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Filosofia politica

Aperto da paul11, 08 Novembre 2019, 00:14:24 AM

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paul11

La giustizia

Inizierei dalla giustizia.

Ci sono due forme classiche di giustizia: quella commutativa e quella distributiva.
La commutativa è definita giusta quando lo scambio è di uguale valore. Regola i rapporti dei singoli fra di loro.
La distributiva si ispira all'autorità pubblica dove oneri ed onori sono gli oggetti; ma a ciascuno viene dato a seconda dei criteri che possono cambiare la situazione oggettiva,oppure dei punti di vista, in cui i criteri più comuni sono sono:
- a ciascuno secondo il merito,
- a ciascuno secondo il bisogno,
- a ciascuno secondo il lavoro.

La giustizia commutativa avviene fra due parti: la giustizia distributiva avviene fra tutte le parti.


Non voglio, almeno per ora, scrivere di più.
In funzione dei post che ci saranno, si vedrà.

Nella giustizia distributiva i criteri personalmente li deciderei in questo modo:
1) tutti devono avere un minimo vitale che gli consenta di avere una casa, non necessariamente di proprietà, e i beni e servizi necessari al sostentamento.
2) il criterio del lavoro e del merito sono relazionati. Si dovrebbe decidere che dal più basso salario/stipendio/ rendita, al più alto vi sia un moltiplicatore che non superi una certa cifra remunerativa.
Se ad es. il più basso fosse 1.000 euro netti al mese (per 40 ore di lavoro settimanale), il più alto
non può superare i 5.000 euro. Il moltiplicatore è quindi 5 volte. E' solo un esempio.

Cosa ne pensate? Come concetto di giustizia. Come commutazione e distribuzione.
Il ruolo dei singoli e il ruolo dello stato.
Come si è storicamente, giuridicamente, politicamente e filosoficamente mutato il concetto
nelle forme e dottrine sociali.

Ipazia

Il richiamo alla storia è doveroso, perchè la giustizia è un concetto storicamente determinato. Non  esiste una giustizia "a priori". Concordo anche sull'impostazione della discussione che fin da subito correla la giustizia all' (in)ugualitarismo evidenziando la natura squisitamente sociale del concetto.

I 3 parametri proposti da Paul sono di segno inequivocabilmente marxiano, perchè è in Marx che essi giocano compiutamente il loro ruolo storico-sociale ed emergono sopra la congerie di miti e speculazioni che nel corso dei millenni hanno avvolto il concetto di giustizia e seminato il campo della filosofia politica. Marx li riduce alla questione della natura - classista o meno - della società e da questa sintesi è davvero difficile uscire. Sia praticamente che teoricamente. Almeno finchè non si realizzerà un reale egualitarismo sociale - dei blocchi di partenza - che solo può declinare in maniera diversa la questione della giustizia e dei parametri che la definiscono.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

anthonyi

Citazione di: paul11 il 08 Novembre 2019, 00:14:24 AM
La giustizia

Inizierei dalla giustizia.

Ci sono due forme classiche di giustizia: quella commutativa e quella distributiva.
La commutativa è definita giusta quando lo scambio è di uguale valore. Regola i rapporti dei singoli fra di loro.
La distributiva si ispira all'autorità pubblica dove oneri ed onori sono gli oggetti; ma a ciascuno viene dato a seconda dei criteri che possono cambiare la situazione oggettiva,oppure dei punti di vista, in cui i criteri più comuni sono sono:
- a ciascuno secondo il merito,
- a ciascuno secondo il bisogno,
- a ciascuno secondo il lavoro.

La giustizia commutativa avviene fra due parti: la giustizia distributiva avviene fra tutte le parti.


Non voglio, almeno per ora, scrivere di più.
In funzione dei post che ci saranno, si vedrà.

Nella giustizia distributiva i criteri personalmente li deciderei in questo modo:
1) tutti devono avere un minimo vitale che gli consenta di avere una casa, non necessariamente di proprietà, e i beni e servizi necessari al sostentamento.
2) il criterio del lavoro e del merito sono relazionati. Si dovrebbe decidere che dal più basso salario/stipendio/ rendita, al più alto vi sia un moltiplicatore che non superi una certa cifra remunerativa.
Se ad es. il più basso fosse 1.000 euro netti al mese (per 40 ore di lavoro settimanale), il più alto
non può superare i 5.000 euro. Il moltiplicatore è quindi 5 volte. E' solo un esempio.

Cosa ne pensate? Come concetto di giustizia. Come commutazione e distribuzione.
Il ruolo dei singoli e il ruolo dello stato.
Come si è storicamente, giuridicamente, politicamente e filosoficamente mutato il concetto
nelle forme e dottrine sociali.

Ciao Paul, mi sa che la giustizia distributiva non è rappresentata nella sua complessità. Prima di distribuire, bisogna accentrare e quindi la cosa è un po' più complessa di quella della giustizia commutativa.
Engels diceva: "Da ciascuno in funzione delle proprie capacità, a ciascuno in funzione dei propri bisogni." dimostrandosi cosciente del fatto che non puoi svuotare una brocca di vino nei bicchieri se prima non l'hai riempita.
Poi ci sono i problemi interpretativi, cos'è e come si misura il merito ? Sul bisogno forse è un po' più facile, Sen ci ha scritto sopra più di un libro, questo per dire che poi non è proprio così facile. Il lavoro poi, Marx si illuse di misurarlo con il tempo, certo se gli uomini avessero tutti le stesse capacità e la stessa volontà, ma così non è, oltretutto parlare di lavoro al singolare ha senso ? Ci sono i lavori, fare l'assaggiatore di cioccolata (Il lavoro che preferirei se qualcuno me lo offrisse) non è esattamente lo stesso di lavorare in fonderia.
La giustizia commutativa, invece, è così semplice, non hai bisogno neanche di definire il valore dello scambio (Tu lo introduci, ma non è necessario) infatti sono gli individui che acconsentendo allo scambio lo definiscono equo.
Naturalmente la giustizia commutativa non risolve tutti i problemi, ad esempio non risolve quello dell'attribuzione originaria.
Un saluto

Ipazia

Citazione di: anthonyi il 08 Novembre 2019, 12:06:10 PM
Il lavoro poi, Marx si illuse di misurarlo con il tempo, certo se gli uomini avessero tutti le stesse capacità e la stessa volontà, ma così non è, oltretutto parlare di lavoro al singolare ha senso ? Ci sono i lavori, fare l'assaggiatore di cioccolata (Il lavoro che preferirei se qualcuno me lo offrisse) non è esattamente lo stesso di lavorare in fonderia.

Grossolana mistificazione del contributo di Marx. Il tempo con cui si misura il lavoro è quello equivalente ai beni da produrre per il sostentamento dell'operaio, ponderato economicamente al contesto storico dato. Sotto non si va altrimenti "no worker no good", ma si cerca nel regime capitalistico, con espedienti vari, di assestarsi al livello più basso possibile, perchè tutto il surplus diventa bottino di guerra.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

paul11

#4
Ciao Ipazia,
penso che ci fosse invece una giustizia a priori, come ci indica Pindaro con il nomos.
Il passaggio dalla cultura greca a quella romana sposta il nomos, come giustizia che declina in l'autorità sovrana ad immagine e somiglianza dei domini degli universali e della natura dentro i comportamenti della società umana, quindi la società rispecchiava gli equilibri del cielo e della terra in metafora, alla cultura romano latina ,il cui focus fu la domus. Quì inizia il primato del diritto privato dove gli istituti principali sono: famiglia, proprietà, testamento, contratto.
Da qui in poi storicamente vi sarà la dialettica fra diritto pubblico e privato.
La proprietà è la persistenza del diritto privato sul diritto pubblico.
Nell'età feudale non c'è un vero e proprio stato, i rapporti sono basati sul privato.

I tre criteri non sono necessariamente marxisti, sono all'interno in tutte le dottrine politiche.
E la priorità dell'una sull'altra (ad es. chi sceglie il merito, subordina il bisogno, ecc.) che determina
e identifica le diverse dottrine. Le due fonti principali della teoria dello Stato sono: la storia delle istituzioni pubbliche e la storia delle dottrine politiche.


Ciao Anthonyi,
certo che è complessa la giustizia distributiva, ma anche quella commutativa. Ho solo eseguito una sintesi nel post iniziale.
Sono d'accordo con la tua definizione sulla giustizia commutativa.
La giustizia commutativa ha perso sostanza storicamente, in quanto il mercato, come costruttore del valore di scambio sostituisce il valore d'uso. La commutativa è basata sul rapporto,come ho scritto 1 a 1. Io e te scambiamo merci in funzione delle nostre personali necessità. A me manca il sale che diventa bene prezioso, a te le patate. Lo scambio 1 a 1 non tiene conto di un valore costruito dal mercato che è dato da terzi parti, da altri che non siamo noi o solo noi.
Rimane un concetto di equità teorico difficile da declinare nel pratico, ma paradossalmente forse più sincero, più vero , in quanto determinato dalle nostre reali necessità.

La misura del merito ,ma anche dei salari ecc. lo determina ormai il mercato, come terzo incomodo.
Allora possiamo dire che entra prepotentemente storicamente il concetto economico su quello politico, come misura altra? La filosofia politica discende da quella propriamente morale: si possono dare valori monetari ai paradigmi morali? Quante vale la solidarietà, la fratellanza, la libertà, l'eguaglianza? L'economia ha sostituito il ruolo nella filosofia politica ,che prima era morale, dando un prezzo di mercato a ciascu istituto di diritto: dalla proprietà, al rapporto di lavoro, da un testamento ai contratti. Quindi potremmo dire che una giustizia commutativa oggi è equa se i valori di scambio, intesi come prezzi, nelle transazioni sono uguali e questo lo determinano i prezzi vigenti di mercato all'atto della transizione.

Stiamo correndo troppo, perché si dovrebbero introdurre i nuovi attori sociali: sindacati, partiti....
Sono i contratti collettivi nazionali che decidono in funzioni dei ruoli di un gruppo di mestieri, ma sarebbe meglio dire di attività produttive divise attraverso i numeri e i poteri contrattuali delle parti, quanto stipendio debba percepire un assaggiatore di cioccolato o un operatore in fonderia.
Non necessariamente è uguale un identico ruolo in attività di imprese diverse.
Il portinaio di un'industria chimica, ammesso che sia alle dirette dipendenze dell'imprenditore ,ha uno stipendio diverso dal portinaio in banca, in  un albergo, o  al Ministero del Tesoro.

E qui sorge la problematica di come il contrattualismo nato dal giusnaturalismo sia ridiventato forte nel neocontrattualismo o neocorporitarismo. E' uguaglianza questa? E' giustizia?

A mio parere bisogna prima fare attenzione ai paradigmi, non agli effetti, poi in un secondo tempo a quest'ultimi.
E forse capiremmo, se ve ne è ancora bisogno, di come gli istituti orignari sono modifcati tanto da tenere l ostesso nome, come giustizia, ma diventare ben altro.La mimesi è adattare un istituto alle prassi ,quando invece bisogna tenere ben  fermi gli istituti e semmai adattare le nuove prassi che le complessità sociali ed economiche nuove determinano. Così pr la giustizia, per lo Stato, per la democrazia, ecc.
Se il concetto si adatta, signifca che diventa qualcosa di ben altro fino a svuotare il suo signifcato originario.

Ipazia

Citazione di: paul11 il 08 Novembre 2019, 14:36:31 PM
Ciao Ipazia,
penso che ci fosse invece una giustizia a priori, come ci indica Pindaro con il nomos.
Il passaggio dalla cultura greca a quella romana sposta il nomos, come giustizia che declina in l'autorità sovrana ad immagine e somiglianza dei domini degli universali e della natura dentro i comportamenti della società umana, quindi la società rispecchiava gli equilibri del cielo e della terra in metafora, alla cultura romano latina ,il cui focus fu la domus. Quì inizia il primato del diritto privato dove gli istituti principali sono: famiglia, proprietà, testamento, contratto.

Se così è facciamo un plauso alla concretezza romana che si rese conto di che spessore reale avessero i voli pindarici e di quanto facile fu adattarli a posteriori nel loro concetto di giustizia che poi ha nutrito tutte le civiltà giuridiche schiavistiche inclusa la nostra. Aristotele ci mise la metafisica della schiavo, ma fu Menenio Agrippa a riempirla di contenuto politico. Donde proverrebbe il nomos "a priori" ?

CitazioneI tre criteri non sono necessariamente marxisti, sono all'interno in tutte le dottrine politiche. E la priorità dell'una sull'altra (ad es. chi sceglie il merito, subordina il bisogno, ecc.) che determina  e identifica le diverse dottrine. Le due fonti principali della teoria dello Stato sono: la storia delle istituzioni pubbliche e la storia delle dottrine politiche.

Non sono necessariamente marxisti però la loro sintesi critica è centrale in quel pensiero. Se le dottrine politico-economiche e la filosofia del diritto sono giunte proprio lì significa che la gravitazione universale economica non concedeva altre possibilità.

Possibilità che recitano la loro parte, come correttamente replichi ad Anthonyi, nel Mercato, che è la vera agorà della polis capitalistica, il cui dominio (nomos) determina anche il destino di fonditori e assaggiatori di cioccolata e non solo del metallo e della cioccolata valutati secondo i principi democratici dell'utilità sociale fondati sul valore d'uso.
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anthonyi

Citazione di: Ipazia il 08 Novembre 2019, 13:18:59 PM

Il tempo con cui si misura il lavoro è quello equivalente ai beni da produrre per il sostentamento dell'operaio,

Ipazia, ma perché complicare ulteriormente quello che già io ho detto essere tanto complicato. Con la tua definizione hai bisogno sia di relazionare il tempo ai beni: Quanto vale un chilo di grano, 3/4 d'ora, e 3/4 d'ora di cosa, o meglio del lavoro di chi ? E poi come lo definisci il sostentamento individuale, lo sai che le persone che mangiano di meno vivono di più perché hanno meno problemi di salute quindi chi usi per misurare il sostentamento, chi mangia di meno, chi mangia di più, o fai una media, o ti arrendi all'idea che quel concetto che idealmente è preciso, nella realtà è indeterminabile.


Ipazia

#7
Non è un problema di dieta, ma di sfruttamento umano su cui si reggono i parametri di calcolo dell'economia capitalistica. Anche oggi: si chiama costo del lavoro e varia in funzione del costo di pane, riso, patate, latte, alloggio. E' l'unità di misura economica più veritiera di cui disponiamo e se si vuole nasconderla è solo perchè dice troppo la verità. E' il livello massimo a cui può arrivare lo sfruttamento del lavoro. Sotto quel livello il lavoratore muore, si ammala, non produce più. E' il suo salario minimo eticamente concepibile. Quindi è connesso anche al discorso della giustizia sociale.

Il valore-lavoro di un chilo di grano è 3/4 d'ora del lavoro necessario per produrlo alle condizioni tecnologiche della produzione date. Quindi varia con la produttività del lavoro e tendenzialmente diminuisce, liberando sempre più margine al profitto di cui beneficia solo il capitalista una volta dato al lavoratore quanto pattuito. Che in ogni caso ne deve garantire la sopravvivenza.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
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anthonyi

Citazione di: paul11 il 08 Novembre 2019, 14:36:31 PM

Ciao Anthonyi,
certo che è complessa la giustizia distributiva, ma anche quella commutativa. Ho solo eseguito una sintesi nel post iniziale.
Sono d'accordo con la tua definizione sulla giustizia commutativa.
La giustizia commutativa ha perso sostanza storicamente, in quanto il mercato, come costruttore del valore di scambio sostituisce il valore d'uso. La commutativa è basata sul rapporto,come ho scritto 1 a 1. Io e te scambiamo merci in funzione delle nostre personali necessità. A me manca il sale che diventa bene prezioso, a te le patate. Lo scambio 1 a 1 non tiene conto di un valore costruito dal mercato che è dato da terzi parti, da altri che non siamo noi o solo noi.
Rimane un concetto di equità teorico difficile da declinare nel pratico, ma paradossalmente forse più sincero, più vero , in quanto determinato dalle nostre reali necessità.

La misura del merito ,ma anche dei salari ecc. lo determina ormai il mercato, come terzo incomodo.
Allora possiamo dire che entra prepotentemente storicamente il concetto economico su quello politico, come misura altra? La filosofia politica discende da quella propriamente morale: si possono dare valori monetari ai paradigmi morali? Quante vale la solidarietà, la fratellanza, la libertà, l'eguaglianza? L'economia ha sostituito il ruolo nella filosofia politica ,che prima era morale, dando un prezzo di mercato a ciascu istituto di diritto: dalla proprietà, al rapporto di lavoro, da un testamento ai contratti. Quindi potremmo dire che una giustizia commutativa oggi è equa se i valori di scambio, intesi come prezzi, nelle transazioni sono uguali e questo lo determinano i prezzi vigenti di mercato all'atto della transizione.

Stiamo correndo troppo, perché si dovrebbero introdurre i nuovi attori sociali: sindacati, partiti....
Sono i contratti collettivi nazionali che decidono in funzioni dei ruoli di un gruppo di mestieri, ma sarebbe meglio dire di attività produttive divise attraverso i numeri e i poteri contrattuali delle parti, quanto stipendio debba percepire un assaggiatore di cioccolato o un operatore in fonderia.
Non necessariamente è uguale un identico ruolo in attività di imprese diverse.
Il portinaio di un'industria chimica, ammesso che sia alle dirette dipendenze dell'imprenditore ,ha uno stipendio diverso dal portinaio in banca, in  un albergo, o  al Ministero del Tesoro.

E qui sorge la problematica di come il contrattualismo nato dal giusnaturalismo sia ridiventato forte nel neocontrattualismo o neocorporitarismo. E' uguaglianza questa? E' giustizia?

A mio parere bisogna prima fare attenzione ai paradigmi, non agli effetti, poi in un secondo tempo a quest'ultimi.
E forse capiremmo, se ve ne è ancora bisogno, di come gli istituti orignari sono modifcati tanto da tenere l ostesso nome, come giustizia, ma diventare ben altro.La mimesi è adattare un istituto alle prassi ,quando invece bisogna tenere ben  fermi gli istituti e semmai adattare le nuove prassi che le complessità sociali ed economiche nuove determinano. Così pr la giustizia, per lo Stato, per la democrazia, ecc.
Se il concetto si adatta, signifca che diventa qualcosa di ben altro fino a svuotare il suo signifcato originario.

Ciao paul, non condivido l'idea che "il mercato" sia un terzo incomodo, il mercato è un luogo d'incontro che, semplicemente, riproduce in scala multipla il processo di scambio. Quelli che vengono inquadrati, e che sono inquadrabili come problema di funzionamento della giustizia commutativa sono i fattori esterni, ho già citato il problema delle attribuzioni originarie, poi c'è la differenza culturale tra individui e quella morale, in tutti i sensi nei quali la possiamo intendere. Tu ti domandi il valore dei punti etici, al riguardo delle ricerche sono state fatte, la difficoltà principale sta nella differenza tra valutazioni di etiche individualistiche o collettivistiche. Un comportamento morale può avere un grande valore se si differenzia dagli altri e se c'è chi lo apprezza. Se però l'etica è collettiva c'è omogeneità e scarso apprezzamento. In altri termini se democrazia, giustizia, solidarietà, funzionano perfettamente, e quindi non sono scarse, nessuno le apprezza, un po' come l'acqua che è necessaria per vivere, ma non vale niente perché ce n'è tanta.
Un saluto

davintro

Al di là della distinzione tra giustizia commutativa e distributiva, vorrei evidenziare come in entrambi i modelli emerga il valore, assunto a criterio normativo, del merito. L'idea che la politica dovrebbe attivarsi perché il possesso dei beni da parte dei cittadini segua logiche di "merito" (in fondo anche il principio dell'associare retribuzione e quantità di lavoro, segue un principio meritocratico, se ti impegni allora vuol dire che "meriti" una ricompensa). Ma, come già colto da Anthony, la definizione del "merito" porta con sé una certo carattere di soggettività e arbitrarietà, e dunque uno stato che intervenga sulla base del principio del merito finirebbe col sovrapporre un'ideale etico di valore ("merito" implica sempre un giudizio di valore, quella persona merita il possesso di un bene, perché il suo agire è riconosciuto come "virtuoso", utilizzando un modello di virtù posto come oggettivamente l'unico possibile), elaborato dai governanti, che viene imposto socialmente, discriminando modelli etici alternativi e alternative corrispondenti definizioni di merito. In questo senso andrebbe fatta una fondamentale distinzione tra i campi entro cui seguire un principio genericamente meritocratico avrebbe o meno legittimità nel contesto di uno stato di diritto, che non voglia porsi come totalitario. Tale principio resta legittimo a livello puramente strumentale, utilitaristico: è necessario che l'efficienza dei servizi che lo stato offre ai suoi individui sia garantita dalla selezione dei più meritevoli, o meglio, competenti, ai posti di responsabilità, in questo contesto la meritocrazia è funzionale a che lo stato svolga nel migliore dei modi possibili la funzione per cui storicamente sorge, cioè garantire servizi che in una condizione di anarchia non sarebbero garantiti, prima di tutto la sicurezza personale. La meritocrazia perde legittimità nel momento in cui, oltre al limitarsi a essere criterio selettivo dei ruoli lavorativi, diviene anche criterio di distribuzione di beni o diritti. In quest'ottica, lo stato non si limiterebbe più ad essere una semplice funzione al servizio degli individui, dalla cui volontà dipende il suo esistere, ma si pone come autorità etica, che come un genitore o un Dio biblico interviene per distribuire premi e punizioni, in nome di un'ideale di merito e giustizia, che inevitabilmente coinciderà con quello dei governanti. Ecco perché personalmente sono molto critico verso certe frange di "liberali" che identificano così strettamente meritocrazia e liberalismo: oltre i limiti del carattere strumentale del termine, meritocrazia implica l'idea di uno stato etico giustizialista che pretende di sapere più dei singoli individui cosa è meritevole e cosa no, cosa sarebbe giusto e cosa no, cosa virtuoso e cosa no, interferendo nella loro libertà di agire sulla base della loro soggettiva idea di merito e giustizia (riservandosi di intervenire, solo nel caso la libertà di qualcuno danneggiasse in termini oggettivamente riconoscibili quella altrui). Considerando, però come un concetto di giustizia, molto difficilmente, molto astrattamente, potrebbe privarsi di un determinato contenuto come una certa definizione di "merito" in senso valoriale e non solo utilitaristico, appare come il valore fondamentale di uno stato di diritto non totalitario, non dovrebbe essere tanto la "giustizia", ma la "libertà".

Al contrario, per quanto riguarda, cito dal post di apertura, "tutti devono avere un minimo vitale che gli consenta di avere una casa, non necessariamente di proprietà, e i beni e servizi necessari al sostentamento.", direi che questo è una norma fortemente legittimabile a livello teorico nel contesto del modello di stato di diritto, cioè un modello che si limiti a concepire lo stato come funzione e servizio nei confronti dei cittadini, e non come loro arbitro morale. Anche qua, coerentemente con l'erronea identificazione tra meritocrazia genericamente intesa e liberalismo, ci troviamo costantemente di fronte a un altro equivoco, cioè l'idea che lo stato liberale non dovrebbe offrire alcuna assistenza minima economica a persone non in grado di ripagare la società tramite il lavoro, considerando "immorali"misure come redditi di cittadinanza o simili. In realtà una concezione di questo genere, che vincola la dignità dell'uomo al lavoro,  cioè al porsi come strumento, ruota dell'ingranaggio sociale, è ciò che vi sarebbe di più opposto alla mentalità liberale, in quanto tale concezione considererebbe la società non come mezzo subordinato al benessere degli individui, ma come autonomo soggetto di valore, la cui erogazione dei servizi è vincolata a un do ut des (servizi in cambio di lavoro), che presuppone l'associare qualcosa di astratto come la "società" allo stesso livello di valore dell'insieme concreto, in carne e ossa, dei singoli individui, in uno scambio alla pari tra pari, come se un livello minimo di benessere degli individui non fosse un diritto naturale incondizionato, ma condizionato all'adeguatezza delle richieste lavorative di una determinata società, pronta a esaltare come "meritevole" il self made man che partendo da zero si arricchisce tramite il lavoro, e ad abbandonare al destino che meriterebbero "parassiti oziosi", uomini di cultura, che dedicano la vita a produrre opere di grande spessore spirituale, ma impossibilitati a conseguire successo economico in una società troppo interiormente povera per riconoscere il loro valore. Cioè un determinato modello antropologico-morale di "merito" di stampo economicista, calvinista che si impone su quello umanistico e giusnaturalistico dell' "otium letterario, che pretende di essere l'unico oggettivamente valido perché dominante in un certo contesto sociale, collettivo, a scapito degli individui che non rientrano in tale modello.Cosa ci sarebbe di davvero liberale e individualistico in tale impostazione?

Ipazia

La meritocrazia è una bufola se non si allineano i blocchi di partenza. Se non viene decisa dalla collettività (lo stato) viene decisa da chi ha il potere economico per fissare a suo gradimento i blocchi di partenza e la linea di arrivo. La terzietà del mercato è una terzietà di classe, totalmente hobbesiana. Può anche piacere, ma è ridicolo contrapporre al darwinismo sociale la dittatura dello stato. E' il bue che dà del cornuto all'asino. Basti pensare a  quanto sono interconnessi i cartelli ologopolistici delle comunicazioni, energie, materie prime, grandi opere, per rendersi conto di quanto artefatta e mistificata sia la concorrenza tra capitali e persone che dovrebbe garantire il principio meritocratico e il valore d'impresa. Non a caso la disciplina si chiama economia-politica e la sua filosofia è tutto fuorchè meritocratica. A meno che il merito non sia la pura e semplice violenza di chi ce l'ha più grosso. Il Capitale.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

paul11

#11
Ciao Ipazia
sei in contraddizione come lo è il comunismo per certi versi , se pensi che istituti come proprietà, eredità che significa trasmettere in maniera privata i propri beni mantenendo le posizioni di prestigio dei ruoli sociali e perpetuando la sperequazione sia da parte del diritto romano una conquista rispetto al mondo greco; se poi pensi e a mio parere giustamente, che la meritocrazia non è egualitaria, in quanto la partenza è già camuffata falsamente , in quanto il ricco ha dei privilegi che il povero non ha, anche se quest'ultimo avesse più talento.

I tre criteri, ma possono essere di più, della giustizia distributiva, non li utilizza solo il marxismo, lo utilizzano tutte le dottrine in maniera ognuna a lei confacente. Il liberismo ovviamente ribalta il
rapporto bisogni e merito.
Forse pensi alla cultura come naturale evoluzione storica, personalmente ritengo no. Storicamente ci sono stati degli snodi che non necessariamente dovevano andare in certi modi...ma tant'è.

Ciao Anthonyi,
quante vite deve lavorare l'operaio per poter avere il reddito di Bill Gates?
Il tempo di lavoro è tempo di vita. Nella regola del mercato è del tutto razionale che il proprietario dei mezzi di produzione abbia un plusvalore che è superiore ai redditi che commina ai suoi subordinati. Gli altri lavorano per lui e lui potrebbe liberarsi dal lavoro, mentre l'operaio è costretto a rientrare al lavoro in quanto il reddito percepito non potrà mai liberarlo. Questa è un servitù economica che altera il concetto di giustizia.

Nella giustizia commutativa che ripeto è fra due persone e non più, il mercato diventa terzo incomodo perché salta il valore d'uso tipico dello scambio merce per merce senza denaro .Quando la moneta diventa il parametro nasce immediatamente il mercato che parametra le merci e le diverse monete geografiche. Quindi semino un ettaro di terreno a grano a novembre e il grano ha un prezzo, in primavera quando raccoglierò avrà un altro prezzo ,più basso o più alto: ha senso in termini di natura il mercato? Non c'entra nulla la finzione fra domanda e offerta perchè al mercato se non trovo una merce acquisto altro Siamo riusciti a dare un prezzo alle aspettative, a prescindere dal ciclo biologico di un seme che diventa pianta e poi farina.
Il ciclo del mercato è insensato rispetto al ciclo naturale. E sappiamo benissimo che domanda ed offerta sono speculative. O il consumatore prenota al produttore, in questo caso all'agricoltore, o tutto ciò che sta fra produttore e consumatore è pura speculazione economica parassitaria.

Le analisi che indichi sono tipiche del marketing, del ramo commerciale dell'azienda.
L'etica collettiva sta spingendo i produttori verso l'ecosostenibilità e il salutismo, allora si producono motori elettrici e alimentari doc, dop, ecc. tracciabilità dell'origine produttiva, date di scadenza, numeri verdi per reclami,ecc. Ma questo è il rapporto commercio/etica che a mio parere ha poco a che fare con la giustizia.
Lo sai quanto guadagnano le aziende di acqua? L'acqua è un bene demaniale..........

Stiamo accelerando troppo sull'economico perdendo di vista la giustizia come percorso storico.L'economicismo viene con la modernità e dentro una determinata cultura e struttura economico sociale che muta continuamente il concetto di giustizia.

Ipazia

Citazione di: paul11 il 08 Novembre 2019, 23:44:05 PM
Ciao Ipazia
sei in contraddizione come lo è il comunismo per certi versi , se pensi che istituti come proprietà, eredità che significa trasmettere in maniera privata i propri beni mantenendo le posizioni di prestigio dei ruoli sociali e perpetuando la sperequazione sia da parte del diritto romano una conquista rispetto al mondo greco; se poi pensi e a mio parere giustamente, che la meritocrazia non è egualitaria, in quanto la partenza è già camuffata falsamente , in quanto il ricco ha dei privilegi che il povero non ha, anche se quest'ultimo avesse più talento.

I tre criteri, ma possono essere di più, della giustizia distributiva, non li utilizza solo il marxismo, lo utilizzano tutte le dottrine in maniera ognuna a lei confacente. Il liberismo ovviamente ribalta il
rapporto bisogni e merito.
Forse pensi alla cultura come naturale evoluzione storica, personalmente ritengo no. Storicamente ci sono stati degli snodi che non necessariamente dovevano andare in certi modi...ma tant'è.

Il pragmatismo romano é tutto in funzione della società classista. Non ho citato a caso Menenio Agrippa. Non era certo un apologo dell'apologo. Tipo il "siamo tutti sulla stessa barca" caro ai Menenio Agrippa contemporanei.

Credo sia difficile separare il concetto di giustizia dagli istituti di proprietà: di cose, persone e tempi di vita di persone. Fin dalla notte dei tempi le due questioni di sono strettamente avviluppate.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

paul11

Ciao Davintro,
credo molto poco al concetto etico moderno e infatti non c'è giustizia ,c'è la legge sanzionatrice sui comportamenti, ci sono obblighi.
La tua argomentazione implica altri istituti e storia.
Devo indicare alcune premesse.
La distinzione pubblico/privato si duplica in quello fra politica ed economia,cioè sull'ordine diretto dall'alto sull'ordine spontaneo, sull'organizzazione verticale su quella orizzontale.
In filosofia politica si ritine, o si riteneva, che lo storicismo di Hegel avesse superato il giusnaturalismo.
C'è una diseguaglianza in origine: c'è chi comanda e chi obbedisce. Per Hegel il vincolo fra Stato e cittadino è permanete e inderogabile. Per questo criticò fortemente il contrattualismo giusnaturalista,secondo cui in origine vi è un contratto fra individui per costituire una società.
Il primato del pubblico ha sconfitto,anche se non definitivamente essendoci rigurgiti ciclici, il concetto di Stato minimo privato. L'irriducibilità del bene comune alla somma dei beni individuali è una critica all'utilitarismo elementare.
Hegekl non aveva previsto il ritorno del contrattualismo ad un ordine superiore come le organizzazioni sindacali nel contratto nazionale di lavoro o nei partiti nella contrattazione per una coalizione di governo e la società civile è composta da gruppi organizzati, le associazioni, sempre più forti con conflitti di gruppo continui,per cui lo Stato svolge un ruolo di mediazione e di garante, più che di un detentore del potere. I due processi di pubblicizzazione del privato e di privatizzazione del pubblico si sono dimostrati non incompatibili e di fatto si compenetrano l'uno nell'altro. Tutto questo ricrea nella contemporaneo il contratto sociale: il neocontrattualismo o a volte neocorporitarismo. Un esempio sono i partiti che hanno un piede nella società civile e uno nelle istituzioni, di fatto apparterebbero alla società politica che non è società civile e neppure Stato.
Negli Stati totalitari la società civile viene completamente assorbita dallo Stato.
I due processi di uno Stato che si fa società e della società che si fa Stato sono contraddittori.perchè il primo processo porta allo Stato totalitario mentre il secondo processo alla società senza Stato.
Questa rappresentazione è tipica in ogni cittadino che da una parte è un partecipante e dall'altro chiede protezione: questo processo è altrettanto una contraddizione; perché come partecipante vorrebbe impadronirsi dello Stato , ma se chiede protezione aumenta la forza dello Stato che diventa padrone.
Ho messo parecchia altra farina......e spero di essere stato chiaro. Vi sono processi fortemente contraddittori e quindi dialettici.

Adesso devo inserire la tecnocrazia come ruolo sociale, come ruolo ideologico in relazione meritocrazia.Ha un ruolo teoretico e pratico. Ha sostituito la teoria delle èlites.
Devo prenderlo un po' alla lontana l'argomento, per poterlo introdurre
La critica al modello tecnocratico poggia su tre capisaldi:
1) sottovalutazione del ruolo politico,
2)sopravvalutazione del ruolo delle scienze e della sua funzione di orientamento delle prassi;
3)sopravvalutazione di conseguenza delle capacità di governo dei ruoli intellettuali.

La tecnocrazia è un'aristocrazia che si rinnova per cooptazione ed è una meritocrazia..
Se la democrazia poggia sul consenso e la partecipazione, la tecnocrazia sulla competenza ed efficienza. Citando Robert Dhal sui sistemi politici complessi, vi è una sorta di ibrido, nel quale la selezione e i controlli democratici funzionano più o meno in alcuni ambiti della politica, mentre altri sono governati da èlites meritocratiche o da guardiani liberi da ogni controllo democratico.
Un antesignano fu Fracis Bacon in New Atlantis in cui delinea l'ideale di una società interamente fondata sulla scienza e sulla tecnica.
Con la democrazia liberale diventa sinonimo di principio di governo meritocratico.
Storicamente è la rivoluzione industriale ad aprire la riflessione sul declino della politica e dello Stato e a fornire le basi per lo sviluppo dell'ideologia tecnocratica.
In Platone chi usa deve avere un sapere superiore al produttore, in Saint- Simon e Comte è ai produttori che vengono attribuite capacità positive e il possesso del sapere strategico in vista del benessere collettivo, i lche consente loro di assurgere a classe dominante.

bobmax

Ogni volta che dobbiamo decidere cosa è giusto, siamo chiamati ad una scelta radicale: essere Dio oppure no.

Nella situazione data, con le conoscenze che ora abbiamo, cosa deciderebbe Dio se fosse al nostro posto?

Questo aut-aut radicale è sempre implicito, anche se spesso se ne è inconsapevoli.

Quando facciamo la volontà di Dio, eterniamo.
Siamo Dio.
Tardi ti ho amata, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amata. Tu eri con me, mentre io ero lontano da te.

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