[GDL]Fenomenologia dello Spirito di Hegel parte due

Aperto da green demetr, 01 Maggio 2024, 15:37:13 PM

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green demetr

Citazione di: Koba II il 06 Giugno 2024, 08:11:50 AM@green demetr

Stavo leggendo l'inizio dello studio di Terry Pinkard sulla Fenomenologia, e devo dire che la sua interpretazione mi sembra un bel po' spinta... Cioè inizialmente penso "quanta arbitrarietà!", poi però riflettendo sul fatto che un americano è certamente più libero dalla tradizione storiografica europea, mi viene da pensare che alcune certezze interpretative non siano tali, che siano diventate tali solo per via della ripetizione di esse nelle monografie ritenute più autorevoli. Ne consegue la domanda: e se non avessi capito niente?

Così ho deciso di ricominciare da capo la lettura della Fenomenologia.

Sono andato a vedere il tuo primo topic. Intorno al post numero 90, o giù di lì, stavi facendo un gran bel lavoro, un lavoro certosino di lettura del testo, che però è finito nel calderone delle polemiche off topic, come sempre, purtroppo.

Quello è secondo me il modo di fare filosofia. Analisi attenta al testo. Apertura mentale ad ogni possibilità cui la lettura conduce, anche imprevedibilmente, anche contro i propri giudizi o pregiudizi iniziali. Liberi e puri, diciamo così, da dispute culturali inutili. Utilizzo di testi come aiuto, ma senza alcuna dipendenza. Essere un outsider, non avere alcun rapporto con correnti o maestri, è finalmente un vantaggio!

Quindi, se ti interessa riprendere fin dall'Introduzione la Fenomenologia (saltiamo la Prefazione, ovviamente), io ci sto.
Secondo tempi diluiti dalle incombenze quotidiane, rispettando l'alternanza, senza fretta.

Ciao.

Ma io sono ripartito dal secondo capitolo. O meglio ero ripartito, come avrai notato mi sono di nuovo fatto inghiottire dalla società dello spettacolo.

Speravo ci fossero degli strumenti critici di traduzione dal tedesco in italiano sul testo tedesco on line.

NON CI SONO! ??? ??? ???

Cioè grazie filologi eh!

Si tratta di prendere dai pdf, e ripartire per capire meglio la terminologia hegeliana.

infatti avendo io le tre traduzioni, ma anche semplicemente confrontando nuova italia einaudi, i termini tradotti in maniera generica in italiano con dei sinonimi.

E peccato che con Hegel non si può fare! o dai la traduzione corretta tedesco italiana, o non ci siamo per niente.


Comunque sia, se i sinonimi tengono, ho avuto l'intuizione del perchè Hegel prima dica che l'autocoscienza sono gli altri, e poi che l'autocoscienza è l'io.

Molto semplicemente ha sbagliato! ha aggiunto un passaggio in più.
l'autocoscienza della nostra incommensurabilità è immediata proprio al fatto che NOI (noi io) NON SIAMO SOGGETTI (appunto la dittatura del "noi").

Quello che mi chiedo, non so me mi segui koba, è: perchè sono così lunatico? quale è la forza misteriosa che ci costringe a trovare GRATIFICAZIONE negli altri.

E sopratutto LA COSA CHE NON HO MAI ACCETTATO nei miei vent'anni: perchè il noi deve essere per forza un NOI e non un articolazione di io esangui e disperati?

Ovvero in cosa consiste la gratificazione della dittatura del noi?

Perchè bisogna parlare del problema che gli altri non ci rispettano, quando non sappiamo nemmeno cosa ci agita dentro?

perchè la somma delle angosce non produce ancora un pensiero?

Scusa vecchie domande che emergono, insieme a milioni di altre.

Pensare stanca...

Comunque accolgo la tua proposta, in realtà non c'avrei tanta voglia, in questo momento ho scoperto kierkegaard.
e pensare che non l'ho mai capito!!


per esempio quando parla di AUT AUT....non intende dire o questo o quello.


Ma intende dire TUTTI E DUE! è INEVITABILE....che grandissimo autore...
Ne sono rapito..

purtroppo avevo letto l'aut aut della mondadori che è una selezione a caso dei suoi testi. (cerco di perdonarmi, rimarrà un mistero come mai non l'abbia capito prima, o meglio già lo so: io odio il cristianesimo e non gli ho mai dato la possibilità di esprimersi, colpa mia! mea culpa!).

ma cristo la letteratura è un corpo unico, va rispettata!!!

ma come siamo potuti cadere così in basso? è allucinante! ???

Comunque non ciai spiegato cosa dice il pritchard o come si chiama. ;)
Vai avanti tu che mi vien da ridere

Koba II

Citazione di: green demetr il 14 Giugno 2024, 10:39:02 AMHegel ci porta testimonianza della sua battaglia personale con la fenomenologia, è partito da quella della percezione, per passare a quella nominalista, ed è giunto alla fine del primo capitolo con un affermazione decisiva: NON SI PUO' vivere!

Al massimo si può tentare di vivere! Ma non si vive MAI realmente.
E' il problema della temporalità mai vissuta.
Noi non siamo MAI qui ed ora.

Noi non tocchiamo MAI la vita.
La vita che c'è in noi è totalmente ALTRO da quella che c'è la fuori.


Ah, adesso ho capito cosa intendevi.
Sì certo, si può concludere come fai tu "non ci può essere vera vita", a patto di ritenere che il proprio convincimento secondo cui la vita è immediatezza non è un'illusione superabile ma una verità esistenziale inattaccabile.
Hegel mostra nei primi due capitoli che la coscienza parte dal convincimento che la realtà le è data e che a lei spetta soltanto il compito di coglierla, per quella che è.
E certamente questa posizione ha una connotazione sia gnoseologica che esistenziale (sì, io forse l'ho letta soprattutto nella sua connotazione gnoseologica e ne ho trascurato la drammaticità esistenziale).
Ma subito si evidenzia che tale approccio è ingenuo, e i vari fallimenti che si succedono portano la coscienza a riflettere sulla propria attività.
La coscienza arriva a capire che l'idea che si possa attingere alla vita passivamente, cioè porsi di fronte al mondo e accoglierlo (sia dal punto di vista conoscitivo che esistenziale), è un'idea che va abbandonata perché le cose sono sempre mediate, mai immediate.
Ci si pone di fronte all'oggetto singolo e lo si vuole accogliere, conoscere, abbracciare, e invece ci si ritrova con un universale. Questo incontro si è in realtà ridotto all'assegnazione alla cosa singola che si ha di fronte di un predicato generale.
La conoscenza della cosa è quindi un riconoscerla come "albero", "casa", etc.

Ma se volessimo tenerci stretta questa idea della vita come immediatezza cosa accadrebbe nell'interazione con un altro soggetto?
Che ci sarebbe vera vita solo quando il proprio desiderio fosse perfettamente ricambiato dall'altro, quindi praticamente mai (se non nello stato "alterato" dell'innamoramento).
In tutti gli altri casi ci si troverebbe nella condizione di negare l'altro o di usarlo come un oggetto del mondo.
Invece l'interazione con l'altro è molto più complessa.
L'incontro con l'altro, in quella specie di condizione fuori dal tempo che è la figura del servo e del signore (come dici giustamente tu contro le interpretazioni storicistiche), fa nascere un nuovo desiderio, quello che il proprio punto di vista sul mondo venga riconosciuto come autorevole.
E dal momento che in questa fase manca ancora un piano su cui si possa stabilire un criterio di oggettività, dei riferimenti condivisi, i due soggetti sono costretti a lottare.
Alla fine chi si tira indietro per paura della morte accetta di fare proprio il punto di vista dell'altro: nella dedizione del suo servizio è come se dichiarasse: hai ragione tu, il tuo punto di vista sul mondo è vero, è superiore.
Ma d'altro canto al servo non sfugge che questo atto iniziale di fondazione della differenza con il signore non ha alcuna consistenza ontologica ma è un evento del tutto contingente.
Per un attimo ha avuto paura di morire: tutto qua.
E questo consente di proseguire il processo verso uno spazio sociale che offra criteri di verità più solidi della pura violenza.
(In parte, in quello che ho scritto, ho accolto l'interpretazione di Pinkard, ma su questo ne discuteremo più avanti quando avrò finito il suo testo).

Tu invece nel descrivere il rapporto servo-signore come il rapporto tra il soggetto e il suo doppio sembri voler dare un taglio psicoanalitico o comunque puramente interiore a questa dialettica.
Dovresti chiarire questo passaggio. In che senso si deve intendere "il suo doppio"?

Koba II

Allora, come da programma ricominciamo da capo...
Buona fortuna a tutti!


Introduzione.

Siccome la Fds è la descrizione del cammino dell'uomo verso il sapere, Hegel nelle prime righe dell'Introduzione si domanda se sia necessaria un'indagine "preliminare sul conoscere". Se ci sia un metodo preferibile attraverso cui poter arrivare a impossessarsi dell'assoluto (per assoluto Hegel qui intende una conoscenza svincolata da condizioni relative).
Se il conoscere è inteso come uno strumento, allora i suoi meccanismi finiranno inevitabilmente per alterare l'oggetto della conoscenza, quindi non avremo la cosa per quella che è, ma la cosa per come risulta dalle trasformazioni dello strumento.
Se invece il conoscere è inteso come un medium passivo, anche in questo caso l'oggetto, seppure non sottoposto all'azione di una nostra attività come nel caso esposto sopra, viene comunque modificato dal passaggio attraverso il medium.
E non servirebbe a niente pensare di prendere questo sapere "modificato" e provare a purificarlo sottraendone quello che i meccanismi del conoscere hanno aggiunto. Perché? Perché ci ritroveremmo con la cosa prima che fosse sottoposta ai nostri meccanismi della conoscenza, quindi completamente ignota, dal momento che tali meccanismi, in questo scenario, sono i mezzi attraverso cui possiamo accedere alla cosa.

A questo punto Hegel si chiede se queste perplessità sulla conoscenza siano realmente fondate.
Alla base di queste perplessità c'è un'idea che andrebbe analizzata attentamente: la conoscenza così come presentata sopra (in cui si può riconoscere Kant e il realismo), presuppone che la cosa per come è effettivamente se ne stia da una parte e il conoscere dall'altra, con il bizzarro risultato che il sapere sia quindi separato dalla verità (la verità intesa qui come l'oggetto in sé, assoluto, cioè svincolato da condizioni relative, accidentali).

Ci si potrebbe limitare a rigettare queste perplessità, essendo esse generate da modi di intendere la conoscenza niente affatto privi di problematicità (come è stato accennato sopra).
Ma la scienza, dice Hegel, deve comunque garantire la propria solidità.
Per farlo Hegel sceglie di "intraprendere la presentazione del sapere nel suo apparire fenomenico" [8].
Cioè "il cammino della coscienza naturale che preme verso il vero sapere" [9].

E siccome all'inizio la coscienza è convinta di avere a disposizione il mondo e di poterlo conoscere come se si trattasse di un processo del tutto spontaneo, rendendosi conto gradualmente che così non è, "questo cammino ha per lei un significato negativo", essenzialmente negativo.
"Questo itinerario pertanto può essere visto come la via del dubbio [...] e della disperazione" [9].

Seppure ironicamente Hegel sembra voler descrivere questo cammino, scandito dalle diverse stazioni, come una via crucis, nello stesso tempo sottolinea che dobbiamo anche guardare al fatto che ogni negazione determinata apre la strada ad una nuova forma, quindi ad avanzare e a procedere per completare infine la serie completa delle figure [12].

Stabilito il tema, Hegel aggiunge: "può essere utile ancora ricordare qualcosa sul metodo dello svolgimento" [13].
Un'analisi del rapporto della coscienza con l'emergere del sapere non sembrerebbe possibile senza un criterio che faccia da riferimento e fondamento per stabilire appunto la vicinanza o lontananza del sapere dal suo oggetto. O, in altre parole, se il sapere che la coscienza ritiene di possedere sia effettivamente espressione dell'essenza dell'oggetto, oppure no. Se quel sapere ci stia effettivamente fornendo l'oggetto in sé, e non piuttosto una sua versione relativa.

La coscienza si rapporta con le cose del mondo. Spontaneamente distingue se stessa da ciò che è per lei, la cosa con cui si relaziona.
"Il lato dell'essere di qualcosa per una coscienza è il sapere" [14].
Tuttavia noi distinguiamo l'essere in sé dall'essere per noi. In pratica nel sapere che abbiamo della cosa, distinguiamo la parte indipendente rispetto a quella attinente alla relazione che si stabilisce con la nostra coscienza. Questa parte indipendente, assoluta, in sé, del sapere della cosa, dice Hegel, "si chiama verità".
Ma quando noi poniamo come oggetto della nostra indagine non una cosa del mondo ma il sapere stesso, quando ci domandiamo la verità del sapere, cioè la sua oggettività, l'in sé di esso risulta essere, proprio per sua natura, il suo essere per noi. Perché il sapere in generale è tutto interno alla coscienza. Non può esserci così un criterio terzo affinché si possa stabilire il confronto tra concetto e oggetto.

Non sono sicuro di avere capito... Sembra che Hegel voglia dire: il tipo di svolgimento che abbiamo deciso di condurre nella Fds, ovvero l'emergere del sapere nella coscienza così come esso appare, ci libera dal problema di trovare un fondamento che faccia da criterio per stabilire l'attendibilità delle nostre rappresentazioni.
Ciò su cui si rivolgerà la nostra attenzione è la coscienza "che è da una parte coscienza dell'oggetto, dall'altra coscienza del proprio sapere". Dunque il confronto avviene dentro se stessa.
Del resto "sembra che la coscienza non possa, per così dire, passare dietro all'oggetto e scoprire come esso è non per lei, ma in sé" [17].

Alla coscienza è già da subito presente la distinzione tra l'in sé di un oggetto e il sapere che la coscienza ha di esso.
Su questa distinzione si basa l'esame del sapere.
Quando la coscienza scopre dall'esame che ciò che credeva essere l'in sé dell'oggetto non è tale, cioè quando scopre che il sapere che aveva di quell'oggetto non è veritiero, non corrisponde all'oggetto, ciò che viene modificato non è soltanto il proprio sapere, risultato appunto inadeguato, ma anche l'oggetto, risultato essere un altro.

"Questo movimento dialettico che la coscienza esercita in se stessa, nel suo sapere così come nel suo oggetto, in quanto di qui essa vede scaturire il nuovo oggetto vero, è propriamente ciò che viene chiamato esperienza" [18].

Credo che il significato di tutto questo ragionamento sia il seguente: la coscienza conosce un oggetto, l'in sé dell'oggetto. Ma questo "in sé", questa assolutezza, oggettività, è anche per la coscienza, cioè viene dal relazionarsi con la coscienza.
La coscienza si ritrova così due oggetti: "l'uno dei quali è il primo in sé, il secondo l'essere per lei di questo in sé".
"Quest'ultimo sembra essere, inizialmente, soltanto la riflessione della coscienza entro se stessa: una rappresentazione non di un oggetto, bensì solamente del sapere che essa ha di quel primo oggetto. Tuttavia, come si è mostrato in precedenza, a questo punto, quel primo oggetto le [19] si muta; cessa di essere l'in sé, e ai suoi occhi diviene un oggetto tale da essere l'in sé soltanto per lei. Così quest'ultimo, l'essere per lei di questo in sé, è dunque il vero; ma ciò significa che questo è l'essenza, ossia il suo oggetto. Questo nuovo oggetto contiene la nullità del primo, ed è l'esperienza fatta su di esso".

E continua: "quel che dapprima appariva come l'oggetto si abbassa, agli occhi della coscienza, a un sapere di esso, e l'in sé diviene un essere per la coscienza dell'in sé; questo costituisce il nuovo oggetto, con cui fa il suo ingresso anche una nuova figura della coscienza, per la quale l'essenza è qualcos'altro da ciò che era per la figura precedente. È questa circostanza a guidare l'intera sequenza delle figure della coscienza nella sua necessità. Soltanto questa necessità, ossia il sorgere del nuovo oggetto che si offre alla coscienza senza che essa sappia come ciò le accada, è quanto per noi avviene per così dire "alle spalle" della coscienza" [20].

Nota mia: perché Hegel si dilunga così tanto su queste cose? Io credo che fosse importante nell'Introduzione chiarire due cose:
1) come va inteso il dubbio, lo scetticismo (in generale, non la figura specifica del IV capitolo), nel corso di tutto il cammino;
2) e che cosa tiene in piedi il processo; perché il dubbio non dissolve il cammino, perché avviene un movimento ascendente.

Alberto Knox

In questa introduzione Hegel era molto influenzato dalla filosofia kantiana, l'eco di kant è palpabile in ciò che scrive..

"sembra che la coscienza non possa, per così dire, passare dietro all'oggetto e scoprire come esso è non per lei, ma in sé"

" Quando la coscienza scopre dall'esame che ciò che credeva essere l'in sé dell'oggetto non è tale, cioè quando scopre che il sapere che aveva di quell'oggetto non è veritiero, non corrisponde all'oggetto, ciò che viene modificato non è soltanto il proprio sapere, risultato appunto inadeguato, ma anche l'oggetto, risultato essere un altro"

ovvero la rappresentazione  dell in sè dell oggetto , cioè la coscienza crea qualcosa che prima non c'era.
Noli foras ire , in teipsum redi, in interiore homine habitat veritas.

Ipazia

È un passaggio cruciale della presa di coscienza che può esistere solo un sapere intersoggettivo (per noi) e non un sapere oggettivo in senso kantiano. È la morte della cosa in sé che dal pensiero greco antico ha tormentato il pensiero filosofico nella vana ricerca di un sapere assoluto.

Sepoltura che trarrà conferma dalle scoperte a venire della "filosofia naturale" che neppure nella materia inerte riuscirà a determinare un fondamento "in sé", ma solo istantanee, più o meno lunghe e strutturate, di oggettività. 

Il logos rattoppa, ma non può andare oltre quel che può.  Eraclito l'aveva intuito, ma rimase sospeso tra essere e divenire, sperando che alla fine fosse il logos a prevalere. Apollo su Dioniso. Così non fu.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

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