Menu principale

Fisica e Tempo

Aperto da epicurus, 22 Marzo 2018, 14:30:49 PM

Discussione precedente - Discussione successiva

Apeiron

#135
Risposta a @sgiombo


Citazionesgiombo

Mi dispiace non poco perché, come in altre discussioni nel forum, rischio di fare la fastidiosa impressione del petulante Bastian Contrario che ripete insistentemente il suo dissenso (ma invero in, questo caso, la sua -cioé mia- incomprensione), ma continuo a non cogliere alcuna differenza.

No problem!

Citazionesgiombo
...
E' per questo che ho sempre ritenuto che il falsificazionismo popperiano possa essere considerato una sorta di corollario dello scetticismo humeiano.
Il discorso che fai sullo scetticismo Humeiano è corretto. Concordo che è impossibile dimostrare l'esistenza effettiva del rapporto causale. Questo però non implica che si possa ipotizzare che esso ci sia o non ci sia (so che concordi, ma è bene è precisarlo). In sostanza Bohm ritiene che c'è, t'Hooft invece no.

Citazionesgiombo
Cioé non vedo proprio come il "superdeterminismo" di t' Hooft possa distinguersi in un qualche eventuale modo dal "buon vecchio" determinismo di Einstein Bohm e tantissimi altri correttamente inteso nella sua indimostrabilità da Hume: ci sono false (falsificate a posteriori) ipotesi di concatenazione causale di eventi e ci sono ipotesi di concatenazione causale di eventi non falsificate a posteriori ma sempre falsificabili da un momento all' altro in linea teorica, di principio.
Se ho ben compreso il tuo argomento, direi che sono d'accordo: è impossibile distinguerli. In sostanza, se in futuro qualche tecnica ci permetesse di dimostrare che le altre interpretazioni della MQ sono errate, non riusciremo a distinguere l'interpretazione di Bohm da quella di t'Hoof. Su questo concordo. Quello con cui non concordo, però, è sulla loro indistinguibilità nell'ontologia che propongono: per Bohm c'è un effettivo rapporto causale, per t'Hooft no. Non ci può essere un modo per falsificare una delle due teorie (e non falsificare, allo stesso tempo, l'altra) ma questo non significa che sono identiche!

Citazionesgiombo
In linea teorica, di principio il determinismo del divenire naturale, postulato indimostrabile su cui si poggia come su una conditio sine qua non la (possibilità di) conoscenza scientifica (vera; e secondo me anche di valutabilità etica dell' agire di soggetti di azione non sottoposti a coercizioni estrinseche), potrebbe non essere una tesi vera (e in qualsiasi momento rivelarsi tale all' osservazione empirica dei fatti), ma un mero malinteso da "stranissima coincidenza fortuita", come la sequenza di sette risultati "12" consecutivi in sette lanci di dadi non truccati.
Questo é il senso, per me di importanza inestimabile nella critica razionale della conoscenza umana (in generale, e in particolare scientifica), della autenticamente geniale critica razionale della causalità di Hume.
In questa parte hai detto più o meno quello che stavo cercando di dire io ;D  in sostanza la differenza c'è ma come tu dici non è possibile falsificare una delle due teorie senza falsificare l'altra  ;)


Citazionesgiombo
Ma se t' Hooft attribuisce questa caratteristica di "apparente ma non reale" causalità ad ogni e qualsiasi correlazione fra eventi fisici (a priori)...
Non ho ben capito cosa vuoi dire qua... comunque t'Hooft nega la causalità "reale" solo nel caso delle correlazioni quantistiche. Ad ogni modo

Citazionesgiombo
allora fa un' affermazione non solo indimostrabile, ma nemmeno in alcun modo sensata, dal momento che per "falso positivo" si intende un caso falsificato, o almeno falsificabile dall' osservazione empirica

Qui non riesco a capire l'insensatezza. Nell'esempio della lotteria, se una persona "avesse sempre molta fortuna", non ci sarebbe una vera causazione. Lo stesso t'Hooft ipotizza per le correlazioni quantistiche. Concordo però sul fatto che è una teoria infalsificabile (e diversi fisici lo hanno criticato anche su questo!)

Citazionesgiombo

Da "bohmiano" rilevo che il vantaggio dell' eliminazione del problema della località é più che compensato (in negativo, secondo me) dall' assurdità (a mio modesto parere) di oggetti o caratteristiche di oggetti (comunque realtà fisiche) come "quantità di moto", "spin" ecc. che vengono ad esistere magicamente se e quando create (letteralmente) ad libitum dall' osservatore.

Capisco bene il tuo punto di vista (e lo rispetto molto!), ma vorrei porre l'attenzione sul linguaggio. In fisica, per esempio, ci sono le definizioni operative delle grandezze: ogni grandezza ha una definizione che corrisponde al modo con cui la si misura. Ora, Bohr è probabilmente partito da questa idea. Così come già in fisica classica la grandezza "quantità di moto" ha una precisa definizione operativa, allo stesso modo si può parlare di "quantità di moto" durante l'esperimento. Ergo le "grandezze fisiche" per Bohr più che "proprietà (solo) dell'oggetto" sono, in realtà, proprietà dell'oggetto osservato, ovvero dell'oggetto in un determinato contesto. Propongo l'analogia del colore: la mela è "rossa" solo nel contesto di soggetti in grado di vedere il rosso. Ergo per Bohr la particella ha quantità di moto solo quando "si trova" in un determinato contesto. Ad ogni modo concordo con te che la spiegazione della correlazione fatta dai Copenaghisti non è molto soddisfacente: in sostanza abbiamo che le due misure sono correlate, tuttavia il fatto che è "solo una correlazione" è estremamente contro-intuitivo.

Citazionesgiombo
Tutte le informazioni sono (anche) effetti, ma non tutti gli effetti sono (anche) informazioni.
In linea di principio, sì. Si può parlare che potenzialmente c'è l'informazione anche senza esseri senzienti da informare. Ed è proprio in questo senso che i fisici parlano di "informazione" (o meglio, per loro un computer è "informato" quando contiene dei dati - ma sono d'accordo con te che, effettivamente ha senso la parola "informato" solo nell'ambito degli esseri senzienti).  :)



Riguardo alla "non-intuitività" anche la versione Bohmiana, però ha le sue "particolarità". Le proprietà fisiche (massa, carica...) non sono localizzate nella particella, ma sono assegnate alla funzione d'onda. A differenza dell'azione a distanza newtoniana, l'azione a distanza "alla Bohm" è indipendente dalla distanza. E altro ancora  ;D


Rispondo a @iano:


Citazioneiano

Se è utile considerare una particella come puntiforme , anche al fine di definirla attraverso delle coordinate spaziali , di fatto una particella occupa un volume che non è precisamente definibile , anche se parimenti può essere utile rappresentarla con un definito volume.

Per la meccanica Bohmiana è letteralmente puntiforme. Nota che, però le proprietà come la massa sono proprietà assegnate alla funzione d'onda e quindi non c'è il problema della densità infinita.

Citazioneiano
Se è utile considerare una particella come puntiforme , anche al fine di definirla attraverso delle coordinate spaziali , di fatto una particella occupa un volume che non è precisamente definibile , anche se parimenti può essere utile rappresentarla con un definito volume.
In un modo o nell'altro la località di una particella , fuori dalla mia intuizione , è una astrazione.

Ammetto che credo di non capire il tuo ragionamento ma qui stai confondendo la località con la localizzazione. Anche se le particelle non fossero localizzate ma fossero "nuvole di carica, massa ecc" sarebbe comunque possibile stabilire una velocità di  trasmissione dei segnali tra di esse (e anche se i fotoni, fossero, ugualmente "nuvole" sarebbe comunque possibile stabilire una velocità).


Citazioneiano
Quando dico che una particella percorre la distanza da A a B in un tempo che non è piccolo a piacere , sto dicendo una cosa vera quanto è vero che la particella possa essere rappresentata con A prima e poi con B.
Cioè è vero quanto è vero che la particella possa essere "localizzata".
Ok.

Citazioneiano
Sto dicendo che quella,astrazione non sempre risulta utilmente applicabile , ed essendo una astrazione non c'è nulla di strano che succeda.

Se vogliamo più che l'approssimazione di particella puntiforme, è lo stesso concetto di "velocità" che rende sensato quello di "località". Se non c'è un modo sensato per definire la velocità non c'è nemmeno per la località.

Citazione
Citazioneiano
I punti A e B "esistono" e sono i punti in cui effettuò le misure , ma sono "fuori della particella" nel senso che non la rappresentano.
Una particella unica si può rappresentare con un punto , o con un volume definito , ma non con due punti distinti.
Più in generale se decido di rappresentare una particella con una pluralità di punti sto effettuando una operazione contraria al mio concetto di località.
Puoi spiegare meglio quello che intendi? Supponi di avere in mano una palla e di prendere due punti all'interno di essa, A e B. All'istante "A" coincide con un'estremita della palla mentre "B" un punto qualsiasi interno. La palla si muove e "A" è fuori dalla palla e dalla sua superficie, mentre "B" ora coincide con un punto della superficie. Chiaramente posso parlare di "velocità della palla" anche se può non aver senso "localizzare" la palla in un punto.


Citazioneiano

La fisica ci dice che esiste un limite alla velocità, ma già l'intuito e la logica ci dicevano che una velocità infinita è una contraddizione in termini.
Anche io ritengo che il limite della velocità sia intuitivo. Però non direi che è una "contraddizione" la velocità infinita. Posso capire, però, che effettivamente possa suonare quasi come "azione quasi magica" che come un processo fisico (col senno di poi, avendo conosciuto la relatività) 


Citazioneiano

La matematica ci dice che la località è vera quanto è vera la matematica , ma nulla di più.
Non direi che è la matematica che lo dice. Al massimo è la matematica della teoria attuale! Se dici che è la matematica che lo dice, allora, il concetto di "azione istantanea" sarebbe illogico, cosa che non è :)





Personalmente la "località" è una cosa che accetto perchè, secondo me, spiega il motivo per cui solo le cose "vicine" a noi ci danno una influenza "immediata". E più le cose si allontanano, più "impiegano tempo" ad influenzarci. La località quindi permette la localizzazione (in punti o in volumi finiti) e l'individuazione. Se il mondo fosse "non-locale" gli stessi concetti di vicinanza e lontananza perderebbero "validità". [in realtà nella meccanica newtoniana, la gravità e la forza di Coulomb erano istantanee. La localizzazione e la individuazione erano giustificate col fatto che le forze decrescevano in intensità all'aumentare della distanza. La località invece spiega queste due cose utilizzando anche l'assioma che non solo le interazioni calano di intensità all'aumentare della distanza ma anche le interazioni stesse si propagano a velocità finita. Se si accetta la non località nel mondo quantistico si accettano non solo influenze non locali ma anche indipendenti dalla distanza!]


Ovviamente ci sono, tra i fisici, proposte per abbandonare questi concetti familiari :)
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

sgiombo

#136
Risposta ad Apeiron

"Ipotizzare che rapporto causale fra eventi ci sia o che non ci sia (e se in sostanza Bohm ritiene che c'è, t'Hooft invece no)" a mio parere non può necessariamente significare che o le sequenze di eventi seguono leggi universali e costanti (si rilevane sempre e dovunque, dati determinati eventi "iniziali" determinate sequenze di eventi "successivi" e non altre), oppure no.

Ma allora che dice t' Hooft di diverso da Bohm ? ? ?

Che senso potrebbe mai avere l' affermazione "apparentemente le sequenze di eventi seguono leggi universali e costanti (si rilevane sempre e dovunque, dati determinati eventi "iniziali", determinate sequenze di eventi "successivi" e non altre), ma realmente si tratta di sequenze casuali"?
Per me "sequenze (realmente) casuali di eventi" significa "sequenze tali che prima o poi, qua o là, dati determinati eventi "iniziali" non ne (con)seguono (realmente) determinate sequenze di eventi "successivi" ma invece altre"; e che questo possa accadere solo "apparentemente", significa inevitabilmente, necessariamente che si può prima o poi, qua o là falsificare questa apparenza (per l' appunto falsa); é il caso dei sette risultati consecutivi "12" in lanci di dadi non truccati: continuamo a lanciarli, e inevutabilmente prima o poi, dopo tantissimi lanci, la sequenza ci apparirà (veracemente, quale realmente é) come un' eventualità improbabilissima nell' ambito di eventi casuali e non causali - deterministici, solo apparentemente (ma falsamente) tali a un' osservazione inadeguata della reltà.
Ma a quanto pare questo per t' Hooft non può darsi.
E allora le parole di t' Hooft non hanno alcun senso (o almeno io non vi vedo alcun senso: e allora se ce n' é uno -ammesso e non concesso- mi pacerebbe che me lo si esponesse).
Ma tu mi dici per l' appunto che é impossibile distinguere (buon vecchio) determinismo (a là Bohm) e superdeterminismo (a la t' Hooft), il che non può non significare che t' Hooft non dice niente di sensato (pretende che un' affermazione sia diversa da un' altra senza che si possano distinguere, il che é evidentissimamente autocontraddittorio).

Dove mai starebbe, in cosa consisterebbe mai la "loro indistinguibilità nell'ontologia che propongono: per Bohm c'è un effettivo rapporto causale, per t'Hooft no" se anche per t' Hooft non é possibile rilevare deroghe dalle determinate sequenze universali e costanti dai fatti reali (ma casomai solo immaginarle senza verificarle, il che é banalmente possibilissimo anche per Bohm, e non cambia nulla nella realtà dei fatti, ma costituisce solo un' esercizio di fantasia, magari valido letterariamente o artisticamente, ma comunque falso; anche se la saa falsità, tanto per Bohn quanto per t' Hooft, é assunta arbitrariamente -per poter fare scienza- e non logicamente dimostrabile né empiricamente constatabile, come ci ha insenato Hume).

Vorrei che m spiegassi che significa "Non ci può essere un modo per falsificare una delle due teorie (e non falsificare, allo stesso tempo, l'altra)" [il che per me == "sono identiche"; altrimenti che significa "identico"?] "ma questo non significa che sono identiche!" [il che per me significa che c' é (almeno) un modo per distinguerle, e dunque per stabilire se é vera l' una oppure l' altra, poiché non possono darsi due verità diverse sugli stessi, medesimi, identici fatti); oppure anche se sono false entrambe (essendo in questo caso diverse anche da una terza, almeno potenziale, teoria vera circa gli stessi, medesimi, identici fatti].

Che differenza potrebbe mai darsi fra due teorie se "non è possibile falsificare una delle due teorie senza falsificare l'altra"?
Non riesco proprio ad attribuire a in questa affermazione altro significato che

o esse sono identiche (la stessa, unica teoria);

o al massimo (ma non vedo come, in che senso ciò potrebbe darsi nella fattispecie) che l' una é parte dell' (é implicata dalla, "contenuta nella") altra (ma fra l' altro solo se la falsificazione dell' una con necessariamente implicata quella dell' altra andasse in un' unico senso, se fosse intransitiva; e non mi pare questo il caso).

Queste considerazioni valgono pari pari anche se t'Hooft nega la causalità "reale" solo nel caso delle correlazioni quantistiche": dovrebbe mostrarci per lo meno come si potrebbe rilevare nelle correlazioni quantistiche una deroga all' universalità e costanza delle sequenze (== causalità, determinismo), che le falsificasse; ma se, come pare, pretende di sostenere che universalità e costanza reale delle sequenze non é distinguibile da universalità e costanza apparente delle sequenze degli eventi quantistici, allora ciò non é possibile per definizione (== si tratta di un insensato vaniloquio).

Per stabilire, Nell'esempio della lotteria, se una persona "avesse sempre molta fortuna", [e dunque se] non ci sarebbe una vera causazione [cosa che] Lo stesso t'Hooft ipotizza per le correlazioni quantistiche" bisognerebbe prolungare le osservazioni fino a far rientrare le vincite in una sequenza statistica teoricamente plausibile, per quanto improbabile. In assenza di una simile osservazione non può parlarsi di "fortuna" ma di concatenazione causale (di cui eventualmente cercare spiegazioni: imbrogli? Corruzione dei gestori della lotteria? Qualche meccanismo naturale -magari non locale!- che collega causalmente-deterministicamente gli acquisti dei biglietti del tizio con le estrazioni dei numeri?).



Se per definizione per Bohr le "grandezze fisiche" più che "proprietà (solo) dell'oggetto" sono, in realtà, proprietà dell'oggetto osservato ,ovvero dell'oggetto in un determinato contesto, allora si tratta di un assunto arbitrario, soggettivo di Bohr (condiviso per convenzione da chi segue in questo Bohr); allora ciò significa che arbitrariamente, soggettivamente Bohr si interessa solo dell'oggetto in quanto osservato, ovvero dell' oggetto in un determinato contesto.
E non che necessariamente si tratta oggettivamente di proprietà solo dell' oggetto in quanto osservato, ovvero solo dell' oggetto in un determinato contesto e non anche dell' oggetto indipendentemente dal fatto che sia osservato o meno (il che a mio parere é per lo meno meglio correlato con l' intersoggettività delle osservazioni: se sempre e comunque chiunque compia le "opportune" osservazioni inderogabilmente rileva le stesse identiche medesime caratteristiche -misure- allora per me vuol dire che qualcosa di reale c' é, accade indipendentemente dalle eventuali osservazioni o meno, che infatti non possono in alcun modo mutarlo; per spiegarlo, in alternativa, si potrebbe forse ricorrere ad una per me oscura e un po' misteriosa "armonia in un qualche modo o senso prestabilita" fra le osservazioni).

Il_Dubbio

Citazione di: Apeiron il 10 Maggio 2018, 23:05:50 PM
Citazione di: Il_Dubbio il 08 Maggio 2018, 09:14:45 AM
Citazione di: Apeiron il 07 Maggio 2018, 23:32:58 PM

Però vorrei fare una precisazione: la misura in sé non causa una trasmissione di informazione tra le due particelle, nemmeno a velocità "permesse".  Tra di loro, in sostanza, non c'è nemmeno un collegamento "effettivo" all'atto della misura. L'unica informazione che viene trasmessa, è quella trasmessa dagli osservatori. Il fatto che le proprietà siano reali all'atto di misura non implica che tra le particelle entangled debba avvenire uno scambio di informazioni. Anzi nemmeno in questo la particella "misurata" invia un segnale alla sua compagna.

Questa versione mi è nuova, ma non è da escludere. Però apre scenari nuovi.
Quella che era partita come una correlazione immediata tra due particelle entangled non lo sarebbe invece in tutti i casi tranne quando gli osservatori (che abbiamo detto fanno le loro misure in autonomia e distanti spazialmente) confrontano i risultati.
Ciò però sembra contrastare con la memoria dei due osservatori che possono testimoniare di aver fatto le loro misure prima di incontrarsi e che i risultati erano sempre stati gli stessi. A me sembra che l'idea sia un po' forzata. Anzi credo sia più vicina a chi ritiene che i risultati delle misure siano dipendenti dalla coscienza dell'osservatore, in piu in questo caso alla somma delle coscienze dei due osservatori. Ovvero si da più risalto al concetto di osservazione come una operazione  mentale piu che fisica dove per fisica si intende invece solo l'interazione tra lo strumento di misura e il sistema misurato. Avevo gia aggiunto questo piccolo problemino in uno dei post precedenti, perchè il problema mi è noto.  ;)

Vicina sì, ma non è la stessa cosa. In sostanza il discorso è questo: ci sono due particelle entangled e due osservatori. Supponiamo che le due particelle entangled vengano prodotte durante un esperimento di decadimento prodotto nel laboratorio di Charlie. Charlie telefona ad Alice dicendole che sta per arrivare una delle due particelle e fa la stessa cosa con Bob. Alice e Bob mettono in funzione l'apparato. Supponiamo, per farla semplice, che la proprietà da misurare sia la quantità di moto e che la particella decaduta a riposo (a quantità di moto nulla). Sapendo questo sia Alice che Bob sanno che la somma dei due risultati sperimentali che otterranno sarà zero. Per l'interpretazione di Copenaghen però all'infuori della misura non si può parlare di quantità di moto delle particelle. Non si può dire che "durante il tragitto" avevano la quantità di moto totale nulla. Quello che si può dire è che quando Alice misurerà una quantità di moto, Bob misurerà una quantità di moto uguale in modulo e opposta in verso. Quindi Alice appena legge il risultato della misura già sa alla perfezione cosa le verrà comunicato da Bob. Tuttavia l'informazione di cosa ha ottenuto Bob arriverà dopo un po' di tempo, ovvero quando arriverà la comunicazione di Bob (lo stesso per le parti invertite ovviamente!). Chiaramente per entrambi la misura è stata fatta prima di incontrarsi ma non c'è stato scambio di informazione e quindi la località è "salva"  :)

ora mi sembra tu stia dicendo un'altra cosa. Che non ci sia uno scambio di informazioni tra i due osservatori mi sembra di averlo ribadito molte pagine prima.
Il punto non è quello. Il fatto che le due particelle debbano rimanere collegate pur partendo da una situazione non-reale ci impone di chiarire in che modo possono rimanere correlate se sono fra loro distanti. Chiaramente se fai il giochino dei due osservatori che non possono scambiarsi le informazioni in tempo reale non stai producendo una risposta sulla correlazione tra i due sistemi quantistici. Se infatti tu dici che la misura è stata fatta prima di incontrarsi, vuol dire che la correlazione nasce precedentemente all'incontro tra i due osservatori.  
Avresti ragione secondo me (e forse è proprio ciò che succede in senso lato seguendo il teorema di Bell e gli esperimenti)  se i due osservatori avessero fra le mani no correlazioni perfette ma un miscuglio di dati all'interno dei quali ci sono anche correlazioni perfette. In quel caso infatti i dati dicono che le particelle si sono comportante come se non avessero proprietà reali. Per cui se io non misuro la proprietà correlata, il dato di quella correlata ri-sparisce nel limbo delle cose non-reali da cui si può ottenere solo la probabilità del 50/50% (se le alternative fossero due). Infatti Bell non mi sembra abbia prodotto un teorema contro la possibilità di variabili nascoste non-locali. Ma il nostro inizio è stato quello di non attribuire realtà alle proprietà prima della misura, quindi ci ritroviamo perfettamente. In caso di correlazioni perfette però lo scambio dell'informazioni non è uno scambio fra osservatori. In ordine di idee... l'idea principale che oggi è di moda tra i fisici (di quelli intervistati di cui mi sembra tu sia un rappresentante) è che la misura è una interazione fra lo strumento e il sistema. Possiamo anche metterci l'osservatore come elemento dello strumento di misura, ma il dato rilevato è strettamente circoscritto a questi elementi locali. Se la misura fosse invece intersoggettiva allora l'elemento informativo non è contenuto nelle parti ma solo nella sintesi. Ma la sintesi non può realizzarsi se le due parti non contenessero l'informazione. Come infatti la contengono, altrimenti le correlazioni non potrebbero avvenire.
In estrema sintesi, se io vedo la parte della luna visibile e tu quella non visibile, la luna esiste nella sua interezza a prescindere dal fatto che io e te ci scambiamo l'informazione sulle due parti della Luna in un secondo momento. Scambiarci i dati inizialmente parziali sulla Luna non è piu una interazione fra uno strumento di misura e il sistema misurato. E' un'altra cosa... ma se è un'altra cosa allora diciamo anche che non abbiamo ancora capito cos'è oggettivamente un'operazione di misura. Che vuol dire misurare una proprietà? Sicuramente con la tesi che tu porti, sembrerebbe che non sia solo una interazione fra uno strumento di misura e il sistema quantistico.

iano

#138
@Apeoron


Proviamo con questa definizione.
Una particella è un ente all'interno del quale l'informazione si trasmette in modo istantaneo.
Questa unica deroga ammessa alla relatività è la definizione stessa di particella.
Essa si comporta a tutti gli effetti come se fosse concentrata in un punto.
Quello che pur confusamente sto suggerendo è che non bisogna rivedere il concetto di località, ma di particella , alla luce del fenomeno dell'entenglement.
Quali possono essere le conseguenze di questa , suppongo nuova , definizione?
Cosa ci guadagniamo e cosa ci perdiamo?🙂
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

Apeiron

Risposta a @sgiombo:

1) su t'Hooft e Bohm. Qui, credo, stiamo andando alla radice del dissidio  ;)  prima di continuare la discussione su questo tema ti chiedo due domande: secondo te c'è una corrispondenza biunivoca tra come avvengono gli eventi e le regolarità per cui avvengono? Per te c'è una distinzione tra "generalizzazione accidentale" e "necessità strutturale"?

Con la distinzione tra "generalizzazione accidentale" "necessità strutturale", intendo questo:  per esempio, nell'esempio della lotteria in cui Tizio riesce sempre a vincere lo fa sempre in modo fortuito. Supponiamo pure che lo faccia per un'infinità di volte. Da questo io deduco erroneamente che tale "coincidenza" non sia un semplice "colpo di fortuna" ma che ci sia un legame "strutturale" tra Tizio e le estrazioni della lotteria. Chiaramente, secondo me, possiamo pensare che "il colpo di fortuna" avvenga sempre. Tuttavia mentre il "legame strutturale" implicherebbe che Tizio becca sempre i numeri giusti, se è vera la "generalizzazione accidentale" allora non c'è alcun legame tra i due, ma ogni volta Tizio è fortunato.
Non vedi veramente differenza? Quello che sto dicendo, in sostanza, è che se anche avessi un'infinità di prove sperimentali in cui risulta che le mele cadono (e quindi un'infinità di volte ho una "verifica" dell'ipotesi dell'esistenza della forza di gravità) non posso concludere logicamente che ci sia una "forza di gravità", ovvero una "necessità strutturale". Anche con un'infinità di esperimenti, in sostanza, non potrò mai sapere se ho davanti una "necessità strutturale" (=c'è la forza di gravità) o una mera "generalizzazione accidentale" (io concludo erroneamente che c'è la forza di gravità, ma in realtà la mela cade sempre "per caso").

CitazioneSe per definizione per Bohr le "grandezze fisiche" più che "proprietà (solo) dell'oggetto" sono, in realtà, proprietà dell'oggetto osservato ,ovvero dell'oggetto in un determinato contesto, allora si tratta di un assunto arbitrario, soggettivo di Bohr (condiviso per convenzione da chi segue in questo Bohr); allora ciò significa che arbitrariamente, soggettivamente Bohr si interessa solo dell'oggetto in quanto osservato, ovvero dell' oggetto in un determinato contesto.
Per Bohr non puoi conoscere l'oggetto quando non è osservato. L'unico contesto in cui riesci a studiare l'oggetto è al momento della misura. All'infuori dell'atto della misura non è possibile parlare di proprietà come "la posizione" o "la quantità di moto" ecc


CitazioneE non che necessariamente si tratta oggettivamente di proprietà solo dell' oggetto in quanto osservato, ovvero solo dell' oggetto in un determinato contesto e non anche dell' oggetto indipendentemente dal fatto che sia osservato o meno (il che a mio parere é per lo meno meglio correlato con l' intersoggettività delle osservazioni: se sempre e comunque chiunque compia le "opportune" osservazioni inderogabilmente rileva le stesse identiche medesime caratteristiche -misure- allora per me vuol dire che qualcosa di reale c' é, accade indipendentemente dalle eventuali osservazioni o meno, che infatti non possono in alcun modo mutarlo; per spiegarlo, in alternativa, si potrebbe forse ricorrere ad una per me oscura e un po' misteriosa "armonia in un qualche modo o senso prestabilita" fra le osservazioni).

Bohr non nega l'intersoggettività, visto che gli esperimenti vengono svolti allo stesso modo dai fisici. Non è un "relativista", bensì accetta l'inter-soggettività della misura. Anzi, per Bohr la base dell'intersoggettività scientifica è proprio dovuta al fatto che gli esperimenti vengono svolti allo stesso modo. Bohr non ha mai negato questo. Quello che ha negato è che noi possiamo conoscere la realtà anche quando non può essere osservata. In sostanza rilevi le stesse caratteristiche perchè esegui la misura allo stesso modo.








Risposta a @Il_Dubbio

1) chiedo perdono, mi sono espresso male. "Prima di incontrarsi" nel mio messaggio significava "prima che avviene la comunicazione". In sostanza quello che volevo dire è che se Alice esegue la misura, legge il risultato e invia le informazioni a Bob, Bob leggerà il risultato della sua misura prima che arrivi il messaggio di Alice.

2) Indipendentemente dall'interpretazione in uno stato quantistico entangled, formato da due particelle, vige la non-separabilità. Lo stato entangled non può essere considerato come la semplice "somma" delle due parti. Nell'interpretazione di Copenaghen se Alice e Bob effettuano una misura, il pacchetto d'onda collassa e si trovano dei risultati. Questi risultati, però sono correlati. Tuttavia a differenza dell'interpretazione di Bohm l'interazione della misura non fa in modo che ci sia un'influenza causale tra le due particelle: se i due osservatori comunicano i loro risultati allora c'è influenza causale ma solo tra gli osservatori.

3) Bell ha escluso che ci siano interpretazioni della meccanica quantistica con variabili nascoste (che accettano la definitezza controfattuale) locali e non superdeterministiche.

4) esatto, la misura è l'interazione tra l'apparato e il sistema quantistico svolta in un certo modo.

Risposta a @iano

Non credo che con questa tua nuova definizione guadagniamo molto, a meno che tu dici che le particelle occupano un volume infinito di spazio. Ma in tal caso non eviti la non-località! :)
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

iano

#140
@Apeiron
Si , le particelle possiamo dire per comodità che occupano l' intero spazio , ma si comportano come occupassero un insieme finito di punti.
Mi pare manchi una definizione esplicita di particelle , mentre ve ne sono diverse di fatto , cioè di tipo operativo ,quindi in potenziale contraddizione fra loro.
Se devo dire qual'e' il confine di una particella in assoluto ho difficoltà a dirlo.
In tal senso dico che la particella occupa tutto lo spazio , perché mi sembra la cosa più sensata da dire.
Poi in relazione al l'esperimento in cui la particella è coinvolta posso convenientemente considerare uno spazio ridotto per essa , che può ridursi fino a un punto.
Mi pare si tratti del percorso mentale inverso a quello a cui l'emtenglement ci ha costretti.
Forse non è neanche niente di nuovo.
Un campo non ha limiti spaziali , tuttavia credo si possano individuare dei punti che ci permettano di descriverlo e di trattarlo.
Non so' come si faccia a creare nuovi concetti, perché non so' come si sono creati i vecchi .
Così non resta che provare a scindere e ricomporre , unificandoli , vecchi concetti.
Questo è sempre possibile farlo , in quanto i concetti , pur nascendo d all'interazione con la realtà, ne sono indipendenti.
Questa può sembrare una operazione dissacrante ed in effetti lo è .
Non si tratta di un dissacrare per il gusto di farlo però , né' per il gusto di stupire.
Si tratta di mettere su una fabbrica di concetti nuovi che però non avranno più nulla di sacro.
Perché se la sacralità fosse l'abitudine ad una convenzione, non sembra che la dinamica recente delle scoperte scientifiche ci darà abbastanza tregua per ricrearla.
Credere a ciò che di fatto è una convenzione è un confort a cui dovremo rinunciare.
Credere tutti insieme alle stesse cose è possibile se si ha il tempo di accordarsi , e anche il tempo di dimenticarsi che si tratta di un accordo.
Sacro è ciò della cui costruzione non si ha coscienza , o di cui si è persa memoria.
Non è tanto che conserviamo memoria dei processi che ci coinvolgono.
Forse non ci riflettiamo abbastanza.
Forse ci saranno anche cose che appaiono dal nulla , ma non sono quelle che appaiono a noi.
Ciò che appare a noi ha sempre una costruzione anche quando ci sembra come apparire dal nulla.
In che modo abbiamo costruito le particelle?
L'unico modo indiretto per saperlo è provare a decostruirle, e l'entenglememt mi pare ci inviti a fare ciò.
Il concetto di particella sembra fondamentale rispetto allo spazio , quindi ciò che è da mettere in discussione è la particella non la località , e quindi semmai  indirettamente la località'
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

sgiombo

#141
Citazione di: Apeiron il 14 Maggio 2018, 23:00:23 PM
CitazionePurtroppo mi sembra proprio che si continui a girare a vuoto, senza arrivare a un minimo di comprensione reciproca.

Risposta a @sgiombo:

1) su t'Hooft e Bohm. Qui, credo, stiamo andando alla radice del dissidio  ;)  prima di continuare la discussione su questo tema ti chiedo due domande: secondo te c'è una corrispondenza biunivoca tra come avvengono gli eventi e le regolarità per cui avvengono? Per te c'è una distinzione tra "generalizzazione accidentale" e "necessità strutturale"?

Con la distinzione tra "generalizzazione accidentale" "necessità strutturale", intendo questo:  per esempio, nell'esempio della lotteria in cui Tizio riesce sempre a vincere lo fa sempre in modo fortuito. Supponiamo pure che lo faccia per un'infinità di volte. Da questo io deduco erroneamente che tale "coincidenza" non sia un semplice "colpo di fortuna" ma che ci sia un legame "strutturale" tra Tizio e le estrazioni della lotteria. Chiaramente, secondo me, possiamo pensare che "il colpo di fortuna" avvenga sempre. Tuttavia mentre il "legame strutturale" implicherebbe che Tizio becca sempre i numeri giusti, se è vera la "generalizzazione accidentale" allora non c'è alcun legame tra i due, ma ogni volta Tizio è fortunato.
CitazioneMi sembra un (preteso) discorso senza senso.
Perché vi sia (reale possibilità di) conoscenza scientifica (vera), e non di mera conoscenza particolare-concreta, "episodica" o aneddottica, occorre che il divenire (naturale materiale) sia ordinato secondo modalità generali astratte (astraibili dai particolari concreti da parte del pensiero conoscente) universali e costanti che stabiliscano, determinino una concatenazione (genuinamente) causale degli eventi.
E questo in generale e a priori.
E, come ci ha insegnato David Hume, questo non é razionalmente fondabile, né su un ragionamento o deduzione dimostrabile a priori, né su una constatazione o verifica empirica rilevabile a posteriori.
Premessa questa conditio sine qua non della conoscenza scientifica (se essa é vera), allora possono darsi sostanzialmente due casi alternativi: che si dia una conoscenza vera di reali concatenazioni causali di eventi, oppure che si rilevino mere correlazioni casuali di eventi.
Non é a priori né a posteriori possibile essere certi del primo caso (Hume!), mentre é possibile esserlo del secondo (solamente) a posteriori, cioè rilevando empiricamente casi che falsificano la concatenazione causale precedentemente considerata, derubricandola a mera correlazione casuale; ma nessuna dimostrazione del secondo é comunque possibile.
Cioé a priori, ossia in assenza di falsificazione empirica a posteriori, non si può assolutamente distinguere in alcun modo fra questi due casi: l' unica distinzione possibile può darsi solo a posteriori e unicamente nei casi di falsificazione empirica della concatenazione causale in precedenza erroneamente considerata (in seguito a e in conseguenza dell' osservazione -ovviamente "solidamente" confermata con adeguato rigore- di un caso che non vi si adegui): prima nulla ci consente di superare il dubbio in proposito (che si tratti di vere considerazioni di concatenazioni causali autentiche o di mere sequenze fortuite di eventi).
Dunque l' unica distinzione tra "generalizzazione accidentale" e "necessità strutturale" nelle sequenze di eventi può (eventualmente) essere fatta a posteriori nei casi di falsificazione della seconda ipotesi e conferma empirica della prima.
Al di fuori di questi casi non vi é nulla, nessun criterio epistemologico che ci possa consentire di discernere le due ipotesi circa le sequenze di eventi considerate (qualsiasi sequenza di eventi si consideri).
Credo che questo concetto ossa esprimersi anche con la locuzione (se la intendo correttamente):
<< a priori esiste una perfetta corrispondenza biunivoca [= indiscernibilità] tra come avvengono gli eventi e le regolarità per cui avvengono; ovvero non esiste alcuna distinzione possibile tra "generalizzazione accidentale" e "necessità strutturale", sempre tranne nei casi (eventuali) di falsificazione empirica a posteriori >>.

Fintanto che Tizio persiste imperterrito, col suo "culo sperverso" (come pittorescamente dicevamo quando eravamo giovani), a vincere alla lotteria, non é falsificata l' ipotesi che viga la legge di natura "della puntuale vittoria di Tizio" (che ci sia un qualche meccanismo finora ignoto, magari non locale, che ne determini la verità; sul che "hypotheses non fingo", Newton), esattamente come non la é qualsiasi legge fisica circa la quale non si sia rilevata empiricamente a posteriori un' osservazione che non vi si adegui.
Solo (se e) quando Tizio finalmente perderà questa "legge di natura" sarà falsificata: prima non c' é assolutamente nulla che la differenzi dalla legge di Coulomb sull' elettricità, dalla seconda legge della dinamica di Newton sui rapporti fra forza, massa e accelerazione o da quella relativistica sulle proporzioni delle trasformazioni della materia da massa a energia e viceversa, ecc.
O almeno io non ne vedo.
Se tu riesci a trovarne, fammi sapere (e te ne sarò infinitamente grato).

Dunque, Chiaramente, secondo me, non possiamo pensare che "il colpo di fortuna" avvenga sempre: semplicemente non avrebbe senso; infatti che possa non trattarsi di reale concatenazione causale, sempre falsificabile "alla prossima osservazione empirica" é una regola generale (Hume!) che vale sempre e comunque, qualsiasi correlazione sequenziale di eventi (non falsificata, ovviamente) si consideri, del tutto indifferentemente, in modo assolutamente indistinguibile.

Non vedi veramente differenza? Quello che sto dicendo, in sostanza, è che se anche avessi un'infinità di prove sperimentali in cui risulta che le mele cadono (e quindi un'infinità di volte ho una "verifica" dell'ipotesi dell'esistenza della forza di gravità) non posso concludere logicamente che ci sia una "forza di gravità", ovvero una "necessità strutturale". Anche con un'infinità di esperimenti, in sostanza, non potrò mai sapere se ho davanti una "necessità strutturale" (=c'è la forza di gravità) o una mera "generalizzazione accidentale" (io concludo erroneamente che c'è la forza di gravità, ma in realtà la mela cade sempre "per caso").
CitazioneFirmato: David Hume.

Se quanto hai scritto ha un senso, allora non può significare nient' altro che semplicemente potrà darsi che il prossimo esperimento (sempre: il prossimo esperimento quanti che siano i precedenti) mi mostrerà che la mela, staccatasi dal ramo, non cade al suolo (Hume docet!).

E alle ultime parole fra parentesi non riesco ad attribuire assolutamente alcun senso: perché "erroneamente"? Per "esistenza della forza di gravità" non si intende altro (semplificando alquanto il concetto) che finora le mele sono sempre cadute.
E se Anche con un'infinità di esperimenti, in sostanza, non potrò mai sapere se ho davanti una "necessità strutturale" [=c'è la forza di gravità] o una mera "generalizzazione accidentale", allora in realtà il "cadere sempre per caso" della mela e il "suo cadere per la forza di gravità", a quanto ci risulta, "fino a prova (empirica a posteriori) contraria", sono locuzioni perfettamente sinonime, indistinguibili (salvo differenze di significato che vorrei mi fossero illustrate), e il confondere l' una con l' altra per definizione non costituisce affatto un errore (casomai lo potrebbe costituire solo dopo falsificazione della prima).

Ovvero concluderesti erroneamente che c' é la forza di gravità sole se (contrariamente all' ipotetica premessa considerata, dunque "per assurdo", "ammesso e  non concesso") prima o poi osservassi che la mela, staccandosi dal ramo, sale in cielo o rimane sospesa a mezz' aria.

CitazioneSe per definizione per Bohr le "grandezze fisiche" più che "proprietà (solo) dell'oggetto" sono, in realtà, proprietà dell'oggetto osservato ,ovvero dell'oggetto in un determinato contesto, allora si tratta di un assunto arbitrario, soggettivo di Bohr (condiviso per convenzione da chi segue in questo Bohr); allora ciò significa che arbitrariamente, soggettivamente Bohr si interessa solo dell'oggetto in quanto osservato, ovvero dell' oggetto in un determinato contesto.
Per Bohr non puoi conoscere l'oggetto quando non è osservato. L'unico contesto in cui riesci a studiare [per lo meno nel senso di: osservare direttamente, N.d.R.] l'oggetto è al momento della misura.
CitazioneQuesto non solo per Bohr, ma per chiunque.

All'infuori dell'atto della misura non è possibile parlare di proprietà come "la posizione" o "la quantità di moto" ecc.
CitazionePer Bohr (e arbitrariamente)!

Ma non per me (in buona compagnia: di Einstein, Schroedinger, de Broglie, Bohm, Bell e tanti altri).

Citazione di: Apeiron il 14 Maggio 2018, 23:00:23 PM

CitazioneE non che necessariamente si tratta oggettivamente di proprietà solo dell' oggetto in quanto osservato, ovvero solo dell' oggetto in un determinato contesto e non anche dell' oggetto indipendentemente dal fatto che sia osservato o meno (il che a mio parere é per lo meno meglio correlato con l' intersoggettività delle osservazioni: se sempre e comunque chiunque compia le "opportune" osservazioni inderogabilmente rileva le stesse identiche medesime caratteristiche -misure- allora per me vuol dire che qualcosa di reale c' é, accade indipendentemente dalle eventuali osservazioni o meno, che infatti non possono in alcun modo mutarlo; per spiegarlo, in alternativa, si potrebbe forse ricorrere ad una per me oscura e un po' misteriosa "armonia in un qualche modo o senso prestabilita" fra le osservazioni).

Bohr non nega l'intersoggettività, visto che gli esperimenti vengono svolti allo stesso modo dai fisici. Non è un "relativista", bensì accetta l'inter-soggettività della misura. Anzi, per Bohr la base dell'intersoggettività scientifica è proprio dovuta al fatto che gli esperimenti vengono svolti allo stesso modo. Bohr non ha mai negato questo. Quello che ha negato è che noi possiamo conoscere la realtà anche quando non può essere osservata. In sostanza rilevi le stesse caratteristiche perchè esegui la misura allo stesso modo.

CitazioneInfatti non ho sostenuto che Bohr nega l' intersoggettività, ma invece che la spiega molto peggio (quantomeno!) dei "deterministi della variabili nascoste": se sappiamo che la realtà é in un certo, unico modo (unico per tutti i potenziali osservatori, e anche eventualmente senza osservatore alcuno) anche quando non é osservata, allora l' intersoggettività delle (eventuali) osservazioni é ovvia, non pone alcun problema; mentre secondo me così non é (salvo ricorrere a una vaga e fumosa "armonia prestabilita" fra gli eventuali osservatori di leibniziana memoria) se la realtà quando non é osservata non (esiste e non) é in un certo, unico modo (unico per tutti i potenziali osservatori; e tale anche se non fosse osservata), ma viene ad esserlo, lo diviene solo se e quando é osservata.








Risposta a @Il_Dubbio

2) Indipendentemente dall'interpretazione in uno stato quantistico entangled, formato da due particelle, vige la non-separabilità. Lo stato entangled non può essere considerato come la semplice "somma" delle due parti. Nell'interpretazione di Copenaghen se Alice e Bob effettuano una misura, il pacchetto d'onda collassa e si trovano dei risultati. Questi risultati, però sono correlati. Tuttavia a differenza dell'interpretazione di Bohm l'interazione della misura non fa in modo che ci sia un'influenza causale tra le due particelle: se i due osservatori comunicano i loro risultati allora c'è influenza causale ma solo tra gli osservatori.
CitazioneVige realmente la non separabilità?
Ma se la misura la fa (realmente) uno solo dei due (Bob) e può parlarsi (per i "Danesi") di realtà solo a proposito di ciò che é direttamente osservato, allora a che cosa (di reale) é correlato il risultato da lui (Bob) rilevato?
Se c' é realmente una correlazione fa caratteristiche reali del mondo (intersoggettiva), anche indipendentemente da eventuali osservazioni (o meno), allora ovviamente si tratta di una correlazione reale.
Ma invece quale correlazione reale può esserci fra il risultato effettivamente rilevato da Bob (reale) e quello non rilevato da Alice (solo potenziale, non attualmente reale; che ci sarà solo se e quando Alice compirà la sua osservazione)?

3) Bell ha escluso che ci siano interpretazioni della meccanica quantistica con variabili nascoste (che accettano la definitezza controfattuale) locali e non superdeterministiche.
CitazioneMa non mi sembra (potrei sbagliarmi perché la mia conoscenza in materia é limitatissima) che Bell parli di "[buon vecchio] determinismo" e non di "superdeterminismo".



Il_Dubbio

Citazione di: Apeiron il 14 Maggio 2018, 23:00:23 PM


Risposta a @Il_Dubbio

1) chiedo perdono, mi sono espresso male. "Prima di incontrarsi" nel mio messaggio significava "prima che avviene la comunicazione". In sostanza quello che volevo dire è che se Alice esegue la misura, legge il risultato e invia le informazioni a Bob, Bob leggerà il risultato della sua misura prima che arrivi il messaggio di Alice.

2) Indipendentemente dall'interpretazione in uno stato quantistico entangled, formato da due particelle, vige la non-separabilità. Lo stato entangled non può essere considerato come la semplice "somma" delle due parti. Nell'interpretazione di Copenaghen se Alice e Bob effettuano una misura, il pacchetto d'onda collassa e si trovano dei risultati. Questi risultati, però sono correlati. Tuttavia a differenza dell'interpretazione di Bohm l'interazione della misura non fa in modo che ci sia un'influenza causale tra le due particelle: se i due osservatori comunicano i loro risultati allora c'è influenza causale ma solo tra gli osservatori.

3) Bell ha escluso che ci siano interpretazioni della meccanica quantistica con variabili nascoste (che accettano la definitezza controfattuale) locali e non superdeterministiche.

4) esatto, la misura è l'interazione tra l'apparato e il sistema quantistico svolta in un certo modo.

Ciao Aperion scusa il ritardo della risposta :)

Allora, quello che dici con la 2),soprattutto nella frase che ho sottolineato, e la numero 4) c'è una reale contraddizione.
L'influenza causale tra apparato di misura e sistema quantistico non può essere messo in dubbio. Ovvero se c'è interazione tra apparato di misura e sistema quantistico abbiamo la misura. Per cui c'è bisogno di una interazione (oggettiva) per ottenere una misura. Quindi l'interazione è la causa della misura.
In questo caso la figura degli osservatori e delle loro comunicazioni future passa in secondo piano, in quanto le interazioni sono gia avenute. Se sostieni che la correlazione sia un atto di misura provocato dalla comunicazione  tra i due osservatori, stai (secondo me) sorvolando sul concetto di misura che è un atto preciso ovvero una interazione tra l'apparato e il sistema di misura. Nella comunicazione fra i due osservatori l'apparato non c'è, avviene solo uno scambio di informazione (a voce, o tramite telefono, o anche personalmente) tra due fisici che ovviamente hanno gia fatto le loro misure e quindi hanno gia operato per creare le condizione per fare una misura. Per cui secondo me o è vera la 2) oppure la 3)

Il_Dubbio

@aperion

in aggiunta alla mia risposta precedente ti dico questo:

ammettiamo che io faccio la misura e tu ne fai un'altra da un'altra parte. I nostri sistemi quantistici non sono correlati (questo sembra tu dire con la contraddizione che io leggo) fino a che noi due non siamo in grado di comunicarci le reciproche misure.

Mi è venuto in mente una specie di paradosso. Pensare che la correlazione fra le due informazioni sulle misure nasca nel momento in cui noi riusciamo a comunicare sembra richiamare lo scontro fra due sistemi quantistici. Io sono il sistema quantistico A e tu quello B. Nessuno dei due però è uno strumento di misura. Per cui per dedurre che lo scambio di informazione tra me e te ci sia davvero stato, ci vuole un terzo elemento, un terzo l'osservatore che leggera i riscontri tra le nostre due informazioni. Ma anche questo terzo elemento osservativo è sufficiente per stabilire che lo scambio sia davero avvenuto fino a che non lo comunica ad un quarto osservatore e cosi via discorrendo... alla fine il concetto di misura si perde come in un eco fra le montagne.

Apeiron

#144
Risposta a @Iano,

sollevi un punto interessante, in realtà. E a dire il vero una cosa simile a quella che ti riferisci è la teoria della "funzione d'onda oggettiva" alla Ghirardi-Rimini-Weber o quella di Penrose. Per loro la funzione d'onda realmente collassa. Il problema è che questo tipo di teoria hanno problemi epistemologici non indifferenti. Per esempio non si sa bene come possano conservare l'energia. Inoltre, hanno il problema della non-località.

Anche ciò che stai proponendo tu, in realtà, ha problemi di non località. Se la particella si estende in tutto lo spazio, allora all'"interno" di essa l'informazione viaggia a velocità superluminali, violando la relatività. L'alternativa sarebbe quella di estenderla nello spazio-tempo ma non cambierebbe molto: ci sarebbe ancora la non-località e bisognerebbe rinunciare alla relatività ristretta o addirittura bisogrebbe abbracciare la nozione di "retrocausalità". Personalmente sicccome credo che la relatività sia "giusta" e allo stesso tempo però non credo alla retrocausalità, non riesco ad accettare la non-località in ogni sua forma.

Comunque la tua idea è interessante! E in realtà ci sono vari fisici che pensano che lo spazio sia meno fondamentale delle particelle. In questo caso la tua teoria sarebbe molto vicina a tali posizoni.


Risposta a @sgiombo

Ti rispondo in modo conciso sulle tre prinicipali questioni che hai messo in luce.

Primo: sia Bohm che t'Hooft sono deterministi e accettano la "definitezza controfattuale". Ergo, per entrambi a livello "ultimo" il colpo di fortuna non esiste, così come non esiste per un Newtoniano. Però a livello pratico si può parlare di colpo di fortuna quando, per esempio, sono nel caso della lotteria. Se io vinco sempre allora significa: 1) o che l'evoluzione deterministica dell'universo ha fatto in modo che succeda così, 2) c'è una "connessione" tra me e il sistema di vincite, magari non osservabili in alcun modo (= non scientificamente osservabile!!!) che mi fa vincere sempre. Vediamo che le mele cadono dagli alberi. Questo significa che: 1) l'evoluzione deterministica dell'universo ha fatto in modo che succeda così 2) esiste la gravità e quindi un effettivo legame tra la mela e la Terra. Supponendo però che non ci sia alcun modo sperimentale che ci possa far "vedere" la gravità, non è possibile falsificare una o l'altra. Bohm, in sostanza dice che c'è la "gravità" (ovvero l'interazione non-locale) e t'Hooft dice che non c'è - entrambi concordano che non c'è alcun esperimento scientifico che possa farci decidere chi ha ragione. Va meglio così? (sinceramene non credo di riuscire a spiegarmi meglio - secondo me la confusione tra noi due è che mentre io mi riferisco a metodi "sperimentali" di falsificazione, tu ti riferisci all'epistemologia. Ma a priori ci potrebbero essere modi non-scientifici (per esempio una conoscenza "sovrumana" o "paranormale") che ci permeterebbe di falsificare una delle due teorie...). Tra le due preferisco la versione di Bohm, perchè in questo caso la connessione mi sembra più "naturale" se si accettano le variabili nascoste.

Secondo: posso anche concordare con le tue perplessità su Bohr. Anche io ho problemi seri ad accettare che l'inter-soggettività è spiegata in quel modo. Ma d'altro canto accettare sia la relatività ristretta che la teoria di Bohm significa accettare la "retrocausalità". Se non accetto né la teoria di Bohm né quella di Bohr allora potrei pensare ai molti mondi. Ma la teoria dei molti mondi, sinceramente, mi sembra una non-risposta. Ce ne sono anche altre che però rifiutano il "realismo" (sia quello "classico" di Einstein, ovvero la "definitezza controfattuale" che quello dei molti mondi) come la teoria di Rovelli, la quale però è perfettamente compatibile con la relatività. Ovviamente se uno non può rinunciare a certi assiomi non può accettare una teoria. Per esempio tu non puoi fare a meno della "definitezza controfattuale", io invece ho seri problemi con la non-località.

Terzo: per "non-separabilità" si intende semplicemente che il sistema non puoi non considerarlo come uno. Questo lo accettano tutte le interpretazioni in varia misura, a parte t'Hooft. Per Bohm la non-separabilità è naturale. Per i "danesi" invece visto che le proprietà esistono solo all'atto della misura la correlazione non c'è tra "le proprietà". Ma questo, usando il gergo Aristotelico, è vero solo in atto. In atto non c'è alcun "vero legame" tra le due particelle. Però c'è in potenza. Alice sa che se ottiene un risultato, Bob ne ottiene un altro. Ma questo non implica che ci sia una vera "connessione" in atto, ma solo in potenza.  Dal punto di vista di Copenaghen puoi pensarla così. Hai due calzini. Quando li osservi possono avere quattro colori: rosso, blu, giallo e verde. Per qualche strano motivo però sai che se i due calzini sono accoppiati può succedere che "li invii" a due tuoi amici, Alice e Bob questi osserveranno solo la coppia "rosso-blu" oppure "giallo-verde". Ma questo lo possono predire anche Alice e Bob. Alice osserva il calzino e vede che è "rosso", quindi sa che Bob le dirà che lui ha osservato un calzino blu. La differenza coi calzini reali è che al'infuori dell'osservazione i colori solo in potenza.


Risposta a Il_Dubbio

CitazioneL'influenza causale tra apparato di misura e sistema quantistico non può essere messo in dubbio. Ovvero se c'è interazione tra apparato di misura e sistema quantistico abbiamo la misura. Per cui c'è bisogno di una interazione (oggettiva) per ottenere una misura. Quindi l'interazione è la causa della misura.
Quello che intendevo era che l'influenza causale tra i sistemi distanti si riduce solo alla comunicazione degli osservatori. Effettivamente quanto ho scritto poteva essere visto come una negazione dell'interazione che corrisponde alla misura. Come ben dici nessuno nega ciò. Hai fatto bene a farlo notare! Perdona l'equivoco.

CitazioneSe sostieni che la correlazione sia un atto di misura provocato dalla comunicazione  tra i due osservatori, stai (secondo me) sorvolando sul concetto di misura che è un atto preciso ovvero una interazione tra l'apparato e il sistema di misura. Nella comunicazione fra i due osservatori l'apparato non c'è, avviene solo uno scambio di informazione (a voce, o tramite telefono, o anche personalmente) tra due fisici che ovviamente hanno gia fatto le loro misure e quindi hanno gia operato per creare le condizione per fare una misura. Per cui secondo me o è vera la 2) oppure la 3)
Questo per me invece è un non-sequitor. Gli atti di misura sono "atti precisi", ma sono atti che avvengono anche in uno spazio e in un contesto preciso. La misura è una interazione tra l'apparato di misura e il sistema quantistico. Ma il fatto che i risultati delle due misure sono correlati e ottenuti con atti precisi non implica che tra di loro ci sia una connessione. Implica solo la correlazione. L'eventuale interazione tra i due osservatori (o tra i due apparati o tra i due sistemi) avviene sempre a velocità subluminali. Discorso diverso è se accetti la "definitezza controfattuale" (il realismo Einsteiniano), in tal caso, invece, non riesci a spiegare la correlazione senza una connessione (a meno che non scegli la non-spiegazione superdeterministica).

Citazioneammettiamo che io faccio la misura e tu ne fai un'altra da un'altra parte. I nostri sistemi quantistici non sono correlati (questo sembra tu dire con la contraddizione che io leggo) fino a che noi due non siamo in grado di comunicarci le reciproche misure.

La correlazione c'è anche prima, ma è una correlazione tra risultati di potenziali risultati di misura. (vedi anche la discussione con @sgiombo). Bohr accetta tale correlazione. Non accetta però che la correlazione sia sempre in atto (conseguenza del realismo Einsteiniano). Inoltre il fatto che all'atto della misura i risulati siano effettivamente "correlati" come atteso non implica la connessione (vedi l'esempio dei calzini che ho fatto a @sgiombo in questo post).

Spero di aver chiarito l'equivoco  :)



Citazionescusa il ritardo della risposta

No problem  :)  come vedi anche le mie risposte sono abbastanza lente!

Per tutti: "reale" significa "in atto" per i fisici. La fisica non si interessa dello status ontologico delle proprietà "in potenza", qualunque esso sia.
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

Il_Dubbio

Citazione di: Apeiron il 19 Maggio 2018, 12:43:30 PM

Risposta a Il_Dubbio

CitazioneL'influenza causale tra apparato di misura e sistema quantistico non può essere messo in dubbio. Ovvero se c'è interazione tra apparato di misura e sistema quantistico abbiamo la misura. Per cui c'è bisogno di una interazione (oggettiva) per ottenere una misura. Quindi l'interazione è la causa della misura.
Quello che intendevo era che l'influenza causale tra i sistemi distanti si riduce solo alla comunicazione degli osservatori. Effettivamente quanto ho scritto poteva essere visto come una negazione dell'interazione che corrisponde alla misura. Come ben dici nessuno nega ciò. Hai fatto bene a farlo notare! Perdona l'equivoco.

CitazioneSe sostieni che la correlazione sia un atto di misura provocato dalla comunicazione  tra i due osservatori, stai (secondo me) sorvolando sul concetto di misura che è un atto preciso ovvero una interazione tra l'apparato e il sistema di misura. Nella comunicazione fra i due osservatori l'apparato non c'è, avviene solo uno scambio di informazione (a voce, o tramite telefono, o anche personalmente) tra due fisici che ovviamente hanno gia fatto le loro misure e quindi hanno gia operato per creare le condizione per fare una misura. Per cui secondo me o è vera la 2) oppure la 3)
Questo per me invece è un non-sequitor. Gli atti di misura sono "atti precisi", ma sono atti che avvengono anche in uno spazio e in un contesto preciso. La misura è una interazione tra l'apparato di misura e il sistema quantistico. Ma il fatto che i risultati delle due misure sono correlati e ottenuti con atti precisi non implica che tra di loro ci sia una connessione. Implica solo la correlazione. L'eventuale interazione tra i due osservatori (o tra i due apparati o tra i due sistemi) avviene sempre a velocità subluminali. Discorso diverso è se accetti la "definitezza controfattuale" (il realismo Einsteiniano), in tal caso, invece, non riesci a spiegare la correlazione senza una connessione (a meno che non scegli la non-spiegazione superdeterministica).

Citazioneammettiamo che io faccio la misura e tu ne fai un'altra da un'altra parte. I nostri sistemi quantistici non sono correlati (questo sembra tu dire con la contraddizione che io leggo) fino a che noi due non siamo in grado di comunicarci le reciproche misure.

La correlazione c'è anche prima, ma è una correlazione tra risultati di potenziali risultati di misura. (vedi anche la discussione con @sgiombo). Bohr accetta tale correlazione. Non accetta però che la correlazione sia sempre in atto (conseguenza del realismo Einsteiniano). Inoltre il fatto che all'atto della misura i risulati siano effettivamente "correlati" come atteso non implica la connessione (vedi l'esempio dei calzini che ho fatto a @sgiombo in questo post).

Spero di aver chiarito l'equivoco  :)

mi spiace ma non ti seguo. Rispondo su questo:
La correlazione c'è anche prima, ma è una correlazione tra risultati di potenziali risultati di misura. Bohr accetta tale correlazione. Non accetta però che la correlazione sia sempre in atto (conseguenza del realismo Einsteiniano).

Non posso condividere questa linea, in quanto la correlazione in atto non è una conseguenza del realismo einsteniano perchè l'abbiamo gia eliminata dopo il teorema di Bell ed esperimenti (ma Bohr ed Einstein non sono stati testimoni di questa evoluzione). Al limite Bohr non accetterebbe che vi sia invio di informazione, ma quello è ciò che einstein vuole dimostrare. Il fatto che vi sia correlazione è conseguenza del fatto che vi sia scambio di informazione. Se elimini lo scambio di informazione senza spiegare in che modo riescano ad essere correlati non hai spiegato nulla. Eliminare la spiegazione non vuol dire spiegare. Oppure diciamo: la scienza non vuole spiegare perche non sa spiegare. A me questo risvolto piace di piu che una soluzione che si priva di una soluzione.

Comunque sia, essere in atto non vuol dire che sia precedente all'atto di misura come avrebbe voluto Einstein, ma è comunque in atto nel senso di conseguenza delle misure effettuate. Quindi la correlazione c'è  potenzialmente è vero e siamo d'accordo.  A noi però non importa la potenzialità della correlazione, ci interessa che essa sia dovuta alla misura e no a scambi di informazioni fra osservatori. Se posticipi l'atto della correlazione, ovvero come sarebbe piu giusto cioè dopo la misura che ne è l'unico momento scientificamente plausibile, stai soltanto  cancellando la correlazione dovuta all'atto di misura. Non è piu una correlazione causale ma ipotetica. Cioè stai svalutando il motivo per cui le particelle sono entangled. Sono entangled ipoteticamente o la loro correlazione è un atto?
Se dici che è un atto, devi poter specificare l'atto... se l'atto diviene solo quando avviene un'informazione fra due osservatori allora non è vero che la misura delle due particelle abbia rilevanza sulla loro correlazione. Per cui la misura non serve a nulla. Hai cambiato cosi tutta la meccanica quantistica.

Veniamo al dunque. Come ho gia detto la meccanica quantistica si affida alle probabilità. La correlazione esprime una probabilità del  100%. La meccanica quantistica cioè non dice che A manda un segnale a B in modo che sia correlato al 100%. Sostiene solo la certezza di una correlazione.
Ho letto molti esempio che hai fornito. Ad esempio quella della mano che se sbatte contro il muro sente dolore.
In che modo usiamo il concetto di probabilità in questo caso? Un conto è dire che se sbatti la mano contro il muro sentirai dolore e questo è dovuto alla certezza probabilistica che ti ho dato dovuta al 100%, un conto è dire che per essere sicuro di trovarti di fronte alla probabilità del 100% devi sbattere la mano 100 volte e sentire il dolore tutte e 100 volte.
A me sembra che tu stia utilizzando il concetto di probabilità come nel secondo caso. Ovvero: non sono in grado di stabilire di trovarmi difronte alla certezza di una correlazione, devo stabilirlo facendo 100 tentativi. A questo punto utilizzando il criterio della probabilità come l'assunzione di non essere nelle condizioni di poter dire di trovarmi di fronte proprio a quella correlazione, e potendo dedurlo solo statisticamente, non sono in grado di poter stabilire che ci sia una correlazione in atto, per le singole correlazioni,  ma posso dedurlo solo statisticamente. Ho letto bene cio che volevi dire oppure ho travisato?

iano

#146
@Apeiron.
Grazie per le tue pazienti risposte , nonostante io continui a parlare di località e localizzazione come fossero la stessa cosa , e perché continuò di fatto ad andare a ruota libera.☺️
Di Penrose ho un mattone che temo dovro' sbloccare dalla mia libreria , se è vero che il mio post precedente te ne ha richiamato le idee.
Personalmente  non mi permetterei mai di affossare la relatività , ma suggerivo che quando ciò sembra accadere , una nuova definizione di particella ad hoc potrebbe mantenere la relatività in pista.
Una definizione del tipo "una particella è quella cosa all'imterno della quale non si ha trasmissione di informazione" oppure , il che è lo stesso , si trasmette a velocità infinita , preferendo per ovvie ragioni la prima.
Se faccio una qualunque misura sulla particella tutte le funzioni d'onda associate ad essa collassano in contemporanea , perché questa è la natura di una particella.
E,giu anche questa, fra le tante che ho buttato li'.☺️
Se una funzione collassa quando effettuo una misura , chi mi dice che non lo faccia anche senza che io effettui una specifica misura , o una misura in genere.
Quando faccio una misura specifica io non posso sapere se la funzione è collassata a seguito di ciò, o per altra causa.
Quello che so' è che quando faccio una misura mi trovo con una funzione collassata.
In questo modo il concetto di correlazione sarebbe suscettibile di essere esteso ad altri casi.
In effetti nell'esperimento delle due fenditure è come se le particelle avessero una correlazione , che noi rileviamo a posteriori, ma che non sappiamo come è quando si è innescata.
Chi vieta che il collasso di una funzione d'onda inneschi il collasso di altre funzioni d'onda ?
Se questo collasso a catena avviene in un tempo finito , c' trasmissione di informazione  e siamo in presenza di particelle distinte , se avviene in un tempo nullo , siamo di fronte a una singola particella , le cui funzioni associate collassano sempre insieme , senza trasmissione di informazione.
Ovviamente non ho una idea precisa di quanto le stia sparando grosse , ma immagino che se il discorso fila si potrebbe imbastire anche una prova sperimentale.
La correlazione fra misura e collassamento forse ha maglie più larghe di quanto ci è parso bastasse finora.
Più in generale si può ipotizzare che il collassamento di una funzione d'onda associata ad una particella modifichi le funzioni d'onda di altre particelle.
Personalmente non ho difficoltà ad accettare la funzione d'onda come cosa reale , o forse è più corretto dire che se la funzione d'onda non sembra reale, parimenti la MQ mi induce a vedere una particella o un onda come cose non reali , ma astrazioni di cui ci serviamo e che possiamo quindi manipolare alla bisogna ,per far quadrare meglio i risultati sperimentali.
Naturalmente non sono astrazioni gratuite , ma nemmeno intoccabili , e se nascono dalla relazione con la realtà, si dovranno evolvere con l'evoluzione di questa interazione.
In fondo il vero ostacolo a cio ' è la sacralità di certi concetti che in se' non sembra necessaria.
A volte non ci si toglie un abito solo perché poi ci sente nudi , e non perché fa' freddo.
In fondo cosa è la scienza se non la presa di coscienza che fra noi è la realtà c'e' un media?
E da quel poco che ho leggiucchiato di Penrose mi pare egli suggerisca che una critica consapevole a questo media , che però può essere utile solo se praticata dall'interno , valga più di una esaltazione o rigetto che si può ricavare da una osservazione dall'esterno.
Però sono anche convinto che il potere osservare dall'esterno sia solo una illusione , in quanto di fatto noi ci siamo dentro , sia che ne abbiamo coscienza oppure no , ed è quando non ne abbiamo coscienza che ci illudiamo di potercene tirare fuori.
In effetti ci siamo sempre dentro , anche se con approcci diversi e non sempre consapevoli .
Per venire incontro ai detrattori della scienza direi che questa presa di coscienza non si sa' se ci porterà fortuna , ma di fatto è quello che stiamo facendo , e che non ci si può tirare fuori , perché non si tratta di un eventualità che ha avuto un inizio , ma di cosa che di fatto ci accompagna da sempre.
Creiamo teorie fisiche, ma abbiamo creato anche le particelle e il tempo , senza sapere che si trattasse di teorie. Per questo sappiamo cosa siano senza saper dire cosa siano , come gia' aveva osservato S.Agostino.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

sgiombo

#147
Citazione di: Apeiron il 19 Maggio 2018, 12:43:30 PM
Risposta a @sgiombo

Ti rispondo in modo conciso sulle tre prinicipali questioni che hai messo in luce.

Primo: sia Bohm che t'Hooft sono deterministi e accettano la "definitezza controfattuale". Ergo, per entrambi a livello "ultimo" il colpo di fortuna non esiste, così come non esiste per un Newtoniano. Però a livello pratico si può parlare di colpo di fortuna quando, per esempio, sono nel caso della lotteria. Se io vinco sempre allora significa: 1) o che l'evoluzione deterministica dell'universo ha fatto in modo che succeda così, 2) c'è una "connessione" tra me e il sistema di vincite, magari non osservabili in alcun modo (= non scientificamente osservabile!!!) che mi fa vincere sempre. Vediamo che le mele cadono dagli alberi. Questo significa che: 1) l'evoluzione deterministica dell'universo ha fatto in modo che succeda così 2) esiste la gravità e quindi un effettivo legame tra la mela e la Terra. Supponendo però che non ci sia alcun modo sperimentale che ci possa far "vedere" la gravità, non è possibile falsificare una o l'altra. Bohm, in sostanza dice che c'è la "gravità" (ovvero l'interazione non-locale) e t'Hooft dice che non c'è - entrambi concordano che non c'è alcun esperimento scientifico che possa farci decidere chi ha ragione. Va meglio così? (sinceramene non credo di riuscire a spiegarmi meglio - secondo me la confusione tra noi due è che mentre io mi riferisco a metodi "sperimentali" di falsificazione, tu ti riferisci all'epistemologia. Ma a priori ci potrebbero essere modi non-scientifici (per esempio una conoscenza "sovrumana" o "paranormale") che ci permeterebbe di falsificare una delle due teorie...). Tra le due preferisco la versione di Bohm, perchè in questo caso la connessione mi sembra più "naturale" se si accettano le variabili nascoste.
CitazioneSecondo me il determinismo (oggettivo) ammette il (soggettivo) colpo di fortuna (sospendendo il giudizio su t' Hooft, che continuo a purtroppo a non capire, lo ammette il "buon vecchio determinismo" di Newton e di Bohm): in seguito a processi oggettivi perfettamente deterministici il possessore del biglietto con il numero estratto vince alla lotteria per un soggettivo colpo di fortuna: l' evento "vincita" é deterministico ma il vincitore non l' aveva calcolato (non poteva farlo "di fatto", contrariamente all' "Intelligenza" per lui di fatto inesistente di cui parla Laplace, in un passo deformatissimo in maniera intellettualmente disonesta da tanti critici del determinismo), bensì aveva acquistato un biglietto a caso; non sarebbe stato un soggettivo colpo di fortuna se invece il vincitore avesse conosciuto "per filo e per segno", con sufficiente completezza e precisione, lo "stato del mondo" al momento dell' acquisto del biglietto e avesse calcolato per bene in base ad esso e alle leggi del divenire naturale, pure conosciute "per filo e per segno", (come l' "intelligenza" di Laplace) quale numero sarebbe stato estratto e avesse scelto il biglietto recante tale numero.

Se vinco alla lotteria, allora:
O (1) l'evoluzione deterministica dell'universo ha fatto in modo che succeda così una sola volta,
Oppure (2) c'è una "connessione" tra me e il sistema di vincite, magari non osservabili in alcun modo (= non scientificamente osservabile!!!) che mi fa vincere sempre,
Ma allora basta ripetere un po' di volte l' acquisto di un biglietto della lotteria e quando comincerò a perdere l' ipotesi 2 é automaticamente falsificata.
Ma in realtà, come ci ha insegnato David Hume, non c' é alcun modo sperimentale che ci possa far "vedere" [dimostrare logicamente né provare empiricamente] la gravità, né alcun altra legge scientifica (ovvero dimostrare l' ipotesi 2 nel caso di vincite alla lotteria nel 100% dei casi in cui -finora!- ho acquistato un biglietto), mentre c' un modo infallibile per falsificare presunte leggi di natura (compresa la suddetta ipotesi 2): la constatazione empirica di un caso che le violi.
Se si dà determinismo causale, allora non c' é modo di confermare con certezza nessuna ipotesi di concatenazione causale di eventi (Hume), mentre ci potrebbe essere eventualmente il modo di falsificarla; ma fino a che non si falsifica non si può sapere se trattasi di "colpo do fortuna" (comunque deterministico, anche se "una tantum", o meglio: "non comunque","non sempre ed ovunque in determinate circostanze") o di regolarità universale e costante (che accade comunque, sempre ed ovunque, date le sue determinate condizioni) del divenire naturale.
Senza la falsificazione empirica a posteriori della presunta legge di natura con cui era stato confuso un colpo di fortuna, nulla consente di distinguere i due casi di determinazione causale e di correlazione fortuita fra eventi, per il semplice fatto che sempre e comunque qualsiasi legge di natura -nessuna esclusa-  potrebbe essere prima o poi (da un momento all' altro) falsificata (= sono la stessa identica cosa).



Secondo: posso anche concordare con le tue perplessità su Bohr. Anche io ho problemi seri ad accettare che l'inter-soggettività è spiegata in quel modo. Ma d'altro canto accettare sia la relatività ristretta che la teoria di Bohm significa accettare la "retrocausalità". Se non accetto né la teoria di Bohm né quella di Bohr allora potrei pensare ai molti mondi. Ma la teoria dei molti mondi, sinceramente, mi sembra una non-risposta. Ce ne sono anche altre che però rifiutano il "realismo" (sia quello "classico" di Einstein, ovvero la "definitezza controfattuale" che quello dei molti mondi) come la teoria di Rovelli, la quale però è perfettamente compatibile con la relatività. Ovviamente se uno non può rinunciare a certi assiomi non può accettare una teoria. Per esempio tu non puoi fare a meno della "definitezza controfattuale", io invece ho seri problemi con la non-località.
CitazioneTi pregherei di illustrarmi come accettare sia la relatività ristretta che la teoria di Bohm significa accettare la "retrocausalità" (= le due teorie sono reciprocamente incompatibili: o é falsa almeno l' una o é falsa almeno l' altra, potendolo al limite essere entrambe, dal momento che lo pseudoconcetto di "retrocausalità" é assurdo).
Peraltro, essendo la non località empiricamente provata (da Aspect e altri), se essa in concomitanza con la relatività ristretta implica la retrocausalità. allora mi sembra che se ne dovrebbe dedurre che la relatività ristretta é falsificata)

Mi sembra che "definitezza controfattuale" sia la stessa cosa di "determinismo" ovvero di "concatenazione causale degli eventi naturali", ovvero di "divenire naturale ordinato secondo modalità universali e costanti astraibili da parte del pensiero conoscente dalle particolarità concrete degli eventi" (se così non é mi appello nuovamente alla tua pazienza per chiederti di spiegarmi anche questo concetto di "definitezza controfattuale"); e che perciò, contrariamente a quella della non località, la sua negazione sia incompatibile -direi "per definizione"- con la conoscenza scientifica.



Terzo: per "non-separabilità" si intende semplicemente che il sistema non puoi non considerarlo come uno. Questo lo accettano tutte le interpretazioni in varia misura, a parte t'Hooft. Per Bohm la non-separabilità è naturale. Per i "danesi" invece visto che le proprietà esistono solo all'atto della misura la correlazione non c'è tra "le proprietà". Ma questo, usando il gergo Aristotelico, è vero solo in atto. In atto non c'è alcun "vero legame" tra le due particelle. Però c'è in potenza. Alice sa che se ottiene un risultato, Bob ne ottiene un altro. Ma questo non implica che ci sia una vera "connessione" in atto, ma solo in potenza.  Dal punto di vista di Copenaghen puoi pensarla così. Hai due calzini. Quando li osservi possono avere quattro colori: rosso, blu, giallo e verde. Per qualche strano motivo però sai che se i due calzini sono accoppiati può succedere che "li invii" a due tuoi amici, Alice e Bob questi osserveranno solo la coppia "rosso-blu" oppure "giallo-verde". Ma questo lo possono predire anche Alice e Bob. Alice osserva il calzino e vede che è "rosso", quindi sa che Bob le dirà che lui ha osservato un calzino blu. La differenza coi calzini reali è che al'infuori dell'osservazione i colori solo in potenza.

CitazioneParlando "a la Aristotete", però, perché qualcosa da potenziale divenga attuale occorre che esistano (realmente e) attualmente (e non solo potenzialmente) condizioni tali che, interagendo o comunque divenendo esse in un determinato modo, il potenziale diviene attuale.
"Potenziale" significa "eventualmente condizionato ad attuarsi", cioè che si attua nel caso la situazione attuale sia tale che accadono determinate condizioni, nel suo divenire (tali per l' appunto da farlo diventare attuale).
In altre parole che ci sia in potenza una connessione fra le due particelle significa che se c' é in atto qualcosa di reale, allora evolvendosi tale "qualcosa" in un certo determinato modo secondo le leggi del divenire naturale, si attua causalmente, deterministicamente la connessione stessa; mentre se tale "qualcosa di reale in atto" non c'é oppure si evolve in un altro modo, allora il mondo si evolve diversamente e la connessione non si attua.
E che ci sia in potenza una connessione fra le osservazioni delle due particelle significa che se c' é in atto qualcosa di reale anche indipendentemente dal fatto che le due particelle siano (realmente) osservate o meno (che sia realmente in atto l' osservazione delle particelle stesse o meno), allora evolvendosi tale "qualcosa" in un certo determinato modo secondo le leggi del divenire naturale, si attua causalmente, deterministicamente una connessione in tale qualcosa di reale anche indipendentemente dal fatto che le due particelle siano (realmente) osservate o meno, tale che nell' ambito delle osservazioni stesse (se e quando si faranno: per l' appunto potenzialmente) si rilevi una determinata correlazione; mentre se tale "qualcosa di reale in atto" non c'é o si evolve diversamente e la connessione reale indipendentemente dalle eventuali osservazioni non si attua, conseguentemente non si attua nemmeno la corrispondente correlazione nell' ambito delle osservazioni stesse delle particelle.

Infatti Alice può dire che il calzino che vedrà Bob sarà blu, avendo visto che il suo é rosso, per il fatto che indipendentemente dalle loro osservazioni esiste realmente e attualmente una coppia di calzini tale che uno é rosso e l' altro é blu, oppure una coppia di calzini tale che uno é giallo e l' altro é verde.
E questo non mi sembra compatibile con "Copenhagen".
Per "Copenhagen" non esiste alcun calzino prima che Bobe Alice compiano la rispettiva osservazione, ed é solo l' osservazione "rosso" di Alice che, oltre a fare esistere il calzino rosso della stessa, farà sì che allorché l' osservazione di Bob farà esistere anche il calzino di quest' ultimo, esso sarà magicamente blu (magicamente in senso letterale, cioè non in conseguenza causale-naturale da parte di qualcosa di reale e realmente naturale, per quanto non osservato, non essendo reale per "Copenhagen" che ciò che é osservato; non in conseguenza di qualcosa di reale e naturale e magari non osservabile in linea di principio -una "variabile nascosta"- ma invece senza alcun reale motivo naturale che lo faccia essere blu anziché verde o giallo o di qualsiasi altro colore: per definizione ciò che non accade per -realmente esistenti-accadenti- cause naturali é sopra- o preter- naturale, cioè divino o magico).



Risposta a Il_Dubbio
La correlazione c'è anche prima, ma è una correlazione tra risultati di potenziali risultati di misura. (vedi anche la discussione con @sgiombo). Bohr accetta tale correlazione. Non accetta però che la correlazione sia sempre in atto (conseguenza del realismo Einsteiniano). Inoltre il fatto che all'atto della misura i risulati siano effettivamente "correlati" come atteso non implica la connessione (vedi l'esempio dei calzini che ho fatto a @sgiombo in questo post).
Come può il fatto che all'atto della misura i risultati siano effettivamente "correlati" come atteso (e non in qualsiasi altro altro modo casuale) non implicare la connessione [una certa, determinata connessione e non una connessione qualsiasi] reale anche indipendentemente dall' eventuale osservazione o meno?
Senza una certa determinata connessione oggettivamente reale anche indipendentemente dall' eventuale osservazione o meno che la determini, la correlazione fra le particelle -creata "sui due piedi" ex nihilo dall' osservazione stessa senza alcun vincolo o condizionamento reale- potrebbe essere (in-) determinata in qualsiasi modo, cioè dovrebbe essere casuale (= essere come é non in conseguenza deterministica causale di alcunché: letteralmente), cioè a volte esserci a volte no, come lanciando una moneta a volte si ottiene "testa" a volte "croce"; oppure a volte essere in un modo a volte in un altro, come lanciando un dado a volte si ottiene "1", a volte "2", a volte "3", ecc.


P.S.: Ovviamente, poiché in questo momento nel forum ti stiamo letteralmente "tartassando" di obiezioni, credo che dobbiamo tutti aver pazienza nell' attendere le tue risposte, come dovrai averne tanta tu per dedicarci il tuo tempo e risponderci.

sgiombo

Citazione di: Il_Dubbio il 19 Maggio 2018, 23:03:13 PM


mi spiace ma non ti seguo. Rispondo su questo:
La correlazione c'è anche prima, ma è una correlazione tra risultati di potenziali risultati di misura. Bohr accetta tale correlazione. Non accetta però che la correlazione sia sempre in atto (conseguenza del realismo Einsteiniano).

Non posso condividere questa linea, in quanto la correlazione in atto non è una conseguenza del realismo einsteniano perchè l'abbiamo gia eliminata dopo il teorema di Bell ed esperimenti (ma Bohr ed Einstein non sono stati testimoni di questa evoluzione).
CitazionePerò ci terrei a precisare che (non si tratta propriamente di un' obiezione) il teorema di Bell e i successivi sperimenti non hanno "eliminato" il realismo (in generale): hanno solo dimostrato che esso impone la non località (casomai hanno eliminato il realismo "einsteiniano" nel senso di "locale").


Al limite Bohr non accetterebbe che vi sia invio di informazione, ma quello è ciò che einstein vuole dimostrare. Il fatto che vi sia correlazione è conseguenza del fatto che vi sia scambio di informazione.
CitazioneA me sembra che a proposito della meccanica quantistica Einstein volesse soprattutto dimostrare l' esistenza di variabili nascoste,
E che Bohm, "alla faccia di von Neumann" che pretendeva il contrario, abbia dimostrato che non si possa dimostrare che non esistono: non si può dimostrare né che esistono, né che non esistono.



Comunque sia, essere in atto non vuol dire che sia precedente all'atto di misura come avrebbe voluto Einstein, ma è comunque in atto nel senso di conseguenza delle misure effettuate. Quindi la correlazione c'è  potenzialmente è vero e siamo d'accordo.  A noi però non importa la potenzialità della correlazione, ci interessa che essa sia dovuta alla misura e no a scambi di informazioni fra osservatori. Se posticipi l'atto della correlazione, ovvero come sarebbe piu giusto cioè dopo la misura che ne è l'unico momento scientificamente plausibile, stai soltanto  cancellando la correlazione dovuta all'atto di misura. Non è piu una correlazione causale ma ipotetica. Cioè stai svalutando il motivo per cui le particelle sono entangled. Sono entangled ipoteticamente o la loro correlazione è un atto?
Citazione(Anche all' attenzione di Apeiron)

Ma come si potrebbe posticipare l' atto della correlazione a dopo la misura e inoltre attribuirla alla misura stessa?

Perché mai la misura di Bob, che crea il calzino blu (prima inesistente per "Copenhagen"), dovrebbe essere correlata alla misura di Alice, che crea il calzino rosso e non invece creare (dal nulla! In assenza di alcunché di reale che possa condizionarne in alcun modo il colore) un calzino di un colore qualsiasi, anziché proprio blu?

Il secondo osservatore crea un calzino di un determinato colore correlato al colore del calzino creato dal primo osservatore in assenza di qualcosa di reale anche indipendentemente dalle osservazioni che condizioni i colori osservati (dei calzini creati con le osservazioni).
Ma questo significa che se invertissimo i tempi delle osservazioni i colori potrebbero (non: dovrebbero; ma tanto basta) essere invertiti: se prima Bob osservasse-creasse il suo calzino, questo potrebbe anche essere rosso (in assenza di alcunché di reale che ne condizioni in un determinato modo il colore) e conseguentemente quello di Alice essere blu.
Ora, che ciascun "calzino" (ovviamente metaforico: ciascuna caratteristica di particelle-onde quantistiche) venga ad esistere realmente allorché osservato (sempre, determinatamente purché si compiano le determinate osservazioni adeguate) mi sembra accettabile (anche se personalmente non lo credo, con Einstain, Bohm, ecc.); ma che le caratteristiche dei calzini reali intersoggettivi possano essere -per quanto reciprocamente correlate in un determinato modo- diverse a seconda dell' ordine cronologico in cui vengono osservati, diventando intersoggettive solo dopo e in conseguenza delle osservazioni, mi sembra inaccettabile.
L' esistenza del "calzino" accadrebbe realmente allorché osservato (sempre, determinatamente purché si compiano le determinate osservazioni adeguate: e "va bene"), ma talune sue caratteristiche (il suo "colore") non sarebbero sempre necessariamente realmente le stesse allorché osservato, ma potrebbero essere diverse a seconda di chi e di quando lo osservasse (essendo solamente sempre le stesse quelle rilevate dal secondo osservatore, determinatamente da quali sono quelle rilevate dal primo). E questo "non mi va bene": la realtà studiata e conosciuta dalle scienza non può avere caratteristiche dipendenti dalle osservazioni soggettive degli eventuali osservatori (non può essere come é oppure in un qualche altro modo dipendentemente dalle eventuali osservazioni), ma. pur potendo esistere o meno a seconda che si compiano o meno osservazioni, per lo meno se osservata dovrebbe presentare caratteristiche indipendenti dalle osservazioni stesse.




Apeiron

Risposta a Il_Dubbio...

lasciami chiarire un paio di cose. Primo: la correlazione "in potenza" a cui mi riferivo è dovuta a come è impostata la teoria di Bohr. Bohr non accetta che si possa parlare in modo sensato di "posizione" all'infuori della misura, quindi dire che le posizioni sono correlate è errato. Ciononostante le particelle sono correlate. In sostanza "non è un caso" che due particelle siano entangled: per esempio possono essere entangled due particelle prodotte durante un decadimento. In questo caso se la particella P decade in P1 e in P2 (due particelle) queste due sono entangled. Visto che sono entangled, sappiamo che i risultati di potenziali misure saranno "correlati". Se pensiamo allo spin (supponendo che possa avere solo due valori) mentre per due particelle indipendenti abbiamo quattro possibili coppie di risultati sperimentali ciascuna con il 25% di probabilità di verificarsi, nel caso di due particelle entangled le coppie di risultati sono due. In sostanza è come se le particelle "si ricordassero" della loro comune origine e che questo "ricordo" facesse in modo che i risultati delle misure sono a loro volta correlati.
Quindi è bene precisare che ci sono, effettivamente due "correlazioni": una è tra le particelle (questa è in atto), l'altra è quella potenziale (che può attualizzarsi o meno) tra i risultati della misura (ovvero la correlazione tra i risultati è potenziale). Ma, come ben dici, perchè ciò succede? Qual è la ragione per cui ciò avviene?


CitazioneOppure diciamo: la scienza non vuole spiegare perche non sa spiegare. A me questo risvolto piace di piu che una soluzione che si priva di una soluzione.
 
Beh, direi che è così! In fin dei conti se seguiamo Bohr, noi studiamo i sistemi quantistici con i concetti classici. E i concetti classici non sono validi all'infuori della misura. Ergo, la teoria di Bohr ammette, per così dire, la propria ignoranza. Tuttavia è chiaro che non essendo le proprietà reali se non all'atto della misura, l'entanglement non può essere spiegato come scambio di informazione.

Secondo: la probabilità. Vorrei fare una precisazione. Nel caso di Bohr il probabilismo è intrinseco. Quindi non è la stessa cosa di misurare la probabilità del lancio di un dado. Su questo credo che concordiamo. In questo caso, intrinsecamente il risultato sarà probabilistico e quindi mi aspetto che, ad esempio, per "come vanno le cose" quando effettuo la misura (nell'esempio di prima) ottengo uno dei due risultati col 50% della probabilità. Viceversa, nel caso di Bohm tale "probabilità" è spiegata esattamente come il caso del lancio dei dadi (ovvero nel secondo caso).

Spero di aver chiarito meglio la questione delle correlazioni. C'è una correlazione "in atto" tra le particelle e una correlazione in potenza tra i risultati delle misure  :) 



Risposta a @iano,

Riguardo a Penrose non dare troppa importanza a quanto dico. Lui è uno dei massimi esperti in relatività generale, quindi sicuramente avrà trovato una soluzione al paradosso (soluzione che avrà i suoi svantaggi).  Comunque se è il mattone che penso (La strada che porta alla realtà), è un eccellente libro di fisica ma è troppo tecnico (così mi hanno detto, per lo meno, visto che io ho avuto la sfortuna e fortuna al tempo stesso di leggere solo qualche pagina...).

Non voglio spegnere il tuo entusiasmo ma se la "trasmissione" o il collasso sono a tempo nullo, ciò è equivalente alla trasmissione a velocità infinita, cosa che è esattamente la non-località. Perciò anche ammettere lo scenario che dici tu non credo che risolverebbe la situazione.

Riguardo alla realtà della funzione d'onda. Se la funzione d'onda è reale per un recente teorema (PBR theorem), sembra che ad essa corrispondono proprietà equamente reali. Se ciò è vero, allora si deve accettare nuovamente la non-località. Se non accetti il "realismo", invece, puoi "salvarti" dicendo che, in realtà, le "particelle quantistiche" non sono né onde né particelle, non hanno posizione, non hanno velocità ecc ma vengono viste come particelle, onde ecc al momento preciso della misura.

Su quanto dici dell'osservazione, sono d'accordo con te. L'osservatore "esterno" è un'astrazione, così come è un'astrazione la particella libera. Come ben dici tu siamo dentro al mondo. Non siamo davvero "separati" da ciò che ci circonda. Ma ahimé, se vogliamo studiare la natura siamo costretti ad usare concetti e i concetti si basano sulla capacità di distinguere, di separare. E di astrarre (ovviamente il "non-dualismo" punta proprio in questa direzione: noi non siamo "distinti" dal resto delel cose. Ma il "non-dualismo" non è formulabile in modo matematico  ;D ).

Risposta a @sgiombo,

sul fatto della non-distinguibilità empirica siamo d'accordo, credo. Quello che volevo dire io è quanto segue. Ci provo in un modo diverso  ;)



Supponiamo di vivere in un universo deterministico, iniziato col Big Bang. Se il determinismo è vero, ogni cosa succede per necessità. Dunque se una mela cade dall'albero possiamo dire che la sua "causa ultima" è la condizione iniziale al Big Bang. Se invece non c'è stato un inizio del tempo, ma l'esistenza non ha inizio (come forse i modelli ciclici suggeriscono) allora tale "causa ultima" non c'è nemmeno. Ad ogni modo, la caduta della mela è parte di un processo molto esteso nel tempo e quindi dire che la Gravità terrestre è la "vera causa" della caduta della mela è una verità parziale. La gravità può essere pensata come la "causa prossima" della caduta della mela, così come è causa prossima la rottura del ramo. Ma se cominciamo a chiederci qual è la causa della rottura del ramo, andiamo molto indietro e quindi possiamo finire per dire che una delle cause della caduta della mela è il fatto che il seme è stato piantato nel terreno (o ci è finito per cause naturali). Ma se ammettiamo l'esistenza della gravità, ovviamente, diciamo che una delle "cause prossime" è la gravità. Viceversa, se la gravità non esistesse in questo universo deterministico la caduta delle mele avviene in un modo che sembra che ci sia la gravità. Quindi, analogamente, t'Hooft nega che ci sia una "causa prossima" che fa trasmettere l'informazione. Personalmente sono piuttosto aperto all'idea che due teorie possano predire gli stessi risultati sperimentali anche se sono costruite in modo che è impossibile falsificare una senza falsificare anche l'altra. Capisco le tue perplessità su questa idea, ma non sono d'accordo con te su questo. Per me ha senso parlare di due teorie diverse anche se non è possibile falsificare una e "confermare" un'altra.

Riguardo alla retrocausalità... per lo stesso motivo per cui ogni trasmissione di informazione a velocità superluminale implica la rretrocausalità. In un riferimento l'evento "arrivo del segnale" precede l'"evento partenza".

@sgiombo, ti rispondo in modo completo al resto delle tue riflessioni appena posso.

Per tutti: spero di aver risposto bene, ho dovuto fare di fretta.
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

Discussioni simili (5)