è chi nasce per non prendersi responsabilità e sono le moltitudini di pecore smarrite che cercano  sempre l' uomo forte" e lo votano alle politiche perché, essendo  illusi e ingenui, gli risolva i loro problemi. Per esperienze sociali mie personali, sono pochi che hanno "gli attributi" per decidere
e prendersi le responsabilità e molti scappano per "non sporcarsi le mani".
Questo "culto della forza", che incorona chi detta le sue leggi sollevando gli altri dall'incombenza di prendersi le proprie responsabilità e "sporcarsi le mani", mi pare avere (senza voler polemizzare) un suo riflesso anche in una certa "filosofia forte":
Citazione di: paul11 il 02 Marzo 2020, 14:30:09 PM
Per me è necessario che un pensiero per essere forte deve avere dei paradigmi inossidabili, deve avere analisi di almeno tre millenni, deve dichiarare identità e morale se vuole unire le pecore nelle moltitudini delle latitudini e longitudini, perché la globalizzazione standardizza le culture e diversità, le pialla come i gusti e i stili di vita. La prossima cultura necessariamente dovrà unire le identità [...]
Le  vere filosofie, o pensieri forti, uniscono.
Lasciando dunque fuori la "forza", o meglio, la "durezza" delle hard sciences, credo che la riflessione sulla "forza" (lascerei da parte anche la specificità politica) sia inaggirabile per il pensiero contemporaneo e non possa non fare i conti con il perturbante "tabù del fondamento": quella forza assertiva e normativa dei paradigmi dominanti, tanto monolitici quanto talvolta conflittuali fra loro, quelle calcificazioni a malapena scheggiate da secoli di storia, fondano una forza e/o sono fondate da una forza? E se sì, quali sono le forze in gioco?

La forza con cui una filosofia presuppone un dover-essere di "x" (sia esso il noumeno, una divinità, il Bene, l'archè, etc.), descrivendo le "caratteristiche" di tale x e al contempo predicandone la (momentanea?) inaccessibilità (doppio movimento in stile "rocchetto freudiano"), tale forza che propone con forza, su quale (eventuale) forza si fonda?

Si fonda forse sul suo stesso dover-essere, poiché altrimenti verrebbe meno il dover-essere di ciò che essa stessa fonda? Se è così, siamo in pieno circolo vizioso: deve esistere x altrimenti non posso più affermare che y sia contemporaneamente implicato da x e dimostrazione dell'esistenza di x (esempio: deve esistere un archè del mondo, anche se non se ne sa nulla di attendibile, altrimenti non potremmo più spiegare il mondo tramite un archè e il mondo non sarebbe più a sua volta dimostrazione dell'esistenza di un'archè).

Se tale forza si basa sulla tradizione, va comunque preso atto che le tradizioni sono più d'una e, anche nei denominatori comuni (in ottica comparativo-sincretica), le chiavi di lettura antiche di secoli non possono avere "ad honorem" una validità maggiore di quelle attuali (senza nemmeno credere facilmente alla storia dei nani sulle spalle dei giganti) perché ciò significherebbe che il pensiero contemporaneo è destinato a ristagnare nel gioco di tradurre l'antico nella lingua moderna (ed eccoci qui a parlare "parmenidese", "platonese", etc.), ma senza poter dover uscire dai sacri confini teoretici tracciati secoli addietro. Di nuovo: può andar anche bene, ma su cosa si fonda la forza "metafisica" di tale divieto?

Gli "empi randagi" che valicano tali confini, abbandonando il "campo di forza" del pensiero unitario e unificante («le vere filosofie, o pensieri forti, uniscono», dici), non possono forse "sporcarsi le mani", essendosi rimpossessati dei loro piccoli artigli filosofici, che chi è dentro il recinto ha consegnato in pegno al Leviatano pur di avere una forza che regoli il proprio mondo e a cui appellarsi (come dici nella prima citazione)?
Quando si parla dell'Essere, della virtù, etc. dove "finisce" il discorso storicistico, dove quello ermeneutico, dove quello di "proposta" filosofica?

Per me non si tratta di entrare nel merito delle peculiarità del paradigma fondato, se esso sia perfettamente valido, o "il migliore", o il più diffuso (né se sia esso religioso, metafisico, materialista o altro), quanto piuttosto di partire dalla consapevolezza della forza del fondamento in questione, chiedendosi schiettamente: quanto è forte?
In generale, non necessariamente la forza del fondamento è direttamente proporzionale al valore del fondato: l'arte ha fondamenti deboli e mutevoli, ma il suo valore sociale, culturale, etc. è decisamente importante e "ricco".
E in filosofia?

Accarezzando il topic: una "rivoluzione" filosofica che non si interroghi sui propri fondamenti, secondo me non può costituire una valida alternativa a ciò che vorrebbe rivoluzionare, perché rischia di partire inconsapevolmente dagli stessi presupposti di ciò che la precede, limitandosi a combinarli differentemente (quindi non è rivoluzione, quanto piuttosto "ars (ri)combinatoria").


P.s.
Se non erro, i "grandi" filosofi, oltre a guardare al passato e dentro i libri, si guarda(va)no anche attentamente intorno, attenti a ciò che proponevano le altre discipline coeve (e non solo umanistiche); un'attitudine che spesso oggi viene dimenticata, dipingendo il teoreta come colui che non deve essere sincronizzato all'attualità, ma indugiare sulle questioni che erano attuali per Kant, Hegel o addirittura Parmenide, senza doverle conciliare con ciò che ci circonda, perché ciò è mera contingenza-immanenza. Anche qui: "giusto" o "sbagliato" che sia, su cosa si fonda la forza di tale (non-)dovere e quanto è forte?

viator

Salve Paul11. Citandoti : XXXXX"A me risulta che vi siano scienziati credenti, anche oggi, e credenti che vanno dal medico"XXXXX.

Hai certamente ragione. Mi permetto di notare che la coerenza dello scienziato credente è di molto superiore a quella del credente che non si abbandona alla Provvidenza.

Essendo la scienza LA SISTEMATICA DEL DUBITARE, bene fa lo scienziato a non affidarsi completamente ad essa.
Essendo la religione invece (penso che tu intendessi parlare di credenti religiosi) LA SISTEMATICA DEL CREDERE, non si capisce cosa il credente si attenda - diversamente dalla volontà di Dio - che il medico gli procuri. Saluti.
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

Lou

<< ragazze e ragazzi trovate che sugli ultimi temi emersi sia opportuno aprire un nuovo topic? >>
"La verità è brutta. Noi abbiamo l'arte per non perire a causa della verità." F. Nietzsche

green demetr

#222
cit Lou
<< ragazze e ragazzi trovate che sugli ultimi temi emersi sia opportuno aprire un nuovo topic? >>


Secondo me si può continuare su questo, sebbene fosse nato per testare la sua filosofia, l'idea di rivoluzione filosofica, nel senso dei fondamenti cognitivi per evitare alcune derive dell'analisi (formale) in sè. E' anche un spunto per palrare delle nostre basi e credenze, mi pare che lo si stia facendo.
Poi Lou se ritieni di spostare l'argomento, per me va bene.(ci mancherebbe).


cit Ipazia
"Questo lo dico per Green affinchè elabori il lutto di un'Anima e di un Dio/Essere che sono morti perchè passati a miglior vita, quella del rigore scientifico. Che nell'umano troppo umano della "cattiva falsificazione" celebra i suoi nefasti, ma non è un buon motivo per negare i fasti e le fortune evolutive della "buona falsificazione" che da tanti idola ci ha liberato."


Allora ti dovevo qualche chiarificazione.
Sappiamo benissimo che il fulcro della nostra analisi riguarda le questione del materialismo storico (non ha alcuna importanza in che declinazione credo).

Comprendo benissimo che il rischio di pensare di nuovo al metafisico, si possa rivelare nell'ennesima deriva del metafisico. Come anche Phil ha fatto notare, si rischia di ripensare ad una forma impositiva super-egoica.
Infatti per me la filosofia di Ceravolo è super egoica. Ma questo ormai vista la sua fuga, non sarà più possibile verificarlo.

Ma per me il fondamento, non è l'episteme. Mi sembra che sia tu che Phil facciate questo errore. Nel senso che è evidente che per voi Dio non esista (non è dunque un vero errore).
Per me è diverso, sin dall'infanzia mi è parso evidente che Dio esistesse.
Non ci impiegai molto a capire che la religione cattolica fosse un ammasso di fesserie.
Mi girai subito in quel religioso che in realtà è filosofia, che ha nome induismo.

Le analisi tra microcosmo e macrocosmo, mi hanno sempre interessato, trovavo che fosse il cuore della saggezza salvifica che cercavo.

Ma non conoscevo ancora la filosofia.

La filosofia con il suo metodo, con le sue idee onto-logiche fece presto, molto presto a pezzi l'idealismo magico indiano.

Mi innamorai della ragione e da allora mi cadde il mondo addosso.

Dovevo rifare i conti da capo.

Conti che hanno dato per risultato l'annichilazione di quello che all'epoca chiamavo il mio sè.

Non c'è relazione. Credo sia quello e tale è rimasto, il risultato del vivere sociale.

Cosa c'entrasse la scienza in tutto ciò? Niente.

La scienza non ha mai contato niente.

La scienza è lo sfondo su cui viviamo, è il risultato storico delle pratiche.

Se andiamo ad un convegno di soli numeri, ci sono quattro gatti.

A nessuno frega della scienza.

Il materialismo storico c'entra qualcosa con la scienza? No non c'entra niente.

C'entra con le emozioni e le ideologie.

Il problema ravvisato da Heidegger e Severino è la scienza? Ma per niente.

Il problema è la tecnica. Sono le prassi.

Contrapporre la metafisica alla scienza non ha alcun senso.

Sono le prassi che contanto. Le vecchie prassi che nascono dal super-egoico delle religioni, o meglio delle loro chiese o meglio dei loro ministri, viene chiamato effetto nocivo della metafisica.

Non l'ho mai capito. Gesù chiama amore, e noi facciamo la guerra.
Non vedo cosa c'entri la metafisica.

Non è questione di metafisica.

Fatta un pò di chiarezza su questo punto, che assiduamente esce, e su peraltro ti ho già detto e ridetto che siamo d'accordo.

Perchè l'anima?

L'anima è il movimento del senso (il senso dell'esistere, non il senso del sensibile). Anima, è cio che si muove, non suona forse così?

Cosa si muove, e rispetto a che cosa?

Forse è questa la domanda che ti devi fare.

Ma la potresti fare solo se capissi che l'uomo NON è una macchina.

Prima di emergere come una delle utenti con cui sono maggiormente d'accordo, ricordavo di averti erroneamente assegnato quel posto. Di donna robot.
Grazie al cielo non è così.

O almeno non è così fin quando non entriamo nel discorso del limite fenomenico.

Il tuo logos è pensato all'interno del fenomeno, ragiona con i datti effettivi che deduttivamente (e non induttivamente?) ricaviamo.
Intendi benissimo la falsificazione, ma rimani al di qua dell'impensato.

La tua è una filosofia che per necessità è figlia del nostro tempo.

Io ritengo che essere figli del nostro tempo non sia sufficiente.

In quanto il limite del fenomenico risale induttivamente a chi lo ha pensato.

E proprio induttivamente che Kant riconosce la necessità di un impensato.

La categoria della libertà, come scelta di risalire questo impensato, si chiamo virtù.

Non la innesta Kant, sarebbe un grave errore pensarlo.

L'unica lettura completa di Kant che ho fatto è la premessa alla ragion pratica.

Buona parte di questa premessa spiega del perchè la pratica NON POSSA ESSERE PURA.

La questione del PRATICO e del PURO è ciò che INDUTTIVAMENTE spiega Kant.
(bisognerebbe leggere Peirce per capirlo in tutta la sua profondità analitica (formale)).

Ciò che si spiega è dunque una analitica che diventa fenomenologia.

Il logos è il logos che tiene unito fenomenico e soggettivo.

Chi sono io? E' la domanda dell'idealismo.

Chi sono io rispetto all'oggetto che mi appare, e ciò che mi attraversa come disvelamento della mia capacità di scelta, di libertà.

Quale è il logos che mi permette di sentire quel limite superabile, nel fenomeno.
Cosa mi rende autentico.

Quale è la verità.

Kant ed Heidegger sono là, ad un passo dalla psicanalisi che arriverà.
Lacan riprende i passi da quei due giganti.

Su di loro l'ombra inquientante di Hegel, colui che secondo Paul, ha avvizzito la filosofia, l'uomo che adombrato una astrazione disumana.

Sono d'accordo, ma nel senso che l'anima è esattamente quello che NON siamo.

Il monachesimo, la filosofia del non agire di Agamben, cosa sono?

Nietzche sopratutto.

Certo che era un mistico. E' ovvio Paul ha capito molto bene.

Ma non ha capito quello che è l'oggetto di quel misticismo.

L'oggetto è esattamente il disumano.

Andare oltre l'uomo.

Cosa c'è oltre l'uomo? Il super-uomo? Ah ah, chi lo dice non ha capito NIENTE di Nietzche.

Oltre l'uomo c'è il deserto, il nulla, non il nulla fisico, non il vuoto, il nulla della relazione con l'oggetto. Perchè l'oggetto è sparito, non appare più.
Il soggetto è infine desoggetivato.

Cosa rimane allora? E' questa la domanda del mistico.

Quale è la verità, è questo che c'è dietro alla domanda di verità.

Non vi sono ideologie, non vi sono prassi. Rimane il puro movimento. Il puro cambiamento del soggetto. Del ora sono qui, ora sono qui, ora sono qui.
Noi ci sentiamo deserti dove un vento soffia in noi.
Una voce secondo la mistica. Un delirio.
Un canto.

Non una poesia, Heidegger se ne accorgerà infine.

Non si tratta di capire si tratta di meditare, di sentire quel soffio divino dentro di noi.

Si tratta di capire la direzione dell'anima, è l'anima che ci sposta.

Che ci aliena, prima ancora di qualsiasi sovrastruttura.

Lo sta studiando molto bene Agamben tutto ciò.

Insomma NON SI PUO' tumulare l'ANIMA, in quanto non esiste alcuna anima, alcun dio.

Si può solo essere in accordo o in disaccordo con questo movimento.

Con questo doppio movimento.

Ma i greci, gli indiani etc... questo lo sapevano.

Non esiste materia senza la spinta all'esistenza che la faccia apparire.

L'anima non è materia. Dio non è materia.

Da qui mi scosto considerevolmente dalle pratiche esoteriche.

Ormai le guardo con sospetto.


Doppio movimento dell'anima che è spinta dal soffio del DIO, e dell'anima che si scopre soggetto in relazione all' oggetto che la determina come tale.

E' questo doppio movimento che induce a pensare un DIO esista.

Esiste in quanto l'anima che si muove anch'essa si scontra con l'oggetto fenomenico.

La domanda dell'anima, la tragedia umana è non capire il senso del proprio movimento.

Nè archetipico, nè fenomenologico.

Capire il senso del movimento significa capire l'esistenza, la verità. (la famosa aretè, o la casa dell'essere di heideggeriana memoria).

Ossia come l'anima si piega al suo oggetto, per diventare soggetto, per poi morire.

Questa destino mortifero, è il movimento del DIO, dunque l'anima di cui non sappiamo niente è il movimento che dal niente (in quanto dio non esiste, e non è un oggetto) scaturisce tramite la sua oggettivazione nel Niente (in quanto mortale).

Ossia è l'oscillazione dell'indifferente (hegel) che implode nel suo contrario ossia il differente, l'essere soggetti si riferisce sempre ad altro da noi.

Non c'è differenza senza indifferenza.


La differenza, ciò che differisce, ciò che sempre ci spinge ad essere altro, da noi stessi, Per cui l'uomo vuole sempre altro, per cui il capitale vuole sempre altro, per cui la tecnica vuole sempre altro. E' la ricerca dell'assolutamente altro, che è appunto l'indifferente, ossia la morte.

La morte è indifferente al destino umano, e l'uomo impazzisce rispetto a questo orizzonte che si rivela come non orizzonte.

Ma questo movimento come abbiamo già detto è solo un orizzonte temporale.

Per cui fuori da questo orizzonte temporale, cosa è questo destino?

E quale è il logos che lo fa precipitare all'interno delle sue pratiche. Cioè nella vita reale.

L'idea del legame tra ciò che è nascosto e ciò che appare non risiederà MAI nella scienza, che fa i conti SOLO con quello che appare.

Sono pratiche mortifere? Ma perchè esiste forse una pratica che non preveda la morte?
Mi pare sia questa la follia, piuttosto che non quella che indica il credere di questo movimento una follia.(severino)

Anche se fosse una follia, sarebbe necessaria. Tra l'altro.

Tutto ciò è mera astrazione? certo che sì.

Vogliamo rimanere al mi accontento di nominare cosa sia naturale (e cosa no, e da lì ridare via al valzer delle violenze? sono stanco, molto stanco).

A me sta bene, l'importante è che non mi veniate a dire che c'è del buono nella scienza.
La scienza è il male.
Non in quanto prassi.
Ma in quanto legislatrice.
Non ci siamo ancora grazie a DIO.
Anche se il panico indotto, dopo aver giocato a DIO con le armi di distruzione di massa, mi fa già capire come sarà il futuro, (ma il film BRAZIL già ce lo ha detto nevvero?)

Era già capitato con il pericolo giallo (la paura della bomba atomica)....

Ma perchè?

Spero di aver chiarito.  :P ;D
Vai avanti tu che mi vien da ridere

green demetr

#223

ciao paul ti devo ancora la risposta riguardante il soggetto del tuo intervento luminoso di qualche giorno fà. A questo punto slitta a domani, anche se mentre scrivo è già diventato domani.  ;)

CIT PAUL

"ciao Green,
poniti questa riflessione: perché la prima opera di Nietzsche è sulla tragedia greca?
Perchè la cultura greca ha strutture storiche, pensieri, uniche. La musica, i riti, la nascita
delle arti con le Muse, sono un insieme di consapevolezza tragica della vita umana e nello stesso tempo di esorcismo della morte rappresentandola. Sublimano la morte con la tragedia, con suoni, voci, maschere, cori, la esorcizzano con i suoni della vita. Nietzsche desidera che la cultura tedesca allora decadente prenda esempio dai greci, così come il suo amore per la musica lo fa contattare  Wagner e il primo Schopenhauer, quello pessimista lo ispira. Sceglie una strada intuitiva per descrivere ,fra arte e filosofia. Tant'è che più anziano  riflettendo sulle sue opere giovanili , avrebbe voluto che avesse scritto la tragedia greca non in prosa, ma in aforismi."


Si d'accordo l'arte. L'arte è stata una grande consolatrice della mia adolescenza e anche una forza creatrice durante la mia giovinezza.

E poi? e poi fai un passo fuori dall'uscio di porta e precipiti nella volgarità.

Sinceramente ha retto bene per un quindicennio, ma di più non può (e infatti non lo fa) durare.

Si d'accordo anche sulla mimesi dell'arte sulla vita.
Ma la vita non è una mimesi.
E' esattamente fuori dalla mimesi che voglio vivere. Non a caso Platone i poeti li butta fuori dalla città. (naturalmente platone è un fascista, naturalmente non butti fuori nessuno, ma nella sua mente contorta e super-egoica, ragionava proprio della necessit
à di fare vivere ai cittadini la realtà....come se questo fosse possibile....certo i greci c'avevano tipo 1 ricco e 100 schiavi e allora OKKKKK.

ma per me io e i greci, ciaone.

non voglio schiavi, voglio persone con cui relazionarmi.
persone con cui vivere.
Certo ormai sarà per la prossima vita... ma OK spero che la volgarità con cui ho scritto, testimoni proprio quanto la mia ignoranza è radicata in me e perchè (sopratutto spero).

Ripeto mi sento molto molto lontano dai greci.

Parliamo pure se me li spiegate i loro termini.

Per esempio il concetto di aretè di cui parlate tu e ipazia, mi interessa. E' ok.
Ripeto ho bisogno che mi facciate da mediatori.

Grazie dello sforzo. (poi so che stai studiando platone, bene, bene, magari mi aiuti a capire qualcosina in più che vedi rispetto alla manualistica. O ai conferenzieri che dicono che platone ha già detto tutto...ma poi non dicono MAI cosa effettivamente ha detto).

Per esempio l'apologia di socrate è illuminante, il gorgia lo ho amato alla follia. (appunto gorgia ho amato, e ho odiato socrate e tutte le sue capziose verità)
Il simposio è illeggibile nella sua demenza. (letture del liceo sia chiaro).

Recentemente avevo iniziato il fedro, mi stava convincendo, ma in una tradizione di un professore di liceo....quelle della sansoni etcc...non si capiva NIENTE.

Vabbè!!! mi dirai tu in futuro. Sopratutto il teeteto quando ci arriverai. il fedro appunto e il gorgia....sono curioso di avere le tue opinioni.


cit paul
Heidegger dirà che solo l'arte avrebbe potuto descrivere ciò che parole non riescono a denotare, a esaurire concettualmente. Nietzsche, piaccia o non piaccia, è quasi un mistico, con vene poetiche e perspicace dell'intimità umana. E l'intimo umano, l'anima, la psiche, non è descrivibile con la logica, questo Heidegger avrebbe dovuto saperlo.
Un umano che si cerca, e cerca la via dell'essere e vuole socializzare il suo pensiero non può usare la logica, o la logica da sola. I Vangeli si esprimono in parabole, non in logiche. La qualità del linguaggio metaforico ed allegorico è il richiamo visuale all'immaggine perché la psiche, l'animo umano lavora su simboli e immagini, non formule logiche.


Certo che Heidegger lo sapeva, mi fa spavento che lo sapesse già a quattordici anni...giusto per far capire la grandezza di certe persone.

A 18 anni aveva già scritto la tesi contro ogni logicismo, lui che il logicismo non solo lo capiva, ma addirittura si era illuso fosse la soluzione.

Giusto per far capire la sua grandezza smisurata.

Francamente oggi i professori fanno fatica a capire pure ste semplici cose....
(manco io per dire la verità, forse PHIL).

la ricerca di heidegger verso forme non verbali attraverso la scrittura lo ha portato però verso soluzioni estemporanee, come la parola essere barrata, la parola essere seguita da insieme vuoto, che per esempio Volpi illustra e maledice (discorsi di uno sciamano).

Bisogna capire però da quale astrazione logica partano.
Un linguaggio non verbale che abbia una logica.

E non che testimoni di una non-logica (penso al teatro dell'assurdo, l'ultimo approdo della letteratura che conta, a mio parere....poi più niente)

Heidegger capisce benissimo, ma ha le sue esigenze rigorose di formalizzazione.
nasce e muore aristotelicamente, penso volpi abbia ragione.

comunque siamo d'accordo caro paul. (scusa le digressioni, è per arricchire un pò il menù, diciamo)

cit paul
L'esercizio logico dialettico di Hegel e Severino rischiano di anestetizzare la vita, anche se Hegel vuole arrivare allo spirito, anche se Severino vuole arrivare alla gioia.
Ma la vita non è possibile ridurla a formula logica,come descrivo uno stato di gioia o dolore, quando persino le parole rimangono chiuse in gola, diventano silenzio?


Mi trovi dolorosamente d'accordo. L'astrazione che questi due grandi chiedono è veramente mortificante. Ma continuo a ritenerla importante, ma non è certo un caso che sono fermo all'introduzione della fenomenologia, che penso di riprendere nell'edizione sansoni, quella bompiani è più ricca di consonanze con il tedesco, ma ho capito che tutti i capitoli sottotitolati e numerati sono una invenzione per far capire agli studenti hegel.
Ho capito!!! ma tanto non si capisce lo stesso!!! e poi così travisi completamente il senso della costruzione del discorso!!.....caspita una recente scoperta che mi ha fatto infuriare!!!!
quella einaudi che all'università consigliano dicono che è un mix tra le due....peggio del peggio!!! così si perde la consonanza col tedesco e il senso del discorso globale....
torniamo mestamente alla traduzione povera della sansoni....tristezza assoluta! e siamo nel 2020!!!! a quando una traduzione decente? ???

scusate la digressione!


cit paul

"L'essere è qualcosa che intuitivamente, prima ancora che concetto,  mostra questo enorme gioco di immensità che è l'universo, dove tutto è e tutto si trasforma. Necessariamente tutto è collegato e nulla è negato se non nella specificità particolare. Se l'uomo moderno nega questa necessità autoreogola se stesso riducendosi. Allora dà importanza ai particolari e perde il quadro di riferimento di insieme. Siamo immersi in un magico mistero con due riferimenti fondamentali, la nostra vita, il nostro percorso e l'essere. Esaltare l'uno o l'altro perdendo di vista uno dei due, signifca a mio parere perdersi nella schizofrenia quotidiana di un percorso dove i gesti quotidiani non hanno senso se non per sopravvivenza. Ma sopravvivere non è vivere. Gli esseri viventi sopravvivono, gli esseri senzienti umani vivono.
Penso che più o meno siamo d'accordo."


Siamo in perfetta sintonia.


cit paul
"Non penso possibile andare oltre il bene e il male. Prima del bene e del male c'è la natura che ne è esentata con le sue regole con un suo ordine, fatto di abbondanza e scarsità ciclica, di catene alimentari dipendenti, dove il feroce è la necessità e il fuggire pure.
Ma per l'umano? Anticamente, come ho già scritto vi era un ordine da rispettare ed era in merito alle relazioni fra cielo, terra, fra divino e natura che l'uomo capiva di esserne dipendente e rispettava. Ma cosa ormai rispettiamo? Quale è il limite dell'azione di responsabilità?
Il bene e il male segno un confine morale e la morale era far azioni per il bene, senza ricevere ricompense, ma perché ciò era implicito all'equilibrio a quell'armonia che cielo e terra dettavano.
La morale è il deterrente etico comportamentale. Se la morale non abita la coscienza umana ogni azione anche la più turpe si autogiustifica perché non c'è confine fra bene e male. E la cultura crea una coscienza."


Si paul capisco, il professore galimberti narra del popolo che si credeva l'ultimo della terra, per illustrare la valenza simbolica che abita le popolazioni amerinde dell'amazonia, teoricamente più vicine al mondo natuale che a quello civilizzato.
Ma è una argomentazione che solleva la vecchia questione tra natura e cultura.
Troppo vasta qui per affrontarla.


cit Paul
"Penso chela struttura filosofica di Vito. C. abbia possibilità di andare nel senso giusto.
Il presupposto è unire il sensibile e il soprasensibile, o se vuoi, la fisica e la metafisica, strutturandole come unità e riconoscendo una "ragione in-sè", per il semplice fatto che l'universo funziona in un certo modo e questo modalità non può che essere una "ragione".
Semplicemente perché a sua volta è leggibile dalla ragione umana. Si tratta di non esaltare una parte sull'altra anche qui. Il troppo soprasensibile può far perdere l'indirizzo della vita; esaltare la vita può significare perdersi perché non c'è la bussola, l'orientamento che può solo dare l'idea di senso del soprasensible.
"


siamo in sintonia sulle premesse, ma vedo che sulle soluzioni siamo ancora abbastanza dissonanti.

Io ripeto cosa è l'in sè? la ragione umana che in quanto tale, si presume ragione universale?
Mi pare una di quelle fastidiose tautologie di cui nel vecchio formato del forum abbia discusso a lungo.

Ma appunto queste ultime considerazioni ci portano lontano dal 3d.

Se a tuo parere basta questa tautologia per fare filosofia rivoluzinaria è giusto che la illustri.

A me non  pare bastante.

Esattamente come non è minimamente bastante quella di Ceravolo su cui non so nemmeno fino a che punto fossimo d'accordo nelle premesse.

ma tant'è se ne è andato. va bene così.






Vai avanti tu che mi vien da ridere

Ipazia

@green

Ringrazio per la completa e articolata replica, su cui devo prendermi il tempo per cucinare la tanta carne al fuoco senza bruciarla.
A volo d'uccello trovo la risposta più sintetica negli aforismi finali del Tractatus di Wittgenstein sulle risposte della scienza e il mistico.

Concordo pienamente, via Marx, sulla centralità della prassi. Più difficile il suo collegamento al mistico, che resta, per quanto ineludibile, percorso individuale. Forse di anime elette: come l'unio mystica tra Ulrich ed Agathe in Musil. Appena i numeri crescono si passa alla setta e la pratica ferina finisce con l'irrompere con tutta la sua forza demoniaca; costringendo a correre ai ripari nel fenomenologico, dentro i limiti, ripassando per l'ennesima volta i fondamentali.

Sull'Anima: partendo dalla riflessione fondativa di LW credo anch'io che, invertendo i termini hegeliani della questione, la filosofia debba farsi fenomenologia dello spirito. Partendo dalla materia, non dallo spirito che ne è emanazione, come evoluzione insegna. Dalla terra, come esorta il misticismo nicciano. Da lì nasce l'infinito leopardiano che non atterrisce, ma dolcemente naufraga.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

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