Giochi di pensiero: la terza rivoluzione filosofica

Aperto da Vito J. Ceravolo, 02 Febbraio 2020, 18:09:52 PM

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paul11

#105
ciao Vito C.
in nero le tue considerazioni, in verde le mie
Citaz Vito C.
Allora è possibile che la funzionalità cosciente della razionalità (il concetto, per sua natura schematizzante) presupponga la costruzione di segni (parole suoni simboli) tramite cui conseguentemente si sente il pensiero?

Sì, se penso a come un bambino compie il salto linguistico quando sa denotare un qualcosa con un

nome. Ma presupppone aree fisiche linguistiche all'interno del cervello fisico, atte allo sviluppo di un linguaggio, Il pensiero è il sistema di relazione dei nomi che denotano le cose e dentro un senso proposizionale. Infatti prima il bambino "immagina e fantastica" con il pensiero, poi impara (indotto pedagogicamente e quindi condizionato linguisticamente) a costruire poco per volta razionalmente. Imita inizialmente ,imparando a memoria tabelline, regole ortografiche, ecc.giocando.

Solo nell'adolescenza inizia un pensiero critico.

L'in sé come ragione è accessibile immediatamente solo con uno strumento razionale inconscio, passivo, spento, cioè capace di entrare in contatto con le ragioni in sé senza gli schemi concettuali del soggetto, senza interferenza dell'osservatore sull'osservato, oltreché in misura extrasensoriale. Noi conosciamo l'intuito quale strumento di tale tipo. Per quanto riguarda i materialisti invece, per impedire questa filosofia devono prima di tutto negare di affidarsi a delle ragioni sovrasensibili per spiegare la materia. Una volta che hanno capito che non possono negare ciò, si ricorda loro che un presupposto di correttezza di questa filosofia è la sua coerenza naturalistica: nel senso di coerenza materiale a ciò che descrive... e che questo paradigma, riconoscendo la verità dei fenomeni, presuppone la coerentizzazione della relatività.

L'in sé è prima intuizione, non ancora concettualmente razionale.

E la tua intuizione è interessante, quando dici che è passivo, spento, perché non è ancora volontà conscia, non è ancora attività razionale, quando è "acceso".



I materialisti hanno accentuato  la divisione fra extensa e cogito , ma non riescono a unirli.

La trascendentalità kantiana è di fatto un processo mentale, come lo è stato l'intenzionalità nella fenomenologia husserliana. Ecco forse ti consiglierei di schematizzare come Kant e poi Husserl compiono i processi gnoseologici, per avere spunti, intuizioni.

Hanno studiato il soggetto umano come fa a costruire un pensiero e a tutt'oggi il monismo o dualità fra mente e cervello non è sciolto dai filosofi dalla mente..

Ma questo soggetto umano è totalmente avulso dalla ragione in sé.

Perdendo la relazione della realtà, del rapporto fra essere umano e la ragione per cui esiste la vita(il rapporto essere con la ragione dell'in sè), si sono concentrati sugli strumenti, così hanno trattato della ragione in se ma solo umana, dello strumento linguistico(tutta l'analitica angloamericana), arrivando all'attuale filosofia della mente. Non hanno via d'uscita.

Allora daccapo "Conosci te stesso", sul tempio di Delfi. Era riferito al corpo fisico? Un elemento chimico fisico si chiede perché è, perché è del mondo e che ci sta a fare?

Studiando il cervello fisico arriveremo a capire noi stessi?

Ma se non conosco me stesso, come posso conoscere gli altri come me che non si conoscono, come posso dire del mondo?



Il mio pensiero attuale ,in estrema sintesi:

La vita è esperienza e per quanto possiamo intuire la ragione in sé è inaccessibile, poiché finirebbe l'esistenza in divenire. Il senso della vita è l'avvicinarsi il più possibile all'essere che è nella ragione in sé, che si mostra nell'apparire e scomparire del divenire, e nell'eterna regola e ordine che regna la ragione in sé.

Il secondo aspetto è Culturale. Se anche tuta la filosofia fosse priva di coerenza e consistenza, fantasia umana, la Cultura condiziona il pensiero e soprattutto le prassi di chi non ha consapevolezze del pensiero culturale in cui vive. Le scienze contemporanee non costruiscono Cultura, semmai la inducono simbioticamente con scoperte. In questo scenario ha poca importanza se sia una religione, una filosofia, una scienza a determinare i paradigmi, ma quanto è creduto, giustificato (non necessariamente razionalmente, ma anche irrazionalmente) e perseguito praticamente. Quì, in questo scenario, è l'uomo decisivo.

Non è cancellando l'iperuranio, i paradisi le illuminazioni o la ragione in sé che l'uomo può cancellare le domande fondamentali o cancella l'universo. Imperterriti le regole e gli ordini eternamente dichiarano nasce e muore, appare e scompare, seguendo un tempo troppo oltre misura della vita umana singola, per non chiederci che senso abbia tutto questo?

Allora anche nel mondo relativista e materialista, naturalista, questi stessi concetti vengono assolutizzati:la natura prende il posto dell'universo, il relativo quello dell'assoluto e la materia il posto dello spirito, il risultato è l'uomo che prende il posto di dio, ma inconsciamente sa che non è possible, non è possible fermare le regole egli ordini che dettano le regole alla stessa natura terrestre, al nasci e muori delle generazioni umane, alla materia che si trasforma.

E anche quando si fa anti filosofia, in fondo la si fa ancora, perché si crede in qualcosa anche se si pensa di non credere a nulla, come uno scettico, un solipsista e l'uomo è impossibile che spenga la sua necessità, dovrebbero spegnergli il cervello, la mente, cioè morire.

L'assiomatizzazione moderna ha destabilizzato gli enunciati, postulati dei sillogismi.
Significa che si possono letteralmente inventare geometrie e matematiche, costruire modelli di multiverso matematici sulle teorie cosmologiche scientifiche. Questo è il pardosso materialistico, relativista, naturalista: l'assioma ha superato la meta-fisica divenedo plasticità del linguaggio con invenzioni non prese dalla natura, dalla materia, ma dalla immaginazione per tentare tecnicamente di costruire concettualità utili e funzionali a se stesso, alla potenza umana disancorata  nel nulla(nichilismo appunto).Il dispositivo culturale mimeticamente ora non è nei concetti analitici e sintetici, è prima, èorigine delle teorie, dei teoremi, l'importante è operare coerentemente e consistentemente.

Vito J. Ceravolo

Ciao, in sequenza Ipazia, Green Paul11
 
Problema storico. Visto da qui il nichilismo è un dogma, una religione legata tanto al declassamento della realtà in sé quanto, conseguentemente, alla morte di Dio,  tanto alla trasvalutazione dei valori quanto a tutto ciò che discorsivamente nega l'oggetto. Può assumere la forma della filosofia post-verità o assumere il fondamento dell'esserci (heidegger) o... non importa in che forma esso appaia, poiché qualunque forma diate al nichilismo esso è sempre la naturale conclusione della presa di potere del soggetto sull'oggetto. Negate quest'ultimo "italico" e negherete l'iniziale sintesi generalissima presente nell'articolo Scalata critica al nichilismo, se non negate ciò il vostro è un insistere pari alla quadratura del cerchio. E ora, a dispetto di Ipazia: guardate che non è mia intenzione sminuire Niezsche, quest'uomo che si è lasciato alle spalle tutta la filosofia precedente facendo ciò che nessuno era riuscito prima, uccidere Dio. Dico invece che il nichilismo è contraddittorio (quindi di bassa astrazione), privo di buone previsioni (quindi di bassa naturalezza) e odiante (poiché nullifica l'essere); oltre a essere il completamento della supremazia filosofica del soggetto sull'oggetto.
 
Per un naturalista, Green, è strano parlare di un nulla fondante che non avviene ed è impossibile avvenga in natura (nulla pneumatico); o magari per "nulla" intendete ciò che avviene in natura così che il nulla sia qualcosa... E se queste appena dette contraddizioni (naturale e formale) per voi sono "sciocchezze", da me sono motivo sufficiente per chiamare una tesi "inconsistente".
Ora portate la visione naturalista in questo"nuovo mondo": la natura (fenomeno) è l'oggetto primario di indagine per la verifica delle nostre affermazioni sul mondo: noi confermiamo le ragioni in sé che presupponiamo (espresse tramite razionalità, pensiero, linguaggio etc) attraverso la mediazione fenomenica che ne è l'aspetto naturale.
In fin dei conti un naturalista ha vita più comoda presso la ragione in sé che fra le dogmatiche contraddizioni di un nulla naturale (fisicamente impossibile) o di un nulla extranaturale come base naturalista.
 
E diteglielo ai materialisti che qui la ragione in sé è l'unione fra estensione e pensiero. E qui ha ragione Paull11:«siete completamente avulsi alla ragione in sé». Tanto da non vedere come essa semplicemente sia l'ordine sovrasensibile dalle cui diverse possibilità e combinazioni conseguono o fisicità meccaniche (classica, quantistica etc) o vitalità istintive o culture razionali. (cfr. Libertà, 2018)
 
A proposito Paull11, l'aspetto fisico linguistico è proprio anche delle aree cerebrali preposte al linguaggio... abbiamo qui un primo approdo al problema del pensiero astratto legato indissolubilmente al linguaggio sensibile con cui si compie. Per il resto non chiamerei "errore" le costruzioni puramente astratte  e considererei ogni cosa già come «in sé e fenomeno» assieme.
 
Io vi invito, per chi non l'avesse ancora fatto, a verificare le possibilità di tale pensiero attraverso i suoi articoli: piuttosto che continuare a presupporre cosa si possa o non possa fare, guardate cosa è stato fatto, le possibilità. Se le possibilità sono attendibili, esse aprono a un'altra filosofia.

paul11

Ciao Green
Sul tempio di Delfi stava scritto"Conosci te stesso" e non era riferito al corpo fisico, ma alla parte umana che lo governa come volontà, intuizione, ragione che per Socrate era anima.

Su Nietzsche bisognrebbe rifare un topic come a suo tempo cercò di fare Garbino, ma in modo a parere mio migliore e non per innamorati di sentenze, ma in modo critico e seguendo una cronologia storica dei suoi scritti, quindi in maniera filologica. Ad esempio in "Filosofia nell'età tragica dei greci" Nietzsche scrive: "E se il mondo che noi vediamo è unicamente divenire e trapassare e non conosce permanenza alcuna,non dovrebbero forse proprio codeste qualità costituire un mondo metafisico diversamente configurato,non già un mondo dell'unità,come lo cercava Anassimandro sotto il volubile velo del molteplice, bensì un mondo di molteplici eterni e sostanziali?"
Ebbene su questa frase di Nietzsche ci scriverei un trattato di filosofia.
Nietzsche, a mio parere ha annichilito proprio un bel niente, è stato buon gioco strumentalizzarlo e farlo diventare a seconda delle funzionalità del potere culturale, un progenitore del nazismo o una sorta di anticristo. Hanno funzionato entrambi facendolo diventare un James Dean ottocentesco.
E mi fermo qui perché sarebbe fuori contesto della discussione.

Le filosofie continentali sono ferme ad Heidegger, al massimo Gadamer e la sua ermaneutica e la dialettica di Severino. Il resto non è degna di chiamarsi filosofia è volo pindarico elucubratorio sui particolari, non essendo nessuno, ma proprio nessuno, in grado di relazionare l'esistenza nel mondo contemporaneo con la ragione in sé. Questo è il motivo per cui apprezzo il lavoro di Vito C., nessuno oggi o non vuole o proprio non ci arriva a tentarlo.

Ma è così difficile capire che se l'elettromagnetismo, le interazioni forte e debole nucleari e la gravità che sono fisica e non filosofia, plasmano materia ed energia? E chi e cosa ha dettato le regole di queste forze interazionali.Il filosofo vero non si ferma alla fattualità, si chiede perché doveva essere così, si chiede cosa ci fa nel mondo, si chiede che se la mente governa un corpo umano, qualcosa deve governare i domini e ogni dominio non è slegato dagli altri, ma collegato, dal neutrino al pensiero mentale. Ma dove sta scritto che l'iperuranio di Platone non è collegato alla polis di Atene e al divenire eracliteo, il vero neo delle antiche filosofie fu l'incapacità di relazionare fra loro, per questo allora dichiarvano che fosse stato Zeus o qualche altro dio o mito a spiegarne ontologicamente e gnoseologicamente il procedimento, con Aristotele qualcosa viene modificato in meglio, ma anche in peggio rispetto a Platone. Non avevano le teorie scientifiche, la logica, la linguistica, le matematiche moderne che implicitamente sono relazionate alla filosofia. Un Talete oggi non direbbe che l'acqua è il paradigma filosofico, ma è il procedimento filosofico che è fondamentale, come si costruiscono le fondamenta, gli impianti, per farne una architettura solida che sia capace di stare in piedi.


Ciao Vito C.
Le due aree linguistiche, Broca e Wernicke sono collegate ai muscoli volontari che collegano la laringe, per modulare il suono della voce. Quindi fisiologicamente è spiegabile il cervello linguisticamente come aree di ricezione ed emissione linguistica. Ma non spiega la mente.
La mia tesi è che il cervello è il ponte fisico fra il sensibile e la mente nell'uomo.
L'uomo rappresenta l'universo in sé, il sensibile e il soprasensibile, diversamente non potrebbe conoscerlo.

viator

Salve paul11. Citandoti : "La mia tesi è che il cervello è il ponte fisico fra il sensibile e la mente nell'uomo.

L'uomo rappresenta l'universo in sé, il sensibile e il soprasensibile, diversamente non potrebbe conoscerlo".
Secondo me ci sei vicino. Il processo di continua (evoluzione?) diversificazione, complicazione generato e mantenuto dallo svolgersi dell'entropia (e avente la funzione di opporsi al suo reciproco pur tendenziale, cioè alla semplificazione, all'uniformità "mortale" e annichilente di un mondo ridotto al perfetto ed ubiquitario egualitarismo energetico).......tale processo presenta una particolarità : si realizza attraverso la riproduzione. Ma non sto parlando della riproduzione biologica (ovviamente, a livello più a noi vicino, c'è anche quella).

La riproduzione a livello di meccanismo fondamentale consiste proprio nel generare sempre nuovi mondi e parti del mondo e componenti del mondo secondo l'andamento dell"archetipo prototipo" di freudiana concezione.

Occorre generare un nuovo che, estratto dall'esistente, ne mantenga l'impronta e la struttura magari rozzamente fondamentale ma assieme (altra meravigliosa contraddizione come quella dell'entropia nel suo insieme) provveda a rinnovarla.

L'uomo ad esempio cos'è, all'interno di un simile andamento ? Ma l'uomo, come "creazione" o "evoluzione" non è altro che l'espressione della "necessità naturale" del mondo di sopravvivere creando delle COPIE DI SE' (tutta una serie di copie della serie dei propri contenuti - uno dei quali è l'uomo - i quali resteranno per così dire "a disposizione" per garantire l'eternazione del mondo stesso !.

Ma l'opporsi dell'uomo alla natura cos'è ? E' il mondo che - volendo generare ciò che - potendo potenzialmente esistere in modo parzialmente, tendenzialmente indipendente da esso mondo - provvede a generare ciò che potrebbe "subentrare" al mondo stesso (in realtà ad alcuni suoi aspetti particolari). Il tentativo da parte del cervello umano di ricreare un mondo artificiale che possa fare a meno del mondo esterno per poter permettere alla specie di rimpiazzare ciò che del mondo risultasse non più all'altezza di un uomo diventato copia più importante del mondo stesso che lo generò.

Ma l'informatica, la robotica, la cibernetica.......cosa sono, se non il tentativo di generare "nuove versioni della macchina cerebrale umana", cioè copie di un componente di un essere che è stato fatto evolvere per costituire una copia di riserva di uno dei componenti del mondo (la vita)............................e via retrocedendo fino alla radice ?. Saluti.
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

green demetr

"qualunque forma diate al nichilismo esso è sempre la naturale conclusione della presa di potere del soggetto sull'oggetto. " cit Vito J Ceravolo

Direi che è l'esatto contrario, Nietzche fa notare come il soggetto sia solo una costruzione.
Perciò il suo intento è de-sogettivare la sua volontà di potenza.

Chiaro che le prospettive sono a questo punto totalmente divergenti.

Il nichilismo è invece il contrario ossia la pretesa del soggetto di inglobare l'oggetto, quanto è vero l'esatto opposto, da Heidegger fino a Severino vedi la problematica della tecnica.

Naturalmente siamo ancora d'accordo sulla necessità di analisi fra mondo animico e mondo materiale.

X Paul e Vito

Quando parlo di nulla, parlo del "come se fosse nulla", ossia del discorso che nasce dal terrore originario. Dunque è una questione psicanalitica e giammai ontologica.

prossimo articolo che leggerò sarà dunque scalata al nichilismo.

a domani.
Vai avanti tu che mi vien da ridere

paul11

Citazione di: viator il 15 Febbraio 2020, 01:12:48 AM
Salve paul11. Citandoti : "La mia tesi è che il cervello è il ponte fisico fra il sensibile e la mente nell'uomo.

L'uomo rappresenta l'universo in sé, il sensibile e il soprasensibile, diversamente non potrebbe conoscerlo".
Secondo me ci sei vicino. Il processo di continua (evoluzione?) diversificazione, complicazione generato e mantenuto dallo svolgersi dell'entropia (e avente la funzione di opporsi al suo reciproco pur tendenziale, cioè alla semplificazione, all'uniformità "mortale" e annichilente di un mondo ridotto al perfetto ed ubiquitario egualitarismo energetico).......tale processo presenta una particolarità : si realizza attraverso la riproduzione. Ma non sto parlando della riproduzione biologica (ovviamente, a livello più a noi vicino, c'è anche quella).

La riproduzione a livello di meccanismo fondamentale consiste proprio nel generare sempre nuovi mondi e parti del mondo e componenti del mondo secondo l'andamento dell"archetipo prototipo" di freudiana concezione.

Occorre generare un nuovo che, estratto dall'esistente, ne mantenga l'impronta e la struttura magari rozzamente fondamentale ma assieme (altra meravigliosa contraddizione come quella dell'entropia nel suo insieme) provveda a rinnovarla.

L'uomo ad esempio cos'è, all'interno di un simile andamento ? Ma l'uomo, come "creazione" o "evoluzione" non è altro che l'espressione della "necessità naturale" del mondo di sopravvivere creando delle COPIE DI SE' (tutta una serie di copie della serie dei propri contenuti - uno dei quali è l'uomo - i quali resteranno per così dire "a disposizione" per garantire l'eternazione del mondo stesso !.

Ma l'opporsi dell'uomo alla natura cos'è ? E' il mondo che - volendo generare ciò che - potendo potenzialmente esistere in modo parzialmente, tendenzialmente indipendente da esso mondo - provvede a generare ciò che potrebbe "subentrare" al mondo stesso (in realtà ad alcuni suoi aspetti particolari). Il tentativo da parte del cervello umano di ricreare un mondo artificiale che possa fare a meno del mondo esterno per poter permettere alla specie di rimpiazzare ciò che del mondo risultasse non più all'altezza di un uomo diventato copia più importante del mondo stesso che lo generò.

Ma l'informatica, la robotica, la cibernetica.......cosa sono, se non il tentativo di generare "nuove versioni della macchina cerebrale umana", cioè copie di un componente di un essere che è stato fatto evolvere per costituire una copia di riserva di uno dei componenti del mondo (la vita)............................e via retrocedendo fino alla radice ?. Saluti.
ciao Viator

L'uomo interpreta l'universo, osservandolo, riflettendolo, vivendolo.
Ma ci sono cose che l'arbitrio umano non può modificare, alterare, perché non sono facoltà umana, e quelle sono la ragione dell'in sé. Le leggi fisiche, le forze interagenti non possiamo togliere o aggiungerne altre, possiamo solo artificialmente plasmarle, così costruiamo un frigorifero o un calorifero per alterare una temperatura per i nostri scopi.
Le leggi universali e il nostro pensarle sono quindi la ragione in sé che governa l'universo, ed è un dato di fatto, non possiamo inventarci o creare un altro universo, questa sarebbe fantasia e non il pensarli.
La ragione in sé crea quindi le condizioni affinché vi siano galassie, stelle, pianeti ,fino alla Terra, fino alla sua biosfera, alla natura, all'uomo.

La relazione interpretativa che l'uomo storico si dà nel rapporto con l'universo e suoi sottoinsiemi(natura, biosfera) determina una Cultura, la sua cultura.
A sua volta la cultura determina altre condizioni teoriche e pratiche, perché insegniamo alle future proli le nostre convinzioni, le nostre convenzioni, i nostri modi di istruire e in quanto tale condizioniamo.
Certo che l'universo nei suoi sottoinsiemi è riproducibile, personalmente le definisco ciclicità.
Una stella implode o esplode e la sua energia e materia con la forza gravitazionale la concentrerà per formarne altre. Tutto sembra seguire cicli temporali propri, dalla stella ,alla natura, dal pianeta, alle galassie, dal ciclo di vita di un microbo, all'andamento ciclico delle epidemie, al ciclo metabolico umana e ciclo riproduttivo.

Le condizioni fisico naturali, indicano il ciclo di vita anche umano. Quante generazioni umane di millenni di storia hanno guardato lo stesso cielo e le stesse stelle, mentre umani nascevano e morivano e il cielo lì sopra imperterrito dominava i destini umani.

Ciò che è inviolabile dal destino umano è la ragione in sé, quella stessa ragione che ha permesso l'esistenza dell'uomo, che permette la stessa vita dell'intero universo, e che arriva a noi come fisica, come natura, ma anche come pensiero, come interpretazione umana del suo essere, del fatto che c'è.

Gli animali i vegetali vivono. Imperterriti seguono a loro volta un destino già scritto, ognuno con il suo ciclo, ognuno simbiotico energeticamente materialmente con altri vegetali e altri animali.
La stessa vita è condizione per poter essere, gli organismo mutano al mutare delle condizioni ambientali, quel che definiamo adattamento, endemicità delle specie che si differenziano al mutare delle condizioni.
Tutto è correlato, tutto, in grande e piccola scala segue un destino. Immutabile è però la ragione in sé universale, poiché comprende il divenire degli apparire e scomparire, del nascere e del morire.
Un essere intellegibile su un minimo pianeta dell'intero universo, si arroga il diritto forse di modifcarne la ragione in sé? Basterebbe che il sole mutasse le sue radiazioni elettromagnetiche che l'uomo sparirebbe dall'universo, ed è destino che prima o poi sia.

Io riconosco una forza superiore in tutto questo,; pur con potenza umana le mie ragioni sono dipendenti da una ragione molto più potente che ha determinato che tutto sia così, come pensiero, come pratica naturale e fisica. E quel che cerco è una buona armonia, un buon equilibrio, fra il mio esistere e la ragione in sé.

La cultura, ribadisco, è come noi umani interpretiamo il rapporto fra il nostro essere nel mondo, il nostro esistere.
Osserviamo ora un formicaio, la sua ragione di esistere è legata alla sua organizzazione, ogni formica sa cosa deve fare e lo detta l'istinto. Quell'istinto da dove viene, quel codice per cui ognuno sta al suo posto e gestisce il suo ruolo e permette all'intero formicaio di sussistere?
Se anche l'uomo avesse l'istinto, quello di sopravvivenza, quel bios che dice di vivere e riprodursi, noi abbiamo un potere che è anche un limite, il pensiero. Il pensiero è altrettanto potente di quell'istinto e quel pensiero può unire o dividere, può essere necessità, può essere possibilità.
Ciò che noi crediamo è altrettanto potente quanto l'istinto di vita, per questo l'uomo è natura fisica e cultura del pensiero, ed essendo consapevole di sé, perché nessun animale specchiandosi si riconosce, annusa lo specchio e lo vede neutro a se stesso, può mentalmente disancorarsi dal suo corpo fisico e far viaggiare il pensiero per i lidi che vuole.

Una filosofia è ciò che relaziona la ragione in sé dell'essere universale, a tutto ciò che si manifesta al suo interno e solo osservando, riflettendo possiamo trovare leggi recondite e trovare il modo per cui l'essere umano possa trovare una buona armonia fra noi, è nella sua possibilità, è nella sua libertà intellettiva teorica e di azione pratica di poter interpretare ciò che indissolubilmente governa l'universo, la vita e l'uomo: il nostro destino.
L'uomo non può quindi costruire una cultura a sua misura, fingendo miseramente che non vi siano condizioni ben più potenti. Ma è discrezione umana costruire più luna park di ospedali, scegliere il denaro come misura del senso della propria vita, o ricercare dentro di sé se gli affetti sono più importanti di qualunque altra cosa. Perchè è mia convinzione che il nostro spirito è intimamente legato a quella ragione in sé primordiale e non parla per concetti intellettuali, ha un codice affettivo recondito.
L'intelletto può indicare la via, ma se siamo sulla buona strada lo può sapere solo il nostro spirito intimamente.
Saluti

niko

#111
Io non vedo contraddizione nel nichilismo, l'essere è l'essere nulla del nulla.

Il nulla non è dunque indeterminazione totale, nebbia uniforme e oscurità, non è lo stato larvale, la morte o il sonno senza sogni, ma, a ben guardare, ha in sé almeno un modo determinato di essere nulla, ovvero di non essere, ovvero di essere se stesso, che è l'essere.

La parola chiave qui è determinazione: se l'essere è un modo determinato di essere nulla del nulla -quindi riguardo a l'identità tra essere e nulla non si afferma semplicemente A = non A, semmai A = (A e non A)- la mancanza di qualcosa nel nulla non fa segno a una nientità, di questo qualcosa che manca, ma ad una volontà, di questo qualcosa che manca e di altro. Il niente deriva dall'essere e non può prescinderne, non può darsi nel nulla come sua definizione o partizione, il nulla ha in sé delle possibilità di determinazione, ma, pur determinandosi, non si divide mai in tanti piccoli niente. Ogni niente è legato all'ente di cui è niente e ne prevede l'esistenza, la volontà no, non è legata alle singole cose che vuole allo stesso modo e nello stesso senso in cui i niente dei singoli enti sono legati a quegli enti di cui sono un niente determinato, quantomeno perché la volontà può volere più cose rimanendo se stessa, rimanendo una, mentre l'insieme dei niente è un insieme di negazioni tutte differenti, ciascuna differente dall'altra. L'insieme dei niente non fa mai un tutto o un uno per qualcuno, anche a volerlo pensare come già pieno, già completo come insieme dei niente, è ancora, come "insieme", solo una metà e quindi non un vero insieme, una parte che deriva dall'essere e ha bisogno dell'essere per completarsi, l'insieme delle cose volute invece sì, fa un tutto e un uno per chi le vuole, che le cose siano presenti o no.

Quindi abbiamo la volontà, che si definisce come mancanza di oggetto (qualsiasi), e il niente, che si definisce come mancanza di ente, di oggetto che esista, di oggetto derivato dall'essere e non dal nulla, e sono due cose distinte. Mi sembra abbastanza chiaro che la determinazione possibile del nulla nel nichilismo sia volontà, e non niente, che presupporrebbe a monte l'essere come distinto dal nulla.

Il nulla non è il niente di tutte le cose, ma l'essere di tutte le cose, poiché essere e nulla non differiscono realmente, ma nominalmente.
Ci hanno detto che potevamo scegliere tra la pace e il climatizzatore, non abbiamo ottenuto nessuno dei due.

Vito J. Ceravolo

Rispettivamente per paul11, viator, green, niko

Ciao Paul11 e Viator
A me sembra che ci siamo mossi su queste tre problematiche (mente, intuito, pensiero):

1)  mente-cervello:

  • In alcuni casi l'attività razionale (intellettiva, di pensiero etc) è la consecuzione di un'evoluzione fisica (meccanica, quantistica etc) e vitale (istintiva etc);
  • Il punto sensibile di tale evoluzione fisico-vitale è la costituzione di un apparato neurale, un sistema nervoso centrale, un cervello.
  • Quindi, in alcuni casi, l'apparato fisico cerebrale è ciò che cova la possibilità di pensiero, cioè «riconosciamo il cervello quale fonte fisica del pensiero» (cfr. cap 4 https://filosofiaenuovisentieri.com/2017/07/16/dieci-argomenti-di-filosofia/) o come scrive Paul11«La mia tesi è che il cervello è il ponte fisico fra il sensibile e la mente nell'uomo»
N.B. Noi non sappiamo se esistono altre possibilità per il pensiero, ma sappiamo che ci sono apparati fisici che presumibilmente lo permettono. Ciò non toglie che le misurazioni fisiche delle attività cerebrali siano miserabili nella spiegazione delle più complesse attività psichiche.

2) Intuito-Concetto:

  • L' Intuito è a razionalità spenta, passivo, inconscio, puro, senza schemi concettuali (oltreché extrasensoriale). Il Concetto è a razionalità accesa, attivo, conscio, relazionato, con schemi personali (benché extrasensoriale);
  • L'intuito è primordiale sul concetto, tale che al sorgere di una psiche essa sia inconscia, fino ad accendersi nel conscio in certi casi evolutivi;
  • L'intuito, l'inconscio, sono la manifestazione psichica primordiale che prelude la possibilità di pensiero, sono lo strumento psichico di base per relazionarsi astrattamente con le ragioni in sé.

3) Pensiero-Linguaggio:
Una possibilità: dallo stadio spento (inconscio) della psiche si passa al suo stadio acceso (conscio) tramite le schematizzazioni del concetto, che ponendo le ragioni dentro certi segni (parole suoni simboli) permette di sentire il pensiero, cosicché il pensiero sia un astratto fatto carne dal linguaggio con cui si conduce.

Giusto per fare una quadra larga dei nostri discorsi... C'è ancora molta confusione vero? E poi questa mente... questo scarto sovrasensibile non misurabile fisicamente in maniera soddisfacente... ?


Ciao Green,
Ma sai che di questa cosa che dici «l'intento [di Niezsche] è de-sogettivare la sua volontà di potenza»... di questa cosa me ne sono accorto pur io... Però la sua de-sogettivazione a me non sembra mirare a resuscitare la cosa in sé... Se proprio mira alla negazione anche del soggetto... mentre io miro all'affermazione di tutto. Quindi sì, ho notato anche io questa tua giusta obiezione.


Ciao Niko,.
ti segnalo queste tue due contraddizioni

1. Quando affermi"l'essere se stesso del non essere è l'essere"... e invece la mia ontologia dice:

  • (nulla è nulla) = (nulla non è);
  • La forma dell'essere è, linguisticamente la copula (è), matematicamente l'uguale (=). Tale forma è neutra e non cambia il valore degli elementi ("nulla" o altro) che relazione;
  • Da cui, l'essere se stesso del nulla è il nonEssere.
Il tuo affermare (l'essere se stesso del nulla è l'essere) mi è dunque ontologicamente e formalmente contraddittorio. Mentre questa mia forma ontologica non si contraddice: se il nulla non è, allora il suo essere ciò che è, è il suo non essere:se "nulla = non essere" allora "nulla non è".
(cfr. Mondo, 2018, cap. 3 L'essere)

2. Quando affermi "A = (A e non A)"... e invece la mia logica formale dice:

  • Prendi qualsivoglia soggetto P e attributo 1: "P è 1 o non1".
  • Se 1 è 1, allora non1 può essere uguale a uno di questi valori:
  • 0;
  • 0<1 (una via di mezzo fra 1 e 0);
  • 1 e 0;
  • né 1 né 0.
(cfr. cap. 1 https://filosofiaenuovisentieri.com/2019/04/14/unificazione-generale-della-logica-classica-e-non-classica/)
Ciò vuol dire che qualcosa di diverso da A può essere uguale ad A e non A, mentre nessun A può essere uguale ad A e non A, poiché ogni cosa è uguale a se stessa e non ad altro. Il tuo affermare "A=(A e nonA)" mi è contraddittorio .

Oltretutto da me il niente non deriva dall'essere, da me il niente assolutamente non esiste, non può esistere, non è mai esistito, quindi non deriva e non può derivare da alcun che, tantomeno portare possibilità di determinazione. Certo che siete strani voi, vi piace a tutti i costi contraddirvi... ;) burla a parte: ho un'ontologia diversa (Mondo, 2016); risolvo il conflitto finito-infinito del principio primo (Infinito. Principi supremi, 2018) e scorgo assurdità presso la vostra arcaica visione del mondo. Però per ora mi fermo qui, perché le mie sopra forme già ti impegneranno non poco Niko per capire questo diverso vedere.

niko

Oltretutto da me il niente non deriva dall'essere, da me il niente assolutamente non esiste, non può esistere, non è mai esistito, quindi non deriva e non può derivare da alcun che, tantomeno portare possibilità di determinazione.




quindi ogni volta che dici: "non c'è niente sul tavolo" ti riferisci al nulla parmenideo?
Ci hanno detto che potevamo scegliere tra la pace e il climatizzatore, non abbiamo ottenuto nessuno dei due.

paul11

ciao Vito C.

1) mente-cervello
Solo una mia considerazione che non inficia comunque la tua argomentazione.
Non sono convinto che le aree del linguaggio e il collegamento alla laringe siano un prodotto evolutivo. Ma ha appunto poca importanza nel senso del tuo discorso.

2) intuito-concetto
Ci sono modalità in cui mente/cervello agiscono. Le definirei attenzione, concentrazione, meditazione e sogno, perché le onde elettromagnetiche e le aree del cervello coinvolte sono diverse.
L'attenzione e la concentrazione coinvolgono i sensi e la volontà su un punto di una immagine.
L'intuito non lavora sui sensi e tanto meno su una focalizzazione di una immagine ed è più consono ad una meditazione che lascia rilassato il cervello, o ai sogni.
L'attenzione e concentrazione sono proprie delle aree del cervello logiche e si esprimono nel concetto dentro il linguaggio formale; l'intuito lo definirei la sinapsi dei neuroni, il ponte che riesce a collegare i diversi concetti nei neuroni. Spesso vorremmo collegare i diversi concetti in un unico processo, in un unico problema e qualcosa ci sfugge, l'intuito può venire in soccorso attivandosi nella fase di rilassamento. In fondo è quello che definisci passivo(0) e io meditativo o sogno, dal cosciente attivo(1) concettuale e razionale.
L'intuito è recondito e lavora su simboli non per formalità logiche. Lavora per immagini.

Inserirei la memoria. Le sinaspi nei neuroni possono essere labili o stabili e sono ripetizioni mentali che agiscono. Tabelline aritmetiche o poesie ripetute mentalmente e/o con la parola, con la voce, agiscono più efficacemente. C'è una memoria psichica per simboli e c'è una memoria logico matematica per segni. La corteccia cerebrale unisce i due lobi del cervello facendoli interagire.
Questo fa sì che non siamo mai totalmente psichici o totalmente logici,c'è sempre la commistione, se vogliamo dire, fra razionale e irrazionale.

3) pensiero-linguaggio
dipende dall'intento che ti poni. Nessuna scienza è in grado di capire fisicamente conscio e inconscio, psiche e logica, mente e cervello. Il linguaggio, nel senso esteso del termine e non legato quindi alla sola parola, ma all'estetica, all'etica, è la risultante dei processi cervello/mente, quindi ne risulta una complessità espressiva ,quello che noi comunichiamo e come viene percepito dalle altre persone. Imprigionarlo nella sola logica formale è come spogliare i contenuti mentali delle motivazioni, delle intenzionalità, delle emozioni espressive nei gesti, nella voce emotiva, nella nostra intimità.
La filosofia deve spingersi oltre l'ambito scientifico, per necessità se vuole essere cultura.
Se non bastano le parole, si inventano se vogliamo caricare la parola di un significato che per noi è portatrice almeno di una verità. Alcuni filosofi moderni hanno inventato neologismi,nuove parole e spesso proprio nell' ambito gnoseologico, esistenziale, perché la filosofia deve servire la vita.

paul11

Citazione di: niko il 15 Febbraio 2020, 12:32:30 PM
Io non vedo contraddizione nel nichilismo, l'essere è l'essere nulla del nulla.

Il nulla non è dunque indeterminazione totale, nebbia uniforme e oscurità, non è lo stato larvale, la morte o il sonno senza sogni, ma, a ben guardare, ha in sé almeno un modo determinato di essere nulla, ovvero di non essere, ovvero di essere se stesso, che è l'essere.

La parola chiave qui è determinazione: se l'essere è un modo determinato di essere nulla del nulla -quindi riguardo a l'identità tra essere e nulla non si afferma semplicemente A = non A, semmai A = (A e non A)- la mancanza di qualcosa nel nulla non fa segno a una nientità, di questo qualcosa che manca, ma ad una volontà, di questo qualcosa che manca e di altro. Il niente deriva dall'essere e non può prescinderne, non può darsi nel nulla come sua definizione o partizione, il nulla ha in sé delle possibilità di determinazione, ma, pur determinandosi, non si divide mai in tanti piccoli niente. Ogni niente è legato all'ente di cui è niente e ne prevede l'esistenza, la volontà no, non è legata alle singole cose che vuole allo stesso modo e nello stesso senso in cui i niente dei singoli enti sono legati a quegli enti di cui sono un niente determinato, quantomeno perché la volontà può volere più cose rimanendo se stessa, rimanendo una, mentre l'insieme dei niente è un insieme di negazioni tutte differenti, ciascuna differente dall'altra. L'insieme dei niente non fa mai un tutto o un uno per qualcuno, anche a volerlo pensare come già pieno, già completo come insieme dei niente, è ancora, come "insieme", solo una metà e quindi non un vero insieme, una parte che deriva dall'essere e ha bisogno dell'essere per completarsi, l'insieme delle cose volute invece sì, fa un tutto e un uno per chi le vuole, che le cose siano presenti o no.

Quindi abbiamo la volontà, che si definisce come mancanza di oggetto (qualsiasi), e il niente, che si definisce come mancanza di ente, di oggetto che esista, di oggetto derivato dall'essere e non dal nulla, e sono due cose distinte. Mi sembra abbastanza chiaro che la determinazione possibile del nulla nel nichilismo sia volontà, e non niente, che presupporrebbe a monte l'essere come distinto dal nulla.

Il nulla non è il niente di tutte le cose, ma l'essere di tutte le cose, poiché essere e nulla non differiscono realmente, ma nominalmente.
sei quasi nel ragionamento di Severino, nella dialettica negativa. che è paralogica.
Dal punto di vista formale ha ragione Vito. C..
Severino però spiega che A= A è regola logica dell'identità ed è ETERNO
Nel momento in cui vi fu l'aporia del fondamento, attribuita se non erro a Platone, che accetta l'eterno e il divenire nasce la contraddizione.
A= nonA che è il DIVENIRE .Ed è operato dalla volontà umana poichè accetta che la VERITA'incontrovertibile e quindi eterna operi nel DIVENIre  e quindi non può più essere verità, ma opinione temporale nel divenire.
Il divenire c'è, questo è il salto fra Severino e Parmenide.Parmenide fu fermo nell'ESSERE che non può anche non ESSERE (A=A).
Accettando la contraddizione A=nonA, da Platone in poi, secondo la logica dialettica negativa di stampo severiniano, noi vivamo tutti gli essenti nel divenire come negazione .Qualunque essente che appare e scompare è negazione, in quanto NULLA può venire dal Nulla, essendo tutto eterno. Il credere quindi nel divenire segna la cultura dell'Occidente.

Phil

Citazione di: paul11 il 16 Febbraio 2020, 13:35:23 PM
Severino però spiega che A= A è regola logica dell'identità ed è ETERNO
Nel momento in cui vi fu l'aporia del fondamento, attribuita se non erro a Platone, che accetta l'eterno e il divenire nasce la contraddizione.
A= nonA che è il DIVENIRE .Ed è operato dalla volontà umana poichè accetta che la VERITA'incontrovertibile e quindi eterna operi nel DIVENIre  e quindi non può più essere verità, ma opinione temporale nel divenire.
Il divenire c'è, questo è il salto fra Severino e Parmenide.Parmenide fu fermo nell'ESSERE che non può anche non ESSERE (A=A).
Accettando la contraddizione A=nonA, da Platone in poi, secondo la logica dialettica negativa di stampo severiniano, noi vivamo tutti gli essenti nel divenire come negazione .Qualunque essente che appare e scompare è negazione, in quanto NULLA può venire dal Nulla, essendo tutto eterno. Il credere quindi nel divenire segna la cultura dell'Occidente.
A lato del dualismo Parmenide-essere/Eraclito-divenire, ci sarebbe anche il terzo incomodo, Gorgia-nulla (sofistico-semantico, ontologico); "trinità" che funge a suo modo da precursore alla triade trascendentalismo/positivismo e nichilismo.
Sulla temporalizzazione delle proposizioni logiche, mi permetto di riportare quanto già scritto (molto) tempo fa:
Citazione di: Phil il 02 Ottobre 2016, 11:15:50 AM
per Severino "A=A" significa "A è sempre uguale ad A", ma in quella formalizzazione logica, in quanto tale, non c'è temporalità... e l'assenza di temporalità non è eternità (che è comunque un concetto, seppur radicale, riferito al tempo: dentro l'eternità è pensabile un prima e un dopo, il tempo c'è...).

Se infatti decliniamo quell'identità con il fattore tempo, diviso in momenti (t1, t2, t3...) otteniamo At1=At1, At2=At2, At3=At3... e se A è un seme [...], arriviamo ad un momento (che qui numeriamo arbitrariamente) t9, in cui At9=At9, ma stiamo parlando ormai di una pianta. E dire At9 è "il seme A nel suo nono momento" oppure è "una pianta B al suo primo momento"(Bt1), risulta, come ogni identità, sempre arbitrario, ma non per questo contraddittorio.

Per cui possiamo chiamarlo tranquillamente At9 o Bt1 senza ombra di contraddizione (il senso di una costante è attribuito a tavolino, per cui At9 = Bt1, proprio come dire "Severino = S" è uguale a "il filosofo di cui parliamo = F", ovvero S = F).

A partire da questa "confusione" (senza offesa per Severino) entriamo in una dimensione "zenoniana", paradossale e anti-esperenziale (nel senso che viene falsificata dall'esperienza) [...]

P.s. Se vogliamo leggere questa eternità severiniana come applicazione della legge di conservazione della massa "nulla si crea, nulla di distrugge", bisogna anche ricordare che il motto prosegue con "ma tutto si trasforma", ovvero con l'inconorazione del divenire come "trama narrativa" dell'accadere.

Ipazia

Concordo con le osservazioni "neuroscientifiche" di Paul11, non tanto per il loro farsi verità, ma perché in loro assenza anche un filosofo, non certo sospettabile di scientismo, come l'autore non potrebbe produrre la sua filosofia.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

niko

#118
Citazione di: paul11 il 16 Febbraio 2020, 13:35:23 PM
Citazione di: niko il 15 Febbraio 2020, 12:32:30 PM
Io non vedo contraddizione nel nichilismo, l'essere è l'essere nulla del nulla.

Il nulla non è dunque indeterminazione totale, nebbia uniforme e oscurità, non è lo stato larvale, la morte o il sonno senza sogni, ma, a ben guardare, ha in sé almeno un modo determinato di essere nulla, ovvero di non essere, ovvero di essere se stesso, che è l'essere.

La parola chiave qui è determinazione: se l'essere è un modo determinato di essere nulla del nulla -quindi riguardo a l'identità tra essere e nulla non si afferma semplicemente A = non A, semmai A = (A e non A)- la mancanza di qualcosa nel nulla non fa segno a una nientità, di questo qualcosa che manca, ma ad una volontà, di questo qualcosa che manca e di altro. Il niente deriva dall'essere e non può prescinderne, non può darsi nel nulla come sua definizione o partizione, il nulla ha in sé delle possibilità di determinazione, ma, pur determinandosi, non si divide mai in tanti piccoli niente. Ogni niente è legato all'ente di cui è niente e ne prevede l'esistenza, la volontà no, non è legata alle singole cose che vuole allo stesso modo e nello stesso senso in cui i niente dei singoli enti sono legati a quegli enti di cui sono un niente determinato, quantomeno perché la volontà può volere più cose rimanendo se stessa, rimanendo una, mentre l'insieme dei niente è un insieme di negazioni tutte differenti, ciascuna differente dall'altra. L'insieme dei niente non fa mai un tutto o un uno per qualcuno, anche a volerlo pensare come già pieno, già completo come insieme dei niente, è ancora, come "insieme", solo una metà e quindi non un vero insieme, una parte che deriva dall'essere e ha bisogno dell'essere per completarsi, l'insieme delle cose volute invece sì, fa un tutto e un uno per chi le vuole, che le cose siano presenti o no.

Quindi abbiamo la volontà, che si definisce come mancanza di oggetto (qualsiasi), e il niente, che si definisce come mancanza di ente, di oggetto che esista, di oggetto derivato dall'essere e non dal nulla, e sono due cose distinte. Mi sembra abbastanza chiaro che la determinazione possibile del nulla nel nichilismo sia volontà, e non niente, che presupporrebbe a monte l'essere come distinto dal nulla.

Il nulla non è il niente di tutte le cose, ma l'essere di tutte le cose, poiché essere e nulla non differiscono realmente, ma nominalmente.
sei quasi nel ragionamento di Severino, nella dialettica negativa. che è paralogica.
Dal punto di vista formale ha ragione Vito. C..
Severino però spiega che A= A è regola logica dell'identità ed è ETERNO
Nel momento in cui vi fu l'aporia del fondamento, attribuita se non erro a Platone, che accetta l'eterno e il divenire nasce la contraddizione.
A= nonA che è il DIVENIRE .Ed è operato dalla volontà umana poichè accetta che la VERITA'incontrovertibile e quindi eterna operi nel DIVENIre  e quindi non può più essere verità, ma opinione temporale nel divenire.
Il divenire c'è, questo è il salto fra Severino e Parmenide.Parmenide fu fermo nell'ESSERE che non può anche non ESSERE (A=A).
Accettando la contraddizione A=nonA, da Platone in poi, secondo la logica dialettica negativa di stampo severiniano, noi vivamo tutti gli essenti nel divenire come negazione .Qualunque essente che appare e scompare è negazione, in quanto NULLA può venire dal Nulla, essendo tutto eterno. Il credere quindi nel divenire segna la cultura dell'Occidente.


Il divenire non c'entra molto col mio discorso; al massimo c'entra il rapporto tra Parmenide e Platone, nel senso che Platone recupera il non-essere come essere-altro della singola cosa che non è, tanto che il nulla, o meglio il niente, o meglio ancora il ni-ente, in Platone si può predicare del particolare ma non del generale/universale (l'idea che sola ha l'essere e lo conferisce temporaneamente agli esistenti);  il non essere è solo il negativo della determinazione che rende possibile ogni discorso. Dunque in un mondo "pieno", in cui non rimane spazio e tempo residuo per il non-essere, ogni cosa è necessariamente qualcosa, e se x non è A, allora è B (e non certo il nulla parmenideo, che in questo mondo pieno non esiste, se non nel discorso che determina le cose).
La mia metafora del mondo pieno per descrivere il mondo di Platone, e poi anche di Aristotele, non è casuale, vuole ricordare che l'altro grande tentativo di conciliazione di Parmenide con l'esperienza umana di un mondo diveniente fu l'atomismo, cioè il mondo vuoto, in cui si muovevano intrinsecamente gli atomi. Il mondo vuoto è il divenire come aggregazione e disgregazione atomica, il mondo pieno è l'ipotesi della contiguità immediata degli oggetti componenti il mondo, distinguibili, proprio per la loro contiguità, solo dal logos cognitivo immateriale che tutti li ricomprende: la parola si rende necessaria proprio perché non c'è spazio e tempo vuoto tra gli oggetti, non c'è tra di essi distinzione preverbale, intrinseca: solo la parola può dire che una cosa non è tutte le altre. in questo senso Democrito recupera in non-essere come realtà fisica, Platone come realtà logica, attinente al discernimento e al discorso.

Anche io, nel mio piccolo, affermo che il nulla non può non-essere nel senso banale e immediato che dite voi, ovvero nel senso di una cosa che "semplicemente" non è niente, e non causa, e non vale, niente (il valere nulla del nulla). Il nulla che, come tutte le altre piccole e grandi cose del "mondo pieno" non può semplicemente e direttamente non essere, nel senso di non essere niente, di sparire nel nulla, come tutte le altre cose del "mondo pieno" può invece essere altro, può avere il suo (relativo) non-essere solo nella determinazione che lo individua e lo descrive. Insomma l'essere non è il nulla come la penna non è la matita, e questo per necessità logica, a prescindere da se la penna o la matita esistano, o se esista una sola di esse, o se esistano tutte e due, o nessuna delle due; poiché, come dite anche voi, nulla è nulla, il nulla può manifestare il suo non-essere solo essendo altro, essendo una cosa che è l'altro (e quindi il niente, il nulla relativo) di un'altra cosa; e siccome operando con termini metafisici quali essere e nulla siamo ai massimi sistemi e ai termini convenzionali che tentano -invano- di descrivere la totalità, si dà il caso che l'essere altro del -e dal- nulla sia proprio l'essere.

Il discorso che relativizza il nulla (nulla è nulla) è giustizia distributiva, dà a ognuno il suo: Il nulla della notte è il giorno, il nulla dell'acqua è il fuoco, e il nulla del nulla è l'essere. Non è solo una danza degli opposti, è proprio che se il nulla dell'indeterminato è il determinato, l'equazione tra nulla e indeterminato, e quindi tra essere e pensiero, cade, deve essere abbandonata. Si prefigura il mondo degli istinti, di quello che sta oltre il pensiero.
Stando così le cose, non rimane più niente del vecchio concetto del nulla come indeterminazione totale, del nulla come cosa tabù, di cui non si può pensare e parlare (per questo prima dicevo nebbia e ombra): il nulla assume in sé la determinazione almeno parziale dell'essere, e quindi lo supera, lo causa e lo contiene.

Il nulla è pieno di determinazione, quindi non di niente, ma di volontà: si definisce a partire dalla mancanza di oggetto, pur non identificandosi completamente con questa mancanza e rimanendo anche-nulla, anche-se stesso, sicché il nulla del nulla è l'essere. Il nulla è la mancanza di una o più cose, ma, se anche la mancanza nel suo complesso è nulla, grazie al nulla una o più cose sono.

In questo senso dicevo A=(A e non A), a prescindere da tanti formalismi logici, quando vuoi una cosa, ad esempio quando vuoi l'acqua, non vuoi solo l'acqua, vuoi l'acqua e vuoi continuare a volere; è la volontà che pone A e non A, perché se il tuo appagamento in presenza dell'acqua fosse istantaneo (come lo è la corrispondenza diretta dell'ente col niente) non sarebbe possibile: devi rimanere, per una durata non inestesa, col desiderio in presenza dell'oggetto del desiderio: è questo il nullificarsi del nulla che genera l'essere come processo e insieme rimane sé stesso, è questo che apre lo spazio al tempo e al divenire, questo rimanere desideranti nella totalità nulla delle cose mancanti pur in presenza dell'oggetto del desiderio; la contraddizione è psicologica, non è logica, perché nel nulla c'è una volontà, non un ni-ente.

Oltre a Nietzche, l'altro grande padre del nichilismo è Schopenhauer. In Schopenhauer la volontà vuole solo sé stessa e la volontà che si protende oltre se stessa, la volontà d'oggetto, è pia illusione, tanto che la volontà umana cambia continuamente oggetto solo per mantenersi; in Nietzche la volontà vuole davvero sé stessa e l'oggetto (l'unico oggetto possibile che si può trovare al fondo di in un mondo nullo fatto di volontà: la volontà dell'altro), è una volontà diveniente, incantata dal mondo ma in grado di trasformarlo.
Ci hanno detto che potevamo scegliere tra la pace e il climatizzatore, non abbiamo ottenuto nessuno dei due.

paul11

Citazione di: Phil il 16 Febbraio 2020, 14:48:02 PM
Citazione di: paul11 il 16 Febbraio 2020, 13:35:23 PM
Severino però spiega che A= A è regola logica dell'identità ed è ETERNO
Nel momento in cui vi fu l'aporia del fondamento, attribuita se non erro a Platone, che accetta l'eterno e il divenire nasce la contraddizione.
A= nonA che è il DIVENIRE .Ed è operato dalla volontà umana poichè accetta che la VERITA'incontrovertibile e quindi eterna operi nel DIVENIre  e quindi non può più essere verità, ma opinione temporale nel divenire.
Il divenire c'è, questo è il salto fra Severino e Parmenide.Parmenide fu fermo nell'ESSERE che non può anche non ESSERE (A=A).
Accettando la contraddizione A=nonA, da Platone in poi, secondo la logica dialettica negativa di stampo severiniano, noi vivamo tutti gli essenti nel divenire come negazione .Qualunque essente che appare e scompare è negazione, in quanto NULLA può venire dal Nulla, essendo tutto eterno. Il credere quindi nel divenire segna la cultura dell'Occidente.
A lato del dualismo Parmenide-essere/Eraclito-divenire, ci sarebbe anche il terzo incomodo, Gorgia-nulla (sofistico-semantico, ontologico); "trinità" che funge a suo modo da precursore alla triade trascendentalismo/positivismo e nichilismo.
Sulla temporalizzazione delle proposizioni logiche, mi permetto di riportare quanto già scritto (molto) tempo fa:
Citazione di: Phil il 02 Ottobre 2016, 11:15:50 AM
per Severino "A=A" significa "A è sempre uguale ad A", ma in quella formalizzazione logica, in quanto tale, non c'è temporalità... e l'assenza di temporalità non è eternità (che è comunque un concetto, seppur radicale, riferito al tempo: dentro l'eternità è pensabile un prima e un dopo, il tempo c'è...).

Se infatti decliniamo quell'identità con il fattore tempo, diviso in momenti (t1, t2, t3...) otteniamo At1=At1, At2=At2, At3=At3... e se A è un seme [...], arriviamo ad un momento (che qui numeriamo arbitrariamente) t9, in cui At9=At9, ma stiamo parlando ormai di una pianta. E dire At9 è "il seme A nel suo nono momento" oppure è "una pianta B al suo primo momento"(Bt1), risulta, come ogni identità, sempre arbitrario, ma non per questo contraddittorio.

Per cui possiamo chiamarlo tranquillamente At9 o Bt1 senza ombra di contraddizione (il senso di una costante è attribuito a tavolino, per cui At9 = Bt1, proprio come dire "Severino = S" è uguale a "il filosofo di cui parliamo = F", ovvero S = F).

A partire da questa "confusione" (senza offesa per Severino) entriamo in una dimensione "zenoniana", paradossale e anti-esperenziale (nel senso che viene falsificata dall'esperienza) [...]

P.s. Se vogliamo leggere questa eternità severiniana come applicazione della legge di conservazione della massa "nulla si crea, nulla di distrugge", bisogna anche ricordare che il motto prosegue con "ma tutto si trasforma", ovvero con l'inconorazione del divenire come "trama narrativa" dell'accadere.
Tutte le posizioni che si originano da un nulla sono nichiliste, sono scettiche o solipsistiche, perché un Gorgia dovrebbe sostenere se lui è un soggetto parlante che esce dal Nulla, relazionato al Nulla, Se fosse coerente non dovrebbe nemmeno dire ,essendo nulla. Nietzsche, a mio parere, per fare un altro esempio non è proprio così,non è un sofista è anti intellettuale, utilizza molto l'intuito( e questo piace a molte persone) e utilizza quindi una parola più narrativa che logico concettuale, nega il soprasensibile per esempio di un in sé, di un archè, ma accetta la natura e la sua regola come fosse un in sé.Penso che per questo Heidegger lo ritenga l'ultimo dei metafisici.
Eraclito non fu propriamente un filosofo del divenire, è più profondo, e ne hanno fatto un simbolo superficiale. Fu Cratilo, suo discepolo ad essere un "diveniente" più di Eraclito.

Anche 1+ 1 non ha tempo, ed è per questo che personalmente preferisco dire che logiche, matematiche ,sono regole e non principi. Severino ne ha costruito un vero e proprio paradigma,uscendo da una zona "neutra", ma il senza tempo non è tempo e una cosa che è non può divenire qualcosa altro da sé. Il seme non è la pianta, come la pianta non è cenere dopo essere stata bruciata. Per coerenza sull'eternità deve costruire una proliferazione di essenti. Come se una pellicola analogica cinematografica, che diviene narrativamente facendola scorrere, ogni singolo fotogramma è a se stante è un eterno. Non è esperienziale certamente, non è del nostro quotidiano vissuto, eppure c'è qualcosa di vero che fa reinterpretare lo stesso divenire come negativo rispetto ad un essere positivo originario che è immutabile ed eterno .

Il problema è in effetti fra tautos ed esperienza. Ma la scienza pura e non quindi applicata inserisce tautologie e non esperienze nei paradigmi. In geometria dichiaro il punto, dichiaro la linea dichiaro un piano, costruiti i fondamenti posso con coerenza e consistenza costruire figure geometriche regolari, teoremi e non sono fatti esperienzali.. Eppure la geometria ,la logica, la matematica, funzionano applicativamente quando ad un segno tautologico applico un segno esperienziale fenomenico.

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