Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica

Aperto da Vito J. Ceravolo, 02 Febbraio 2020, 18:09:52 PM

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Phil

Citazione di: Hlodowig il 22 Febbraio 2020, 11:41:51 AM
Citazione di: Phil il 20 Febbraio 2020, 22:15:33 PM
..dei bambini consiste forse proprio nel non concepire il falso, la menzogna, etc. senza i quali la verità non può determinarsi, coincidendo a tal punto con l'esistenza..

Chiedo venia per l' imbecillità di aver leggermente modificato questa tua ultima parte.

[...] in questa frase, uno dei più bei concetti espressi della verità.
Quello a cui alludevo era soprattutto l'"uscita" dalla verità, ovvero il lasciarsela alle spalle come un'indicazione che, una volta (e)seguita, non può che restare indietro. Non si tratta di negazione della verità, come sarebbe la menzogna, quanto piuttosto di abbandono del piano delle categorie discorsive (inclusa quella di verità).
Nel momento in cui non c'è più discorso sulla verità e non c'è più contrapposizione alla falsità, c'è allora contatto im-mediato (non mediato dal medium linguistico-logico) con la realtà, esperienza diretta; si passa in pratica dalla narrazione del discorso alla narrazione dell'esistenza e nell'esistenza (probabilmente è ciò che esperiscono i viventi meno concettualizzanti, come i bambini piccoli e gli animali in genere).
Se chiamiamo questo contatto alinguistico «verità», allora ripiombiamo subito nel discorrere, sebbene, di fatto, quando lo esperiamo, non c'è nessuna verità (solo esperienza di esistenza): se mi dai uno schiaffo, provo dolore, non "verità"...

Ipazia

Passando dal rasoio all'ultramicrotomo fenomenologico possiamo anche tomografare il reale fino a strati di spessore infinitesimale, ma il reale nello spazio in cui mette in scena i suoi fatti (Tatsachenraum) ha un carattere sintetico e la sua verità non è smembrabile nei suoi costituenti (fattuale e narrativo).

Un evento del tipo: "Caino uccise Abele", ammesso sia accaduto, è vero indipendentemente dalla sua narrazione, narratività e narratore. Non si tratta di reificare il concetto, ma di impedire la sua dissoluzione in una astrazione logica separata dalla realtà fattuale che gli dà senso e contenuto. Plurale, quanto sono gli ambiti di reale in cui non solo un discorso, ma pure un'esperienza di verità, si dà (verità sensibile, scientifica, storica, giudiziaria, testimoniale, logica, matematica,...).

Tornando alla discussione, penso che una "rivoluzione" filosofica dovrebbe mirare non ad una metafisica ragione della cosa in sé, ma ad una realistica ragione delle cose (plurale) per noi.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

Jean

Cit. Vito J. Ceravolo:

Se questo che segue fosse un sillogismo...

Paul: L'uomo appartiene alla natura
Lou: La natura non appartiene all'uomo
Jean: Il pensiero dell'uomo non appartiene alla natura

...accogliendo le premesse di Paul e Lou, la conclusione di Jean, cercando soluzioni, dovrebbe essere che il pensiero dell'uomo è un'evoluzione della natura(le) che acquista capacità artificiali, cioè con capacità di assemblare la natura in modo non adattivo (naturale) ma adattandola (artificiale).
Se questo fosse un sillogismo...


risposta Jean:

(... se fosse un sillogismo) la tua spiegazione la trovo convincente.

Tuttavia ne sono possibili altre, ad esempio che il pensiero non sia un'evoluzione della natura (in cui ci troviamo) ma si sia "alloccato" una volta che questa (la natura, ma specificamente l'uomo) avesse potuto "ospitarlo".

Intendendo con pensiero, come dici, inizialmente una facoltà adattativa artificiale, poi (inglobando innumerevoli contenuti) evoluta nel tempo.

Ma come per il genoma umano che ha "inglobato" frammenti di DNA virale (stimato l'8%) e quindi conserva materialmente traccia di tutta la storia biologica senza la quale non funzionerebbe, così il pensiero (o meglio il suo "alveo", la coscienza) mantiene "registrata" ogni interazione avvenuta (e in misura da comprendere le nuove interazioni avviano da adattamenti e riadattamenti delle pregresse).


Cordialement
Jean


PS- peccato per il "paradiso perduto"... alias la formattazione del testo...

Phil

Citazione di: Ipazia il 22 Febbraio 2020, 19:07:28 PM
Un evento del tipo: "Caino uccise Abele", ammesso sia accaduto, è vero indipendentemente dalla sua narrazione, narratività e narratore. Non si tratta di reificare il concetto, ma di impedire la sua dissoluzione in una astrazione logica separata dalla realtà fattuale che gli dà senso e contenuto. Plurale, quanto sono gli ambiti di reale in cui non solo un discorso, ma pure un'esperienza di verità, si dà (verità sensibile, scientifica, storica, giudiziaria, testimoniale, logica, matematica,...).
Cosa significa che «è vero indipendentemente dalla sua narrazione» (come quella che stiamo facendo qui e ora)? Significa, se non sbaglio, che è stato un evento, un accadimento, un fatto. Può esserci un evento che sia non-vero? Direi di no, possiamo narrare che sia non vero («non è vero che Caino ha ucciso Abele») o narrare qualcosa di non vero («Abele ha ucciso Caino»), ma in quell'evento fattuale, sul piano dell'accadere, dell'esistere, fuori dalla sua narrazione, la categoria di verità resta, secondo me, estranea (o tautologica, se preferiamo: "ogni evento accaduto è vero"... ma allora, non a caso, siamo così ancora sempre dentro la narrazione, l'asserzione, quindi ha certamente senso parlare di «vero»).
Detto altrimenti, secondo me la verità appartiene al lato del soggetto (narrazione, descrizione, etc.), mentre nel lato dell'oggetto c'è esistenza (esperienza, accadere, etc.); il linguaggio è ciò attreverso cui l'uomo "guarda" il reale, conviene che egli sappia cosa appartiene alla "lente" e cosa al "panorama": nel mondo "troviamo" la verità, oppure la verifica del nostro discorso (concettualizzazione, etc.)? E quando non la troviamo, ciò che viene falsificato è la realtà o il nostro discorso?

P.s.
Fermo restando che in generale si parla di «verità» con tanti significati (empirico, mistico, logico, etc.); questa è solo la spiegazione della mia preferenza personale (quantomeno off topic).

P.p.s.
Citazione di: Jean il 22 Febbraio 2020, 20:03:22 PMpeccato per il "paradiso perduto"... alias la formattazione del testo...
Non ho più problemi con la formattazione dopo l'ultimo aggiornamento.

viator

Salve Vito Ceravolo. Citando : XXXXX"...accogliendo le premesse di Paul e Lou, la conclusione di Jean, cercando soluzioni, dovrebbe essere che il pensiero dell'uomo è un'evoluzione della natura(le) che acquista capacità artificiali, cioè con capacità di assemblare la natura in modo non adattivo (naturale) ma adattandola (artificiale)."XXXXX

Il mio non vuole essere  un intervento ma solo una nota di colore : ma qui siamo al delirio ! ".....capacità di assemblare la natura in modo non adattivo (preferisco : adattativo) ma adattandola (artificiale)".
ADATTANDOLA A CHE ? AL NATURALE O ALL'ARTIFICIALE ?.

Vedete.....c'è la pelle. Con quella cavata a dei poveri animali si possono produrre cinture, scarpe, borsette. La pelle di origine animale, dopo essere stata trattata come viene trattata per trarne una borsa, è materiale naturale od artificiale ?

Poi c'è la plastica. La quale può venir prodotta in forme ed apparenze sensorialmente accostabili alla pelle animale. Si chiama "similpelle".
La similpelle (consistente in materiale naturale=idrocarburi fossili) artificialmente manipolata per conferirgli sembianza naturalistica.........è materiale naturale o artificiale ?.

Poi c'è la similplastica. Un esempio : i carri allegorici del Carnevale di Viareggio vengono realizzati in cartapesta (materiale a cavallo tra la naturalità e l'artificialità); essi devono possedere una apparenza ed una consistenza il più possibile SIMILE alla plastica (non possono essere in plastica per ragioni di spesa e di dimensioni eccessive dei relativi stampi che in tal caso occorrerebbero). Non sto a ripetere il quesito fatale : naturale od artificiale ?

Infine arriviamo a certa oggettistica minuta nella cui realizzazione son maestri gli amici cinesi: (nessuno di voi conosce le pinzette da bucato che - esposte al sole per 100-200 ore, vengono rese talmente fragili dai raggi ultravioletti da frantumarsi al primo tentativo di apertura ?) essi sono in materiale talmente vile da aver permesso ad un ignorante privo di fantasia come me di coniare una certo neologismo : "quasisimilplastica".

Ecco......forse solamente quest'ultima è l'unica sostanza veramente artificiale che l'uomo sia riuscito a creare. Saluti.

Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

Ipazia

Citazione di: Phil il 22 Febbraio 2020, 20:45:13 PM
...
Detto altrimenti, secondo me la verità appartiene al lato del soggetto (narrazione, descrizione, etc.), mentre nel lato dell'oggetto c'è esistenza (esperienza, accadere, etc.); il linguaggio è ciò attreverso cui l'uomo "guarda" il reale, conviene che egli sappia cosa appartiene alla "lente" e cosa al "panorama": nel mondo "troviamo" la verità, oppure la verifica del nostro discorso (concettualizzazione, etc.)? E quando non la troviamo, ciò che viene falsificato è la realtà o il nostro discorso?

P.s.
Fermo restando che in generale si parla di «verità» con tanti significati (empirico, mistico, logico, etc.); questa è solo la spiegazione della mia preferenza personale (quantomeno off topic).

Ineccepibile dal punto di vista logico, ma di difficile applicazione in uno stadio prelogico in cui l'esistenza dice qualcosa ad un soggetto che non vi si relazione in modo logico bensì istintuale/intuitivo, interpretando comunque con cognizione di causa (prelogica) il fatto, l'accadimento, come da successiva verifica logica e sperimentale. Molte scoperte portano alla verità per via intuitiva, per strane, al limite dell'onirico, associazioni mentali non logicizzabili nella consueta liturgia deduttivo-causale.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

Phil

Citazione di: Ipazia il 24 Febbraio 2020, 20:26:32 PM
Ineccepibile dal punto di vista logico, ma di difficile applicazione in uno stadio prelogico in cui l'esistenza dice qualcosa ad un soggetto che non vi si relazione in modo logico bensì istintuale/intuitivo, interpretando comunque con cognizione di causa (prelogica) il fatto, l'accadimento
Il "dire" dell'esistenza è una metafora, il dire cogitante dell'uomo è invece attività concreta; il primo è un accadere/esistere "ontologico", il secondo un concettualizzare/narrare umano.
I cani di Pavlov hanno cognizione di causa, di verità, etc. o solo di prima/dopo, accadere/non-accadere? Punterei sul secondo gruppo, pur non negando affatto che siano animali con una loro "intelligenza" (qualunque sia il senso di questa parola).
Nel momento in cui l'uomo interpreta con cognizione, l'istinto e l'intuito restano umani, quindi permane, almeno secondo me, una deformazione concettuale, altrimenti l'interpretandum resterebbe tagliato fuori, inaccessibile alla sua stessa interpretazione (che richiede la sua concettualizzazione). Quando invece l'uomo (re)agisce d'istinto e d'intuito, è meno concettuale e, non a caso, non si pone il problema della verità.


Citazione di: Ipazia il 24 Febbraio 2020, 20:26:32 PM
Molte scoperte portano alla verità per via intuitiva, per strane, al limite dell'onirico, associazioni mentali non logicizzabili nella consueta liturgia deduttivo-causale.
Una scoperta, per come intendo personalmente la verità, non porta alla "verità", porta al cospetto di un'esistenza, di una relazione fra esistenti, etc. (sebbene «esistenza» possa essere certamente sinonimo di «verità», al di qua dell'ambiguità di cui parlavo).
Quando il linguaggio comune parla di un detective che mira a "scoprire la verità", in fondo, cosa intende? Scoprire fatti, eventi, etc., magari in contrasto con un discorso falso o in cui sono raccontati male, per cui la verità torna così ad essere legame fra un discorso (quello vero) e l'esistenza, l'accadere. Se la verità è categoria del "discorso su qualcosa" non credo possa essere anche categoria del "qualcosa" di cui è discorso, se non a prezzo di una scomoda ambiguità fra discorrere ed esistere. Dunque per me non si "scopre la verità" dei fatti, piuttosto si può dire la verità sui fatti, che se sono in tal caso non esperiti (perché passati, assenti, etc.) ma concettualizzati, non possono che essere narrati (se ho il mal di schiena, lo percepisco, non ho nulla da scoprire; se ne parlo con il medico sorge il problema di raccontare la verità, di rispondergli: «mi dica cosa sente... quanto le fa male da 1 a 10? e se fa questo movimento? ha sollevato pesi? Dica la verità...» e se egli mi fa scoprire di avere uno stiramento, la mia esperienza di dolore non cambia, posso solo dirne il nome... "vero").

Hlodowig

Citazione di: Phil il 22 Febbraio 2020, 16:47:13 PM
Citazione di: Hlodowig il 22 Febbraio 2020, 11:41:51 AM
Citazione di: Phil il 20 Febbraio 2020, 22:15:33 PM
..dei bambini consiste forse proprio nel non concepire il falso, la menzogna, etc. senza i quali la verità non può determinarsi, coincidendo a tal punto con l'esistenza..

Chiedo venia per l' imbecillità di aver leggermente modificato questa tua ultima parte.

[...] in questa frase, uno dei più bei concetti espressi della verità.
Quello a cui alludevo era soprattutto l'"uscita" dalla verità, ovvero il lasciarsela alle spalle come un'indicazione che, una volta (e)seguita, non può che restare indietro. Non si tratta di negazione della verità, come sarebbe la menzogna, quanto piuttosto di abbandono del piano delle categorie discorsive (inclusa quella di verità).
Nel momento in cui non c'è più discorso sulla verità e non c'è più contrapposizione alla falsità, c'è allora contatto im-mediato (non mediato dal medium linguistico-logico) con la realtà, esperienza diretta; si passa in pratica dalla narrazione del discorso alla narrazione dell'esistenza e nell'esistenza (probabilmente è ciò che esperiscono i viventi meno concettualizzanti, come i bambini piccoli e gli animali in genere).
Se chiamiamo questo contatto alinguistico «verità», allora ripiombiamo subito nel discorrere, sebbene, di fatto, quando lo esperiamo, non c'è nessuna verità (solo esperienza di esistenza): se mi dai uno schiaffo, provo dolore, non "verità"...

Per dirla in breve (perdonami, ma in media, ultimamente non riesco a digerire il troppo chiacchiericcio e i post un po' troppo discorsivi e generalizzanti);

il bambino non è un ipocrita.

In ciò sta la verità che si affaccia all' esistenza. (e alla non esistenza)

Sempre a parer mio.

Grazie. ✋

green demetr

https://www.azioniparallele.it/archivi/30-eventi/atti,-contributi/202-scalata-critica-al-nichilismo.html

Buonasera Vito J Ceravolo.

Finalmente ho avuto la pazienza di leggere il suo articolo.

Le nostre posizioni sono estremamente divergenti, così come le nostre interpretazioni sia di Kant che sopratutto di Nietzche.
Mi pare che lei non abbia capito alcunchè di Nietzche.
Il pensatore che pensava al di là del bene e del male, non avrebbe mai potuto pensare al male, in quanto male.
Come ogni sua frase va posta all'interno del mare magnum della sua immensa opera.
Se come lei cita dalla zarathustra, opera enigmatica se ce n'è una, che l'uomo deve tendere al male, è in senso morale.
Nel senso che l'uomo deve, condizione precipua di qualsiasi filosofia, uscire dal suo stato di condizionamento morale.
Condizionamento morale, che è certo cristiano, ma che nell'alto pensiero nicciano diventa una antimetafisica assoluta.

Dunque è bizzarra la tua posizione.

Un tentativo formale che vuole fare i conti con chi il formalismo lo ha detestato visceralmente, fino a lasciarne gli studi. Egli infatti era un filologo promettente.

Direi che forse il centro vero del contendere è Kant.

Liquidando in toto il realismo, con cui concordo con te, che liquida il soggetto, come se questo fosse minimamente possibile.

Rimane la trattazione del nichilismo.

Il nichilismo non è quello che tu tratteggi.
Quello che tu tratteggi è il solipsismo, o il monismo.
Lo chiami nichilimso perchè lo associ alla tua personalissima e per me incapibile questione del male.
Come se il male nascesse dalla presunzione (presunta caro vito, presunta da te) del soggetto che si libera di qualsiasi ordinazione naturale.

Vedo che nella trattazione di Kant partiamo da una specifica molto in avanti, e che ho apprezzato, perchè nonostante sia evidente, nel panorama delle discussioni pubbliche è un dato sempre taciuto.

Il tema della libertà associato alla necessità di una ordinazione divina, è chiaramente lo sforzo a cui tende l'intera filosofia kantiana.

Ora però mi sembra che o fai tu molta confusione o molto probabilmente non ho capito io.

Infatti kant prima è attaccato come solipsista, e poi recuperato nella necessità della libertà.
Che sottenderebbe certo la solita idiozia della tautologia.
La ragione umana è l'in sè delle cose.

Intanto la tua posizione è errata, e te l'aveva già detto Kant, la ragione è solo lo strumento, la facoltà dell'intelletto.

E l'intelletto è lo strumento originario del giudizio.

Dunque è la facoltà, ossia la possibilità ad essere pura.

Non la razionalità.

Lo sforzo di Kant inoltre è completamente frainteso da molti, se non tutti.

In kant il giudizio è il sine qua non, a partire da cui la libertà possa intraprendere il cammino della ragione.

E dunque è la nostra capacità di prendere giudizio, a dover essere analizzata e scandagliata.

In kant non vi è in alcun modo alcun solipsismo, in questo forum, sopratutto nella sua versione vecchia, quando c'erano più kantiani convinti (e solipsisti), si è prentata spesso la necessità di fare comprendere (inutilmente ovvio) che la cosa in sè, è il pensiero stesso del limite della comprensione fenomenologica, della mente, diremmo oggi. Egli mi pare usi la parola fantasia.

La fenomenologia è dunque una fantasmatica della ragione.
A cui il giudizio inflessibilmente deve porre il limite della inconoscibilità reale dei fenomeni stessi.

Dunque ciò che chiamiamo realtà (e che invece è una fenomenologia), è già un fantasma.

Lacan il massimo pensatore del secondo novecento, riprende la sua analisi proprio a partire da kant.

Come Kant anch'egli impazzisce nel tentativo di trovare una ordinazione naturale.
E' questo il vero problema della cosa in sè.
La sua impossibilità conoscitiva.

Automaticamente questa impossibilità viene a definirsi emotivamente, negli effetti del fantasma originario, ossia quello materno.
Il famoso "da dove vengo".

Questa provenienza è impossibile.

Come giustamente fatto notare da (fra gli altri immagino) Zizek, il soggetto parte sempre dalla fondazione.
Che in tedesco significa anche macerie.

Le macerie sono proprie dell'impossibilità a entificare ciò che propriamente è soggetto.

Cosa che capiscono benissimo anche gli antichi che si appoggiavano al Dio.

L'uomo non è un animale, men che meno un robot, una macchina.

Dire che l'uomo è l'in sè dell'universo, cari Vito e ci metto anche Paul, significa non aver letto nè minimamente inteso l'idealismo tedesco.

Per intendere ciò da cui parte la filosofia, ossia dal soggetto significa di fatto già portare avanti l'idea di Dio.

Non il dio morto delle religioni ma quello essenziale, quello di cui parla Heidegger, anche riferendosi, fraintendendolo completamente,a Nietzche.

Per tornare al maestro di Rocken.

Il nichilismo di cui parla sono 2. Il primo è quello della perdita dei valori, e il secondo è lo scandagliatore delle metafisiche.
Ossia delle infinite possibilità dell'esser uomo al di là della bestialità dell'esser uomo.

Per Nietzche già nel diciottesimo secolo era venuto il momento di andare oltre le morali storiche.

Era ora di pensare l'avvenire. Come giustamente titolava Garbinno all'epoca.

Un avvenire in cui l'uomo usa il nichilismo a sua immagine, ossia analizzando le sue effettive possibilità.

Come se noi della natura (umana) avessimo esplorato ancora poco, pochissimo.

Direi che insomma la critica al tuo scritto è questa.

Ora però da buon forumista mi interesserebbe capire come mai si necessita di questo "ordine esterno",perchè mi pare che alla fine in questione sia proprio la questione morale.
Ossia la protezione della morale (corrente), ossia di nuovo il soggiacere alla ideologia del tempo presente.

Il che ovviamente mi troverebbe di nuovo in disaccordo.
La questione morale va sorpassata almeno in campo intellettuale, al più presto.


Apprezzo grandemente però delle posizioni formali (e me indigeste) quelle dualiste, e rigetto con tutto me stesso i monisti. Quindi c'è del buono nel tuo lavoro (di solito contro le nuove filosofie inveisco e basta, ah ah buon lavoro Vito).

Se pensi che debba leggere altro del tuo lavoro ti prego avvisami. Lo farò di buona volontà. Laddove ovviamente questo mondo che mi schiaccia me ne lasci la forza.

Se pensi che dobbiamo aggiustare qualcosa dei termini fin ora usati, idem.

Saluti e grazie per un tuffo nella filosofia che conta.
Vai avanti tu che mi vien da ridere

green demetr

Citazione di: Ipazia il 21 Febbraio 2020, 15:06:49 PM
Citazione di: green demetr il 21 Febbraio 2020, 11:44:35 AM
Nemmeno il reale fugge all'astrazione in realtà, questo per stroncare anche le velleità ipaziane.

Il reale (concetto) è parte del cogito che è parte della natura che riporta alla terra e a Nietzsche di cui - ma più gaiamente di lui - condivido le velleità. L'astrazione, liberata (decostruita) dalle illusioni platoniche e neo, è un ottimo strumento deduttivo di ordinamento antropomorfico della realtà (reale, fisica, materiale,...), comunque necessario alla via umana della conoscenza.

Vedo che insisti a intendere la natura come super-egoica.

Un conto è la sovrastruttura che genera l'io penso, tesi del nostro marx, un conto è la natura.

Mentre la prima è il risultato politico (incluso quello della economia politica), la seconda è una invenzione della chiesa, che pensa il Dio in relazione all'uomo, inteso come naturale.
La natura è lo strumento del Dio. In poche apodittiche parole.
Ma Dio appunto non esiste, e dunque nemmeno la Natura.

Se diciamo natura che non sia relata a Dio, ci tocca rifare i conti da capo.

Vogliamo dunque rifarci alle sciocchezze delle neuroscienze? al pensiero del post umano?
A tutte quelle forme della sovrastruttura che determina l'essere egoico?

Il problema dell'in sè di Ceravolo non è così indifferente rispetto a quello che pensi.

Infatti ponendo un in sè all'interno della natura si sta dando il via alla possibilità della analisi.

Anche di quelle plurali come dici nel tuo intervento finale.

Non porre le premesse di qualsiasi analisi significa consegnarsi in toto al potere delle sovrastrutture.

Significa affidarsi alle scienze cognitive, adattive, solo perchè performanti, ossia adatte alla economia politica come già Marx ci ha avvisato.

La mercificazione dell'esser umano spacciata come Natura, è la solita sostituzione, del morto un Dio, se ne fa un altro.

Il concetto di Natura che lo giustifica è il mezzo più adatto come lo ha dimostrato e tutt'ora dimostra, la persistente presenza del Dio cristiano.

Troppo facile per le forme ideologiche del capitalismo moderno, che usano qualsiasi dispotivo(agamben) esistente.

Il bias parte proprio dalla Natura.

Direi di tornare a Kant e rischiararci le idee. Se vogliamo ripensare il politico come categoria rifondativa del fare filosofia. (cosa su cui sarei d'accordo).
Vai avanti tu che mi vien da ridere

green demetr

#190
Citazione di: paul11 il 21 Febbraio 2020, 15:36:36 PM
Citazione di: green demetr il 21 Febbraio 2020, 11:44:35 AM

E il reale non è il naturale. Purtroppo anche Paul fa questo errore.



..e ancora mi pensi naturalista?


Se utilizziamo i nostri piedi o l'automobile e non vogliamo cozzare contro un muro o fare incidenti, abbiamo necessità che funzionino i sensi e il cervello attraverso l'attenzione e la concentrazione.
Significa che almeno "parte" della realtà fisica indubbiamente la conosciamo,almeno per sopravvivere.


Il reale fu prima un concetto metafisico come il razionale, poi la mimesi moderna ha mutato  i significati.
Affinchè si possa costruire una filosofia, oggi regna l'anti-filosofia che ha plagiato le moltitudine umane per renderle servizievoli agli apparati, è necessario seguire un'analitica e una sintesi appunto utilizzando induzione e deduzione. Per potere accedere alla ragione in sè, è necessario che la realtà naturale venga portata al reale dell' in sè e non può eludere il fenomeno fisico, sarebbe allora fantasia. Insomma perchè funzioni l'induttivo che sale dal particolare della realtà naturale all'in sè della ragione e il deduttivo che scende dall'in sè della ragione al particolare della realtà naturale, siano coerenti.
L'errore è eludere o il mondo naturale o l'in sè della ragione, non sarebbe più filosofia, sarebbe chiacchiera.


Ciao Paul su questo punto mi sembra ci sia sempre molta confusione tra noi.

La natura in sè non esiste. Esiste un concetto di natura. Dico solo che va analizzato.
Storicamente esso si associa a Dio. In particolare trovo assurdo che il giusnaturalismo si permetta di dire che per esempio l'omosessualità è contro-natura.

Il concetto di natura serve solo per compiacere l'esercizio del potere dell'uomo contro l'uomo. Gli esempi odierni e storici sono così tanti che trovo sempre imbarazzante doverne rendere conto. Sopratutto perchè io non ho alcun potere essendo povero.

Ora usare l'idea di natura in maniera sbrigativa come stiamo facendo è veramente contro tutto ciò in cui credo.

Ma faccio sempre uno sforzo per capire. La comunicazione come sappiamo è sempre disturbata a livello linguistico.
Non è solamente il mezzo, il medium internet, sono anche le orecchie di chi ascolta.

Quanta ideologia è presente nella comunicazione? Mi interessa quello sopratutto. (almeno inizialmente).


Ripartiamo da quello che scrivi, "il reale era metafisico".
Ma certo PAUL, e proprio quello il problema penso!
Riportate il concetto di reale nel suo alveo originario.
Volendo si può sempre ripartire dalla grecità, e dal loro concetto, già detto da Phil, di Aletheia, il disvelamento, cose che tu già conosci.

Il problema che qualcosa si disveli indica una metafisica di un qualcosa che sottende il naturale.

Essi lo chiamarono infine Logos, sia Platone che Eraclito, ne sono i campioni riconosciuti.

Ora il logos è ciò che unisce ciò che non può essere unito, ossia i contrari.
Nelle teorie dell'aristotele nascosto è evidente mi dicono gli studiosi del nostro.

Una mera credenza come un altra.

A me interessa ciò che sta oltre, ossia ciò che è percepito.

L'intera storia della metafisica infatti è una ontologia dell'ente, e giammai dell'essere.
Come ben notato da Heidegger.

A noi interessa la fenomenologia che sia dell'ente o dell'essere ha poca importanza.
Lo dimostra Cartesio dal razionalimso al criticismo alla dialettica, si svolge così quella storia post-illuminista, che deflagra in Kant ed Hegel.

L'impossibilità della risposta a "chi sono io?", previa impossibilità della conoscenza di ciò che mi determina in quanto soggetto, porta dritto nella temperie del romanticismo e nello spaesamento del novecento.

Il ritorno odierno a forme illuministiche, neo-illuministiche dei tempi odierni, dimostra quanto avesse Heidegger a dire che siamo ancora nella modernità.

Con l'aggravante di non pensare più a Cartesio Kant ed Hegel.

Ora cosa è natura? cosa è Dio? cosa è il logos o ordinazione? al giorno d'oggi: questo è il problema che credo stiamo qui trattando.

Ora le domande che ci facciamo non devono essere idiote, se qualcuno dei mostri sacri se le era già poste, forse qualcosina possiamo ancora capire da loro.

Altrimenti a che serve la storia della filosofia? un mero sciorinare di conoscenze vuote di verità? A noi dovrebbe interessare per davvero il reale!

E' inutile pensare che siamo fuori dall'ideologia. Certo siamo superiori al popolino, ma solo in quanto ad una certa ampiezza di sguardo.

Ora è facile perdersi in questa ampiezza si sguardo.

I termini vanno di nuovo rispiegati.

E allora torniamo allo scritto tuo.

Io riparto dalla mia ordinazione del reale, che alla base trova il fenomeno.

Io sto con Kant, sono cotro Husserl, e semmai preferisco mille volte Heidegger.

(so che esistono altre fenomenologie, mea culpa, devo ancora consocerle. penso alla stein per esempio, ed altri citatati dal professore alfieri).

A che punto siete tu e ceravolo sulla questione del fenomeno? francamente non lo con certezza. Discutiamone.

ti cito di nuovo
"Per potere accedere alla ragione in sè, è necessario che la realtà naturale venga portata al reale dell' in sè e non può eludere il fenomeno fisico, sarebbe allora fantasia. Insomma perchè funzioni l'induttivo che sale dal particolare della realtà naturale all'in sè della ragione e il deduttivo che scende dall'in sè della ragione al particolare della realtà naturale, siano coerenti."

Siamo d'accordo sul fatto che l'unica cosa non eludibile è il fenomeno.

Infatti perdonami ma il fenomeno è il vero punto di partenza. E l'unico possibile.

Andiamo a vedere perchè.

La ragione dell'in sè del fenomeno, dovrebbe avere a sua volta un in sè, che giustifichi la coincidenza del'in sè dell'oggetto fenomenico.

Ma entrambi sono presunti. A essere fantasie sono dunque la ragione che coincida con l'oggetto in sè.

Dovremmo probabilmente indagare un in sè generale. Che infatti Kant chiamò giustamente LA COSA.

Non "delle cose" ma LA cosa.

Ci rendiamo subito conto che se erano fantasie la ragione che abbia una coincidienza con l'oggetto, e fantasia che un oggetto avesse coincidenza con la ragione, figuriamoci un OGGETTO in SE'.

Questa critica è nata subito dopo Kant e si è protratta fino ai giorni nostri.
Kant ha sbagliato dicono tutti i NON-PENSATORI.

Il povero Kant con la sua scrittura impossibile da leggere. Ci provò a farsi capire. Ma è chiaro che se uno non capisce, è perchè non sa pensare.

Il cuore pulsante della fenomenologia è infatti la dialettica. Non l'analitica.

A Kant non interessa tanto trovare una analitica formale, bensì trovare qualcosa che fondi la libertà umana.

Ossia qualcosa che comprenda i fenomeni davanti a noi.

E dunque per Kant è il fenomeno quello che conta.

Fu Peirce un centinaio d'anni dopo, che intuì cosa Kant cercasse.

Un principio d'induttività che avesse caratteristiche generali.

E che spiegasse lo svolgimento del MONDO.

L'induttività non passa giammai attraverso categorie pregresse, l'unica ammessa è quella che riguarda la matematica.

Dici bene Paul quando dici dunque che prima con l'induzione e poi con la deduzione, si può decidere se è il caso o meno di andare contro un muro.

Non sto negando giammai tutto ciò, siano d'accordo.

Possiamo certo ricordare che la deduzione è sempre una presunzione di una probabilità persistente.

Ma sempre di probabilità stiamo parlando, GIAMMAI DI REALE.

Possiamo pensare al reale, come quel fascio di percezioni persitenti e non permanenti.

Dunque il reale è un fantasma adattivo ad un in sè presunto. Che deduciamo sommariamente e falsamente, falsificabilmente come Natura.

Il reale e la natura sono questa cosa qui?

Io non ho idea.

In quanto non mi interessa  abitare quelle regioni che sono della fantasia, del fantasma.

A me interessa il prodotto di questa relazione, ossia il soggetto e il suo fenomeno.

Il fenomeno si associa SEMPRE al soggetto.

Il soggetto si innesta sempre come già dato, e come già dato si riconosce come altro da sè.
E se noi siamo altro dal nostro soggetto, allora vi è un Dio che si pone come garante.

Un Dio che NON ci salva. In quanto non esiste.

Esiste solo il nostro altro da noi stessi.

Per questo quando Ceravolo afferma che prima di parlare il falso già ci abita, ha immensamente ragione.

Il punto è che l'indagabilità di questo ALTRO, è impossibile deduttivamente, ma sempre a partire dalla rovina di questo ALTRO nel soggetto che noi siamo.

Il rovinamento del soggetto, la sua intima alienazione si dà come processo fenomenico.
Indi per cui la filosofia che ne fa un analisi, si chiama fenomenologia.

In tutto questo i vecchi concetti dell'in sè  e di Natura non hanno alcuna valenza fondamentale.

Il fondamento è sempre altrove. E' questa la somma lezione di Nietzche.

La sistematizzazione è un errore e una presunzione che camuffa la propria volontà di potenza.

Come se data la natura e il proprio in sè, si possa decidere del MONDO stesso.

Di solito è la mimesi del potere gerarchico dell'uomo che vuole dominare l'altro uomo, e  che Nietzche chiama bestialità.

La bestialità non è una forma del naturale ma del gerarchico, fenomenico, non reale.

Il monaco che si esenta da tali forme mondane, si erge infatti in una dimensione fenomenica che non è reale. Il reale del potente che vuole la fine del monaco.

Come già detto in altro forum, il re rapisce Sileno. I saggi vengono portati alla corte del re.

Il fenomeno si dà come reale solo quando nasconde la sua forma ideologica.

Ora al netto di queste considerazioni è chiaro che il problema di cosa sia naturale e cosa reale, sia ampiamente e auspicabilmente introdotto nella discussione.

Altrimenti rimaniamo pure nei nostro reciproci fraintendimenti.

Io lo sforzo gratuito di aver posto le basi l'ho fatto.

A voi la risposta o la caduta di penna.
Vai avanti tu che mi vien da ridere

Ipazia

Citazione di: green demetr il 01 Marzo 2020, 12:45:24 PM

Vedo che insisti a intendere la natura come super-egoica.

Un conto è la sovrastruttura che genera l'io penso, tesi del nostro marx, un conto è la natura.

Mentre la prima è il risultato politico (incluso quello della economia politica), la seconda è una invenzione della chiesa, che pensa il Dio in relazione all'uomo, inteso come naturale.
La natura è lo strumento del Dio. In poche apodittiche parole.
Ma Dio appunto non esiste, e dunque nemmeno la Natura.

Se diciamo natura che non sia relata a Dio, ci tocca rifare i conti da capo.

Vogliamo dunque rifarci alle sciocchezze delle neuroscienze? al pensiero del post umano?
A tutte quelle forme della sovrastruttura che determina l'essere egoico?

Vogliamo rifarci alla natura come la intesero i presocratici e i pensatori coevi orientali a priori di qualsiasi Dio o Uomo-Dio. Che poi è laddove cercó di riportarla Nietzsche rifacendo i conti da capo (magari sbagliati, ma sempre meno di quelli che andava martellando).

Sia essa essere, ente o concetto cambia poco. Cosi la esperiamo nella sua fenomenicità e così la trattiamo fenomenologicamente.

CitazioneIl problema dell'in sè di Ceravolo non è così indifferente rispetto a quello che pensi.

Infatti ponendo un in sè all'interno della natura si sta dando il via alla possibilità della analisi.

Anche di quelle plurali come dici nel tuo intervento finale.

Non porre le premesse di qualsiasi analisi significa consegnarsi in toto al potere delle sovrastrutture.

Le premesse le pone qualsiasi disciplina conoscitiva (scienza) definendo i confini della propria episteme.

CitazioneSignifica affidarsi alle scienze cognitive, adattive, solo perchè performanti, ossia adatte alla economia politica come già Marx ci ha avvisato.

La mercificazione dell'esser umano spacciata come Natura, è la solita sostituzione, del morto un Dio, se ne fa un altro.

Marx ci ha avvisato di quanto la sovrastruttura abbia una grande propensione a farla fuori dal vaso e la sovrastruttura Capitale eccelle in tale arte. Anche Dio non ci va leggero...

CitazioneIl concetto di Natura che lo giustifica è il mezzo più adatto come lo ha dimostrato e tutt'ora dimostra, la persistente presenza del Dio cristiano

... avendo ben compreso quella sezione della natura che è la "natura umana", storicamente determinata...

CitazioneTroppo facile per le forme ideologiche del capitalismo moderno, che usano qualsiasi dispotivo(agamben) esistente.

... al pari del capitalismo che è la summa teologiae della modernità.

Citazione
Il bias parte proprio dalla Natura.

Direi di tornare a Kant e rischiararci le idee. Se vogliamo ripensare il politico come categoria rifondativa del fare filosofia. (cosa su cui sarei d'accordo).

Penso sia un bias insuperabile, trascendentale, tanto vale farsene una ragione per noi della cosa, liberandolo dalla lussuria mercatistica di preti e mercanti. E alfine accettarlo con filosofica consapevolezza come ci insegnó il maestro di Röcken.

Il dubbio che mi sovviene è se stiamo parlando della stessa Natura o natura.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

paul11

ciao Green,


La natura in sé esiste e sussiste nonostante l'uomo. Viene prima della comparsa umana.
Certo, il concetto di natura è l'interpretazione che la nostra ragione della natura pone come rappresentazione e incide nella cultura.
L'associazione natura con dio, dal punto di vista squisitamente filosofico, è diversa per ogni corrente filosofica, a cominciare dall'antichità greca.
Diciamo che prima ancora della filosofia, con Esiodo, la natura(come terra) era asservita al cielo
e l'uomo doveva stare in armonia con cielo e terra: da ciò derivava la morale. Ma questo prima ancora dei pre-socratrici. La filosofia,che viene dopo, nasce come indagine anche naturale.
Nella modernità, con l'umanesimo fino a noi, la natura assurge d un ruolo paradigmatico, fondativo, che prima non aveva, con la negazione della meta-fisica; con la dualità del cogitans ed extensa, con il soggettivismo empirico, ecc.
Un conto è partire dall'aletheia nell'esistenza, negando preconcettualmente il soprasensibile e un conto inserirlo nel soprasensibile: muta completamente l'ambiente e le prospettive indagatrici.


Il disvelamento riguarda l'essere: il problema, ribadisco, che l'essere per i metafisici è ontologicamente e gnoseologicamente diverso da chi invece lo cerca nell'esistenza.
Per fare un esempio concreto:  è giusta la critica di Heidegger verso Platone del "che cosa è l'essere?" E se fosse giusta dove,come, in che cosa consisterebbe l'essere per Heidegger?
Sono riflessioni.


L'essere, il logos, sono credenze? E il Sileno che crudelmente dichiara la tragedia umana della sua misera vita? A tua volta non ti chiedi da dove fuoriesce il Sileno e se sia migliore la sua sorte?


Heidegger mi risulta che scrive"Essere e tempo" e non "Enti e tempo".
Personalmente l'Essere ritengo sia come scrive inizialmente Nietzsche "l'uno primigenio", o archè, o ragione in sé, o chi lo identifica in Dio(non necessariamente in senso religioso).


L'impossibilità della risposta "chi sono io?" è l'impossibilità tutta moderna di pensare che la natura, la matericità siano e diano le risposte riponendo nella tecnica la salvezza. L'esistenza si esplica anch'essa come apparenza, si nasce si muore, come la materia come i cicli della natura, Ma noi non rientriamo nei cicli perpetui della natura ,se non magari con altre spoglie mortali, divenendo altro da-sè. E per me questa è una grossa aporia logico metafisica.


Alcuni filosofi necessariamente se non vogliono parlare della semiologia delle mode, dei gossip, , ma vogliono fare filosofia, ritornano indietro ripensando alla metafisica antica,semmai cercando di capire e migliorare. La filosofia naturale materica ha fatto il suo tempo,visto che sussiste da almeno quattro secoli a questa parte, e non ha dato nemmeno risposte alle pratiche, anzi ha creato caos e confusione, ha creato vuoti colmati apparentemente dalle scienze moderne.


Penso che Vito C. abbia abbandonato la discussione, voleva testare la sua filosofia.


La fenomenologia è sempre soggettivismo e per questo non può creare Cultura con la C maiuscola.
Husserl guardava più a Cartesio che non a Kant, e la sua indagine come il fallimento della psicanalisi non è identificativa di una comunità, è individuazione non socializzazione, è opinione, non è verità. Heidegger segue questa china,seppur vorrebbe elevarsi da queste strettoie,vorrebbe utilizzare i termini metafisici ma calarli nell'orizzonte dell'esistenza.


Appunto, la natura e fenomeni sono parte della realtà, e quale filosofo lo ha mai negato?
Sono leggende metropolitane che la metafisca greca neghi la realtà dei fenomeni.
Semmai gli eleati di Parmenide e Zenone la negano come essere, ma non come esistenza.
Severino ne fa una negazione logico dialettica, ma non significa negare la realtà come esistenza.


Mi trovi d'accordo che il fenomeno naturale e fisico è ineludibile, ma ripeto, dal punto di vista filosofico non è questo il problema. Il vero problema è che se in tutto l'universo esistesse una verità, quella verità non può essere opinabile per le infinite apparenze dei fenomeni, che le varie culture e tempi culturali mutano.
A me non risulta che il noumeno Kant lo abbia voluto risolvere, tanto meno con una "cosa".
Non avrebbe mai posto il noumeno se voleva indagare il metafisico.
A me risulta che Kant sia il filosofo che abbia influito sulla cultura forse anche più degli altri filosofi a seguire. E' divenuto il mainstream.


La dialettica è in Hegel ,non in Kant. Kant ha avuto il merito di analizzare come la mente umana concettualizza un fenomeno, giusto o sbagliato che sia, ed era un procedimento originale e mai eseguito in precedenza se non dalle categorie aristoteliche, ma in termini diversi. Kant è uno gnoseologico e per farlo deve soggettivare, non più porre ontologie. E' per certi versi un precursore della filosofia della mente. Hegel pone un soprasensibile, cosa che Kant non attua  anche se non lo nega, lascia la questione aperta. Husserl prosegue l'analisi fenomenologica, ma ancor più soggettivata, perché vi inserisce la psiche, l'intenzionalità: in questo modo i confini fra realtà fisica e naturale sfumano nel soggetto mentale che diventa sempre più un interpretante della realtà.
A voler ben indagare la cultura naturale e materica moderna apre ad aporie interessanti al suo interno, con la mente umana. Tant'è che una spinta di Husserl a filosofare fu la crisi delle scienze a cavallo del Novecento. E se ci pensiamo bene al fiorire della psicanalisi mentre galoppava un positivismo, dall'altra matematica, geometria, mutavano i propri fondativi e Maxwell univa l'elettricità con il magnetismo permettendo la teoria della relatività einsteniana. Ci sono momenti di crisi nella modernità che potrebbero aprire a mutamenti filosfici. Ma bisogna prima riconoscere su cosa oggi è  veramente fondata la cultura post moderna se si vuol migliorarla. Il mio personale giudizio è che la fine della metafisica abbia relegato l'umanità ad una crisi in cui si inviluppa invece di una ingenua liberazione a suo tempo annunciata dall'illuminismo. Oggi si fa la filosofia del pomodoro quadrato.


Scordiamoci che la verità metafisica sia sperimentabile e visibile come le apparenze.
Questa è la netta dicotomia culturale. Scordiamoci pure che sia statistica, stocastica, calcolo delle probabilità. Deve necessariamente essere assunta non dico la necessità, ma la possibilità che quella ragione in sé sia praticabile gnoseologicamente,  percorrerla deduttivamente. A mio parere è solo pregiudizio, è la paura di un dio, è la paura che una verità debba mettere d'accordo tutti?
Le ricadute culturali sono un mondo diviso soprattutto proprio nelle pratiche.
Possiamo permetterci un mondo individualistico e conteso con la tecnologia attuale e soprattutto con i problemi attuali?
Il fallimento di organizzazioni sovranazionali che di fatto non hanno poteri, dimostrano che senza una verità nessun accordo è possibile, solo l'utile individuale, l'utile per un singolo stato .


Se qualcuno riesce a convincermi del contrario ben venga.


Non si riesce a far capire che una cultura o implicitamente, perché li vuol nascondere con i poteri umani, o esplicitamente, determina il modo di vivere. Per questo iniziai a studiare filosofia.
Allora assumiamo ipoteticamente che la ragione in sé e la natura non abbiano fondamenti.
Cosa rimane per sottrazione? L'uomo e la sua soggettività. Adatto che ogni uomo vede dal suo balcone sul mondo una prospettiva, chi avrà ragione fra tutti i punti di vista? Chi urla di più? Chi ha armi più potenti? Tolti i paradigmi si torna allo stato primitivo con però alte tecnologie, non si lanciano frecce, si sparano missili: daccapo, possiamo permettercelo? Possiamo, assunta per  morta la filosofia, fingere che il "buon senso" umano è vincente? Su quale fondativo il buon senso è sempre vincente?

viator

Salve Paul11. XXXXX"Su quale fondativo il buon senso è sempre vincente?"XXXXX.
Il buonsenso ha il suo fondativo nel rinunciare al trovare il senso, accontentandosi di vivere senza certezze, verità, fedi che non siano solamente dei passatempi. Saluti.
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

green demetr

Citazione di: Ipazia il 01 Marzo 2020, 17:04:47 PM
Citazione di: green demetr il 01 Marzo 2020, 12:45:24 PM

Vedo che insisti a intendere la natura come super-egoica.

Un conto è la sovrastruttura che genera l'io penso, tesi del nostro marx, un conto è la natura.

Mentre la prima è il risultato politico (incluso quello della economia politica), la seconda è una invenzione della chiesa, che pensa il Dio in relazione all'uomo, inteso come naturale.
La natura è lo strumento del Dio. In poche apodittiche parole.
Ma Dio appunto non esiste, e dunque nemmeno la Natura.

Se diciamo natura che non sia relata a Dio, ci tocca rifare i conti da capo.

Vogliamo dunque rifarci alle sciocchezze delle neuroscienze? al pensiero del post umano?
A tutte quelle forme della sovrastruttura che determina l'essere egoico?

Vogliamo rifarci alla natura come la intesero i presocratici e i pensatori coevi orientali a priori di qualsiasi Dio o Uomo-Dio. Che poi è laddove cercó di riportarla Nietzsche rifacendo i conti da capo (magari sbagliati, ma sempre meno di quelli che andava martellando).

Sia essa essere, ente o concetto cambia poco. Cosi la esperiamo nella sua fenomenicità e così la trattiamo fenomenologicamente.

CitazioneIl problema dell'in sè di Ceravolo non è così indifferente rispetto a quello che pensi.

Infatti ponendo un in sè all'interno della natura si sta dando il via alla possibilità della analisi.

Anche di quelle plurali come dici nel tuo intervento finale.

Non porre le premesse di qualsiasi analisi significa consegnarsi in toto al potere delle sovrastrutture.

Le premesse le pone qualsiasi disciplina conoscitiva (scienza) definendo i confini della propria episteme.

CitazioneSignifica affidarsi alle scienze cognitive, adattive, solo perchè performanti, ossia adatte alla economia politica come già Marx ci ha avvisato.

La mercificazione dell'esser umano spacciata come Natura, è la solita sostituzione, del morto un Dio, se ne fa un altro.

Marx ci ha avvisato di quanto la sovrastruttura abbia una grande propensione a farla fuori dal vaso e la sovrastruttura Capitale eccelle in tale arte. Anche Dio non ci va leggero...

CitazioneIl concetto di Natura che lo giustifica è il mezzo più adatto come lo ha dimostrato e tutt'ora dimostra, la persistente presenza del Dio cristiano

... avendo ben compreso quella sezione della natura che è la "natura umana", storicamente determinata...

CitazioneTroppo facile per le forme ideologiche del capitalismo moderno, che usano qualsiasi dispotivo(agamben) esistente.

... al pari del capitalismo che è la summa teologiae della modernità.

Citazione
Il bias parte proprio dalla Natura.

Direi di tornare a Kant e rischiararci le idee. Se vogliamo ripensare il politico come categoria rifondativa del fare filosofia. (cosa su cui sarei d'accordo).

Penso sia un bias insuperabile, trascendentale, tanto vale farsene una ragione per noi della cosa, liberandolo dalla lussuria mercatistica di preti e mercanti. E alfine accettarlo con filosofica consapevolezza come ci insegnó il maestro di Röcken.

Il dubbio che mi sovviene è se stiamo parlando della stessa Natura o natura.




Cara Ipazia, francamente sono in disaccordo sul tuo lassismo e sul tuo laissez faire.


E' esattamente uno dei sintomi del paranoico. Ma appunto quello è un muro veramente difficile da sorpassare, per questo la cecità voluta del problema fa parte della mimesi di tutti, anche di te.


Lasciare il tutto alla episteme moderna significa tra l'altro non aver capito la crisi dei fondamenti di tutte le scienze.
Se nessuna scienza può arrogarsi alcun dirito teoretico stai certa che lo faranno praticamente con le cattive.


Ma qui mi fermo, rimaniamo pure negli spazi astratti e aerei della filosofia teoretica. (per me fondamentale per quella pratica).


PS
Solita correzione su Nietzche, come nel caso di Paul, la faccio solo perchè ci tengo a voi, di solito lascerei cadere le provocazioni.
Nietzche non insegna ad accettare le cose come sono, anzi invita ad una guerra (intellettuale) perpetua contro ogni forma di stasi.




pps
Per quanto riguarda la natura vista dal bias, ovviamente intendo che vi sia una res extensa, quando kant e lo stesso cartesio parlano del cattivo demone. Non esiste alcuna res extensa in sè.


Preferisco certo la Physis greca che si riallaccia all'idea dei fenomeno.

Vai avanti tu che mi vien da ridere

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