[GDL]Fenomenologia dello Spirito di Hegel parte due

Aperto da green demetr, 01 Maggio 2024, 15:37:13 PM

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green demetr

Come suggeritomi dal forum apro continuazione del primo 3d. Infatti è già passato un anno e mezzo  :D  vecchio 3d
Ok scusatemi.

1 maggio 2024
Abbiamo saltato il terzo capitolo della FdS per via del fatto che In Hegel vige ancora la vecchia idea che l'universo sia statico.
Noi rigettiamo questa idea in quanto l'universo è infinito, come già dimostrato dalla fisica contemporanea teorica, benchè non ancora digerita da molti fisici pratici.
Nel Quarto capitolo Hegel sta di nuovo spiegando la questione dell'io.
Se nei primi tre capitoli si basava sulle modalità della verità a condizione dell'universalità, in questo quarto inizia a occuparsi dell'io.
Come a partire dal terzo capitolo ho cominciato a capire, lo Hegel si perde in frasi avvilupate che sostazialmente ripetono la stessa identica cosa.
Avanzo l'ipotesi, unico come la solito, che questo avviluppo è strettamente collegato all'idea che esista una totalità immobile.
Infatti nella traduzione del Garelli, si parla di quiete dell'essenza.
L'io è la sua antitesi, Hegel dice la vita come unità.
L'unità è composta dai due momenti il primo che abbiamo già visto tratta del toglimento dell'essenza stessa, ossia dell'universalità del movimento dei vari toglimenti, in nome dell'altro da sè, a cui diamo nome concetto. Ricordiamo brevemente per evitare la prosa impossibile di Hegel, che i momenti del singolo toglimento dileguano, non solo dell'universale, ma di ogni singolo universale, di modo tale che il concetto è proprio questa unità dilatata, degli infiniti qui e ora, sistematicamente dimenticati.
Il secondo è proprio ciò che emerge da questa dimenticanza, ossia appunto l'io, momento del negativo degli infiniti qui e ora, e dei loro correlati universali.
L'io in quanto momento negativo dunque sia dell'oggetto, che del concetto.
Un momento brillante della discussione è la definizione di desiderio, concetto, o meglio se abbiamo capito, non concetto, che appare all'io che si fa forma dall'assoluto niente ad appunto qualcosa che Hegel chiama brillantemente desiderio.
Riassumendo il desiderio è ciò che è alla base della formazione dell'io.
In questa geniale prospettiva i soggetti che noi siamo, ossia entità perennemente per sè, ossia vogliamo ricordare che vuol dire per gli altri, noi formiamo un desiderio uguale e contrario a queste forme.
L'io è dunque un anti-sogetto.
In queste prime righe che stiamo leggendo a onor del vero Hegel non parla mai di soggetto, ma di io per sè, e di io in sè (come momento negativo del per sè, ovvero per gli altri).
La narrazione mi pare chiaramente falsata dal meccanicismo in cui la teoria è pensata, e di cui ci ha dato traccia Koba nel 3d sull'attualità di Hegel oggi.
Infatti si perde in strane fantasie di un asse su cui la totalità dei movimenti si trova o si pone a seconda che stia definendo o alterando la definizione per il fine di determinare cosa sia l'io.
***
Metto qui considerazioni a latere mie: anzitutto facendo il paragone fra il primo capitolo (in realtà il secondo secondo Garelli) che si chiudeva con l'impossibilità di vivere il qui e ora.
E questa seconda definizione, molto più prosaica e poco incisiva, in cui la vita è vista come unione del concetto di universale, e il loro dissolversi nei vari momenti negativi degli altri io.
Se nel primo momento possiamo dire che la vita del bios si manifesta nella sua drammatica impossibilità ad essere pura zoè, nel secondo se Hegel fosse stato più attento, proprio alla nozione di desiderio che egli stesso ha qui brillantemente riportato, avrebbe riportato quello stesso bios nell'io.
Ecco che allora la vita si sarebbe dipanata in maniera assai diversa.
Mettendo invece la vita come secondo membro di una operazione sostanzialmente mnemomica egli travisa le sue due più brillanti intuizioni dalla FdS.
Se da una parte sono soddisfatto della definizione di desiderio, sono invece deluso dal quella di vita.
Ma lo sappiamo, siamo ancora dentro il momento positivo della definizione dei termini dell'operazione, aspettiamo di vedere come  questo si coniuga nel momento del negativo.
Anche se leggendo fra le righe, la vita è già un processo infinito di aumento della coscienza dell'io.
In fin dei conti però così Hegel sta andando nella direzione che speravo verso cui non andasse.
Ossia che la coscienza è la coscienza imperfetta di un tutto, che si dà in sè stesso come universale e che l'io conosce come tale, ossia come imperfezione desiderante la totalità.
E' sempre la castrazione politica fornita da Aristotele a Platone, e che finisce nel nazismo di Heidegger, poichè se esiste un ente totale, allora i suoi momenti non potranno che essere giusti PER SEì, ossia secondo una escatologia salvifica, che invece cela malamente la volontà di potenza di pensare che questa entità esista.
L'aristotelismo con il suo delirio di potenza e atto è la museruola con cui il tiranno, e i suoi lacchè intellettuali stanno distruggendo la cultura della vita, ossia la morale che si forma contro il tiranno.
Notevole che oggi venga visto come il contrario.
Secondo queste mie intuizioni, anche aiutato dal mio maestro, perchè il pericolo che l'ente diventi l'oggetto di interesse della volontà di potenza non riuscivo proprio a vederlo.
(per via del fatto che aristotele mi sta sommamente sulla palle, sorry).
:P :P :P
Vai avanti tu che mi vien da ridere

green demetr

Nel paragrago 122 (o d'intorni) Hegel fa irrompere a sorpresa le figure del padrone e del servo, come mediazioni  rispettivamente dell'essere in sè, e dell'essere per sè.
Se l'autocoscienza che sdoppiandosi si riconosce come in sè, e cioè come puro desiderio, e come nullità, nel suo per sè, ora la riflessione a latere del concetto di verità, che come abbiamo già detto è errata, in quanto l'universo non è finito, bensì infinito.
Ecco dunque le prime intuizioni:
La figura del padrone richiama il godimento del trovare l'oggetto, ossia del trovare conforto all'angoscia del desiderio che si affaccia sul nulla.
Ma Hegel si concentra prima sulla figura del servo, infatti egli è costretto non a che fare con il godimento puro, ma con la lavorazione dell'oggetto.
Ma è proprio questa lavorazione che spinge il soggetto ad essere la figura mediatrice di quel per sè (per gli altri) che egli infine si trova a maneggiare come l'effettivo padrone.
Potremmo però aggiungere che quello di cui si trova padrone è in effetti il feticcio.
Da cui poi parte la parte filosofica, che mi interessa, di Marx.
Ma spingendosi in campo pscianalitico, che come già detto altrove, è per me il luogo del maggior interesse, il feticcio si rivela come quello che davvero è, ossia pura merda.
Il bambino ricordiamo offre alla mamma la sua merda (il feticcio), in cambio del seno-fallo (cfr. Le uova d'oro e il caso di Leonardo di Facchinelli e Freud rispettivamente).
Il valore di scambio è un valore che si basa sul feticcio (cfr. Mauss).
Ossia di ciò che è espunto dal soggetto, e che è il fulcro dello scambio, è il suo epifenomeno negativo. Il fatto che questo epifenomeno, frutto dell'orrore della castrazione, sia di matrice negativa è frutto di Hegel.
Infatti con mia sorpesa coglie all'improvviso dopo 120 pagine di niente, il punto focale su cui ogni intellettuale dovrebbe per lo meno soffermarsi, ossia il concetto di goduria.
La goduria infatti altro non è che il feticcio, laddove il feticcio è una pura fantasia, ossia pura socialità.
A questo punto però arrivano altre intuizioni mie a cascata, perchè come abbiamo scoperto recentemente, il cuore della filosofia, non è tanto nel suo oggetto culturale (che è poi lo specchio del godimento del padrone, per dir così, una fantasia della volontà di potenza, insisterebbe il buon Nice), quanto nel suo riflettere sulla morale.
O meglio sull'etica (il comportamento animale) dei vari egotici, narcisisti, consumati dai vermi nel cervello.
Ossia sulla netta opposizione fra morale (individuale) ed etica (di merda comune).
In primis pensavo a come lo sguardo di una fanciulla possa essere stato consumato dal desiderio che si fa godimento, nel per sè, ovvero per gli altri, di cui il mondo social è ormai tarato.
E dalla celebrazione in termini di branding e riconoscimento del valore del sè (di scambio): mera merda.
Siamo in una immensa cloaca umana, celebrata dalla volontà (di tirare lo sciacquone) dei potenti ovvero ( se aveste capito qualcosa di quello che abbiamo scritto sopra) in verità dei servi (che finalmente anche a livello teorico sono stati dimostrati come pura feccia).

Ecco bisogna ringraziare Hegel, anche se alla fine il suo continuo ruminare (a vuoto tanto per rimarcarre) sui concetti del per sè e dell'in sè, ha prodotto un delirio che riscontriamo nel paragrafo precedente a quello del padrone-servo (che invece volentieri salviamo e anzi ripartiamo da quello, dimentichiamoci le prime 100 pagine...scherzo senza quelle non si capisce niente della dialettica fra padrone e servo, che è molto molto molto lontana da quella spacciatami fino ad ora da ore e ore di ascolto paziente di conferenze...che pietà gli intellettuali odierni).
Ossia nella duplicazione dell'autocoscienza (che fino a 100 pagine fa, era sempre stata autocoscienza del per sè) in due (??) autocoscienze (mi viene il dubbio che il Garelli abbia tradotto male in verità, d'altronde i prof all'università dicono chiaramente che Hegel non si capisce, semplicemente perchè LORO non lo capiscono...ma va bè) quella vera è quella dell'in sè, detta anche io (mi chiedo che bisogno c'era di fare tutti questi giri senza senso...ma va bè, d'altronde anche nella prefazione avevo già lamentato questo limite di Hegel).

In questo delirio di oggetto esterno e non-oggetto interno, abbiamo fissato però a livello filosofico, quello che già sapevo, e che spero, o speravo, fosse già a livello cosciente di tutti.
Ossia che il desiderio è infinità (e dunque solo in questo senso Divinità), e che la goduria della ricchezza è proprio ciò che DIO NON vuole per noi (ecco che anche la storiella della bibbia tradotta dai cattolici del vitello d'oro assume ben altre caratteristiche).
E non vuole neppure che ci RISPECCHIAMO nel valore degli ALTRI.

Ora aggiungo qualcosa di importante, perchè Hegel NON parla di morale (e così dietro Marx purtroppo) egli è interessato alla verità, sono micropassaggi che di solito salto a piè pari, e mi dispiace di non potervi restituire Hegel per quello che è, ossia un grande incompiuto.
Infatti di nuovo parla di verità e di cosalità generale.

Provo ad anticipare Hegel, perchè mi pare, che i concetti chiave ormai sono sul tavolo.

1) La vita è un niente: in questo caso Hegel dice le stesse cose di Bluemax, se leggiamo a fondo, però sarebbe più giusto rimanere nella definizione di particolarità dileguante.

Ora come sappiamo l'universo non è finito, ma da lettori onesti, dobbiamo riportare la visione di Hegel, per poterne capire il suo orizzonte ultimo.

2) Ciò che resta della particolarità dileguante è la sua opposizione, questa opposizione noi la chiamiamo totalità.
Ma noi conosciamo questa totalità come niente (da qui la frase preferita di Bluemax, ossia che tutto è niente).
Ma queste sono le posizioni del sapere, ossia l'autocoscienza, essi sono MOMENTI, per l'esatezza è lo stesso momento che si costituisce dal MOVIMENTO (molto facile leggerci il concetto di forza newtoniana) di questi opposti.
Quindi per sè, universalmente (linguisticamente parlando, vedi sul 3d di Koba, sarebbe il realismo che vince sul nominalismo, o il contrario, perdonatemi la mia confusione, d'altronde è un argomento che non mi interessa tanto) questo movimento cela qualcosa, che appunto Hegel ora chiama la cosalità generale (evidente che si riferisce al noumeno di Kant...e quindi si, hanno ragione coloro che dicono che la filosofia di Hegel è una lotta con Kant...per dire la stessa cosa mi pare...solo che Kant è più chiaro).
Ecco che per Hegel (e qui io lo perdo, o non mi interessa questo aspetto della sua ricerca) il concetto di verità coincide con quello di totalità (o infinito o assoluto).
Ossia il fatto che la forza produca un io che si conosce come pura negatività, necessariamente deve introdurre un concetto di verità.
Sarebbe, qui azzardo, la verità della forza: la verità della forza è che ciò che conosco particolarmente come universale, singolarmente dileguante, non è l'oggetto ultimo della conoscenza stessa, infatti l'autocoscienza sdoppiata vive la verità del per sè, come niente, ma la verità dell'in sè, come totalità.
Ed è quest'ultima cosa che interessa ad Hegel, come già lamentato da Koba, rispetto alla mia di ricerca, ossia all'isolazione del soggetto, rispetto all'io, non conoscente come in Hegel, ma proprio in quanto io come partecipante dell'indefinito, che si presenta come desiderio, come eros.
Come mancanza pura della vita.

Per Hegel, come per Marx, e a questo punto comincio a sentire puzza di thanatos anche nella psicanalisi, la vita non è mera merda.

Per per la vita sarebbe dovuta essere condivisione di sguardi su ciò che è meramente indefinito.
Ossia dell'oltre della vita oggettiva, degli oggetti, stessa.
L'oltre vita.
Come finalmente nelle intuizione formidabili di Niezche e Leopardi, non una religione, ma una super filosofia.
Come dirà Leopardi più precisamente: una ultrafilosofia.

Queste sono le mie vecchie ricerche, ora spinto dalla follia della pandemenza, ho aggiunto però due cose nuove.
La prima è la metanoia cristiana: il cui esito però è il ritorno al me adolescente, ossia leggere la grande letteratura, e la grande poesia. (cosa che mi sta procurando noie infinite).

E la seconda è la morale, come insegnatami dal mio maestro: Platone, Boezio (Dante è un suo paradigma) e Agostino.

E' proprio sul lato morale che d'altronde la vita si affronta sempre più col cervello buggato e mangiato dai vermi. Siamo diventati dei ca**o di Zombie.

Non va bene affatto. Riprendiamoci il pensiero.

Intuizioni.
Problema morale: le donne e la loro volontà di riconoscimento sociale.
Ci rendiamo conto a quale livello di orrore siamo arrivati?
Le donne vogliono essere riconosciute per come NON SONO.
Non è il valore spirituale che esse cercano ma il mero assenso della feccia socialista e comunista e fascista.
Liberale dovrebbe voler dire qualcosa rilevante per l'umanità, ossia per il valore spirituale di essere uomini.
Non liberista, che invece esige produzione di merda, per tenere tutti nella cloaca a cielo aperto.
Movimenti pro Hamas, pro N word (adesso la nigritudine è diventata impronuncibile), pro Donne, ma in nome di cosa sono tutte queste follie? Se non che in base alla castrazione.
Noi non commerciamo più in sguardi di madonne al bambin gesù, ma in cortocircuiti voyeuristici a chi vince è quello che castra di più.

In caduta libera persino la razionalità più semplice. Una confusione infernale.
La verità in tutto questo maelstrom che posto ha?
A chi la ricerca, ma non è che invece cercate motivi di castrazione degli altri?

Non è che la goduria dell'oggetto immediato, ossia immediatamente lavorato dai servi, sta alla base di questa verità? o forse non sarebbe meglio cominciare a vedere la ca**o di volontà di potenza alla base di ogni delirio egotico?
A questo sentirsi morti, di una vita morta, votata agli altri. In una dileguazione non solo dei propri averi, ma della nostra immagine stessa erosa dal tempo, e alla fine proprio di ciò che ci rendeva belli, armonici, giusti?
Siamo diventati brutti, disarmonci, malvagi.

Il buon Hegel ci ha fornito una tavolozza di colori su cui ridisegnare la moralità, e magari proprio a suo dispetto.

Ciò che rimane non è la totalità, ma come abbiamo determinato la nostra anima.
Inferno o Paradiso, in poche parole. Proprio quelle dell'odiato cristianesimo.

Vediamo se Hegel ci da altre perle, rare, in mezzo a tanti, ma tanti giri di parole....
Vai avanti tu che mi vien da ridere

green demetr

Seee! :D Bobmax non Bluemax! :-[ ....scusate e scusami tu ancora bob (e due!)
Vai avanti tu che mi vien da ridere

Koba II

Facciamo un po' di chiarezza.
Innanzitutto le due espressioni: "in sé" e "per sé".
Hegel le utilizza probabilmente anche in riferimento alla nozione di "cosa in sé" di Kant.
L'"in sé" sta a indicare ciò che noi consideriamo indipendente, ciò che è oggettivo.
Il "per sé" invece il lato soggettivo.
È chiaro che Hegel, con il suo idealismo, vuole arrivare ad un'unione di questi due lati (unione che poi verrà chiamata la "Cosa stessa"), dell'oggettivo e del soggettivo, dell'essere e del pensiero, ma naturalmente non limitandosi ad asserirla, tale unità, ma mostrandola come conclusione di un pensiero stringente, rigoroso. Che è appunto l'itinerario della Fenomenologia.

Nei primi tre capitoli il soggetto, nell'esperienza dei sensi (cap.1), della percezione (cap.2) e dell'intelletto scientifico (cap.3), è spinto a cercare la verità nella realtà. Cioè crede, evidentemente senza un'adeguata riflessione, che la verità sia la fuori, nel mondo.
Hegel mostra i limiti di questo approccio, in ciascuna fase, e nell'ultima, nello studio scientifico della natura, con la frenologia, vuole dare una rappresentazione del soggetto che mentre studia la natura in realtà si sta cercando, sta cercando di comprendere se stesso.
Tant'è che la sezione successiva è l'Autocoscienza, ovvero il soggetto che smette di cercare la propria verità nell'in sé, nell'oggetto, e inizia a pensare al proprio Sé, a concentrarsi sul proprio Sé.
Ma ciò di cui la coscienza aveva fatto esperienza, ovvero l'oggettività, l'in sé, anche se ora non si mostra come ciò cui attingere la propria verità, anche se ora appare come qualcosa di negativo, come qualcosa che si pone come ostacolo all'Io, è rimasta, non viene cioè vista come pura apparenza.
Le acquisizioni dei primi tre capitoli non vengono buttati via, insomma.

Ma come si arriva all'autocoscienza? Tramite il desiderio, che nella sua forma più elementare è appetito, ma che poi, di gradino in gradino spinge verso un altro vivente, diventa desiderio di un'altra autocoscienza. Perché solo in questo caso l'oggetto del desiderio "è tanto io quanto oggetto".
"Solo in questo modo essa [l'autocoscienza] è di fatto; poiché solo così, per l'autocoscienza, viene a istituirsi l'unità di se stessa nel suo essere altro".
"Con ciò, è già presente per noi il concetto dello spirito. Tutto quello che verrà in seguito, per la coscienza costituirà l'esperienza di ciò che lo spirito è: [...] Io che è Noi, e Noi che è Io" (p. 127, ed. Einaudi).

Scrive acutamente Hyppolite: "La vita è inquietudine, inquietudine del Sé che, perdutosi, si ritrova nella sua alterità; essa non è mai coincidenza con sé, poiché è sempre altro proprio per essere se stessa; si pone sempre in una determinazione [in una forma specifica, in una posizione] e sempre si nega per essere sé, perché la determinazione in quanto tale è già una sua prima negazione. L'essere dell'uomo «non è mai ciò che esso è ed è sempre ciò che esso non è»".

Koba II

Green, cerchiamo di rimanere sul testo, se no non ne usciamo più...

Allora, siamo alla sezione A "Autonomia e non-autonomia dell'autocoscienza; Signoria e servitù", p. 128.
In generale nella successione di figure in cui si assiste nella FDS, che più avanti comprenderanno Stoicismo e Scetticismo, si tratta di capire che:
a) non di filosofie in senso stretto si tratta, ma di visioni del mondo complessive, di Weltanschauung, che comportano uno sguardo specifico sul mondo e un certo modo di reagire agli ostacoli, alle difficoltà in cui ci si imbatte.
Per questo non si tratta di confutare teoricamente la singola figura, la singola visione del mondo e così passare oltre verso incarnazioni dello spirito umano più adeguate, ma di attraversare tale visione del mondo, e incarnarla fino a che le contraddizioni, le sue inadeguatezze vissute non ci diano la forza per abbandonare quel mondo e continuare la ricerca.
b) la successione specifica che troviamo nella FDS di queste Weltanschauung a volte appare arbitraria, le motivazioni che dall'una dovrebbero condurci alla successiva non sono sempre così chiare e stringenti; non è il caso dunque di insistere troppo su questi collegamenti, meglio invece approfondire le singole figure.

E in queste pagine troviamo una delle figure più note, quella della dialettica del servo e del signore.
Importante è però sottolineare l'idea che l'autocoscienza, cioè lo stadio del soggetto che ora stiamo analizzando, che è autocoscienza in quanto coscienza che sente in modo più concreto rispetto alle fasi precedenti una tendenza alla riflessione su se stessa, cerca ciò che le manca, sollecitata dal desiderio, in un'altra autocoscienza.
Il desiderio nella sua forma più primitiva, l'appetito, chiude il soggetto in un loop infinito di consumo e distruzione dell'oggetto. Non è attraverso la ripetizione infinita di questo ciclo che l'autocoscienza possa trovare se stessa.
Ma solo in un'altra autocoscienza: nel riconoscimento di un'altra autocoscienza.
Ecco la questione essenziale: il riconoscimento e i conflitti per ottenerlo.

Ma vediamo come si forma questa dialettica servo-signore.
La scena originaria è quella dell'incontro di due individui. Ciascuno dei due è un'autocoscienza, e l'altro che ha davanti invece solo un "oggetto inessenziale".
Nell'incontro-scontro ciascuno dei due per dimostrare a se stesso che non è solo una cosa (visto che l'individuo che ha davanti sembra rivolgersi a lui come si rivolgerebbe ad una cosa o ad un animale da usare), ma è un soggetto, deve agire, deve dare prova di essere libero di agire, in una lotta per la vita e per la morte.
Queste due autocoscienze "debbono entrare in questa lotta, poiché debbono elevare a verità [...] la certezza che esse hanno di sé: la certezza cioè di essere per sé" (p.131). La certezza cioè di essere un soggetto, di essere effettivamente un'autocoscienza.
"[...] è unicamente mettendo a repentaglio la vita che si dimostra la libertà".
"L'individuo che non ha osato rischiare la vita può bensì venire riconosciuto come persona; ma non ha raggiunto la verità di questo riconoscimento come autocoscienza autonoma".

Koba II

L'esito della lotta è la formazione di un signore e di un servo.
Il signore è colui "che nella lotta ha mostrato che esso [colui che diventerà servo] ai suoi occhi vale soltanto come un che di negativo" (p.133).

Nota mia: dunque se ne deduce che l'aristocrazia antica così come l'attuale (i capitalisti) ha questa caratteristica essenziale: non il coraggio nella lotta, ma la propensione a considerare l'altro come cosa; da qui l'istituzione della schiavitù nel passato, e, oggi, il processo di trasformazione del lavoratore in macchina.
La cosa comune è sempre la stessa: non ingegnosità, non coraggio, non intraprendenza, ma riduzione violenta dell'altro a cosa.

Phil

Citazione di: Koba II il 05 Maggio 2024, 10:28:35 AMNota mia: dunque se ne deduce che l'aristocrazia antica così come l'attuale (i capitalisti) ha questa caratteristica essenziale: non il coraggio nella lotta, ma la propensione a considerare l'altro come cosa
Hegel lo spiega chiaramente (a partire dalle pagine precedenti): il signore può esser tale solo a seguito della lotta, emerge dalla lotta (per come questa è intesa nel testo).
Sull'interpretazione classista della questione servo/padrone, tanto consolidata quanto impropria, segnalo questo, dove si legge: «Si continua spesso a vedere in Hegel lo scopritore della « dialettica servo padrone ». È invece ormai assodato dalla critica che : a) non c'è alcuna dialettica « dialettica schiavo-padrone » (il termine « dialettica » in tale contesto è usato una volta sola e con diverso significato) ; b) Non c'è schiavo, ma Knecht, servo o valletto ; c) quest'ultimo è inserito in una relazione che è astratta, interna alla figura dell'autocoscienza, ossia Herrschaft/Knechtschaft. Appaiono così nettamente ridimensionate diverse interpretazioni, tra cui quella geniale, ma inattendibile, di Kojève (che ne ha generato molte altre), che aveva individuato dietro la figura dello « schiavo » quella il proletario, e, dietro quella del padrone, il capitalista».
Tuttavia, se vogliamo restare nell'alveo ormai storicizzato di una lettura politico-sociologica, in realtà tale rapporto oggettivante è percorribile (e, di fatto, spesso percorso) anche nella direzione opposta: dal servo al padrone; ossia la cosificazione del padrone da parte del servo (ma non voglio dirottare anche questo topic, lo lancio solo come spunto di riflessione).

Ipazia

All'epoca di Hegel la Herrschaft capitalistica esisteva già. Hegel, da estimatore della Rivoluzione Francese, era certamente al corrente del passaggio di consegne e quindi non vedo nulla di errato nella deduzione di Koba. Inclusa la cosificazione manipolabile della forma "schiavo", nelle sue metamorfosi storiche. Irreversibile nella concretezza dei fatti storici e giuridici: nella sua testa lo schiavo può pensare peste e corna del padrone, ma con esiti irrilevanti nel processo di dominazione.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

Phil

Lungi da me il voler fare polemica, tuttavia ciò che propone Koba può anche essere "vero" (non mi ci addentro), ma credo resti un non sequitur rispetto al testo hegeliano (alla cui lettura è intitolato il topic). Nel testo una coscienza individuale (non l'aristocrazia o il capitalismo) acquisisce autocoscienza nella lotta (non di classe) con(tro) un'altra coscienza (ed è scritto esplicitamente, non è questione di interpretazione). Dedurre da ciò che l'aristocrazia o il capitalismo non abbiano come caratteristica essenziale il coraggio nella lotta, è una libertà esegetica molto oltre il testo, molto oltre il voler-dire di Hegel (e lo afferma Bodei, non un tale Phil), sebbene molto dentro una certa lettura non proprio "ermeneuticamente sobria" del testo in questione. Lo stesso vale per l'oggettificazione: porla all'interno di una dialettica fra coscienze individuali («per sé», «in sé», etc.), non significa affatto porla all'interno di una dialettica sindacale ed economica (che poi sia possibile fare tale "salto" partendo dal testo hegeliano, lo dimostrano bene Kojeve e altri, ma pur sempre salto rimane).
Tale "lettura allegorica" ha avuto storicamente più successo del voler-dire originario (una sana ermeneutica calpesta mai l'esegetica? L'allegoria invece può, anzi deve), ma questa, a mio avviso, è un'altra storia. Sun Tzu non ha scritto un testo di strategia aziendale, anche se, (molti) secoli dopo, ha avuto successo più in quell'ambito che in quello militare (dichiariamo allora i manager buoni esegeti di Sun Tzu? Credo nemmeno Schleiermacher azzarderebbe tanto). Forse è solo questione di distinguere attentamente interpretazione, deduzione, lettura allegorica, etc. Ringrazio comunque Koba per il lavoro che sta facendo in questo topic (e perdoni la mia puntigliosità).

Ipazia

Sì, effettivamente la lotta di classe non è riducibile a lotta di (auto)coscienze individuali, quasi fosse uno psicodramma. Il padrone nullifica il servo anche senza averlo mai visto, in quanto è il padrone sociale a nullificarlo, indipendentemente dal padrone individuale. Hegel non è Marx. Il servo che individualmente spacca la testa al padrone diventa un carcerato/giustiziato, non un signore che ne prende il posto.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

green demetr

Citazione di: Koba II il 04 Maggio 2024, 16:52:01 PMScrive acutamente Hyppolite: "La vita è inquietudine, inquietudine del Sé che, perdutosi, si ritrova nella sua alterità; essa non è mai coincidenza con sé, poiché è sempre altro proprio per essere se stessa; si pone sempre in una determinazione [in una forma specifica, in una posizione] e sempre si nega per essere sé, perché la determinazione in quanto tale è già una sua prima negazione. L'essere dell'uomo «non è mai ciò che esso è ed è sempre ciò che esso non è»"
Tu dici che alll'autocoscienza (del sé) si arriva tramite il desiderio.
Ma io leggo tutt'altro.
Innanzitutto ripeto quello che già avevo detto riguardo la prefazione.
Nel momento in cui Hegel riferisce che per lui il concetto è tutto, riferisce anche di quella che è una sua tesi, che richiederà l'eplicitazione dell'opera.
Ma comincia a creare concetti doppioni, che già all'epoca avevo previsto che avrebbero portato problemi.
L'in sè e il per sè e successivamente la negatività assoluta.
Mi pare ovvio, se qualcosa è in sè, come fa ad essere poi negatività assoluta?
E infatti Hegel fa un casino biblico senza che questo casino debba farci ragionare su qualcosa di etico, semplicemente è scritto male.
Il casino lo fa anzitutto scegliendo questa procedere che lui chiama dialettica, ma che di dialettico non ha niente, infatti sono tutte giustapposizioni che potrebbero singolarmente essere rigettate in toto.
Nessuna reale dimostrazione perciò.
Fa il sofista: la verità dell'uomo è ciò che che per lui conta, e questa verità è che lui con questa verità non ha niente a che spartire.
A questo punto inizia a ragionare sulla verità dell'io.
E qui casca l'asino hegeliano, infatti la verità è un valore positivo, ma se dici che lo spirito è pura negatività, allora anche l'io (autocoscienza del sè) diverrà nientemeno che negatività.
Hegel non arriva a spiegare niente, semplicemente ha delle intuizioni brucianti.
Una volta che abbiamo stabilito che la vita che viviamo è in realtà morte.
E che la vita stessa è disperazione senza possibilità di arrivare a questo in sè, che si rivela sempre un altro da sè.
E' ovvio che sta parlando del noumeno, ma per lui il noumeno è la forza (ossia da valore positivo alla forza negativa, il capitolo 3 è da saltare, perchè è falso, e così è falso anche la sua pretesa verità che esista qualcosa che coincida con la pura forza della negatività, in natura non esiste questa unità, la scienza quantistica e quella entropica ormai lo hanno stabilito.
La metafisica di Hegel sa di stantio, se rimaniamo al testo.

Hyppolite nel passo da te citato vaneggia, e non ha capito nulla di hegel.
la vita non ha alcuna relazione con il sè.
E' l'autocoscienza del sè che conosce questa irrelazione.
L'inquietudine infatti non è MAI nel fuori, ma è dentro la nostra casa.
Ossia è nell'io. Qua in causa è chiamato il perturbante di Freud che però si rifà ad un racconto di Hoffman che ho clamorosamente bucato nella mia adolescenza.

Il punto della grandezza di Hegel è che noi NON DOBBIAMO cercare il sè che noi conosciamo come soggetto, ossia come alterità dell'autocoscienza dell'in sè rispetto al per sè degli altri (a cui ovviamente facciamo da soggetto, qui Pirandello va molto più a fondo).
Certamente se vogliamo stare alla volontà di hegel invece che ragionare sul gioco delle parti sociali, hegel parte per la tangenziale di questa fantomatica unità.

per me è invece importantissimo il concetto di assoluto negativo.
l'io si conosce in sè COME DESIDERIO.
Hegel non ci arriva, semplicemente lo enuncia.
E' il suo opposto ossia l'autocoscienza del sè, che lo trasforma nel suo contrario nel GODIMENTO.

In Hegel questa diade è fenomenale, la enuncia brutalmente, e su di essa la psicanalisi di lacan  ma anche quella francofortese (Fromm) si eserciterà nel suo approfondimento.

tu invece dici che il desiderio è una prima forma di quello che diventerà godimento.

E' una lettura terrificante. Il desiderio frutto dell'assoluta negatività si compie nel suo frutto più maturo, nell'eros, che diventa morale, e solo allora diventa amore dell'altra autocoscienza.

E infatti Hegel, sono andato avanti e sono arrivato alla parte di stoicismo e scetticismo, per un attimo enuncia questa tematica, ma si incasina e si perde dietro il problema dello scetticismo.
Se lo stoicismo è presto buttato nel cesso per via della sua pretesa coscienza di ciò che non per sè, e a cui non sa rispondere su cosa LA MORALE e L'ETICA.
Lo stoico risponde banalmente nella razionalità, ma Hegel affonda il colpo incolpandoli sostanzialmente di non sapere il perchè e di cosa sia la MORALE e l'etica.
Lo scetticismo invece viene preso per buono, in quanto l'in sè è sempre un per sè.
Ha ben ragione lo scetticismo che però in verità alla fine dimentica completamente l'in sè e si dedica completamente all'in sè che è sempre un per sè, anche qui non rispondendo alla questione morale direi io, invece Hegel riattacca il pippotto della verità, che come ci stai aiutando a capire koba, riguarda più l'ente che l'essere.
O meglio ripeto per l'ennesimo volta, in un universo statico la verità non può che coincidere che l'assoluta differenza che coincide con l'ente stesso originario.
Aristotele again.
Di Platone nessuna traccia, temo si dovrà aspettare Heidegger che medita sul tempo, riprendendo Agostino (che riprende Platone).

Ma appunto passetto passettino, anche se ti ringrazio ancora per darci sempre come orizzonte la testualità hegeliana.

Ci terrei a riscrivere nei prossimi giorni la questione dello scetticismo, con il punto in cui Hegel parla di autocoscienza che si confronta con una autocoscienza.
l'ho trovato un analisi geniale, al pari dello stoicismo, che come spiegazione è molto più semplice.


ecco correggiamo Hypolite: " L'essere dell'uomo «non è mai ciò che esso è ed è sempre ciò che esso non è»" ma solo in quanto essere soggetto.
infatti l'essere dell'uomo è sempre ciò che esso è, in quanto tale.
e' il soggetto che mera negazione di quello che l'io è-
è il presunto essere io del soggetto che è in ballo e non l'io.

Non capisco proprio il perchè di tirare in ballo l'autocosienza del sè, in quanto sè, è sempre per sè, e cioè è sempre soggetto universale cioè sociale e quindi FALSITA'.
Il soggetto comunista o socialista è nemico dell'io spirituale.

laddove il comunista GODE nella distruzione del sè intellettuale dell'io libero, là si pone la resistenza, che è morale, del sè per sè in quanto sè, di se stesso.
non esiste il doppio dell'autoscienza del per sè che diventa in sè. Infatti l'in sè del per sè, è sempre un per sè, ossia per gli altri.
Ovvero a mio parere non esiste l'autocoscienza dell'in sè. Non esiste questo doppio, che serve ad Hegel per cosa? Forse appunto si chiarifica nel discorso sullo scetticismo. 

Hegel sembra non vedere la soluzione spirituale che è ad un palmo da lui, vediamo se ce la da nei prossimi paragrafi con consapevolezza, perchè in realtà l'ha già scritta, e devo tornare a sottolineare i testi...che pazienza tornare studenti!
Ma per spirito di servizio volentieri  :-*
Vai avanti tu che mi vien da ridere

green demetr

Citazione di: Koba II il 05 Maggio 2024, 09:47:02 AMGreen, cerchiamo di rimanere sul testo, se no non ne usciamo più...

Allora, siamo alla sezione A "Autonomia e non-autonomia dell'autocoscienza; Signoria e servitù", p. 128.
In generale nella successione di figure in cui si assiste nella FDS, che più avanti comprenderanno Stoicismo e Scetticismo, si tratta di capire che:
a) non di filosofie in senso stretto si tratta, ma di visioni del mondo complessive, di Weltanschauung, che comportano uno sguardo specifico sul mondo e un certo modo di reagire agli ostacoli, alle difficoltà in cui ci si imbatte.
Per questo non si tratta di confutare teoricamente la singola figura, la singola visione del mondo e così passare oltre verso incarnazioni dello spirito umano più adeguate, ma di attraversare tale visione del mondo, e incarnarla fino a che le contraddizioni, le sue inadeguatezze vissute non ci diano la forza per abbandonare quel mondo e continuare la ricerca.
b) la successione specifica che troviamo nella FDS di queste Weltanschauung a volte appare arbitraria, le motivazioni che dall'una dovrebbero condurci alla successiva non sono sempre così chiare e stringenti; non è il caso dunque di insistere troppo su questi collegamenti, meglio invece approfondire le singole figure.

E in queste pagine troviamo una delle figure più note, quella della dialettica del servo e del signore.
Importante è però sottolineare l'idea che l'autocoscienza, cioè lo stadio del soggetto che ora stiamo analizzando, che è autocoscienza in quanto coscienza che sente in modo più concreto rispetto alle fasi precedenti una tendenza alla riflessione su se stessa, cerca ciò che le manca, sollecitata dal desiderio, in un'altra autocoscienza.
Il desiderio nella sua forma più primitiva, l'appetito, chiude il soggetto in un loop infinito di consumo e distruzione dell'oggetto. Non è attraverso la ripetizione infinita di questo ciclo che l'autocoscienza possa trovare se stessa.
Ma solo in un'altra autocoscienza: nel riconoscimento di un'altra autocoscienza.
Ecco la questione essenziale: il riconoscimento e i conflitti per ottenerlo.

Ma vediamo come si forma questa dialettica servo-signore.
La scena originaria è quella dell'incontro di due individui. Ciascuno dei due è un'autocoscienza, e l'altro che ha davanti invece solo un "oggetto inessenziale".
Nell'incontro-scontro ciascuno dei due per dimostrare a se stesso che non è solo una cosa (visto che l'individuo che ha davanti sembra rivolgersi a lui come si rivolgerebbe ad una cosa o ad un animale da usare), ma è un soggetto, deve agire, deve dare prova di essere libero di agire, in una lotta per la vita e per la morte.
Queste due autocoscienze "debbono entrare in questa lotta, poiché debbono elevare a verità [...] la certezza che esse hanno di sé: la certezza cioè di essere per sé" (p.131). La certezza cioè di essere un soggetto, di essere effettivamente un'autocoscienza.
"[...] è unicamente mettendo a repentaglio la vita che si dimostra la libertà".
"L'individuo che non ha osato rischiare la vita può bensì venire riconosciuto come persona; ma non ha raggiunto la verità di questo riconoscimento come autocoscienza autonoma".
ma mi pare una lezioncina da manuale, io ci ho letto tutt'altra cosa.

nella dialettica servo padrone ci imbattiamo in osservazioni dolenti.
 
il servo non vuole farsi riconsocere dal padrone, anzi egli è semplicemente obbligato a lavorare, ma è proprio il lavoro in sè, non il desiderio del servo.
non esiste il desiderio del servo, esiste il lavoro in sè.
qua è ultra-evidente la matrice da cui poi marx parte per la tangente e costruisce il comunismo.
è il lavoro in sè che mostra al servo che egli è il prodotto della sua merce.
egli al contrario del padrone è l'unico dei due a riconoscersi per sè-
ossia per gli altri. il lavoro dell'individuo fa vedere l'individuo per quello che è: nel comunismo MERO OGGETTO.
Quindi mentra nel padrone il soggetto si schianta nell'oggetto in quanto godimento del sè nel suo mero oggetto. Ovvero trae piacere dall'essere tutt'uno coll'oggetto.
Si sente nelle righe di Hegel la puzza del diavolo, questo godimento è inconsciente, è immorale, è mortifero, Hegel non lo scrive, semplicemente passa a quello che gli interessa le figure dell'autocoscienza.
In Hegel non c'è discorso morale, o meglio nella prefazione il discorso morale è quello che la scienza è il male assoluto.
La conoscenza del lavoratore che ha di se stesso è la conoscenza del sè, ossia il soggetto che è oggetto.
Siamo già nel transumanesimo.
in Hegel naturalmente questo non basta, infatti benchè non faccia un discorso morale, egli sfiora la domanda morale, e lascia a noi il compito di dipanarla.
Lui è troppo preso dal suo progetto unitario.
Il servo è la prima figura di disambuguazione, infatti il servo sa di essere mero oggetto, al contrario del padrone, che è destinalmente SCHIAVO dell'oggetto del godimento.
Per assurdo il servo è la prima figura verso il cammino spirituale, di SUPERAMENTO dell'oggetto, del feticico dirà poi marx.
il servo è più libero del padrone.

perchè passa dalle figure servo padrone a quello dello stoico scettico?

ecco questo è un passaggio che richiede meditazione.

a presto.
Vai avanti tu che mi vien da ridere

green demetr

#12
Citazione di: Koba II il 05 Maggio 2024, 10:28:35 AML'esito della lotta è la formazione di un signore e di un servo.
Il signore è colui "che nella lotta ha mostrato che esso [colui che diventerà servo] ai suoi occhi vale soltanto come un che di negativo" (p.133).

Nota mia: dunque se ne deduce che l'aristocrazia antica così come l'attuale (i capitalisti) ha questa caratteristica essenziale: non il coraggio nella lotta, ma la propensione a considerare l'altro come cosa; da qui l'istituzione della schiavitù nel passato, e, oggi, il processo di trasformazione del lavoratore in macchina.
La cosa comune è sempre la stessa: non ingegnosità, non coraggio, non intraprendenza, ma riduzione violenta dell'altro a cosa.
Piu precisamente come detto sopra il padrone si riduce ad essere oggetto, mera necessità di distruzione dell'altro.
non è semplicemente la schiavitù ma è precisamente la tortura, come poi lacan nel famoso kant con sade.
la nostra è una società di padroni inequivocabilmente portati a delinquere e a depensare, a rimanere idioti, ossia se stessi. nè per sè (per gli altri) nè in sè (la dittatura del cuore nero).
senza schiavo nessun godimento, godimento sadico di distruzione dell'altro.
a qualsiasi grado e latitudine umana.
la legge sadica è la legge del padrone.

Nel servo la libertà è semplicemente un primo grado di libertà, e cioè la libertà di pensare il per se (ossia per gli altri) come mera preda, oggetto sacrificatorio in ordine al suo fornire l'oggetto.
In questo riconoscersi come oggetto di consumo al pari di qualsiasi oggetto di consumo, qui marx al meglio.
Ossia nel godimento del padrone.
E' una libertà molto sbiadita cioè direi quasi penosa, se non fosse che per Hegel la vita ci è già nemica, e dunque è solo nell'in sè, che puà trovare la salvezza.
il comunista invasato invece ha capito che il sè deve diventare il nuovo padrone.
è questo il loop di massima del comunista.
ossia il servo dall'essere agnello vuol diventare lupo E CHE LUPO, un LUPO consapevole. da poveraccio a feccia il passo è molto breve.
L'orrore al cubo del nostro tempo. un incubo.
 altr note sparse a margine, la libertà che vuole diventare signore è la libertà della servitù volontaria. servitù all'oggetto, fino allo schifo disumano che trattiamo le persone come dei ca**o di oggetti, e che queste persone VOGLIONO essere oggetti.
cosa non ci dicono queste persone ogetti? non ci dicono del loro sadismo latente, ce lo dicono i loro sintomi, le loro ansie, tutti i ca**o di movimenti #mee too, dal black lives matter, al femminismo-oggetto contemporaneo.
Che spettacolo da grand guignol: a hegel piglierebbe un colpo.
all'epoca le loro porcherie se le tenevano in privato.
oggi è tutto social, lo spettacolo del gran guignol dell'orrore.
Vai avanti tu che mi vien da ridere

green demetr

Citazione di: Phil il 05 Maggio 2024, 19:01:33 PMLungi da me il voler fare polemica, tuttavia ciò che propone Koba può anche essere "vero" (non mi ci addentro), ma credo resti un non sequitur rispetto al testo hegeliano (alla cui lettura è intitolato il topic). Nel testo una coscienza individuale (non l'aristocrazia o il capitalismo) acquisisce autocoscienza nella lotta (non di classe) con(tro) un'altra coscienza (ed è scritto esplicitamente, non è questione di interpretazione). Dedurre da ciò che l'aristocrazia o il capitalismo non abbiano come caratteristica essenziale il coraggio nella lotta, è una libertà esegetica molto oltre il testo, molto oltre il voler-dire di Hegel (e lo afferma Bodei, non un tale Phil), sebbene molto dentro una certa lettura non proprio "ermeneuticamente sobria" del testo in questione. Lo stesso vale per l'oggettificazione: porla all'interno di una dialettica fra coscienze individuali («per sé», «in sé», etc.), non significa affatto porla all'interno di una dialettica sindacale ed economica (che poi sia possibile fare tale "salto" partendo dal testo hegeliano, lo dimostrano bene Kojeve e altri, ma pur sempre salto rimane).
Tale "lettura allegorica" ha avuto storicamente più successo del voler-dire originario (una sana ermeneutica calpesta mai l'esegetica? L'allegoria invece può, anzi deve), ma questa, a mio avviso, è un'altra storia. Sun Tzu non ha scritto un testo di strategia aziendale, anche se, (molti) secoli dopo, ha avuto successo più in quell'ambito che in quello militare (dichiariamo allora i manager buoni esegeti di Sun Tzu? Credo nemmeno Schleiermacher azzarderebbe tanto). Forse è solo questione di distinguere attentamente interpretazione, deduzione, lettura allegorica, etc. Ringrazio comunque Koba per il lavoro che sta facendo in questo topic (e perdoni la mia puntigliosità).
Dentro la testualità ma anche fuori come ho già detto sopra non esiste la dialettica da romanzo d'appendice di cappa e spada dei comunsti.
E' evidente che non hanno MAI letto la FDS.

Giusto per specificare, ma in realtà l'ha già spiegato koba sopra, la dialettica non va intesa come figurazione storica, ma come figurazione dell'autocoscienza, in gradini di consapevolezza.

Naturalmente Bodei è considerato un grande hegelista. E da quanto ci riporti e ti ringrazio, lo ha dimostrato bene nella disambiguazione tra il testo hegeliano, e l'interpretazione classista del genio marxista.

Non c'è alcuna relazione dell'uno sull'altro in termine di gradino morale o di autoconoscenza, ma l'autocoscienza svegliata dal servo è dovuta alla violenza del padrone.
il servo senza padrone non svilupperebbe quel risveglio morale, a cui la necessità della sopravvivenza lo porterebbe.
Ma parimenti sebbene nel testo non compare, il servo rischia di fare la stessa fine del padrone, ossia essere vittima del godimento di quegli oggetti che lui stesso ha creato.
E se lo aggiorniamo al giorno d'oggi di usare le persone come oggetti, e mi dispiace, ma che lavorassi in banca o che lavorassi a pulire i cessi, è proprio così.
la differenza forse è proprio che in banca ti viene richiesto di trattare la gente come merda secca.
ci devi credere, se vuoi fare il padrone è meglio che ti metti subito in testa che tu alla gente devi fare del male.
e così è ca**o.
però bon, ci sta il puntiglio e torniamo a filosofare.
Vai avanti tu che mi vien da ridere

green demetr

Citazione di: Ipazia il 05 Maggio 2024, 19:22:52 PMSì, effettivamente la lotta di classe non è riducibile a lotta di (auto)coscienze individuali, quasi fosse uno psicodramma. Il padrone nullifica il servo anche senza averlo mai visto, in quanto è il padrone sociale a nullificarlo, indipendentemente dal padrone individuale. Hegel non è Marx. Il servo che individualmente spacca la testa al padrone diventa un carcerato/giustiziato, non un signore che ne prende il posto.
A mio modo di vedere un marxismo fatto bene, in base a questi seminali figure di hegel, non è tanto l'autocoscienza individuale che spacca la testa al padrone, che non ha coscienza alcuna.
Quanto la lotta delle autoscienze che in quanto coscienti di esserlo per il sè, ossia tramite il lavoro, si riconosco come forza motrice e creatrice del senso storico, per sè e per gli altri del BENESSERE ECONOMICO.
Da qualche parte hegel dovrebbe parlare di coscienza infelice.
Se i comunisti non hanno travisato troppo, dovrebbe avere molto a che fare con Marx, se ci puoi aiutare ipazia grazie.
Ecco per non cadere nella coscienza infelice, in cui una volta raggiunta (lotte sindacali e di classe) il benessere, la nuova classe ora chiamatasi borghese, fa l'errore di fare il padrone.
Necessiterebbe di una distinzione CAPITALE tra essere uomo e merce.
E invece questa distinzione CAPITALE, diventa capitalismo.
Le nuove forze borghesi dimenticano l'infelicità e si dedicano al sesso, alla tratta di schiave nere etc...
La risposta di marx nella creazione di un economia socialista sta propria nel tasso d'interesse, lo schiavo che lavora per il suo benessere, DEVE GODERE nell'interesse del benessere degli altri, e quindi VA PAGATO.
E' una questione morale, che il comunismo nelle sue infinite manifestazioni elabora e sta ancora elaborando.
il comunismo italiano a differenza di quello russo VUOLE la cultura.
la cultura ci aiuta a costruire un ideale di essere umano, che si prende per mano e porta BENESSERE non solo per sè ma anche PER GLI ALTRI.
In fin dei conti la visione di MARX è una visione umanista.
l'economia un progetto politico.
Forse però quell'infelicità interiore, che non va via, ecco forse il comunismo ha avuto troppo fretta di dimenticarlo.
Ecco che allora è nata la scuola di francoforte e il suo ritorno alla moralità.
purtroppo oggi quando si parla di moralità a me mi vengono i brividi.
e' l'esatto opposto!
e i comunisti sembrano entrati in un loop assurdo ai miei occhi.
non solo politico, ma proprio teoretico.
e in questo phil cià ragione.
Vai avanti tu che mi vien da ridere

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