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Filosofia politica

Aperto da paul11, 08 Novembre 2019, 00:14:24 AM

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anthonyi

Citazione di: paul11 il 08 Novembre 2019, 23:44:05 PM


Ciao Anthonyi,
quante vite deve lavorare l'operaio per poter avere il reddito di Bill Gates?
Il tempo di lavoro è tempo di vita. Nella regola del mercato è del tutto razionale che il proprietario dei mezzi di produzione abbia un plusvalore che è superiore ai redditi che commina ai suoi subordinati. Gli altri lavorano per lui e lui potrebbe liberarsi dal lavoro, mentre l'operaio è costretto a rientrare al lavoro in quanto il reddito percepito non potrà mai liberarlo. Questa è un servitù economica che altera il concetto di giustizia.

Nella giustizia commutativa che ripeto è fra due persone e non più, il mercato diventa terzo incomodo perché salta il valore d'uso tipico dello scambio merce per merce senza denaro .Quando la moneta diventa il parametro nasce immediatamente il mercato che parametra le merci e le diverse monete geografiche. Quindi semino un ettaro di terreno a grano a novembre e il grano ha un prezzo, in primavera quando raccoglierò avrà un altro prezzo ,più basso o più alto: ha senso in termini di natura il mercato? Non c'entra nulla la finzione fra domanda e offerta perchè al mercato se non trovo una merce acquisto altro Siamo riusciti a dare un prezzo alle aspettative, a prescindere dal ciclo biologico di un seme che diventa pianta e poi farina.
Il ciclo del mercato è insensato rispetto al ciclo naturale. E sappiamo benissimo che domanda ed offerta sono speculative. O il consumatore prenota al produttore, in questo caso all'agricoltore, o tutto ciò che sta fra produttore e consumatore è pura speculazione economica parassitaria.

Le analisi che indichi sono tipiche del marketing, del ramo commerciale dell'azienda.
L'etica collettiva sta spingendo i produttori verso l'ecosostenibilità e il salutismo, allora si producono motori elettrici e alimentari doc, dop, ecc. tracciabilità dell'origine produttiva, date di scadenza, numeri verdi per reclami,ecc. Ma questo è il rapporto commercio/etica che a mio parere ha poco a che fare con la giustizia.
Lo sai quanto guadagnano le aziende di acqua? L'acqua è un bene demaniale..........

Stiamo accelerando troppo sull'economico perdendo di vista la giustizia come percorso storico.L'economicismo viene con la modernità e dentro una determinata cultura e struttura economico sociale che muta continuamente il concetto di giustizia.

Ciao paul, mi sembra singolare che tu abbia definito un concetto generico di "giustizia commutativa", che applichi alla filosofia politica (Cioè a una dottrina che si applica tipicamente a comunità di individui assai numerose), per poi limitarlo solo a relazioni a due. Oltretutto in questo modo lasci un vuoto, perché sono tanti gli aspetti della realtà sociale che potresti spiegare con una giustizia commutativa allargata (Ad esempio il mercato, ma anche il rapporto tra rappresentanti politici e rappresentati) e che con la tua autolimitazione non puoi spiegare.
Le analisi che indico certamente usano metodi equivalenti a quelli del marketing ma applicati anche a ricerche di maggiore spessore teorico, in linea con quella visione dell'economia (Ma anche della società) che si è affermata dopo il tramonto dell'illusione classica di trovare un fondamento all'economia. Per questo il concetto di valore di cui parlo è un concetto relativo, che comunque non è necessario in una visione commutativa, allargata o meno.
Comunque il problema nodale di questi discorsi non è il ruolo dell'economia, ma quello dell'etica, dietro le due visioni della giustizia che hai rappresentato ci sono due etiche differenti, e poi magari, nella società, di etiche ce ne sono altre tra le quali anche quell'etica collettiva ecologica alla quale mi sembra tu ti riferisca.
Io condivido il fatto che il "principio ecologico" possa rappresentare un fondamento di giustizia, ancora di più di quanto condivida l'idea che il principio distributivo sia fondamentale (Secondo me il principio distributivo è rappresentabile nei termini del principio commutativo allargato quando agenti della commutazione diventano le comunità politiche, ed è poi quello che cerco di spiegare nei paper economici che scrivo).
Un saluto

anthonyi

Citazione di: paul11 il 09 Novembre 2019, 00:46:12 AM


C'è una diseguaglianza in origine: c'è chi comanda e chi obbedisce. Per Hegel il vincolo fra Stato e cittadino è permanete e inderogabile. Per questo criticò fortemente il contrattualismo giusnaturalista,secondo cui in origine vi è un contratto fra individui per costituire una società.

Come tu dici, paul, c'è chi obbedisce. Obbedendo, di fatto, attua i termini del Contratto sociale. Certo il Contratto sociale originario è una figura ideale, ma la parte importante dei contratti è la loro esecuzione da parte dei contraenti (Caso Arcelor-Mittal-ILVA docet).

paul11

Citazione di: anthonyi il 09 Novembre 2019, 07:37:46 AM
Citazione di: paul11 il 08 Novembre 2019, 23:44:05 PM


Ciao Anthonyi,
quante vite deve lavorare l'operaio per poter avere il reddito di Bill Gates?
Il tempo di lavoro è tempo di vita. Nella regola del mercato è del tutto razionale che il proprietario dei mezzi di produzione abbia un plusvalore che è superiore ai redditi che commina ai suoi subordinati. Gli altri lavorano per lui e lui potrebbe liberarsi dal lavoro, mentre l'operaio è costretto a rientrare al lavoro in quanto il reddito percepito non potrà mai liberarlo. Questa è un servitù economica che altera il concetto di giustizia.

Nella giustizia commutativa che ripeto è fra due persone e non più, il mercato diventa terzo incomodo perché salta il valore d'uso tipico dello scambio merce per merce senza denaro .Quando la moneta diventa il parametro nasce immediatamente il mercato che parametra le merci e le diverse monete geografiche. Quindi semino un ettaro di terreno a grano a novembre e il grano ha un prezzo, in primavera quando raccoglierò avrà un altro prezzo ,più basso o più alto: ha senso in termini di natura il mercato? Non c'entra nulla la finzione fra domanda e offerta perchè al mercato se non trovo una merce acquisto altro Siamo riusciti a dare un prezzo alle aspettative, a prescindere dal ciclo biologico di un seme che diventa pianta e poi farina.
Il ciclo del mercato è insensato rispetto al ciclo naturale. E sappiamo benissimo che domanda ed offerta sono speculative. O il consumatore prenota al produttore, in questo caso all'agricoltore, o tutto ciò che sta fra produttore e consumatore è pura speculazione economica parassitaria.

Le analisi che indichi sono tipiche del marketing, del ramo commerciale dell'azienda.
L'etica collettiva sta spingendo i produttori verso l'ecosostenibilità e il salutismo, allora si producono motori elettrici e alimentari doc, dop, ecc. tracciabilità dell'origine produttiva, date di scadenza, numeri verdi per reclami,ecc. Ma questo è il rapporto commercio/etica che a mio parere ha poco a che fare con la giustizia.
Lo sai quanto guadagnano le aziende di acqua? L'acqua è un bene demaniale..........

Stiamo accelerando troppo sull'economico perdendo di vista la giustizia come percorso storico.L'economicismo viene con la modernità e dentro una determinata cultura e struttura economico sociale che muta continuamente il concetto di giustizia.

Ciao paul, mi sembra singolare che tu abbia definito un concetto generico di "giustizia commutativa", che applichi alla filosofia politica (Cioè a una dottrina che si applica tipicamente a comunità di individui assai numerose), per poi limitarlo solo a relazioni a due. Oltretutto in questo modo lasci un vuoto, perché sono tanti gli aspetti della realtà sociale che potresti spiegare con una giustizia commutativa allargata (Ad esempio il mercato, ma anche il rapporto tra rappresentanti politici e rappresentati) e che con la tua autolimitazione non puoi spiegare.
Le analisi che indico certamente usano metodi equivalenti a quelli del marketing ma applicati anche a ricerche di maggiore spessore teorico, in linea con quella visione dell'economia (Ma anche della società) che si è affermata dopo il tramonto dell'illusione classica di trovare un fondamento all'economia. Per questo il concetto di valore di cui parlo è un concetto relativo, che comunque non è necessario in una visione commutativa, allargata o meno.
Comunque il problema nodale di questi discorsi non è il ruolo dell'economia, ma quello dell'etica, dietro le due visioni della giustizia che hai rappresentato ci sono due etiche differenti, e poi magari, nella società, di etiche ce ne sono altre tra le quali anche quell'etica collettiva ecologica alla quale mi sembra tu ti riferisca.
Io condivido il fatto che il "principio ecologico" possa rappresentare un fondamento di giustizia, ancora di più di quanto condivida l'idea che il principio distributivo sia fondamentale (Secondo me il principio distributivo è rappresentabile nei termini del principio commutativo allargato quando agenti della commutazione diventano le comunità politiche, ed è poi quello che cerco di spiegare nei paper economici che scrivo).
Un saluto
ciao Anthonyi,
La giustizia commutativa regola i rapporti fra i singoli in una comunità.
I nostri rapporti possono essere con molteplici persone ed enti, ma è sempre un rapporto uno a uno, con la banca, con il giornalaio, con il panettiere, con l'assicurazione, con le singole aziende di servizi, con il supermercato, ecc. Quando noi costruiamo ogni singolo rapporto che implica una transazione ci chiediamo se è giusta per noi o se ci stanno gabbando. Tant'è se possiamo scegliamo banca, assicurazione, aziende erogatrici di servizi.

Sono concetti generici la giustizia commutativa e la giustizia distributiva, infatti ho dovuto aggiungere argomentazioni al post iniziale per indicare anche contraddizioni.
Sappiamo benissimo che le intenzioni teoretiche devono confrontarsi con le pratiche di una società oggi molto complessa e che si muove spesso disordinatamente e mina la giustizia.

Quindi va benissimo se tu , ma anche ognuno del forum, vuol approfondire le argomentazioni, anzi direi che è desiderabile e necessario.

Sono altrettanto d'accordo che dietro il concetto di giustizia si muovono etiche individuali e di gruppo, sociali. Se le aziende oltre alle mission costruiscono codici etici interni, se gli enti dei consumatori possono formare delle class action contro speculazioni di aziende che hanno gabbato investitori, se esiste ormai la privacy, tant'è che l'authority ha avvisato la finanza, che ormai ha enormi poteri di controllo e guardando ogni nostra singola transazione soprattutto in funzione delle carte di credito, bancomat, ecc, può sapere di ognuno i comportamenti, desideri, necessità,ecc.
Insomma siamo controllati come non mai dall'elettronica dei net,sia dai cookie, sia dallo Stato, sia dalle banche che vedono le nostre transazioni sul conti correnti.
E' evidentissimo che c'è un etica prima ancora dell'economia e ci sentiamo schiacciati.

Quindi ti pregherei di scriverci pure quel che pensi, ho creato appositamente questa discussione appunto per argomentarla.
Ben vengano i contributi di tutti, sia pratici che teorici.

un saluto

Ipazia

Filosofia politica é mimesis di etica. Trattarla al singolare é punto d'arrivo (provvisorio), non di partenza. Altrimenti si cade nella (vituperata) tecnocrazia. Nel pensiero unico. Anthonyi l'ha correttamente fatto rilevare.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

paul11

#19
Citazione di: davintro il 08 Novembre 2019, 18:21:15 PM
Al di là della distinzione tra giustizia commutativa e distributiva, vorrei evidenziare come in entrambi i modelli emerga il valore, assunto a criterio normativo, del merito. L'idea che la politica dovrebbe attivarsi perché il possesso dei beni da parte dei cittadini segua logiche di "merito" (in fondo anche il principio dell'associare retribuzione e quantità di lavoro, segue un principio meritocratico, se ti impegni allora vuol dire che "meriti" una ricompensa). Ma, come già colto da Anthony, la definizione del "merito" porta con sé una certo carattere di soggettività e arbitrarietà, e dunque uno stato che intervenga sulla base del principio del merito finirebbe col sovrapporre un'ideale etico di valore ("merito" implica sempre un giudizio di valore, quella persona merita il possesso di un bene, perché il suo agire è riconosciuto come "virtuoso", utilizzando un modello di virtù posto come oggettivamente l'unico possibile), elaborato dai governanti, che viene imposto socialmente, discriminando modelli etici alternativi e alternative corrispondenti definizioni di merito. In questo senso andrebbe fatta una fondamentale distinzione tra i campi entro cui seguire un principio genericamente meritocratico avrebbe o meno legittimità nel contesto di uno stato di diritto, che non voglia porsi come totalitario. Tale principio resta legittimo a livello puramente strumentale, utilitaristico: è necessario che l'efficienza dei servizi che lo stato offre ai suoi individui sia garantita dalla selezione dei più meritevoli, o meglio, competenti, ai posti di responsabilità, in questo contesto la meritocrazia è funzionale a che lo stato svolga nel migliore dei modi possibili la funzione per cui storicamente sorge, cioè garantire servizi che in una condizione di anarchia non sarebbero garantiti, prima di tutto la sicurezza personale. La meritocrazia perde legittimità nel momento in cui, oltre al limitarsi a essere criterio selettivo dei ruoli lavorativi, diviene anche criterio di distribuzione di beni o diritti. In quest'ottica, lo stato non si limiterebbe più ad essere una semplice funzione al servizio degli individui, dalla cui volontà dipende il suo esistere, ma si pone come autorità etica, che come un genitore o un Dio biblico interviene per distribuire premi e punizioni, in nome di un'ideale di merito e giustizia, che inevitabilmente coinciderà con quello dei governanti. Ecco perché personalmente sono molto critico verso certe frange di "liberali" che identificano così strettamente meritocrazia e liberalismo: oltre i limiti del carattere strumentale del termine, meritocrazia implica l'idea di uno stato etico giustizialista che pretende di sapere più dei singoli individui cosa è meritevole e cosa no, cosa sarebbe giusto e cosa no, cosa virtuoso e cosa no, interferendo nella loro libertà di agire sulla base della loro soggettiva idea di merito e giustizia (riservandosi di intervenire, solo nel caso la libertà di qualcuno danneggiasse in termini oggettivamente riconoscibili quella altrui). Considerando, però come un concetto di giustizia, molto difficilmente, molto astrattamente, potrebbe privarsi di un determinato contenuto come una certa definizione di "merito" in senso valoriale e non solo utilitaristico, appare come il valore fondamentale di uno stato di diritto non totalitario, non dovrebbe essere tanto la "giustizia", ma la "libertà".

Al contrario, per quanto riguarda, cito dal post di apertura, "tutti devono avere un minimo vitale che gli consenta di avere una casa, non necessariamente di proprietà, e i beni e servizi necessari al sostentamento.", direi che questo è una norma fortemente legittimabile a livello teorico nel contesto del modello di stato di diritto, cioè un modello che si limiti a concepire lo stato come funzione e servizio nei confronti dei cittadini, e non come loro arbitro morale. Anche qua, coerentemente con l'erronea identificazione tra meritocrazia genericamente intesa e liberalismo, ci troviamo costantemente di fronte a un altro equivoco, cioè l'idea che lo stato liberale non dovrebbe offrire alcuna assistenza minima economica a persone non in grado di ripagare la società tramite il lavoro, considerando "immorali"misure come redditi di cittadinanza o simili. In realtà una concezione di questo genere, che vincola la dignità dell'uomo al lavoro,  cioè al porsi come strumento, ruota dell'ingranaggio sociale, è ciò che vi sarebbe di più opposto alla mentalità liberale, in quanto tale concezione considererebbe la società non come mezzo subordinato al benessere degli individui, ma come autonomo soggetto di valore, la cui erogazione dei servizi è vincolata a un do ut des (servizi in cambio di lavoro), che presuppone l'associare qualcosa di astratto come la "società" allo stesso livello di valore dell'insieme concreto, in carne e ossa, dei singoli individui, in uno scambio alla pari tra pari, come se un livello minimo di benessere degli individui non fosse un diritto naturale incondizionato, ma condizionato all'adeguatezza delle richieste lavorative di una determinata società, pronta a esaltare come "meritevole" il self made man che partendo da zero si arricchisce tramite il lavoro, e ad abbandonare al destino che meriterebbero "parassiti oziosi", uomini di cultura, che dedicano la vita a produrre opere di grande spessore spirituale, ma impossibilitati a conseguire successo economico in una società troppo interiormente povera per riconoscere il loro valore. Cioè un determinato modello antropologico-morale di "merito" di stampo economicista, calvinista che si impone su quello umanistico e giusnaturalistico dell' "otium letterario, che pretende di essere l'unico oggettivamente valido perché dominante in un certo contesto sociale, collettivo, a scapito degli individui che non rientrano in tale modello.Cosa ci sarebbe di davvero liberale e individualistico in tale impostazione?
ciao Davintro,
Rispondendo, spero più puntualmente , la giustizia è più un criterio di eguaglianza ,fra i valori morali.
C'è chi nasce con problemi fisici, psichici, e chi ha talenti.Oltre a problemi di origine economica, c'è chi nasce da famiglia agiata, chi da povera, ecc.,la giustizia, attraverso la legge, dovrebbe costruire l'artificio  per compensare i problemi di natura e di ceto originari e di cui l'individuo non ha colpe se non il fatto di essere nato.

Ma c'è un problema storico ed atavico a mio parere e sottovalutato. L'Antico Testamento biblico, e non il cristianesimo da cui si differenzia, relaziona la natura con Dio, in modo tale che chi nasce ricco e ha talenti è perché Dio ha voluto che fosse così,viceversa per chi nasce meno fortunato.
Anche altre culture di diverse tradizioni hanno questo incipit originario.
Vi sono altre tradizioni ,come il cristianesimo, che invece trovano nel sociale, quel "ama il prossimo tuo come te stesso" , la compassione, la fratellanza, la solidarietà, una "parola" diversa, più di giustizia almeno compensativa.
Il protestantesimo , a differenza del cattolicesimo, ma direi tutta la cultura anglo sassone oggi imperante, focalizza ancora di più nelle opere, nel pragmatismo; per cui il lavoro, i ruoli sociali, diventano auto giustificativi di status sociali.
Per dirla chiaramente il concetto di giustizia seppur nello Stato laico, si porta internamente l'antica cultura di sintesi fra l'ebraico e il protestante che sono fondamentalmente più materialiste che spirituali, così come il diritto romano focalizzò più la giustizia negli istituti personali: proprietà, eredità.
Ed ecco la nostra società.
Sostengo da tempo che l'edonismo economico non poteva che nascere dagli empiristi scozzesi , e il fondatore delle scienze economiche Adam Smith, viene da quella cultura.

Gli influssi culturali portarono a dire nella cultura anglofona che grazie all'intraprendenza dell'imprenditore gli operai trovano il loro sostentamento. E qui si aprono tute le interpretazioni diverse delle dottrine politiche,ma questo dettame è ancora oggi fondamento della diseguaglianze

viator

Salve Paul11: Tutto sommato, io la vedo come questione legata all'esistenza (o meno) del libero arbitrio.

Se il libero arbitrio non esiste, qualsiasi differenza tra gli umani per come essi individualmente nascono e diventano deve essere accettata come in sè fatale e non potrà nè colpevolizzare nè assolvere alcuno, qualsiasi scelta costui operi (in realtà quindi : qualsiasi scelta egli creda di compiere autonomamente).

Se invece esiste, sarà assurdo e vano chiedere a tutti coloro che risultano avvantaggiati per un qualsiasi motivo (origine, fortuna, merito) di rinunciare a qualche aspetto della loro fortuna per favorire - a scopo di astratta giustizia - la condivisione dei loro vantaggi innati od acquisiti con altri i quali magari non sarebbero neppure in grado di sfruttarli.

L'intraprendenza dell'imprenditore (avvantaggiato dalle proprie doti) comporta per i suoi operai sia il vantaggio che lo sfruttamento.

In quale misura il rinunciare allo sfruttamento da parte dell'imprenditore (condividendo le risorse) genera la riduzione o l'eliminazioe del vantaggio retributivo di cui godono i dipendenti ?.
(Non sfruttare non significa solo accontentarsi di giusti utili ma anche dover spendere di più per il benessere dei dipendenti).

In realtà qualsiasi imprenditore (gli imprenditori sono tutti convinti di possedere il libero arbitrio) mai delegherà ad altri l'uso degli strumenti e dei benefici che egli possiede convinto (giustamente, da libero imprenditore) che nessun altro abbia il diritto e la capacità di condurre le cose come egli sa fare. Se non fosse così, mai si sarebbe sognato di fare l'imprenditore. Avrebbe fatto il dipendente il quale si sarebbe rassegnato al non saper inseguire successo ed utilità sociale (l'imprenditore considera sinonimi tali due termini). Saluti.
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

paul11

Citazione di: anthonyi il 09 Novembre 2019, 07:59:16 AM
Citazione di: paul11 il 09 Novembre 2019, 00:46:12 AM


C'è una diseguaglianza in origine: c'è chi comanda e chi obbedisce. Per Hegel il vincolo fra Stato e cittadino è permanete e inderogabile. Per questo criticò fortemente il contrattualismo giusnaturalista,secondo cui in origine vi è un contratto fra individui per costituire una società.

Come tu dici, paul, c'è chi obbedisce. Obbedendo, di fatto, attua i termini del Contratto sociale. Certo il Contratto sociale originario è una figura ideale, ma la parte importante dei contratti è la loro esecuzione da parte dei contraenti (Caso Arcelor-Mittal-ILVA docet).
il contratto sociale nasce nel concetto di Stato da parte del giusnaturalismo, il diritto di natura.
Il concetto di autorità e sovranità è tipico di chi regge lo Stato e costruisce il rapporto di comando e obbedienza nella legittimità.
Il caso dell' Ilva rientra ne l negozio giuridico che è privato e non pubblico.

paul11

Citazione di: Ipazia il 09 Novembre 2019, 16:03:02 PM
Filosofia politica é mimesis di etica. Trattarla al singolare é punto d'arrivo (provvisorio), non di partenza. Altrimenti si cade nella (vituperata) tecnocrazia. Nel pensiero unico. Anthonyi l'ha correttamente fatto rilevare.
non proprio. E' vero che  la filosofia morale è diventata filosofia poltica.
Ma dal Principe di Machiavelli c'è la distinzione fra attività  politica e  morale...................

paul11

Citazione di: viator il 11 Novembre 2019, 21:56:17 PM
Salve Paul11: Tutto sommato, io la vedo come questione legata all'esistenza (o meno) del libero arbitrio.

Se il libero arbitrio non esiste, qualsiasi differenza tra gli umani per come essi individualmente nascono e diventano deve essere accettata come in sè fatale e non potrà nè colpevolizzare nè assolvere alcuno, qualsiasi scelta costui operi (in realtà quindi : qualsiasi scelta egli creda di compiere autonomamente).

Se invece esiste, sarà assurdo e vano chiedere a tutti coloro che risultano avvantaggiati per un qualsiasi motivo (origine, fortuna, merito) di rinunciare a qualche aspetto della loro fortuna per favorire - a scopo di astratta giustizia - la condivisione dei loro vantaggi innati od acquisiti con altri i quali magari non sarebbero neppure in grado di sfruttarli.

L'intraprendenza dell'imprenditore (avvantaggiato dalle proprie doti) comporta per i suoi operai sia il vantaggio che lo sfruttamento.

In quale misura il rinunciare allo sfruttamento da parte dell'imprenditore (condividendo le risorse) genera la riduzione o l'eliminazioe del vantaggio retributivo di cui godono i dipendenti ?.
(Non sfruttare non significa solo accontentarsi di giusti utili ma anche dover spendere di più per il benessere dei dipendenti).

In realtà qualsiasi imprenditore (gli imprenditori sono tutti convinti di possedere il libero arbitrio) mai delegherà ad altri l'uso degli strumenti e dei benefici che egli possiede convinto (giustamente, da libero imprenditore) che nessun altro abbia il diritto e la capacità di condurre le cose come egli sa fare. Se non fosse così, mai si sarebbe sognato di fare l'imprenditore. Avrebbe fatto il dipendente il quale si sarebbe rassegnato al non saper inseguire successo ed utilità sociale (l'imprenditore considera sinonimi tali due termini). Saluti.
ciao Viator,
Se il libero arbitrio non esiste siamo nel naturalismo puro. E come ho scritto a Davintro basta fino ad un certo punto, poichè lascia la porta aperta ai meno fortunati di poter sovvertire i privilegiati.
E' la legge del branco, del più forte in natura, che per mimesi diventa nelle organizzazioni umane, astuzia, intelligenza. Quindi è debole come concetto. Diventa forte se oltre alla natura si relaziona a Dio e questo c'è nel protestantesimo che infatti nega il libero arbitrio e accetta la grazia divina.
E' la mimesi dell'imperatore incoronato dal Papa che diventa autoinvestitura per nascita nei nostri tempi.Ma questo vale grazie al diritto privato sulla proprietà, sulle rendite, sui patrimoni, sull'ereditarietà che passa di generazione. Allora vediamo una sorta di sincretismo laico, in un Stato che si dichiara laico, dove si accettano le differenze "perchè è sempre stato così..........."
I dispositivi storici sono numerosi e potenti e sono stati mantenuti ,ma riempiendoli di nuovi contenuti e modalità per far accettare lo status quo come invincibile ,al di fuori delle volontà umane, appunto come un dominio naturale potente.
Ma non è proprio così, perché lo Stato è un'invenzione umana non una creazione della natura.

Se passiamo all'ipotesi invece dove c'è l libertà, quest'ultima è volutamente esaltata, proprio perché esalta il ruolo di chi è arrivato ai ruoli di privilegio. Ma la libertà è un valore difficilmente coniugabile con l' eguaglianza e quindi la giustizia è impraticabile.

Ci sono allora due aspetti da tener presente: l'imprenditore può reggere ne lsuo ruolo economico sociale se il subordinato lo accetta, ma c'è anche il terzo , lo Stato. Che ruolo ha lo Stato nell'ordinamento giuridico fra il rapporto imprenditore e subordinato? Lo Stato ,non dimentichiamolo, ha il monopolio della violenza, ha la legittimazione, ha l' autorità e la sovranità del popolo con i suoi eletti.
Tutti gli ordinamenti di tutti gli Stati sono con il privilegiato. Quindi il potere contrattuale che è un negozio giuridico e contrattuale fra imprenditore e subordinato è a lui favorevole (se chiude l'attività lascia sulla strada il lavoratore). Tutti gli Stati salvaguardano la libertà d'impresa. Questa è la vera libertà tanto decantata in Occidente .Può chiudere un''attività produttiva e aprirne altre semplicemente con un piano industriale e senza che sia in perdita. Non c'è bisogno di crisi e fallimenti. E l'ordinamento giuridico fa prevalere l'esercizio dell' attività imprenditoriale sui diritti della persona subordinato/lavoratore. Quindi a chi serve lo Stato? Persegue che tipo di giustizia?
Saluti

anthonyi

Citazione di: paul11 il 12 Novembre 2019, 00:00:05 AM
Citazione di: Ipazia il 09 Novembre 2019, 16:03:02 PM
Filosofia politica é mimesis di etica. Trattarla al singolare é punto d'arrivo (provvisorio), non di partenza. Altrimenti si cade nella (vituperata) tecnocrazia. Nel pensiero unico. Anthonyi l'ha correttamente fatto rilevare.
non proprio. E' vero che  la filosofia morale è diventata filosofia poltica.
Ma dal Principe di Machiavelli c'è la distinzione fra attività  politica e  morale...................

Ciao paul, io ho detto che dietro i principi del diritto ci sono questioni etiche. La stessa nota affermazione di Machiavelli è di tipo etico, perché alla base dell'etica ci sono sempre fini di tipo collettivo. Più che altro Machiavelli costruisce una distinzione tra un'etica generale e un'etica politica.
Riguardo poi all'altro post secondo me sei troppo vincolato alle categorie formali, privato, pubblico sono concetti relativi, e  le caratteristiche dei contratti hanno similitudini che riportano sempre alla giustizia commutativa, almeno questo è quello che io sostengo. Così come nel contratto privato, anche nel contratto sociale il contraente si può sottrarre al rispetto dei patti non rispettando la legge.
Un saluto

Ipazia

#25
Citazione di: viator il 11 Novembre 2019, 21:56:17 PM
Salve Paul11: Tutto sommato, io la vedo come questione legata all'esistenza (o meno) del libero arbitrio.

Se il libero arbitrio non esiste, qualsiasi differenza tra gli umani per come essi individualmente nascono e diventano deve essere accettata come in sè fatale e non potrà nè colpevolizzare nè assolvere alcuno, qualsiasi scelta costui operi (in realtà quindi : qualsiasi scelta egli creda di compiere autonomamente).

Se invece esiste, sarà assurdo e vano chiedere a tutti coloro che risultano avvantaggiati per un qualsiasi motivo (origine, fortuna, merito) di rinunciare a qualche aspetto della loro fortuna per favorire - a scopo di astratta giustizia - la condivisione dei loro vantaggi innati od acquisiti con altri i quali magari non sarebbero neppure in grado di sfruttarli...

Questa impostazione metafisica non tiene in alcun conto l'origine di ciò che ho nerettato e riduce tutto alla questione del libero arbitrio e leadership all'interno di un pollaio. Ma basta che una volpe vi entri dentro per dimostrare tutta l'illusionalità del l.a. imprenditoriale e leadership del gallo del pollaio.

Anche il postulato della terzietà dello stato è infondato. Lo stato è il pollaio di cui la legge è il recinto edificato su un progetto etico che nasce dall'etologia del pollaio. Basta cambiare habitat sociale perchè questo modello riveli tutta la sua inadeguatezza.

La filosofia politica, avendo velleità gnoseologiche universalistiche, dovrebbe trovare indicatori più solidi per redigere il suo discorso. Quale l'evoluzione dell'istituto della proprietà, evolutasi dalla proprietà "naturale" della prole (famiglia) e della, comunque velleitaria e instabile, marcatura del territorio, a forme meno naturali di proprietà quando quella marcatura viene palettizzata, confinata, delimitando un dentro e un fuori, un privilegio (fortuna) e un'esclusione (sfortuna). Processo di appropriazione generalmente violenta cui segue una istituzionalizzazione del diritto acquisito nella consuetudine, prima, e nello stato "di diritto", infine.

E' in tale fase istitutiva che nasce la giustizia e i concetti giuridici ad essa riferibili. Ma siamo già lontani dallo stato di natura e questa lontananza mostra l'infondatezza di ogni filosofia politica giusnaturalistica forte, inclusa quella alla moda del sociodarwinismo di ispirazione capitalistica.
.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

paul11

Citazione di: anthonyi il 12 Novembre 2019, 06:45:32 AM
Citazione di: paul11 il 12 Novembre 2019, 00:00:05 AM
Citazione di: Ipazia il 09 Novembre 2019, 16:03:02 PM
Filosofia politica é mimesis di etica. Trattarla al singolare é punto d'arrivo (provvisorio), non di partenza. Altrimenti si cade nella (vituperata) tecnocrazia. Nel pensiero unico. Anthonyi l'ha correttamente fatto rilevare.
non proprio. E' vero che  la filosofia morale è diventata filosofia poltica.
Ma dal Principe di Machiavelli c'è la distinzione fra attività  politica e  morale...................

Ciao paul, io ho detto che dietro i principi del diritto ci sono questioni etiche. La stessa nota affermazione di Machiavelli è di tipo etico, perché alla base dell'etica ci sono sempre fini di tipo collettivo. Più che altro Machiavelli costruisce una distinzione tra un'etica generale e un'etica politica.
Riguardo poi all'altro post secondo me sei troppo vincolato alle categorie formali, privato, pubblico sono concetti relativi, e  le caratteristiche dei contratti hanno similitudini che riportano sempre alla giustizia commutativa, almeno questo è quello che io sostengo. Così come nel contratto privato, anche nel contratto sociale il contraente si può sottrarre al rispetto dei patti non rispettando la legge.
Un saluto
Ciao Anthonyi
Che cosa intendi per etica? Dalla modernità ai giorni nostri con questo termine si intende di tutto.
Se etica è= comportamento nella pratica è fuorviante.
Se invece intendi etica relazionato ad una morale(termine volutamente espropriato dalla nostra cultura, addirittura come spregiativo), in Machiavelli c'è la separazione. L'uomo politico tende ad uno scopo e i suoi comportamenti non sono necessariamente coerenti con una morale: può esser cinico ,crudele; gli importa il risultato.

La filosofia è categorizzazione, diversamente diventa un minestrone insulso, chiacchiere e la filosofia politica non può sfuggire dai concetti e categorie che la caratterizzano.

Quando sei nato hai fatto un contratto con lo Stato? Non abbiamo scelte contrattuali,su questo ha ragione Hegel come già esposto. Se eseguiamo un contratto privato e una parte contrattuale si ritine lesa nei suoi diritti, si va da un tribunale che è dentro l'ordinamento dello Stato.
Con lo Stato c'è un rapporto di obbligo e non di scelte contrattuali. Le imposte le devo pagare, non ho scelte contrattuali di cambiare Stato se non fisicamente e giuridicamente andarmene via in un altro Stato che mi porrà altri obblighi. Con lo Stato abbiamo un vincolo di nascita e la nostra vita se è indisponibile nei contratti privati, diventa disponibile all'appartenenza dello Stato:ci può chiamare alle armi per una guerra, può sanzionare persino sulla pena di morte ,laddove gli Stati lo fanno.
Un saluto

viator

Salve Paul11. Mi colpì questa tua annotazione : "O il consumatore prenota al produttore, in questo caso all'agricoltore, o tutto ciò che sta fra produttore e consumatore è pura speculazione economica parassitaria".
Forse hai ragione ma se anche i consumatori regredissero verso costumi alimentari essenziali (pochi generi fondamentali) non credo proprio che si presentaranno alla ribalta produttori agricoli disposti a soddisfare tempestivamente ed esattamente le prenotazioni alimentari. La produzione agricola - indipendentemente dalla intermediazione - è tuttora soggetta ad andamenti non controllabili da parte delle imprese piccole e medie.

Solo grandissime imprese potrebbero gestire le fluttuazioni del prodotto rispetto al prenotato : avremmo quindi che al parassitismo della intermediazione si sostituirebbe il monopolio della produzione. Saluti.
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

paul11

ciao Viator,
Sai quanti passaggi potrebbero esserci fra il piccolo imprenditore, nel nostro caso agricoltore, fino ad arrivare al consumatore?
Ogni passaggio aumenta il prezzo, perché ogni intermediario nella catena logistica e del valore, vuol guadagnarci.
La catena intermediaria è possibile accorciarla fra agricoltore e consumatore se i piccoli imprenditori si consorziano e applicano il cooperativismo. Semplicemente perché il piccolo imprenditore non è in grado di supportare grossi investimenti da solo, ma se si uniscono hanno maggior peso contrattuale e guadagnano di più grazie alle economie di scala (se mantengono i prezzi finali correnti) oppure possono abbassare i prezzi.
Insomma, l'unione di tanti piccoli fa una grande cooperativa, consorzio, unione ,ecc. che volendo può accorciare fino renderla nulla, e quindi diventerebbe diretta fra produttore e consumatore.

In realtà si è fatto parzialmente e ci sono sempre problemi di organizzazione interna. Del tipo, chi comanda veramente in una cooperativa?
L'altra realtà è che invece abbiamo assistito a dismisura l'incremento del potere dei grossisti e del dettaglio a scapito del produttore, pensiamo solo alle banche che sono intermediarie fra risparmiatore e chi chiede denaro per investimenti.Ma questo per ignoranza dei risparmiatori: avrebbero potuto costituire loro banche, ma la gente preferisce farsi i fatti suoi e non impegolarsi i problemi , così alla fine ci perde.
Ma che dire ad esempio di Amazon? In questo caso emblematico un intermediario costruisce un rapporto con innumerevoli produttori e gestisce direttamente con il consumatore abbreviando e velocizzando i tempi logistici, facendo guadagnare il produttore che ha attraverso Amazon ha una enorme geografia potenziale di clienti e il consumatore ha prezzi ridotti e tempi veloci di consegna.

Ma Amazon, se ci pensiamo bene, è intervenuto in quella terra di nessuno che né produttori e neppure consumatori hanno cercato di accorciare. E sarebbe possibile se i consumatori si consorziano direttamente, così come i produttori.

Certi monopoli esistono comunque, come quella della Monsanto sulle sementi , ma qui devono intervenire gli Stati .
Saluti

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