Filosofia e mondo del lavoro: due mondi lontanissimi

Aperto da DeepIce, 07 Settembre 2018, 18:37:56 PM

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bobmax

Sarà pure per una mia deformazione professionale, ma ritengo che un'esperienza lavorativa in ambito tecnico sia quasi indispensabile per chi intende filosofare.

Tematiche come la logica, per esempio, assumono un significato più profondo quando ci sforziamo di applicarle provando e riprovando per giungere ad un risultato concreto.

Occorre che l'esperienza sia proprio lavorativa, perché è qui che normalmente il gioco si fa più duro.

E quando un ragionamento si rivela inefficace occorre rimettere tutto in discussione.
E ricominciare da capo.
Alla fine, si spera, una soluzione verrà trovata.

Ma lo smacco, la frustrazione del fallimento seppur temporaneo, possono risvegliare in noi la consapevolezza della profondità del reale.
Tardi ti ho amata, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amata. Tu eri con me, mentre io ero lontano da te.

InVerno

La mia esperienza è che i cosidetti "manager-filosofi" più che far contare il cv fanno contare contatti importanti. Ma d'altro canto è nelle cose di un "capitalismo di relazione" come quello italiano. A mio tempo evitai la facoltà di filosofia perchè sentivo il beep delle casse del supermercato risuonare da in fondo ai corridoi, non ci ho sbagliato di tanto rispetto a tutti i conoscenti che la frequentavano e visto che cosa sono finiti a fare. Niente di degradante intendo, ma sicuramente pochissimi sono riusciti a far valere il titolo. Sfumate le possibilità accademiche non so cosa altro possa rimanere realisticamente possibile.. Non mi metto nemmeno a discutere se questo sia giusto o sbagliato, il mondo era più bello prima etc. Di "proletari dello spirito", come li chiamava un esimio prof, è pieno il mondo, hanno riempito le biblioteche ed i musei d'arte, abbiamo bisogno di altri? Professionismo artistico filosofico.. Boh.
[N.B] Questo è un commento di carattere generale rispetto a ciò che si è discusso e che non vuole dire niente a deepice e la sua personale situazione. Anzi, l'unica cosa che mi viene da dirgli è di non considerare certe professioni richieste anche all'estero come fuori dal suo livello. Io stesso nei prossimi mesi sarò ben contento di frequentare un corso da pizzaiolo. Perchè no?
Non ci si salva da un inferno, sposandone un altro. Ipazia

davintro

Citazione di: bobmax il 09 Settembre 2018, 18:31:46 PMSarà pure per una mia deformazione professionale, ma ritengo che un'esperienza lavorativa in ambito tecnico sia quasi indispensabile per chi intende filosofare. Tematiche come la logica, per esempio, assumono un significato più profondo quando ci sforziamo di applicarle provando e riprovando per giungere ad un risultato concreto. Occorre che l'esperienza sia proprio lavorativa, perché è qui che normalmente il gioco si fa più duro. E quando un ragionamento si rivela inefficace occorre rimettere tutto in discussione. E ricominciare da capo. Alla fine, si spera, una soluzione verrà trovata. Ma lo smacco, la frustrazione del fallimento seppur temporaneo, possono risvegliare in noi la consapevolezza della profondità del reale.

andrebbe credo chiarito cosa va inteso come "lavoro": la logica che applichiamo per giungere ad un risultato è una necessità ricorrente in qualunque tipo di attività, compreso lo studio per superare un esame, o la preparazione e pubblicazione di un saggio o di un libro (che a mio avviso ricade a tutti gli effetti nella categoria di "lavoro"), non solo  nelle occupazioni "tecniche", che erroneamente, molti vedono come unico ambito nel quale una persona può esprimere i suoi talenti al servizio della comunità (perché servizio viene inteso in un'ottica solo materialistica, e quindi si considera "lavoratori" l'operaio o il manager aziendale e non il poeta o il saggista, che sarebbero solo degli "hobby" perché il contributo che portano è di tipo spirituale e non materiale). In generale tendo a dare un enorme peso all'unicità di ogni singola persona umana, e ciò mi porta a diffidare dei discorsi in cui ricorre il concetto di "indispensabile", non mi piace l'idea che esistano delle "conditio sine qua non", in assenza delle quali si è necessariamente destinati al fallimento. Le nostre diversità fanno sì, che a qualunque limite o handicap personale si possa essere facendo forza sulle nostre doti positive, poi il successo non può che essere valutato in base al risultato finale di ciò che si realizza, anziché tramite la rigida applicazione di presunti aspetti metodologici, la cui importanza è sempre relativa al soggetto che agisce. Il principio per cui "tutto è utile, nulla è indispensabile" lo trovo meno limitante, e molto più riconoscente del valore della diversità dei talenti tra i singoli individui

donquixote

Citazione di: sgiombo il 09 Settembre 2018, 09:36:03 AMPer me ripugnante é la mancanza di morale, l' essere disposti "a di tutto e di più", anche come impiego di mezzi per aggiungere fini assolutamente (questi ultimi) al di sopra di ogni possible critica e obiezione. Se per campare fossi costretto a dare il culo (letteralmente o forse ancor più metaforicamente) troverei il sopravvivere molto peggiore del morire e sicuramente mi suiciderei. 

Trovo il messaggio di apertura di questo topic abbastanza fuorviante, perchè tratta la filosofia come un semplice "mezzo tecnico" per procurarsi un mestiere (come studiare per diventare idraulico o calzolaio) mentre la filosofia è, o dovrebbe essere, la cornice entro la quale sviluppare la propria vita fra i cui innumerevoli aspetti rientra anche il lavoro. Ogni uomo ha, volente o nolente, sempre avuto una "filosofia di vita" che solitamente era assimilata da quella adottata nella sua famiglia e nel gruppo sociale in cui è cresciuto, mentre in questi tempi le "filosofie" possibili sono talmente tante da annullarsi l'un l'altra per lasciare spazio solamente all'istinto di sopravvivenza, che ognuno declina a modo suo. Questa situazione determina un fatto letteralmente inaudito: se da quando l'uomo è apparso sulla terra ha espresso una forma di cultura tanto da considerare questa la caratteristica distintiva di questa specie ora all'opposto rifiuta ogni forma di cultura sostituendola con una serie di stratagemmi finalizzati a garantirsi il "panem" magari fornendo banali "circenses" ai propri "clienti". Pare sia stato Thomas Hobbes ad inventare il detto "primum vivere, deinde philosophari", mostrando quanto in quei tempi il degrado e la dissoluzione culturali avessero già attecchito anche fra le menti più dotate; infatti non si può scindere temporalmente le due azioni poichè l'uomo, in quanto tale, "fa" costantemente filosofia, e decidere di non filosofare è già un filosofare. Privilegiare quindi la mera sopravvivenza è una decisione filosofica, e come poi ognuno interpreta questa "sopravvivenza" è indicativo di questa "filosofia" dato che possiamo vedere come persone che possiedono milioni di euro (magari a decine o centinaia) fanno il possibile per guadagnare sempre di più perchè, si giustificano, devono "mangiare" e quindi "sopravvivere". In tale diffusissimo contesto di "filosofia della sopravvivenza" (in un mondo, il nostro, ove vi sono enormi problemi ma non certo quello della mera sopravvivenza) perde qualsiasi valore e anche la possibilità di essere semplicemente compreso e giustificato un ragionamento come quello di sgiombo che è prettamente filosofico e quindi umano: l'uomo ha sempre avuto infatti un obiettivo che supera la sua stessa vita, fosse questo individuale oppure sociale, e spesso uno non esclude l'altro. Se la ricerca "filosofica" umana è sempre una tensione verso il "senso" della vita questo si può esprimere individualmente attraverso la manifestazione delle proprie capacità creative, e socialmente nella corretta interpretazione del proprio ruolo sociale. Se abbiamo avuto le opere di Dante o di Caravaggio lo dobbiamo al fatto che questi due personaggi hanno privilegiato il senso individuale delle loro vite a discapito di quello sociale (mettendo a rischio quotidianamente la loro mera sopravvivenza), ma allo stesso modo tante altre persone che non avevano un talento così glorificato dai posteri ma non certo meno utile hanno contribuito a rendere le varie comunità dei luoghi armonici in cui vivere, ove ognuno ricopriva con coraggio, onestà e senso del dovere (quindi nel complesso con "moralità") il proprio ruolo riducendo al minimo i conflitti. Mortificare quindi i propri valori individuali e quelli morali (come lo scrittore magari di talento che si adatta a scrivere "per il pubblico" solleticando gli istinti più bassi perchè così chiede il "mercato" facendo contestualmente un enorme danno sociale e morale) sacrificandoli sull'altare della "sopravvivenza" è la palese abdicazione dalla più pura umanità come concetto filosofico per trasformarlo in un puro concetto biologico, e nemmeno "animalesco" perchè gli animali hanno un istinto di sopravvivenza che tende all'equilibrio ed all'armonia, ma "bestiale" poichè l'animale uomo è essenzialmente squilibrato e sono proprio la cultura e la "filosofia" ad assumere il compito di controllare e dominare questo squilibrio.
Non c'è cosa più deprimente dell'appartenere a una moltitudine nello spazio. Né più esaltante dell'appartenere a una moltitudine nel tempo. NGD

DeepIce

Innanzitutto vorrei ringraziare per le risposte, parlarne fa sicuramente bene.

Per quanto concerne l'insegnamento, almeno in Italia la filosofia è rimasta insegnamento scolastico. In molte nazioni europee nelle scuole superiori la filosofia non esiste, quindi ancora peggio per chi la studia.

Il problema del lavoro per il filosofo si è cominciato a porre con l'avvento della società industriale. Precedentemente i filosofi erano 1) appartenenti alle classi più elevate e benestanti; 2) mantenuti dalle corti o da ricchi magnati; 3) tutori privati per i figli di ricche famiglie (se non sbaglio Hegel ha fatto il tutore per un certo tempo). Con l'avvento della società industriale, di massa, per i filosofi si è posto il problema di come guadagnarsi il pane producendo "qualcosa". I pochi fortunati entravano (ed entrano) nelle università (anch'esse parte della società industrializzata=diplomifici), il resto fa la fame.

sgiombo

Citazione di: DeepIce il 09 Settembre 2018, 22:38:25 PM
Innanzitutto vorrei ringraziare per le risposte, parlarne fa sicuramente bene.

Per quanto concerne l'insegnamento, almeno in Italia la filosofia è rimasta insegnamento scolastico. In molte nazioni europee nelle scuole superiori la filosofia non esiste, quindi ancora peggio per chi la studia.

Il problema del lavoro per il filosofo si è cominciato a porre con l'avvento della società industriale. Precedentemente i filosofi erano 1) appartenenti alle classi più elevate e benestanti; 2) mantenuti dalle corti o da ricchi magnati; 3) tutori privati per i figli di ricche famiglie (se non sbaglio Hegel ha fatto il tutore per un certo tempo). Con l'avvento della società industriale, di massa, per i filosofi si è posto il problema di come guadagnarsi il pane producendo "qualcosa". I pochi fortunati entravano (ed entrano) nelle università (anch'esse parte della società industrializzata=diplomifici), il resto fa la fame.


Anche Spinoza (più parco di altri) faceva l' ottico per potersi mantenere e filosofare.
Ma Kant ed Hegel facevano (per lo meno principalmente) i professori universitari di filosofia.

Il fatto é che la "domanda di posti di lavoro" come professori di filosofia é aumentata relativamente all' "offerta", secondo la logica mercantilistica imperante, inevitabilmente votata, dati i rapporti di produzione vigenti, alla ricerca del massimo profitto individuale a qualsiasi costo (soprattutto ma non solo per gli altri) e a breve termine cronologico, cosicché la cultura in generale e la cultura filosofica in particolare può avere solo un' importanza strumentale a tale scopo (e di fatto non ne ha molta...).

Peraltro filosofo =/= professore di filosofia (non mi riferisco in particolare a Kant ed Hegel; precisazione doverosa avendoli citati come tali).

bobmax

#36
Citazione di: davintro il 09 Settembre 2018, 18:57:17 PM
andrebbe credo chiarito cosa va inteso come "lavoro": la logica che applichiamo per giungere ad un risultato è una necessità ricorrente in qualunque tipo di attività, compreso lo studio per superare un esame, o la preparazione e pubblicazione di un saggio o di un libro (che a mio avviso ricade a tutti gli effetti nella categoria di "lavoro"), non solo  nelle occupazioni "tecniche", che erroneamente, molti vedono come unico ambito nel quale una persona può esprimere i suoi talenti al servizio della comunità (perché servizio viene inteso in un'ottica solo materialistica, e quindi si considera "lavoratori" l'operaio o il manager aziendale e non il poeta o il saggista, che sarebbero solo degli "hobby" perché il contributo che portano è di tipo spirituale e non materiale). In generale tendo a dare un enorme peso all'unicità di ogni singola persona umana, e ciò mi porta a diffidare dei discorsi in cui ricorre il concetto di "indispensabile", non mi piace l'idea che esistano delle "conditio sine qua non", in assenza delle quali si è necessariamente destinati al fallimento.

In effetti avevo scritto "quasi indispensabile" perché si potrebbe anche forse farne a meno.

Tuttavia ritengo tale evenienza abbastanza improbabile.

Il "lavoro in ambito tecnico" implica che siano soddisfatte due condizioni, che sfuggono invece nella preparazione di un esame o nella stesura di un saggio.

Queste condizioni sono:

1) Il "fare" concreto, con la progettazione e realizzazione di un qualcosa che "funzioni" e che possa essere utilizzato da altri. Ben diverso perciò dal semplice sviluppo ad uso personale, perché deve poter essere messo sul mercato. E affrontarne così tutti i rischi e le responsabilità.

2) La sua "utilità" viene riconosciuta e compensata. Se ciò non avvenisse, non si riesce a mantenere la famiglia...

Non pochi filosofi, come i pur apprezzabili Severino e Galimberti, mostrano a mio avviso una grave carenza nel comprendere questi aspetti fondamentali della tecnica.
Così vi si scagliano contro, senza avvedersi di disprezzare nient'altro che l'applicazione concreta (nella realtà fisica!) dello stesso pensiero logico/razionale del quale ritengono, a torto, di aver compreso tutte le implicazioni.
Tardi ti ho amata, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amata. Tu eri con me, mentre io ero lontano da te.

Phil

Citazione di: donquixote il 09 Settembre 2018, 22:21:49 PM
Pare sia stato Thomas Hobbes ad inventare il detto "primum vivere, deinde philosophari", mostrando quanto in quei tempi il degrado e la dissoluzione culturali avessero già attecchito anche fra le menti più dotate; infatti non si può scindere temporalmente le due azioni poichè l'uomo, in quanto tale, "fa" costantemente filosofia, e decidere di non filosofare è già un filosofare.
Dice Aristotele (Metafisica, A, 2, 982a-983a):
"se è vero che gli uomini si diedero a filosofare con lo scopo di sfuggire all'ignoranza, è evidente che essi perseguivano la scienza col puro scopo di sapere e non per qualche bisogno pratico. E ne è testimonianza anche il corso degli eventi, giacche solo quando furono a loro disposizione tutti i mezzi indispensabili alla vita e quelli che procurano benessere e agiatezza, gli uomini incominciarono a darsi ad una tale sorta di indagine scientifica" (per Aristotele il concetto di "scienza" era affine a quello di filosofia, intesa come "scienza del sapere", e d'altronde oggi abbiamo, se non erro, corsi di laurea in "scienze filosofiche").
Adesso la società non è certo quella dei tempi di Aristotele, ma resta vero che una pancia vuota cerca cibo e con la sola filosofia (dati alla mano) non lo troverà facilmente. Questo è il senso che volevo dare a "primum vivere", quando l'ho citato in precedenza.

Ognuno ha inevitabilmente una sua visione del mondo, eppure non direi che, banalmente, tutti fanno filosofia: certo, tutti ragionano, eppure quel tipo di "philein" categorizzante, tipico della filosofia, non risiede tutte le menti (per fortuna, altrimenti ci estingueremmo presto  ;D ). Tutti riordiniamo la casa, magari compriamo suppellettili o spostiamo qualche mobile, di tanto in tanto, ma non per questo direi che ci possiamo tutti considerare architetti o arredatori di interni (al di là dell'esser pagati o meno per farlo).
"Decidere di non filosofare è già filosofare"? Non ricordo il contesto in cui Hegel (e forse non per primo) diede alla luce tale aforisma, tuttavia, se qualcuno dice che non vuole avere a che fare con la filosofia, le cui questioni giudica prive di interesse, fa certamente una affermazione filosofica (che non significa fare filosofia) solo se ha meditato adeguatamente su tale scelta; se invece (più plausibilmente) è un giudizio dettato da noncuranza, altri interessi o rifiuto del pensare a certi temi, non me la sentirei di dire che tale soggetto stia davvero facendo filosofia (tantomeno che sia un filosofo).

Mi pare che, salvo eccezioni, se si vuole lavorare e mangiare con la Filosofia, ci si debba rivolgere all'insegnamento (a tutti i livelli), se invece si vuole lavorare e mangiare "con filosofia" (e/o avere l'hobby della filosofia) è irrilevante il lavoro che si svolge; per fare filosofia, come dicevo, bastano matita e foglio, sebbene sia consigliato farla a stomaco pieno... fermo restando che, ironicamente, il disoccupato cronico e il milionario ozioso (essendosi estinta la possibilità di essere mantenuti da mecenati) sono quelli che hanno maggior tempo da dedicare alla filosofia (sia la loro o di altri).

Citazione di: donquixote il 09 Settembre 2018, 22:21:49 PM
Mortificare quindi i propri valori individuali e quelli morali [...] sacrificandoli sull'altare della "sopravvivenza" è la palese abdicazione dalla più pura umanità come concetto filosofico per trasformarlo in un puro concetto biologico, e nemmeno "animalesco" perchè gli animali hanno un istinto di sopravvivenza che tende all'equilibrio ed all'armonia, ma "bestiale" poichè l'animale uomo è essenzialmente squilibrato e sono proprio la cultura e la "filosofia" ad assumere il compito di controllare e dominare questo squilibrio.
E se fossero state proprio la cultura e la filosofia (con la sua hybris) a mutare l'animalità dell'uomo in bestialità squilibrata?
I danni all'ambiente, le problematiche sociali e il biasimato "regime dittatoriale dell'economia", non sono forse figli della nostra cultura e di una certa filosofia che li ha alimentati, piuttosto che domarli?

davintro

#38
Citazione di: bobmax il 10 Settembre 2018, 10:02:00 AM
Citazione di: davintro il 09 Settembre 2018, 18:57:17 PMandrebbe credo chiarito cosa va inteso come "lavoro": la logica che applichiamo per giungere ad un risultato è una necessità ricorrente in qualunque tipo di attività, compreso lo studio per superare un esame, o la preparazione e pubblicazione di un saggio o di un libro (che a mio avviso ricade a tutti gli effetti nella categoria di "lavoro"), non solo nelle occupazioni "tecniche", che erroneamente, molti vedono come unico ambito nel quale una persona può esprimere i suoi talenti al servizio della comunità (perché servizio viene inteso in un'ottica solo materialistica, e quindi si considera "lavoratori" l'operaio o il manager aziendale e non il poeta o il saggista, che sarebbero solo degli "hobby" perché il contributo che portano è di tipo spirituale e non materiale). In generale tendo a dare un enorme peso all'unicità di ogni singola persona umana, e ciò mi porta a diffidare dei discorsi in cui ricorre il concetto di "indispensabile", non mi piace l'idea che esistano delle "conditio sine qua non", in assenza delle quali si è necessariamente destinati al fallimento.
In effetti avevo scritto "quasi indispensabile" perché si potrebbe anche forse farne a meno. Tuttavia ritengo tale evenienza abbastanza improbabile. Il "lavoro in ambito tecnico" implica che siano soddisfatte due condizioni, che sfuggono invece nella preparazione di un esame o nella stesura di un saggio. Queste condizioni sono: 1) Il "fare" concreto, con la progettazione e realizzazione di un qualcosa che "funzioni" e che possa essere utilizzato da altri. Ben diverso perciò dal semplice sviluppo ad uso personale, perché deve poter essere messo sul mercato. E affrontarne così tutti i rischi e le responsabilità. 2) La sua "utilità" viene riconosciuta e compensata. Se ciò non avvenisse, non si riesce a mantenere la famiglia... Non pochi filosofi, come i pur apprezzabili Severino e Galimberti, mostrano a mio avviso una grave carenza nel comprendere questi aspetti fondamentali della tecnica. Così vi si scagliano contro, senza avvedersi di disprezzare nient'altro che l'applicazione concreta (nella realtà fisica!) dello stesso pensiero logico/razionale del quale ritengono, a torto, di aver compreso tutte le implicazioni.




Non posso condividere questo discorso perché mi sembra del tutto ammantato di un pregiudizio materialista che porta a sviare la corretta espressione di alcuni concetti chiave. Mi riferisco in particolare a concetti come "concretezza", "utilità", "funzionare". Far coincidere la "concretezza" con l'applicazione nel campo fisico, relegando l'intellettuale e spirituale ad "astrazione" è puro materialismo che si ferma a una visione superficiale dell'essere umano e delle azioni che compie. La mentalità, le nostre convinzioni sono concrete nella misura in cui influenzano le nostre scelte e comportamenti, e possono essere formate tramite la riflessione e lo studio filosofico, ed in questo modo lo spirito, inteso come complesso delle nostre idee e visioni del mondo, è concretezza, in quanto concretamente incide sempre sulla nostra vita, anche se in molti casi inavvertitamente, dato che influisce ad un livello profondo interiore, non visibile a uno sguardo superficiale che si limita a osservare i meri movimenti fisici del corpo, senza poter intuire ciò che c'è "dentro" che motiva quei movimenti. L'utilità non ha mai un significato assoluto, ma relativo, relativo ai fini soggettivi e diversificati che ciascun singolo si pone. Quindi non ha alcun senso pensare che qualcosa sia in assoluto più "utile" rispetto a un'altra", tutto dipende dalle esigenze della persona che usufruisce della cosa. Scrivere un saggio non è necessariamente meno "utile" che una lampadina o un ventilatore frutto di un prodotto tecnico, sono entrambi utili in relazione a fini molto diversi fra loro, il saggio verrà letto da chi, evidentemente, ritiene utile per delle sue esigenze personali, approfondire la conoscenza di uno specifico argomento, essere stimolato nella ricerca di spunti di riflessione in merito, e il saggio "funzionerà" nella misura in cui si dimostra efficace nella realizzazione delle finalità di chi ha interesse a leggerlo, nella stessa misura in cui una lampadina funziona quando adeguata alle esigenze di chi la utilizza, fare luce. E il "funzionare" del saggio, come quello della lampadina, consiste nel rispetto di criteri oggettivi, anche se non "tecnici" nel senso stretto del termine: coerenza interna e rigore argomentativo, doti di intuizione dell'autore degli aspetti della realtà delle cose oggetto della sua trattazione, chiarezza espositiva. Per quanto riguarda il discorso della retribuzione economica, (e in qualche modo ci avviciniamo all'argomento del topic anche se in una chiave diversa), direi che è indispensabile al filosofare in modo indiretto: per filosofare bisogna vivere, per vivere occorre esaudire dei bisogni materiali tramite il denaro. Ma non trovo alcun legame diretto tra la retribuzione economica e la qualità del filosofare. La molla che motiva l'uomo verso la filosofia non può mai essere un'esigenza di guadagno, ma di disinteressato amore del sapere, la "teoria", la contemplazione di cui parlava Aristotele. Da ciò discende anche che non ha alcun senso vincolare un giudizio sulla qualità di un lavoro filosofico (ma più in generale, direi "scientifico" se come ricorda Burioni nella sua polemica contro i no-vax "la scienza non è democratica") alla quantità di persone che lo apprezzano e sono disposti a spendere per compare i libri, non c'è una necessaria corrispondenza tra successo commerciale e spessore culturale di ciò che si produce, e comunque non è al primo che il filosofo in quanto tale dovrebbe mirare.



In definitiva direi l'abilità pratica-tecnica applicata alla sfera delle produzioni materiale certamente migliora e completa l'idea di essere umano inteso nella complessità delle sue doti, essendo l'essere umano non puro spirito, ma unità di anima e corpo, ma non determina il valore della sua filosofia, un ambito che ha un proprio determinato ambito di applicazione e conseguenti autonome qualità richieste per il suo esprimersi al meglio.

sileno

Citazione di: DeepIce il 07 Settembre 2018, 18:37:56 PM
Sono un uomo di 37 anni, laureato in filosofia e dottore di ricerca nella stessa materia, parlo fluentemente 3 lingue. Ho sempre avuto mille interessi (lettura, comunicazione, giornalismo, lingue); interessi che mi hanno portato a fare innumerevoli esperienze, tutte molto stimolanti e formative, ma poco o per nulla remunerative.

Fino ad una certa età, con tanti sogni nel cassetto, si pensa più ad accumulare esperienze. Poi però arriva il momento in cui ci si rende conto di non avere nulla in mano. In sostanza non riesco a trovare lavoro, di nessun tipo.

Non riesco a capire che cosa ci sia di sbagliato in me o nel mio curriculum. I datori di lavoro sembrano quasi spaventati dalla mia formazione universitaria (filosofia è una disciplina pericolosa?). A volte mi sento dire che il mio CV è troppo ricco, a volte che manca sempre qualcosa.

Sono stato anche all'estero, ma - a dispetto di quanto molti sostengono - non è affatto facile: si cercano soprattutto persone con conoscenze nel campo dell IT, dell'informatica, dell'accounting, dell'ingegneria e cose del genere.

Ho provato in settori quali il marketing, la comunicazione, il copywriting, l'editoria; settori più affini alle mia capacità ed ai miei studi...il risultato è stato ed è zero!

La cosa che mi fa sorridere è che c'è gente che mi invidia, vorrebbe avere i titoli accademici  e le esperienze che ho io. Eppure mi sento un fallito. A volte mi ritrovo ad invidiare i pasticceri, i cuochi, i panettieri che trovano un lavoro facilmente, in Italia e all'estero.

Mi sento in colpa per aver fatto determinate scelte formative: se invece di perdere anni sui libri di filosofia avessi imparato un mestiere o studiato altro, forse ora sarebbe tutto più facile.

Non colpevolizzo la filosofia in quanto tale, è stata ed è la mia passione, però prendo atto che la filosofia e il mondo del lavoro sono agli antipodi.






Di Robert Hassan - dal corriere della sera - 19 marzo 2018
Nel 2017 sono aumentate le ricerche di laureati in Filosofia per la posizione di direttore di risorse umane. Lo rivela un'analisi di Manageritalia che evidenzia come questo incremento di richieste ci sia soprattutto nei casi in cui i laureati in questa facoltà abbiano conseguito un master e se a sceglierli sono manager con la stessa estrazione.
"Il perché di questa crescita sta nel fatto che le materie umanistiche, ancor più la filosofia, possono essere più prodrome di empatia ed intelligenza emotiva e nell'area del personale ce n'è tantissimo bisogno", spiega Enrico Pedretti (nella foto), direttore marketing di Manageritalia.
Citazione
"Ma c'è anche un'altra e forse più recente spiegazione. Tutta questa rinnovata e inedita attenzione verso le discipline umanistiche negli atenei americani è giustificata dal fatto che la scienza e la tecnica, con lo sviluppo dell'intelligenza artificiale, stanno ponendo le basi per la distruzione di molti lavori che saranno presto svolti da robot. La preoccupazione è evidente e si corre ai ripari puntando sorprendentemente su ciò che un robot difficilmente potrà acquisire: la capacità di astrazione, la creatività, l'aspirazione verso la bellezza e l'assoluto, alla base degli studi umanistici. Così la tradizionale dicotomia tra discipline scientifiche e umanistiche oggi sembra non avere più senso. Una fusione di diversi e complementari appare fondamentale per renderci unici e insostituibili dalle macchine, allenando il nostro cervello con romanzi, poesie, ragionamenti astratti, arte e musica. E i manager, in particolare quelli delle risorse umane, sono proprio quelli che in azienda devono trovare la quadra", conclude Pedretti.
Anche da un'indagine svolta da Gidp/Hrda, associazione nazionale direttori risorse umane, emerge che aumentano le ricerche di laureati in Filosofia per la posizione di direttore di risorse umane: Filosofia, Psicologia e Giurisprudenza sono le lauree preferite dalle aziende per lavorare nel settore 'risorse umane'.
Solo al quarto posto c'è Economia e. Commercio, segue Scienze Politiche. "Sicuramente i laureati in Filosofia possono essere ottimi direttori di risorse umane perchè sono più duttili, hanno strumenti più sofisticati a disposizione nel senso che hanno una visione più sistemica della realtà", osserva Giovanni Facco, ex direttore risorse umane di Italimpianti e laureato in Filosofia. "Hanno molta apertura mentale e conoscono bene le idee dei grandi pensatori, utili per prendere decisioni in azienda", conclude Facco.
"La filosofia viene spesso associata a personaggi scollegati dalla realtà che producono pensieri astratti; al contrario, invece, è passione per il sapere, voglia di indagare sul significato delle cose e ricerca di un senso in tutto quello che facciamo", osserva Barbara Cottini, laureata in Filosofia e HR director di Gi Group, società multinazionale italiana del lavoro.
"La stretta vicinanza della funzione HR alla strategia aziendale impone di essere estremamente realisti, di aiutare l'organizzazione a reagire alla velocità di cambiamento che il mercato globale impone, fornendo un contributo sostenibile ed in linea con la volontà dell'azienda. La filosofia infatti aiuta ad acquisire un rapporto diverso con la realtà, spingendo a vedere dove altri non vedono, ad andare al di là delle apparenze, ad essere flessibile e maggiormente adattabile al cambiamento perché si è in grado di leggere il contesto e di gestire dunque con maggiore facilità persone, organizzazioni ed a governare le trasformazioni con equilibrio", conclude Barbara Cottini.
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iano

#40
Citazione di: DeepIce il 07 Settembre 2018, 18:37:56 PM
Sono un uomo di 37 anni, laureato in filosofia e dottore di ricerca nella stessa materia, parlo fluentemente 3 lingue. Ho sempre avuto mille interessi (lettura, comunicazione, giornalismo, lingue); interessi che mi hanno portato a fare innumerevoli esperienze, tutte molto stimolanti e formative, ma poco o per nulla remunerative.

Fino ad una certa età, con tanti sogni nel cassetto, si pensa più ad accumulare esperienze. Poi però arriva il momento in cui ci si rende conto di non avere nulla in mano. In sostanza non riesco a trovare lavoro, di nessun tipo.

Non riesco a capire che cosa ci sia di sbagliato in me o nel mio curriculum. I datori di lavoro sembrano quasi spaventati dalla mia formazione universitaria (filosofia è una disciplina pericolosa?). A volte mi sento dire che il mio CV è troppo ricco, a volte che manca sempre qualcosa.

Sono stato anche all'estero, ma - a dispetto di quanto molti sostengono - non è affatto facile: si cercano soprattutto persone con conoscenze nel campo dell IT, dell'informatica, dell'accounting, dell'ingegneria e cose del genere.

Ho provato in settori quali il marketing, la comunicazione, il copywriting, l'editoria; settori più affini alle mia capacità ed ai miei studi...il risultato è stato ed è zero!

La cosa che mi fa sorridere è che c'è gente che mi invidia, vorrebbe avere i titoli accademici  e le esperienze che ho io. Eppure mi sento un fallito. A volte mi ritrovo ad invidiare i pasticceri, i cuochi, i panettieri che trovano un lavoro facilmente, in Italia e all'estero.

Mi sento in colpa per aver fatto determinate scelte formative: se invece di perdere anni sui libri di filosofia avessi imparato un mestiere o studiato altro, forse ora sarebbe tutto più facile.

Non colpevolizzo la filosofia in quanto tale, è stata ed è la mia passione, però prendo atto che la filosofia e il mondo del lavoro sono agli antipodi.
Ti racconto la mia esperienza,che seppur diversa , in qualche modo conferma (o forse no ) le tue conclusioni.
Sono in possesso da qualche decennio di uno dei lavori che tu invidi , nonché di passione per il filosofare , cresciuta nel frattempo .
Che differenza c'è fra me e i miei colleghi in genere?
Capisco meglio il contesto in cui lavoro , e non intendo solo dal punto di vista professionale.
Questo mi avrebbe consentito di far carriera , se avessi voluto.
Perché so farmi le mie ragioni e ho il rispetto , e forse perfino il timore dei miei superiori .Hanno provato in tutti in modi di promuovermi , per placarmi immagino,ma senza riuscirci,perché ho anche la fortuna di fare un lavoro che mi piace.Per contro sono diventato un alieno per i miei colleghi i quali parimenti mi temono , con mio dispiacere.
Forse la filosofia non serve a trovare un lavoro , è vero , ma serve per tutto il resto.
Quindi cerca un lavoro qualsiasi , possibilmente che non ti piaccia 😅 , e poi accetta tutte le promozioni che verrano....quasi da se'.
Da cosa nasce cosa ......se si possiede un buon concime ..... da non spargere sul curriculum pero'.😅
Per farsi temere c'è tempo, anche se detto così non suona bene e io non l'ho cercato.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

donquixote

Citazione di: Phil il 10 Settembre 2018, 12:41:16 PMDice Aristotele (Metafisica, A, 2, 982a-983a): "se è vero che gli uomini si diedero a filosofare con lo scopo di sfuggire all'ignoranza, è evidente che essi perseguivano la scienza col puro scopo di sapere e non per qualche bisogno pratico. E ne è testimonianza anche il corso degli eventi, giacche solo quando furono a loro disposizione tutti i mezzi indispensabili alla vita e quelli che procurano benessere e agiatezza, gli uomini incominciarono a darsi ad una tale sorta di indagine scientifica" (per Aristotele il concetto di "scienza" era affine a quello di filosofia, intesa come "scienza del sapere", e d'altronde oggi abbiamo, se non erro, corsi di laurea in "scienze filosofiche"). Adesso la società non è certo quella dei tempi di Aristotele, ma resta vero che una pancia vuota cerca cibo e con la sola filosofia (dati alla mano) non lo troverà facilmente. Questo è il senso che volevo dare a "primum vivere", quando l'ho citato in precedenza. Ognuno ha inevitabilmente una sua visione del mondo, eppure non direi che, banalmente, tutti fanno filosofia: certo, tutti ragionano, eppure quel tipo di "philein" categorizzante, tipico della filosofia, non risiede tutte le menti (per fortuna, altrimenti ci estingueremmo presto ;D ). Tutti riordiniamo la casa, magari compriamo suppellettili o spostiamo qualche mobile, di tanto in tanto, ma non per questo direi che ci possiamo tutti considerare architetti o arredatori di interni (al di là dell'esser pagati o meno per farlo). "Decidere di non filosofare è già filosofare"? Non ricordo il contesto in cui Hegel (e forse non per primo) diede alla luce tale aforisma, tuttavia, se qualcuno dice che non vuole avere a che fare con la filosofia, le cui questioni giudica prive di interesse, fa certamente una affermazione filosofica (che non significa fare filosofia) solo se ha meditato adeguatamente su tale scelta; se invece (più plausibilmente) è un giudizio dettato da noncuranza, altri interessi o rifiuto del pensare a certi temi, non me la sentirei di dire che tale soggetto stia davvero facendo filosofia (tantomeno che sia un filosofo). Mi pare che, salvo eccezioni, se si vuole lavorare e mangiare con la Filosofia, ci si debba rivolgere all'insegnamento (a tutti i livelli), se invece si vuole lavorare e mangiare "con filosofia" (e/o avere l'hobby della filosofia) è irrilevante il lavoro che si svolge; per fare filosofia, come dicevo, bastano matita e foglio, sebbene sia consigliato farla a stomaco pieno... fermo restando che, ironicamente, il disoccupato cronico e il milionario ozioso (essendosi estinta la possibilità di essere mantenuti da mecenati) sono quelli che hanno maggior tempo da dedicare alla filosofia (sia la loro o di altri).

Aristotele in questo caso (come in svariati altri) ha completamente sbagliato valutazione anche solo dal punto di vista logico, perchè se si vuole sfuggire all'ignoranza bisogna prima di tutto esserne consapevoli, e ciò presuppone già un ragionamento di tipo "filosofico"; inoltre il "bisogno" di sapere conseguente alla consapevolezza della propria ignoranza è del tutto assimilabile a quello di mangiare o di bere, altrimenti non avrebbe alcun senso dato che glia animali non "filosofano" perchè non hanno alcuna necessità di farlo. Poi la storia della "pancia vuota" è una bufala bella e buona, perchè l'uomo, da che esiste,  vive in comunità e per elaborare una qualsiasi organizzazione sociale, anche semplice, è necessaria una "visione" e quindi una filosofia. I più antichi insediamenti umani conosciuti mostrano come uomini di decine di migliaia di anni fa possedessero un concetto di "sacro" e lo esprimessero simbolicamente, e il sacro è già un concetto filosofico complesso, dunque se Aristotele non era in grado di vedere oltre la Grecia del suo tempo o di poco prima Platone prima di lui aveva compreso molto di più quando affermava che la "sapienza" (dall'amore per la quale nasce il termine "filosofia") era qualcosa da riscoprire, qualcosa che era già stato vissuto in tempi passati e poi si era perso, forse proprio per privilegiare la soddisfazione dei "bisogni pratici" che diventano dunque il sostituto moderno della filosofia e non  il presupposto della sua nascita. Del resto questo è il periodo in cui i "bisogni pratici" sono soddisfatti come mai prima nella storia, eppure è anche quello in cui l'amore per la sapienza è giunto al suo più basso livello conosciuto, e i vari milionari che potrebbero vivere teoricamente migliaia di vite senza la preoccupazione dei "bisogni pratici" continuano non a caso a voler guadagnare sempre di più anzichè occuparsi di filosofia, forse proprio perchè la loro "filosofia" è proprio questa.

Citazione di: Phil il 10 Settembre 2018, 12:41:16 PM
Citazione di: donquixote il 09 Settembre 2018, 22:21:49 PMMortificare quindi i propri valori individuali e quelli morali [...] sacrificandoli sull'altare della "sopravvivenza" è la palese abdicazione dalla più pura umanità come concetto filosofico per trasformarlo in un puro concetto biologico, e nemmeno "animalesco" perchè gli animali hanno un istinto di sopravvivenza che tende all'equilibrio ed all'armonia, ma "bestiale" poichè l'animale uomo è essenzialmente squilibrato e sono proprio la cultura e la "filosofia" ad assumere il compito di controllare e dominare questo squilibrio.
E se fossero state proprio la cultura e la filosofia (con la sua hybris) a mutare l'animalità dell'uomo in bestialità squilibrata? I danni all'ambiente, le problematiche sociali e il biasimato "regime dittatoriale dell'economia", non sono forse figli della nostra cultura e di una certa filosofia che li ha alimentati, piuttosto che domarli?



È invece esattamente l'opposto, perchè se la filosofia è un tipo di espressione dell'intelletto umano è da quest'ultimo che bisogna partire se si vuole comprendere le sue espressioni. la hybris non è un concetto filosofico ma psicologico (o meglio una caratteristica psicologica che è stata concettualizzata filosoficamente), e la progressiva incidenza di tale caratteristica nell'animo umano ha consentito e agevolato l'elaborazione delle "filosofie" che vediamo oggi, oltre all'aumento dell'ignoranza e dell'umanismo (homo sum, humani nihil a me alienum puto - Publio Terenzio Afro) che ha permesso di giudicare "positiva" questa caratteristica solo in quanto "umana".
Non c'è cosa più deprimente dell'appartenere a una moltitudine nello spazio. Né più esaltante dell'appartenere a una moltitudine nel tempo. NGD

Phil

@donquixote

Certamente il sacro è già una forma (arcaica) di filosofia, eppure... si può mangiare senza aver fatto filosofia, ma si può fare filosofia senza aver mangiato?
Probabilmente intendi la filosofia semplicemente come sinonimo di ragionamento, visione del mondo; è una sua interpretazione legittima, sebbene Aristotele e io la identifichiamo con qualcosa di meno estemporaneo e improvvisato.
Sul rapporto filosofia e bestialità, mi sembra che in fondo confermi quanto proponevo (anche se esordisci con "è invece esattamente l'opposto"), ovvero che la filosofia (dominante) è causa della (per te spiacevole) situazione attuale più di quanto ne sia moderatrice ed emendatrice (oppure ho frainteso?).

P.s.
La hybris è un concetto filosofico-letterario, più che psicologico:
https://it.wikipedia.org/wiki/Hybris

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