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Filosofia e vita vissuta

Aperto da sgiombo, 03 Marzo 2018, 09:50:53 AM

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Apeiron

#15
Ciao @Eutidemo,

allora anche io sono dell'idea che tutto ciò ha inizio poi (per un motivo o per l'altro finisce) ha una fine (ok ci sono le semirette... ma direi che ciascuna cosa che inizia è contingente e quindi è può essere distrutta)*. E siccome non ho mai osservato un mente "senza corpo" sarei portato a pensare che alla morte del corpo cessano le condizioni per cui può sussistere la mente e quindi anche la coscienza viene annientata alla morte. Tuttavia, può anche essere vera questa analogia. La nostra vita è come una sonata al pianoforte e affinché ci sia è necessaria la presenza di un pianista e del pianoforte. Chiaramente se il pianoforte si rompe non implica che anche il pianista muore. Tuttavia a livello pratico la musica cessa. Ergo se la nostra coscienza non è riducibile al corpo allora è possibile pensare che in qualche senso esista anche all'infuori del corpo. Nota che chiramente è un'ipotesi non-scientifica. Tuttavia secondo me ha senso prenderla in considerazione, per quanto segue.

Ad ogni modo...

Citazione di: Eutidemo il 05 Marzo 2018, 07:07:25 AMRiguardo al dopo-la-morte, è "ovvio" che dopo alla morte ci sia l'annientamento della "coscienza individuale". Ma non mi sorprende che quasi tutti (me compreso) siamo così restii a prendere atto di una realtà così ovvia, visto che è logica e, comunque, direttamente constatabile; infatti, probabilmente, il nostro sistema limbico (il "cervello rettile") non accetta l'idea della propria fine, ed entra il conflitto con la corteccia prefrontale, la quale, essendo la parte più evoluta del cervello, "capisce" inequivocabilmente di dover morire! Ed è per questo che, antichi saggi di ogni parte del globo hanno affermato che la morte non è la fine; gli stessi antichi saggi, che, però, affermavano pure l'esistenza degli dei dell'Olimpo.
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Non credo che ogni discorso sull'aldilà possa essere "ridotto" alla "volontà" di poter continuare a vivere. Come ben sappiamo infatti in genere desideriamo vivere, tuttavia la vita può essere terribile e talvolta desideriamo la non-esistenza. Per esempio senza andare a scomodare le religioni Socrate, secondo l'apologia di Platone, mise la questione nei seguenti termini: se dopo la morte non c'è nulla allora è come un sonno senza sogni mentre se dopo la morte c'è una prosecuzione dell'esistenza individuale allora è meglio vivere nel bene anche per questo motivo. In realtà accettare l'esistenza di un aldilà può essere tutt'altro che un pensiero consolatorio. Anzitutto, ci costringe a vedere le nostre azioni in modo diverso se cominciamo a credere che le nostre azioni oltre ad avere conseguenze in "questo mondo" hanno conseguenze anche dopo la morte (un esempio Wittgenstein era attratto dalla possibilità dell'anima immortale proprio per l'idea che "nemmeno la morte ci libera dagli obblighi morali"). E l'idea è che in qualche modo essere "virtuosi" (ovviamente non c'è un accordo su cosa voglia dire...) procuri beneficio sia nell'adesso che nel dopo. E in genere si crede che questa prospettiva faccia in modo che si tenda a comportarsi in un certo modo anziché un altro.


Ad ogni modo è ancora più interessante la nostra condizione per cui non sappiamo cosa c'è "dopo", vedi la mia argomentazione qui https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-filosofiche-5/immortale-anch'io-no-!-tu-no-!!/msg17367/#msg17367. In sostanza l'idea è che se la morte non azzera le differenze a livello morale allora la moralità acquisisce più significato. Viceversa se fossimo sicuri dell'aldilà allora la moralità diverrebbe una sorta di "egoismo" nel senso che non eviteremo di fare l'ingiustizia perchè è ingiustizia e non faremo la giustizia perchè è giustiza ma solo perchè non fare una e fare l'altra sarebbe di nostro vantaggio. Il nostro non sapere dunque ci aiuta in due modi: da un lato non possiamo essere sicuri che alla morte tutto finisca e questo ci dovrebbe in teoria fare in modo che diamo più importanza alle nostre azioni e dall'altro non sapendo cosa ci aspetta (se ci aspetta qualcosa) non facciamo più le azioni giuste e non evitiamo le ingiuste per il nostro vantaggio ma perchè vogliamo essere giusti (e si fa la giustizia per fare la giustizia, si fa il bene per il bene in sé ecc non per "tornaconto" secondo molti grandi pensatori religiosi e non...).

Chiaramente da un punto di vista scientifico la cosa è un po' più semplice[/size][size=undefined][size=undefined] e inoltre è ben giusto essere scettici su queste cose.[/size] Però questo "scetticismo" secondo me non implica ragionare solo in termini empirici o scientifici (anche perchè l'etica non può essere spiegata in tal modo, per esempio!) ;)


*faccio notare di sfuggita che nella religione cristiana la "vita futura" è possibile solo grazie all'intervento di Dio. In fin dei conti se la nostra "anima immortale" non è sempre esistita allora o è immortale perchè è stata così creata da Dio oppure perchè è mantenuta in essere con l'intervento di Dio. Altre religioni e filosofie giustificano la vita futura con il fatto che ci sono state vite passate che non ricordiamo ecc
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"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

Eutidemo

Ciao @Apeiron,
le semirette indubbiamente esistono, ma solo in "geometria", non in "natura".
Quanto all'analogia del pianoforte, mi piace moltissimo, e, in un certo senso, potrei anche condividerla; però a condizione di assimilare le nostre "coscienze individuali" ad innumerevoli effimeri pianoforti, e il pianista ad una sorta di unica "coscienza universale" (sebbene si tratti di un termine di comodo, perchè temo che si tratti di qualcosa di difficilmente definibile con il linguaggio simbolico).
Quanto ad una "mente" senza corpo potrei anche immaginarmela, ma una "coscienza individuale" senza corpo, assolutamente NO; perchè ho purtroppo constato di persona che essa non solo viene annientata alla morte, ma, a volte, anche prima. 
E' sicuramente vero che la nostra "coscienza individuale" (e sottolineo l'aggettivo "individuale") non è riducibile al corpo, allo stesso modo in cui la "digestione individuale" non è assimilabile allo stomaco; ma, se viene a mancare il cervello o lo stomaco, l'esperienza insegna che nè la "coscienza individuale" nè la ""digestione individuale" possono avere luogo in alcun modo.    ;)
          ***
Quanto al fatto che, se è vero che in genere desideriamo vivere, tuttavia la vita può essere terribile e talvolta desideriamo la non-esistenza, questo è esattamente quello che avevo detto io, quando scrivevo che nel nostro cervello a volte si verifica un "conflitto neuronale"; ed infatti, mentre la "neocorteccia" ci fa capire che in certi casi è il momento di farla finita, l'"amigdala", la parte arcaica, ci spinge però in ogni circostanza a cercare di sopravvivere (per questo chi si è buttato a fiume non riesce a restare fermo per colare a picco come un sasso) ;)
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Quanto al ragionamento di Socrate, sarebbe perfettamente condivisibile, ma solo se fosse fisiologicamente e logicamente possibile supporre una prosecuzione dell'esistenza "individuale" dopo la morte; ma, per i motivi che ho già detto, secondo me è una cosa ASSOLUTAMENTE impossibile!
Quello "che c'è" dopo la morte, nessuno può saperlo (a parte i morti); ma quello "che non c'è", a mio avviso, è molto facilmente inferibile.  ;)
          ***
Quanto al fatto che le nostre azioni, oltre ad avere conseguenze in "questo mondo" potrebbero avere conseguenze anche dopo la morte, non è una cosa che si possa escludere; questo, nel senso che, se una coscienza "individuale" devia dal retto agire, potrebbe avere qualche problema a ricongiungersi a quella "universale" dopo la morte.
Ma qui entriamo nel campo di ipotesi, soprattutto religiose, in cui, per adesso, non mi voglio addentrare; ricordo solo che San Paolo disse che solo gli uomini retti, dopo la morte, sono destinati "a divenire con Dio un unico Spirito"...e non tante animelle individuali che chiacchierano tra di loro sopra le nuvole! ;)
          ***
Quanto all'idea che, in qualche modo, essere "virtuosi" possa procurare un beneficio sia nell'adesso che nel dopo, secondo me, così ragionando, con una visione così "mercenaria" della virtù, si finisce per rendere "eteronoma" l'etica: ed invero, secondo una visione "autonoma" della morale, il bene va fatto in quanto bene, e non in vista di un "profitto" celeste, o per il timore di una "punizione" infernale. 
In due parole, cioè: la virtù è un fine, e non un mezzo!
Però non metto in dubbio che tale convinzione sia socialmente molto utile (insieme alle prigioni) a tenere un po' a freno coloro che hanno cattive tendenze!
Tra poco devo uscire, per cui leggerò successivamente, con molto interesse, quanto scrivi sul LINK che mi hai cortesemente segnalato. ;)
          ***
Quanto al fatto di ragionare in termini "scientifici" o "filosofici", come ho più volte sostenuto in questo FORUM, secondo me, si tratta di un falso problema, perchè ogni tipo di approccio va fatto nell'ambito giusto.
Quanto al fatto che "l'etica" non possa essere spiegata in termini scientifici, pensa un po' che, tanti anni fa, io scrissi una tesi intitolata proprio "IL FONDAMENTO BIOLOGICO DELL'ETICA"; in tale testo,  sostenevo (e non solo io, ovviamente) che buona parte del nostro comportamento cosiddetto "etico" è filogeneticamente predeterminato dal meccanismo dell'evoluzione naturale delle varie specie, mentre, il resto, dalla cultura.
Il che, pure, è sperimentalmente verificabile considerando i vari "totem und tabu" delle altre specie animali; ad esempio:
- nel caso di specie in cui il rischio di accoppiamento intraparentale sia (per le più svariate ragioni) estremamente remoto, il "tabu" dell'incesto non esiste, in quanto evolutivamente irrilevante;
- nel caso, invece, di specie in cui il rischio di accoppiamento intraparentale sia (per le più svariate ragioni) estremamente accentuato, come, ad esempio, nel caso dell"homo sapiens", dell'"oca cinerina" e di altre specie, il "tabu" dell'incesto esiste ed è molto cogente, in quanto evolutivamente rilevante.
E la stessa cosa vale anche per quasi tutti gli altri "comportamenti etici", pressochè tutti evolutisi in base alla selezione naturale!
Già immagino il sobbalzo di ORRORE  :o di molti di coloro che mi leggono; ma, secondo me, riconoscere il fondamento "biologico" (oltre che "culturale") di molti nostri comportamenti di natura etica, NON SMINUISCE AFFATTO IL VALORE DELL'ETICA, ma ne dà semplicemente ragione sotto l'aspetto "scientifico".
Il che nulla toglie all'approccio filosofico e religioso all'etica, che avviene su un piano e ad un livello diverso; per cui, secondo me, quanto ho scritto adesso, non è affatto in contrasto con quello che avevo scritto appena sopra! O, almeno, lo spero! ;)

 

Apeiron

#17
Ciao @Eutidemo,

Grazie della tua risposta. Molto interessante...  :)  concordo sulle semirette, in natura non ci sono. E in effetti sono d'accordissimo che "tutto ciò che ha un inizio ha anche una fine". Solo ciò che non inizia non finisce.


Personalmente trovo molto difficile pensare che la mia mente continuerà ad esistere anche dopo la "morte fisica".  Questo perchè in realtà sono pure uno studente di fisica oltre che "filosofo" (si fa per dire  ;D ) e quindi difficilmente credo ad una cosa senza che vi sia la minima prova "empirica". E visto che lo studio del cervello non ha mai trovato un indizio in tal senso ritengo la cosa molto improbabile.  Dico molto "improbile" perchè è proprio non molto tempo fa che ho cominciato a ragionare in altri termini sulla questione. Chiaramente questa mia "tendenza irrazionalistica" a dare molta importanza a questa questione è difficile conciliarla con la mia mente scientifica e "razionale". Dunque, sto cercando di trovare un compromesso tra le due, ovvero: non escludere categoricamente l'ipotesi della sopravvivenza ma al contempo esserne molto scettico. Riguardo alla coscienza cosmica potrebbe essere una possibilità, molto vicina tra le altre cose al pensiero induista. Ad ogni modo un'altra idea che mi piace è quella spinoziana del parallelismo psico-fisico, ovvero che ad ogni realtà materiale corrisponde una realtà mentale, che si manifesta con la complessità individuale, raggiungendo effetti ben visibili con la vita animale e umana. Chiaramente in questo caso alla morte fisica non c'è la prosecuzione dell'esistenza dell'individuo.

Nel frattempo però ho "assimilato" altre idee, ovvero che qualche aspetto della nostra coscienza sfugga alla nostra analisi empirica (chiaramente è un "livello" molto "inacessibile", molto simile a quello del sonno profondo...).  Ma come ho detto prima, sono io stesso scettico di ciò.

Quello che però ritengo interessante è semmai il fatto che curiosamente il non sapere con certezza cosa ci attende sembra avere dei collegamenti con l'etica. In fin dei conti la morte è per definizione il punto di "non ritorno" e dell'ignoto. Quello che sappiamo è che la vita come la conosciamo cessa. E questa consapevolezza che solo l'uomo sembra avere condiziona l'intera nostra esistenza. A parte coloro che non pensano mai ad essa e cercano solo di "cogliere l'attimo", chi invece contempla la "fine" vede al contempo l'ovvietà di tale realtà e la sua estraneità. Una volta che però contempliamo la nostra "finitezza" cominciamo a mutare i nostri progetti in vista di tale consapevolezza. Per esempio la consapevolezza della fragilità della vita ci rende più cauti e così via.

Riguardo all'utilità etica del pensare all'esistenza dopo la morte... Anche se chiaramente l'etica sembra diventare qualcosa di mercenario, secondo me invece può anche aiutare a "migliorare" il proprio comportamento e ad essere più disinteressati. Aldilà infatti del ragionamento "di comodo", credo che ce ne sia uno più interessante e condivisibile: se per esempio crediamo che la morte non è né la fine nostra né di quella degli altri, è possibile che diamo più valore alle nostre azioni in quanto possiamo sentire un senso di appartenenza con gli altri maggiore. Per esempio la filosofia indiana della rinascita. Riconoscere questa "realtà superiore" ci fa vedere l'altro non più come un estraneo ma come un "compagno". Chiaramente non è l'unico "effetto" che questo tipo di pensieri può avere ma mi pare evidente che credere nell'esistenza di un "dopo" possa creare un senso di di maggiore appartenenza, un senso di maggiore rispetto e aiuta a vedere l'altro come qualcuno di "familiare" (idem per il lontano futuro e il lontano passato: potremo vedere che sono realtà che ci riguardano). Dunque potrebbe aiutarci ad essere più "distaccati" dal presente e aiutarci a "trascendere" le condizioni del momento ma nel contempo a vederci in una realtà più ampia di quella di cui siamo abituati. Ovviamente sto usando il condizionale e non l'indicativo. Chiaramente questa sensazione di "appartenenza" può volendo gonfiare l'ego, ma ciò non è necessario. Anzi può favorire un comportamento più "distaccato da sé" e può favorire il rispetto dell'altro (per esempio potrei avere pensieri con una persona con cui sto litigando del tipo "come mi comporterei con questa persona se ci vivessi assieme per un tempo molto più lungo di questa vita? se infatti condividiamo veramente questa "realtà" così grande e abbiamo davvero una relazione più stretta di quanto possiamo immaginare non ha più senso comportarsi rispettosamente? Sì oggi siamo divisi ma a livello di questa ipotetica realtà, conta veramente tanto litigare sulla questione dell'immediato" e così via)
Ma come dicevo nel mio post per evitare ogni "mercenarismo" è ancora più interessante la nostra condizione di ignoranza.

Riguardo al fondamento dei comportamenti etici a livello biologico, direi che è una prospettiva molto sensata. Tuttavia se l'etica dipendesse dalla immediata fattualità perderebbe molta rilevanza. Dare un fondamento scientifico all'etica è errato secondo me perchè l'etica è formata da giudizi di valore mentre la scienza può dare appunto spiegazioni di eventi. Sono a due livelli diversi. Ne discutevo con @sgiombo qui: https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-filosofiche-5/nietzsche-l'-uomo-e-il-suo-diritto-al-futuro/225/ tra le pagine 16 e 17.
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

Eutidemo

Ciao @Apeiron,
prego...ma se la mi risposta è stata interessante, il merito è stato principalmente del tuo precedente intervento, che era molto intelligente.  ;)
Come lo sono, peraltro, anche le tue successive considerazioni, che, a mio avviso sono quasi tutte condivisibili; a parte qualcuna, almeno sotto certi aspetti. :)
          ***
Per esempio, anche io sono ben consapevole di non poter sapere con certezza cosa "ci attende" dopo la morte, però sono pressochè certo di sapere cosa "NON ci attende"; vale a dire che, così come sono sicuro di non poter più "passeggiare", in mancanza di piedi, allo stesso modo sono sicuro di non poter più "pensare", in assenza di un cervello.
Una cosa del genere, essendo il pensiero una cosa molto "impalpabile", era in effetti ancora ipotizzabile fino a non molto tempo fa; ma, da quando le "neuroscienze", soprattutto attraverso il "neuroimaging", sono riuscite a monitorare "fotograficamente" lo stretto collegamento tra pensieri, ricordi, desideri ecc.e specifiche aree del cervello, una ipotesi del genere non è più assolutamente sostenibile (ammesso e non concesso che fosse sostenibile prima).
          ***
Non è questa la sede per approfondire la cosa, ma vi basterà leggere qualche numero di "MIND", in edicola ogni mese, per rendervi meglio conto di quanto dico; salvo, ovviamente, che non vi si attivi un tipico "blocco" psicologico (anche questo individuato con il "neuroimaging" nella neocorteccia ventrale), che ci impedisce di credere a ciò a cui non vogliamo credere, ed a costruire a dei ragionamenti per dimostrare che non è vero.
Cosa che, talvolta, temo che capiti anche a me! :(
Spero che non sia il caso della mia tendenza a voler credere nella sopravvivenza di una "coscienza universale", della quale la mia "coscienza individuale" sarebbe soltanto un epifenomeno contingente; ma, ovviamente, non potendo dimostrarlo, non potrei giurarci!
Sebbene, in effetti, ancora non si può dimostrare nemmeno se la mente sia nel corpo, o viceversa; ammesso che il dilemma abbia realmente un senso.
          ***
Peraltro, in effetti, non sbagli nel dire che c'è ancora qualche aspetto della nostra coscienza che sfugge a qualsiasi analisi empirica; ad esempio, con il neuroimaging, pare che siano arrivati persino a "capire" a cosa stai pensando, ma, di sicuro, non a "vederlo" come tu lo vedi nella tua mente (nè, tantomeno, a "sentirlo" come te).
Senza considerare che lo stesso "dualismo" tra "soggetto" ed "oggetto", oggi molto sottoposto (non sempre giustamente) a critica generale, diventa ancora più "traballante" quando è il "soggetto" che vuole porre se stesso "soggetto", quale "oggetto" di analisi. 
          ***
Quanto ai collegamenti con l'etica, non c'è dubbio, come tu scrivi, che la consapevolezza della fragilità della vita ci rende molto più cauti nel decidere come agire; cioè, se "bene" o "male"!
Ed è anche vero che l'aldilà,  oltre a condurci al ragionamento "di comodo" di cui parlavo io la volta scorsa, potrebbe portarci anche ad una riflessione, come dici tu, molto più interessante e condivisibile: ed infatti, per riprendere tali e quali le tue parole, se per esempio crediamo che la morte non è né la fine nostra né di quella degli altri, è possibile che diamo più valore alle nostre azioni in quanto possiamo sentire un maggior senso di appartenenza con gli altri. 
E, nello stesso tempo, può aiutarci ad essere più "distaccati" dal presente e aiutarci a "trascendere" le condizioni del momento ma nel contempo a vederci in una realtà più ampia di quella di cui siamo abituati.  ;)
          ***
Riguardo al fondamento dei comportamenti etici a livello biologico, hai ragione nel dire che la scienza può dare solo la spiegazione del "perchè" filogenetico ed evolutivo (oltre che meramente culturale) di determinati comportamenti, ma non può certo sostituirsi al giudizio valoriale che attiene alla singola coscienza di ciascuno di noi; ti ringrazio per aver evidenziato la cosa, perchè, in effetti, per così come mi ero limitato a prospettare la cosa, il mio pensiero poteva effettivamente dar luogo ad equivoci.
Per citare Shakespeare, invero: "Il sovrano può disporre dell'obbedienza di ciascun suddito, ma non dell'anima di ciascun suddito, che appartiene soltanto a lui stesso" (Enrico V - Atto Quarto). :)

Apeiron

Citazione di: Eutidemo il 07 Marzo 2018, 14:20:58 PMCiao @Apeiron, prego...ma se la mi risposta è stata interessante, il merito è stato principalmente del tuo precedente intervento, che era molto intelligente. ;) Come lo sono, peraltro, anche le tue successive considerazioni, che, a mio avviso sono quasi tutte condivisibili; a parte qualcuna, almeno sotto certi aspetti. :))
Ciao Eutidemo e grazie!  :) (ricambio anche quanto dici sui miei interventi...)

Citazione di: Eutidemo il 07 Marzo 2018, 14:20:58 PM
*** Per esempio, anche io sono ben consapevole di non poter sapere con certezza cosa "ci attende" dopo la morte, però sono pressochè certo di sapere cosa "NON ci attende"; vale a dire che, così come sono sicuro di non poter più "passeggiare", in mancanza di piedi, allo stesso modo sono sicuro di non poter più "pensare", in assenza di un cervello. Una cosa del genere, essendo il pensiero una cosa molto "impalpabile", era in effetti ancora ipotizzabile fino a non molto tempo fa; ma, da quando le "neuroscienze", soprattutto attraverso il "neuroimaging", sono riuscite a monitorare "fotograficamente" lo stretto collegamento tra pensieri, ricordi, desideri ecc.e specifiche aree del cervello, una ipotesi del genere non è più assolutamente sostenibile (ammesso e non concesso che fosse sostenibile prima).

Condivido  :)  senza corpo chiaramente non possiamo avere sensazioni e nemmeno avere passioni, desideri, ricordi, pensieri...L'analogo più vicino è certamente il "sonno profondo" o ancora meglio il "coma". Capisco però già la perplessità che può arrivare se si dice che uno è cosciente nel "sonno profondo"... ancora più discutibile chiaramente è pensare che tipo di "cognizione" possa esserci in assenza del corpo.


Citazione di: Eutidemo il 07 Marzo 2018, 14:20:58 PM
*** Non è questa la sede per approfondire la cosa, ma vi basterà leggere qualche numero di "MIND", in edicola ogni mese, per rendervi meglio conto di quanto dico; salvo, ovviamente, che non vi si attivi un tipico "blocco" psicologico (anche questo individuato con il "neuroimaging" nella neocorteccia ventrale), che ci impedisce di credere a ciò a cui non vogliamo credere, ed a costruire a dei ragionamenti per dimostrare che non è vero. Cosa che, talvolta, temo che capiti anche a me! :( Spero che non sia il caso della mia tendenza a voler credere nella sopravvivenza di una "coscienza universale", della quale la mia "coscienza individuale" sarebbe soltanto un epifenomeno contingente; ma, ovviamente, non potendo dimostrarlo, non potrei giurarci! Sebbene, in effetti, ancora non si può dimostrare nemmeno se la mente sia nel corpo, o viceversa; ammesso che il dilemma abbia realmente un senso.

Beh se vuoi ridere da piccolo ero davvero perplesso su come era possibile non considerare il sonno come "morte". Per un po' pensavo che i due concetti coincidevano e quindi avevo paura di dormire. Adesso vedo che anche il sonno profondo è uno stato di coscienza meno "attivo", vedo una continuità nella mia coscienza tra un giorno e l'altro. Idem per gli stati vegetativi dove la coscienza è simile al sonno profondo.  Discorso diverso è: alla morte cerebrale cosa rimane?

Vedo 3 alternative:
1) totale annientamento della coscienza. Questa sembra essere l'alternativa più "razionale". Tuttavia alcuni argomenti non scientifici la rendono una prospettiva non completamente condivisa.
2) la coscienza individuale persiste in una forma "latente", ancora meno accessibile del sonno profondo. Questa ipotesi è ovviamente "spiritualistica" e si può criticarla per il fatto di essere "not even wrong", infalsificabile e dovuta al "blocco psicologico" di cui parli. Ma come dicevo l'idea della continuazione non è sempre fonte di "rassicurazione". Chiaramente essendo "infalsificabile" credere a ciò è una scelta personale. Vogliamo credere a coloro che parlano dell'esistenza di una qualche forma di mente anche in assenza di corpo?
3) vi è una coscienza "cosmica", una sorta di substrato della nostra coscienza che pervade tutto. Anche qui però possiamo chiederci cosa significa. O estendiamo la coscienza a tutto e quindi anche le particelle subatomiche hanno una mente (panpsichismo) e sono dei soggetti, oppure dobbiamo pensare ad una coscienza che non ha alcun "centro", ovvero senza soggetto. Ma ha senso questo secondo concetto: come può esserci cognizione senza un "soggetto"? E il primo: cosa vuol dire che un elettrone ha una "mente"? Terza possibilità: c'è un "soggetto cosmico" unico, un Io cosmico. Ma anche qui: cosa è questo "Io". Posso avere esperienza di tale "Io"?      



Citazione di: Eutidemo il 07 Marzo 2018, 14:20:58 PM
*** Peraltro, in effetti, non sbagli nel dire che c'è ancora qualche aspetto della nostra coscienza che sfugge a qualsiasi analisi empirica; ad esempio, con il neuroimaging, pare che siano arrivati persino a "capire" a cosa stai pensando, ma, di sicuro, non a "vederlo" come tu lo vedi nella tua mente (nè, tantomeno, a "sentirlo" come te). Senza considerare che lo stesso "dualismo" tra "soggetto" ed "oggetto", oggi molto sottoposto (non sempre giustamente) a critica generale, diventa ancora più "traballante" quando è il "soggetto" che vuole porre se stesso "soggetto", quale "oggetto" di analisi.


Concordo. Tra l'altro molti che credono in qualche forma di sopravvivenza in genere si appellano al fatto che l'esperienza soggettiva non è riducibile ai dati empirici. Ma direi che non è argomento a favore della sopravvivenza  ;) al massimo è un argomento contrario all'eliminativismo o al comportamentalismo.



Citazione di: Eutidemo il 07 Marzo 2018, 14:20:58 PM
*** Quanto ai collegamenti con l'etica, non c'è dubbio, come tu scrivi, che la consapevolezza della fragilità della vita ci rende molto più cauti nel decidere come agire; cioè, se "bene" o "male"! Ed è anche vero che l'aldilà, oltre a condurci al ragionamento "di comodo" di cui parlavo io la volta scorsa, potrebbe portarci anche ad una riflessione, come dici tu, molto più interessante e condivisibile: ed infatti, per riprendere tali e quali le tue parole, se per esempio crediamo che la morte non è né la fine nostra né di quella degli altri, è possibile che diamo più valore alle nostre azioni in quanto possiamo sentire un maggior senso di appartenenza con gli altri. E, nello stesso tempo, può aiutarci ad essere più "distaccati" dal presente e aiutarci a "trascendere" le condizioni del momento ma nel contempo a vederci in una realtà più ampia di quella di cui siamo abituati. ;) *** Riguardo al fondamento dei comportamenti etici a livello biologico, hai ragione nel dire che la scienza può dare solo la spiegazione del "perchè" filogenetico ed evolutivo (oltre che meramente culturale) di determinati comportamenti, ma non può certo sostituirsi al giudizio valoriale che attiene alla singola coscienza di ciascuno di noi; ti ringrazio per aver evidenziato la cosa, perchè, in effetti, per così come mi ero limitato a prospettare la cosa, il mio pensiero poteva effettivamente dar luogo ad equivoci. Per citare Shakespeare, invero: "Il sovrano può disporre dell'obbedienza di ciascun suddito, ma non dell'anima di ciascun suddito, che appartiene soltanto a lui stesso" (Enrico V - Atto Quarto). :)

Sono contento che qui siamo d'accordo  :)
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

Eutidemo

Ciao Apeiron,
in effetti nel "sonno profondo" (e soprattuto in "anestesia totale") non c'è "coscienza individuale"; quindi, secondo me,  è davvero arduo pensare che tipo di "cognizione individuale" possa esserci in assenza del corpo. 
Quanto al resto, io opto per la terza possibilità: cioè un "soggetto cosmico" unico, un "Io cosmico", che costituisce l'"ordito" della realtà, mentre noi ne siamo soltanto la "trama".
Però, secondo me, non puoi farne esperienza in alcun modo, perchè esperienza significa "dualismo" tra soggetto ed oggetto; secondo me, puoi solo "svegliarti", ed accorgerti, tu, "di essere Lui".
Disse il saggio padre a Svetaketu;"Butta questo sale nell'acqua e ritorna da me domani mattina." Svetaketu obbedì al padre. Allora il padre gli disse: "Portami ora quel sale che tu ieri hai gettato nell'acqua." Svetaketu guardò nell'acqua e non lo vide più. Si era sciolto."Assapora un po' di quell'acqua prendendola alla superficie. Come è?" "E' salata." "Assapora un po' di quell'acqua prendendola in basso. Come è?" "E' salata." Assaporane ancora e vieni da me." Il figlio gli obbedì e gli disse: "E' sempre lo stesso." Allora il padre disse a Svetaketu: "Così pure, o figlio mio, tu non afferri l'essere, e purtanto esso è presente ovunque tu sei.
Quello sei "tu", o Svetaketu! 
Tutto quanto esiste è manifestazione dell'ESSERE; esso è l'unica realtà, essa è l'atman. 
Quello sei "tu", o Svetaketu! 

Apeiron

#21
Citazione di: Eutidemo il 08 Marzo 2018, 17:12:39 PMCiao Apeiron, in effetti nel "sonno profondo" (e soprattuto in "anestesia totale") non c'è "coscienza individuale"; quindi, secondo me, è davvero arduo pensare che tipo di "cognizione individuale" possa esserci in assenza del corpo.


Ciao @Eutidemo.

Personalmente vedo lo stato di "anestesia totale" come uno "stato alterato di coscienza". Nel senso che l'esperienza soggettiva c'è ancora ma è appunto "latente". Nel caso del "sonno profondo" ciò è ben visibile dal fatto che ci svegliamo se sono presenti certi stimoli. Nel caso del coma o di "incoscienza" invece dove anche la presenza di stimoli non risveglia l'individuo la situazione è diversa. Ma essendoci ancora attività cerebrale secondo me l'esperienza "soggettiva" non è ancora cessata. Chiaramente non sto dicendo che uno possa essere lucido/consapevole nel "sonno profondo"   altrimenti non sarebbe "sonno profondo"
:), tuttavia credo che un continuum dell'esperienza rimanga. Detto in altro modo: la mente individuale c'è ancora. Purtroppo il termine "coscienza" è in effetti problematico quando si parla di queste cose.

E ovviamente il problema si sposta nel definire "esperienza". O addirittura stabilire su cosa si stabilisce la "continuità" della nostra persona dalla nascita alla morte ecc ecc


Citazione di: Eutidemo il 08 Marzo 2018, 17:12:39 PM
Quanto al resto, io opto per la terza possibilità: cioè un "soggetto cosmico" unico, un "Io cosmico", che costituisce l'"ordito" della realtà, mentre noi ne siamo soltanto la "trama".
Citazione di: Eutidemo il 08 Marzo 2018, 17:12:39 PMPerò, secondo me, non puoi farne esperienza in alcun modo, perchè esperienza significa "dualismo" tra soggetto ed oggetto; secondo me, puoi solo "svegliarti", ed accorgerti, tu, "di essere Lui". Disse il saggio padre a Svetaketu;"Butta questo sale nell'acqua e ritorna da me domani mattina." Svetaketu obbedì al padre. Allora il padre gli disse: "Portami ora quel sale che tu ieri hai gettato nell'acqua." Svetaketu guardò nell'acqua e non lo vide più. Si era sciolto."Assapora un po' di quell'acqua prendendola alla superficie. Come è?" "E' salata." "Assapora un po' di quell'acqua prendendola in basso. Come è?" "E' salata." Assaporane ancora e vieni da me." Il figlio gli obbedì e gli disse: "E' sempre lo stesso." Allora il padre disse a Svetaketu: "Così pure, o figlio mio, tu non afferri l'essere, e purtanto esso è presente ovunque tu sei. Quello sei "tu", o Svetaketu! Tutto quanto esiste è manifestazione dell'ESSERE; esso è l'unica realtà, essa è l'atman. Quello sei "tu", o Svetaketu!

Capito e grazie per la storiella indù. Fa sempre piacere leggerle   ;)
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

Eutidemo

Ciao Apeiron,
avendole provate entrambe, posso confermarti che c'è una certa differenza tra il "sonno profondo" e l'"anestesia totale"; io, almeno, l'ho sperimentata al risveglio.
Ed infatti, in qualunque momento io sia stato destato dal sonno profondo, ho sempre avuto una consapevolezza approssimativa del tempo trascorso (o, comunque, che era trascorso del tempo dal momento in cui mi ero addormentato); diversamente, tutte e quattro  le volte che sono stato risvegliato da una anestesia totale, non ho mai avvertito alcuna soluzione nella continuità del tempo.
Ad esempio, la prima volta che subii una anestesia totale, quando mi hanno operato per una nefrectomia, ricordo che, mentre chiacchieravo del più e del meno con l'anestesista, venni messo sul tavolo operatorio; stavo per chiedere quanto sarebbe durata l'operazione, quando ecco che, dopo pochi secondi, mi risollevano e mi rimettono sulla barella.
Al che, io chiesi: "Ma come mai mi rimettete sulla barella...l'intervento è stato rinviato?"
"No" mi rispose l'infermiere, l'abbiamo già eseguito!" al che, io credetti che scherzasse, ed invece era vero.
Sempre per esperienza personale, mi pare che sia un po' la stessa differenza che c'è tra "svenimento" e "collasso neurologico"; ed infatti, in vita mia, sono svenuto 2 o 3 volte, ma mi sono sempre reso conto che svenivo, ed ho sempre accompagnato la caduta, mentre, invece, nell'unico caso di "collasso neurologico" che mi è capitato, non me ne sono nemmeno accorto.
Mi stavo radendo la barba davanti allo specchio, quando di colpo lo specchio è sparito, ed al suo posto è apparso il soffitto; ti assicuro che è stata una esperienza stranissima, tanto che, fino a quando non mi sono reso conto di essere sdraiato per terra, per un istante ho creduto che lo specchio si fosse ribaltato riflettendo, così, il soffitto.
Per cui, sia pure solo in base alla mia impressione personale, penso di poterne inferire che, mentre nel sonno e nello svenimento un barlume di coscienza permane, nell'anestesia totale e nello stato di collasso no.
Per cui, lo stato di "anestesia totale" (e di collasso) non mi ha dato affatto l'impressione di uno "stato alterato di coscienza", bensì di "assenza totale" della stessa; uno "stato alterato di coscienza", invece, semmai, lo attribuirei al sonno REM, ed allo stato di stupore alcolico o tossico. 
Nel caso del coma (che io ho sperimentato solo in modalità indotta "farmacologicamente"), nonchè nei precedenti casi, invece, non mi sembra assolutamente sostenibile che la persistenza di "attività cerebrale" dimostri che l'esperienza "soggettiva" non è ancora cessata, in quanto l'elettroecefalografo registra anche la mera "attività cerebrale" secondaria, che prescinde da un "soggetto" cosciente. 
Se il soggetto non è consapevole di essere tale, secondo me, non si può parlare di esperienza individuale "soggettiva" in nessun senso semanticamente valido.
Ovviamente, però, come tu scrivi, anche nel "sonno profondo"  la mente individuale c'è ancora...altrimenti non potremmo trovarla ancora lì al risveglio. 
Per inciso, secondo l'Advaita Vedanta, I tre principali stati di "consapevolezza" sono:
- veglia;
- sogno; 
- sonno profondo.
E, tutti e tre, sono espressione di un quarto stato trascendentale, conosciuto nelle Upaniṣad come coincidente con la "Realtà assoluta" o Coscienza Universale che dir si voglia.

Apeiron

#23
Ciao Eutidemo,

grazie mille per il tuo post molto interessante!  :) Mi spiace che tu abbia dovuto passare tutto questo.

Comunque se hai ragione a non associare uno stato di "soggettività" agli stati di "anestesia totale" e simili (faccio notare che hai ottime ragioni per non farlo  ;) ), l'unica differenza tra questi e la morte (come diciamo "sembra" essere per quanto ne sappiamo dalla scienza e quindi dal nostro più attendibile "strumento" di conoscenza) pare essere l'irreversibilità del processo. In sostanza mentre dall'anestesia totale ci si può "risvegliare", alla morte invece il "processo" è irreversibile* .  

Non mi convince ancora totalmente la prospettiva che la mente individuale viene "distrutta" in questi stati però. Tuttavia non avendo contro-argomenti "seri" (siano essi di tipo esperienziale o  "scientifici" ) per sostenere questa mia idea non posso continuare a difendere la mia posizione (l'unico vero argomento parrebbe essere quello "etico" di cui parlavo... ma ovviamente non può arrivare a risolvere la question ;) ). Forse possiamo tirare in ballo le NDE (near-death experience) ma anche qui se non erro i neurologi hanno stabilito che quando avvegnono comunque una certa attività cerebrale rimane. Dunque non posso far altro che ripetere il ringraziamento per la discussione  ;)  



*Ecco fai conto che oltre al "continuum" di cui parlavo avevo anche pensato all'irreversibilità e mi sono dimenticato di menzionarlo: infatti nel messaggio di prima dovevo precisare che avevo pensato ad entrambe le cose. Ma adesso essendo stato "preso" da questa idea della continuità, mi sono dimenticato di parlare dell'irreversibilità   :)
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

Eutidemo

Ciao Apeiron,
grazie a te! :)
In effetti, per quanto ne sappiamo,  l'unica differenza tra lo stato di coscienza "sospesa" e lo stato di coscienza "interrotta" pare essere l'irreversibilità del processo; ed infatti, dalla prima si ritorna, dalla seconda no.
Quanto alla "coscienza individuale", a parte le "sospensioni" nel corso della vita, sia prima che dopo di questa non pare che ce ne sia alcuna traccia manifesta; non ho mai colloquiato con nessuno prima che nascesse, nè dopo che fosse morto, per cui non credo che la condizione dell'uno o dell'altro siano poi molto diverse!
Nello stato di coscienza "sospesa", però,  la mente individuale non viene affatto "distrutta"; bensì resta solo temporaneamente "parcheggiata", come un'auto in garage col motore spento!
Una volta rottamata, però, quel motore non si potrà mai più riaccendere.
"Soles occidere et redire possunt; sed nobis cum semel occidit brevis lux, nox est perpetua una dormienda!" 
Quanto alle "near-death experience", a quanto mi risulta,  i neurologi hanno sufficientemente spiegato quello che accade; in particolare, una recente ricerca della  University of Michigan Medical School, ha dato una interessante spiegazione a queste esperienze studiando dei ratti sottoposti ad infarto. 
I ricercatori hanno analizzato le registrazioni delle attività cerebrali (EEG) di nove ratti anestetizzati sottoposti ad arresto cardiaco indotto sperimentalmente; entro i primi 30 secondi dopo l'arresto cardiaco, in tutti i ratti  è stata registrata una sovratensione di attività cerebrale altamente sincronizzata che aveva caratteristiche associate con un cervello altamente eccitato.
In effetti, nel momento della pre-morte, molti dati facevano pensare ad un'attività maggiore di quella della veglia, il che suggerisce che il cervello è in grado di produrre un'attività elettrica ben organizzata durante la fase iniziale di morte clinica; questo si spiega perchè   la riduzione di ossigeno o di ossigeno e glucosio durante l'arresto cardiaco è in grado di stimolare l'attività cerebrale che è caratteristica di un'elaborazione cosciente, il che potrebbe spiegare le esperienze di pre-morte riportate da molti sopravvissuti ad un arresto cardiaco. ;)

Apeiron

Citazione di: Eutidemo il 10 Marzo 2018, 18:29:29 PM...

Interessante la metafora della macchina!  :)

Inoltre non sapevo dell'esperimento dei topi, in effetti se tale attività è presente durante tutte le NDE, allora possono benissimo essere spiegate neurologicamente.
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

Eutidemo

Citazione di: Apeiron il 10 Marzo 2018, 19:06:19 PM
Citazione di: Eutidemo il 10 Marzo 2018, 18:29:29 PM...

Interessante la metafora della macchina!  :)

Inoltre non sapevo dell'esperimento dei topi, in effetti se tale attività è presente durante tutte le NDE, allora possono benissimo essere spiegate neurologicamente.

Così sembra ;)

sgiombo

Citazione di: Eutidemo il 10 Marzo 2018, 18:29:29 PM
Ciao Apeiron,
grazie a te! :)
In effetti, per quanto ne sappiamo,  l'unica differenza tra lo stato di coscienza "sospesa" e lo stato di coscienza "interrotta" pare essere l'irreversibilità del processo; ed infatti, dalla prima si ritorna, dalla seconda no.
Quanto alla "coscienza individuale", a parte le "sospensioni" nel corso della vita, sia prima che dopo di questa non pare che ce ne sia alcuna traccia manifesta; non ho mai colloquiato con nessuno prima che nascesse, nè dopo che fosse morto, per cui non credo che la condizione dell'uno o dell'altro siano poi molto diverse!
Nello stato di coscienza "sospesa", però,  la mente individuale non viene affatto "distrutta"; bensì resta solo temporaneamente "parcheggiata", come un'auto in garage col motore spento!
Una volta rottamata, però, quel motore non si potrà mai più riaccendere.
"Soles occidere et redire possunt; sed nobis cum semel occidit brevis lux, nox est perpetua una dormienda!"
Quanto alle "near-death experience", a quanto mi risulta,  i neurologi hanno sufficientemente spiegato quello che accade; in particolare, una recente ricerca della  University of Michigan Medical School, ha dato una interessante spiegazione a queste esperienze studiando dei ratti sottoposti ad infarto.
I ricercatori hanno analizzato le registrazioni delle attività cerebrali (EEG) di nove ratti anestetizzati sottoposti ad arresto cardiaco indotto sperimentalmente; entro i primi 30 secondi dopo l'arresto cardiaco, in tutti i ratti  è stata registrata una sovratensione di attività cerebrale altamente sincronizzata che aveva caratteristiche associate con un cervello altamente eccitato.
In effetti, nel momento della pre-morte, molti dati facevano pensare ad un'attività maggiore di quella della veglia, il che suggerisce che il cervello è in grado di produrre un'attività elettrica ben organizzata durante la fase iniziale di morte clinica; questo si spiega perchè   la riduzione di ossigeno o di ossigeno e glucosio durante l'arresto cardiaco è in grado di stimolare l'attività cerebrale che è caratteristica di un'elaborazione cosciente, il che potrebbe spiegare le esperienze di pre-morte riportate da molti sopravvissuti ad un arresto cardiaco. ;)
CitazioneEsperimenti certamente molto interessanti.

Anche se mi permetto di dubitare circa le conclusioni che ne traete (tu ed Apeiron) a proposito della coscienza.

Infatti di solito un' attività eeg "sincronizzata" é tipica del sonno senza sogni (con "coscienza sospesa") e degli attacchi epilettici (anch' essi caratterizzati, nel pieno del loro svolgimento, da momentanea assenza di coscienza.

La coscienza attiva é piuttosto associa, di regola, ad attività eeg "desincronizzate".

Circa le esperienze di Pre- morte o quasi- morte personalmente ritengo si tratti di reminiscenze false, pseudoricordi ingannevoli, come anche in altri casi della vita (!), specie se drammatici, se ne verificano.

Eutidemo

Molto interessante Sgiombo. :)
So che sei medico, ma potresti ampliare un po' di più quello che hai già scritto, magari usando un terminologia un po' più semplice e qualche esempio?
Mi piacerebbe capire meglio l'argomento (anche per comprendere meglio esperienze pre e  post-operatorie che ho avuto prima e dopo l'intervento al cervello).
Grazie :)

sgiombo

Molto in breve (per manacanza di tempo e di ...ripassi recenti della neurologia!).

L' eeg rileva un po' grossolanamente l' attività elettrica del cervello, sommando alquanto "indiscriminatamente" le tantissime correnti elettriche costituenti i potenziali d' azione (cioé le molteplici trasmissioni di impulsi fra vari neuroni) che accadono di norma contemporaneamente). 
Il tracciato della veglia (e; ma qui non vorrei che la memoria mi ingannasse) delle fasi coscienti -sogni- del sonno é desincronizzato, cioé costiituito da una specie di "rumore di fondo" fatto da tantissimi, frequenti impulsi prodotti da microcorrenti elettriche disordinatamente sommate, sfasate fra loro (un po' come un reparto militare d' assalto conduce un' azione bellica su un campo di battaglia accidentato e irregolare, per così dire); in vece si hanno "sioncronizzazioni" delle correnti elettriche, per così dire "marcianti ordinatamente, allineate come i reparti di un esercito durante una parata", per così dire  (e dunque degli impulsi rilevati all' eeg) durante il sonno senza sogni e le fasi incoscienti degli attacchi epilettici.

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