fenomenologia materiale dell'"IO"

Aperto da and1972rea, 21 Ottobre 2020, 17:57:02 PM

Discussione precedente - Discussione successiva

Dante il Pedante

Ciao N
Citazione di: niko il 25 Ottobre 2020, 14:47:53 PM
Citazione di: Dante il Pedante il 25 Ottobre 2020, 14:00:33 PM
Al momento la neuroscienza non ha ancora dimostrato un caxxo sulla autocoscienza. Solo ipotesi e teorie. Se sono bravi come quelli che studiano il covid  ;) ..L'esperimento di Libett è ampiamente superato.Sono interessanti i più recenti studi sul "libero veto" piuttosto che sul libero arbitrio, che dimostrebbero le capacità della mente di fare scelte libere. la visione meccanicistica è ormai preistoria ;D
Famoso anche l'esperimento di questi ricercatori. Essi, attraverso la tecnica della pattern recognition hanno studiato la scelta di alcuni volontari, che avrebbero dovuto decidere quale tra due bottoni avrebbero dovuto premere. Essi scrivono:
«Abbiamo verificato che il risultato di una decisione può essere codificato nell'attività cerebrale della corteccia prefrontale e parietale fino a 10 secondi prima che il soggetto raggiunga la consapevolezza. Questo ritardo, presumibilmente, riflette l'operazione di una rete di aree di controllo di alto livello che cominciano a preparare una decisione imminente ben prima che venga raggiunta la consapevolezza».
In poche parole, per loro, è l'inconscio a determinare l'attività conscia (Fonte: Nature - Unconscious determinants of free decision in human brain). Ma attenzione a non lasciarsi ingannare...

    Innanzitutto, essi riuscivano sì a prevedere quale pulsante avrebbero premuto i volontari, ma con un'accuratezza del 60%, una percentuale non troppo alta se si tiene presente che la scelta era duale e che, tirando a indovinare, essi avrebbero avuto una precisione non troppo inferiore, ovvero del 50%. Ne consegue che essi non hanno scoperto che l'inconscio determina la decisione, ma che semplicemente un desiderio inconscio può spingere in una direzione piuttosto che l'altra.
    Veniva chiesto ai soggetti di premere il tasto non appena avrebbero sentito l'impulso. Il soggetto non doveva quindi "fermare" l'impulso, qualora lo volesse, per non compromettere l'esperimento. Quante volte sentiamo un impulso e lo fermiamo?
    Possiamo, anche qui, rivolgere la critica temporale: 10 secondi non sono anni...
    La corteccia prefrontale ha connessioni reciproche con tutti i sistemi motori ed è connessa con aree che riguardano la memoria e le emozioni. Non ha tuttavia connessioni dirette con aree motrici. Essa serve anche a mantenere informazioni o decisioni pre-stabilite. Da qui si capisce che essa non è determinante, sia per la posizione, sia perché non ha connessioni dirette con le aree della morale o del pensiero cognitivo. Anche se è lei a consigliare cosa fare (o, semplicemente, a simulare l'azione), lei riguarda solo i movimenti (Fonte: Giuseppe di Pellegrino - La corteccia prefrontale)... Bisogna comunque dire che è in parte legata a disturbi quali la schizofrenia e quindi potrebbe influenzare il comportamento (ma "influenzare" è una cosa diversa da "determinare"). Forse, il comportamento non buono della corteccia prefrontale determina un malfunzionamento della vicina memoria emotiva, ma non sta a me dire queste cose.
    Anche la corteccia parietale è legata ai movimenti, oltre alle informazioni visive, uditive e spaziali. Un danneggiamento di essa produce aprassia, ovvero un disturbo che coinvolge i movimenti (Fonte: Università di Venezia - Cervello). Anche questa non è legata alle scelte morali.
    Forse, le aree in questione, stavano semplicemente creando l'immagine visiva di un'azione pre-stabilita da compiere in quello spazio, suggerendo come compierla e quale bottone premere. Insomma, solo un suggerimento...
    La scelta era casuale: non avevano motivazioni per premere un tasto piuttosto che l'altro. È possibile che, di fronte a situazioni del genere, sia il cervello che produce "a random" l'azione. Io, forse, avrei accettato questa spiegazione se la previsione fosse stata precisa al 90%, non al 60%...
    Forse queste persone non avevano ancora deciso quale tasto premere, ma è possibile che l'attività della zona prefrontale stesse solo riflettendo il pensiero su cosa premere: se i volontari pensavano più intensamente al tasto destro (da premere, secondo l'esperimento, con la mano destra) che al sinistro (da premere con la sinistra) è logico che l'attività della zona cerebrale "simuli" l'attività della mano destra, ma non necessariamente il volontario deve muovere la mano destra per premere il pulsante, come il 40% di indeterminazione effettivamente dimostra. Quindi, è logico che ci sia un'attività cerebrale prima della decisione cosciente (Fonte: Filippo Tempia - Decisioni libere e giudizi morali).


È evidente che le interpretazioni di Haynes & co. sono frutto di idee preconcette (basta vedere l'impostazione fortemente riduzionistica dell'articolo) e sono incredibilmente forzate e arbitrarie.

da Falena Blu




Non è che magari migliori la precisione solo del più dieci percento da cinquanta, che avresti comunque perché la probabilità di scelta tra due tasti è quella, a sessanta, usando una tecnologia particolare, perché una tecnologia che preveda in anticipo quale pulsante tra due possibili premerà un uomo a partire dall'analisi della sua attività cerebrale è roba complicatissima da fantascienza, quindi in quanto costruita da altri uomini è imperfetta, quindi più che un miglioramento di prevedibilità del dieci percento sul risultato casuale non ti dà, e già e tanto e sorprendete quello? Magari una macchina simile costruita da alieni avanzatissimi ti porta all'ottanta, al novanta, al cento...
iko

Sono dante :)
Penso che la confutazione sia logica.La teoria dI lIbet si basa veramente su poco. ;)
Padrone dacci fame, abbiamo troppo da mangiare.La sazietà non ci basta più. Il paradosso di chi non ha più fame,ma non vuol rinunciare al piacere di mangiare.(E. In Via Di Gioia)

Jacopus

CitazioneAl momento la neuroscienza non ha ancora dimostrato un caxxo sulla autocoscienza. Solo ipotesi e teorie. Se sono bravi come quelli che studiano il covid  ;)


Per Dante. Questo lo dici tu. In realtà le neuroscienze hanno dimostrato molte cose su come funziona il cervello e la coscienza, anche se prima bisognerebbe intendersi sul termine coscienza.
Di sicuro, a meno di non volersi bendare gli occhi, sono più vicini alla conoscenza i neuroscienziati che Descartes, il quale però, si prende la sua rivincita, fondando con il "cogito ergo sum", la necessità che il pensiero sia fondato sull'evidenza della realtà  (vedi "sul metodo"). Un principio all'epoca così rivoluzionario che Descartes temette a lungo di essere perseguitato per le sue idee. Ma è lo stesso principio che, dopo il medioevo, inaugurò l'epoca moderna e il modello scientifico galileiano e quindi, dopo qualche secolo, le neuroscienze.
Sull'argomento del topic è attinente quello che scrive Damasio in un piccolo classico che è neuroscientifico ma anche divulgativo (al punto di essere giunto alla 14 edizione): "l'errore di Cartesio".
https://it.m.wikipedia.org/wiki/L%27errore_di_Cartesio
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

Dante il Pedante

Consiglio la lettura "l'ottica miope delle neuroscienze" di Nilalienum,si trova sul web e anche un articolo del manifesto sulle "neuroscienze al servizio del potere".
Padrone dacci fame, abbiamo troppo da mangiare.La sazietà non ci basta più. Il paradosso di chi non ha più fame,ma non vuol rinunciare al piacere di mangiare.(E. In Via Di Gioia)

Phil

Citazione di: InVerno il 25 Ottobre 2020, 13:36:07 PM
Penso che quello che chiamiamo "coscienza" non è un oggetto, ma un unità di misura (come il grammo), che qualititivamente può raggiungere una complessità tale da meritare suffissi e prefissi (come "auto" o "kilo"), ma l'idea di andare a cercare materialmente la coscienza, è altrettanto ingenua quanto imbarcarsi in un avventura alla ricerca del "grammo".
Direi persino che la coscienza (come la mente, etc.) non esiste "in sé", ma sia un concetto "classico" (non per questo non rivedibile) nel quale facciamo convergere, sintetizzandole, una serie di attività neurologiche distinguibili seppur interagenti fra loro (propriocezione, emozioni, etc.). Paragonerei il concetto di coscienza, pur con le dovute differenze, a quello di vista: non si tratta di un ente, localizzabile o studiabile isolatamente dagli altri (pertinenti), ma di un'astrazione che si basa sul vissuto dell'interazione fisica fra mondo esterno, luce, occhi, cervello, etc.

@Jacopus
Il motto sul cogito è a ben vedere quasi un sofisma, nel senso che proprio pronunciando «cogito», alla prima persona singolare, si presuppone già l'io, non lo si dimostra. Ciò che è innegabile ed evidente nell'esperienza del pensiero sono infatti i pensieri, non l'identità del pensante (come ben osservarono più ad oriente con il concetto di anatta). La forma "onesta" sarebbe «penso, quindi il pensiero esiste (/esisto come pensiero)», forma che deve pur cedere alle necessità della grammatica (verbi alla prima persona) per essere comprensibile, ma almeno evita di ipostatizzare un io fisico, che Cartesio stesso avrebbe dovuto escludere in coerenza con il suo dubbio metodico (Genio maligno, etc.). L'annessa domanda (retorica) «ma allora chi pensa i miei pensieri» è a sua volta viziosa perché presuppone ugualmente un'io (implicito nel «chi» più «miei»); se rispondiamo a tale domanda con «il cervello», abbiamo almeno un ente materiale a cui attribuire verificabilmente l'attività di pensiero (si può pensare senza cervello, come pura anima o spirito? Chissà, intanto possiamo almeno attenerci "cartesianamente" all'evidenza certa).
Ovviamente, la comune ragionevolezza presuppone che il mio corpo esista (che non stia vivendo in un sogno, etc.); è solo una nota esegetica su Cartesio.


P.s.
@Dante @niko
Sono l'ultimo a poter dare ripetizioni di matematica, ma il 50% di possibilità di indovinare è relativo al singolo evento, come la scelta fra due bottoni, un lancio di moneta, etc. non ad una serie di tentativi del medesimo evento ripetuto: se lancio la moneta 10 volte, non è affatto scontato che riesca ad indovinarne il 50% dei risultati. Se nei test con molteplici pazienti, gli scienziati hanno predetto il 60% dei risultati corretti, ciò non toglie che l'uomo della strada ne avrebbe potuti indovinare anche l'80%... tuttavia, nella scienza non si tratta di scommesse o divinazione, ma di cognizione di causa.

Dante il Pedante

Dall'articolo "neuroscienze e libero arbitrio"

Negli ultimi anni, però, una serie di nuovi
studi ha iniziato a mostrare le cose sotto
una luce diversa, ridando fiato a una vi-
sione più libera – e decisamente più con-
fortante – della mente umana.
Nel 2012, sempre sui «Proceedings of the
National Academy of Sciences», Aaron
Schurger e Stanislas Dehaene, dell'Insti-
tut National de la Santé et de la Recher-
che Médicale (Inserm) di Parigi, avevano
iniziato a cambiare le carte in tavola con
uno studio che non smentisce l'attività ce-
rebrale inconscia che precede il movimen-
to, ma ne dà una diversa interpretazione.
Secondo il loro modello di come viene pre-
sa la decisione a livello neurale, nella si-
tuazione degli esperimenti descritti, in cui
i partecipanti ricevono l'istruzione di muo-
vere il dito ma possono scegliere loro i mo-
menti in cui farlo, la presunta attività ce-
rebrale preparatoria in realtà è solo una
serie di fluttuazioni casuali dell'attività dei
neuroni. Quando questa attività neurona-
le supera una certa soglia genera il movi-
mento, e il superamento di questa soglia,
che è il vero momento decisivo, può esse-
re deciso intenzionalmente.
Schurger e Dehaene hanno confermato le
previsioni di questo modello con alcuni
esperimenti. Hanno istruito i partecipanti
a muovere il dito a comando quando udi-
vano un suono, e hanno verificato che la
risposta era più rapida (passava meno tem-
po da quando il volontario udiva il suono
a quando muoveva il dito) se, nel momen-
to in cui giungeva il suono, questa attività
cerebrale preliminare fluttuante si trova-
va, per caso, vicina al suo culmine, e dun-
que l'impulso dato dalla volontà la porta-
va più in fretta oltre la soglia di attivazio-
ne. Il modello mostra anche come la cre-
scita dell'attività cerebrale che precede il
gesto possa dare l'impressione di una pre-
parazione che in realtà, in questo caso,
evidentemente non può esserci, dato che
il partecipante non prendeva alcuna deci-
sione di muovere il dito, né conscia né in-
conscia, finché non udiva il suono.
Le conclusioni degli studiosi francesi sono
state rafforzate da un secondo studio, pub-
blicato nel 2014 anch'esso su una rivista
di grande prestigio, «Nature Neuroscien-
ce», da un altro gruppo di neuroscienziati
guidati da Zachary Mainen al Champali-
maud Centre for the Unknown di Lisbo-
na, in Portogallo. Anche i portoghesi, ab-
binando modelli teorici dell'attività neura-
le ed esperimenti sui ratti, hanno conclu-
so che «l'intenzione iniziale di agire si ha
nel momento in cui viene superata una
certa soglia di attività cerebrale, e l'attivi-
tà neurale precedente a questo momento
può influenzare l'azione, ma non implica
che sia già stata presa una decisione».
il diritto di veto
Ora il nuovo studio tedesco di Schultze-
Kraft e Haynes apre un ulteriore spiraglio
alla volontà, su un terreno diverso. Lo stu-
dio riprende in sostanza un'idea di Libet
stesso, che intravedeva una possibile scap-
patoia alla ferrea dittatura dell'inconscio:
la nostra volontà potrebbe conservare un
potere di veto, bloccando intenzionalmen-
te le azioni intraprese dai meccanismi au-
tomatici inconsapevoli. I partecipanti allo
studio, con segnali luminosi, ricevevano
l'istruzione di premere un pedale ma poi
alcune volte, prima di aver mosso il piede,
ricevevano l'ordine di annullare il movi-
mento e tenere il piede fermo. Schultze-
Kraft e Haynes hanno visto così che i par-
tecipanti riescono a bloccare il movimen-
to anche quando l'attività cerebrale preli-
minare è già partita, perlomeno fino a un
certo punto.
Questo esperimento conferma quindi l'in-
tuizione di Libet: anche ammesso che l'at-
tività preliminare rappresenti davvero una
preparazione al movimento decisa da pro-
cessi inconsci, e non una mera fluttuazio-
ne casuale come teorizzano i francesi, la
volontà conscia conserva comunque un
suo spazio autonomo di manovra, quanto
meno di interdizione. Se così non fosse, i
volontari non avrebbero potuto fermare il
piede. La decisione diventa invece irrever-
sibile circa due decimi di secondo prima
che il movimento inizi, quando evidente-
mente i meccanismi del controllo motorio
sono già proceduti troppo oltre per poterli
arrestare. «Il nostro studio mostra che la
libertà è molto meno limitata di quanto si
pensasse» ha chiosato Haynes.
Così, a febbraio, lo stesso Schurger con
due colleghi ha fatto il punto su «Trends
in Cognitive Sciences». «È giunto il mo-
mento di vedere i risultati di Libet in
un'ottica nuova, rivalutando e reinterpre-
tando una grande mole di lavori. Potrem-
mo esserci del tutto sbagliati riguardo al-
l'attività cerebrale che precede i movimen-
ti, che sembra avere tutt'altro significato
rispetto a quello che le veniva attribuito.
E il nuovo quadro che ne esce è molto più
in linea con il nostro senso intuitivo della
decisione intenzionale e del libero arbi-
trio».
Quando iniziamo a considerare di compie-
re un'azione – spiega Schurger – siamo
propensi a farla ma non ancora del tutto
decisi, e questa vaga intenzione modifica
le fluttuazioni casuali dell'attività cerebra-
le, facendole salire più vicino alla soglia di
attivazione. Ma solo quando prendiamo la
decisione vera e propria l'attività cerebra-
le supera questa soglia, la vaga intenzione
diventa una scelta precisa, e il processo che
porta al movimento ha inizio. Ed è in que-
sto momento, o magari qualche breve
istante dopo, che sentiamo di aver preso
la decisione. «Questo lascia largamente
intatta l'idea di libero arbitrio data dal no-
stro senso comune» conclude.
Giovanni Sabato


Aggiornatevi ragazzi!!  :) :)
Padrone dacci fame, abbiamo troppo da mangiare.La sazietà non ci basta più. Il paradosso di chi non ha più fame,ma non vuol rinunciare al piacere di mangiare.(E. In Via Di Gioia)

Dante il Pedante

Citazione di: Phil il 25 Ottobre 2020, 16:07:12 PM
Citazione di: InVerno il 25 Ottobre 2020, 13:36:07 PM
Penso che quello che chiamiamo "coscienza" non è un oggetto, ma un unità di misura (come il grammo), che qualititivamente può raggiungere una complessità tale da meritare suffissi e prefissi (come "auto" o "kilo"), ma l'idea di andare a cercare materialmente la coscienza, è altrettanto ingenua quanto imbarcarsi in un avventura alla ricerca del "grammo".
Direi persino che la coscienza (come la mente, etc.) non esiste "in sé", ma sia un concetto "classico" (non per questo non rivedibile) nel quale facciamo convergere, sintetizzandole, una serie di attività neurologiche distinguibili seppur interagenti fra loro (propriocezione, emozioni, etc.). Paragonerei il concetto di coscienza, pur con le dovute differenze, a quello di vista: non si tratta di un ente, localizzabile o studiabile isolatamente dagli altri (pertinenti), ma di un'astrazione che si basa sul vissuto dell'interazione fisica fra mondo esterno, luce, occhi, cervello, etc.

@Jacopus
Il motto sul cogito è a ben vedere quasi un sofisma, nel senso che proprio pronunciando «cogito», alla prima persona singolare, si presuppone già l'io, non lo si dimostra. Ciò che è innegabile ed evidente nell'esperienza del pensiero sono infatti i pensieri, non l'identità del pensante (come ben osservarono più ad oriente con il concetto di anatta). La forma "onesta" sarebbe «penso, quindi il pensiero esiste (/esisto come pensiero)», forma che deve pur cedere alle necessità della grammatica (verbi alla prima persona) per essere comprensibile, ma almeno evita di ipostatizzare un io fisico, che Cartesio stesso avrebbe dovuto escludere in coerenza con il suo dubbio metodico (Genio maligno, etc.). L'annessa domanda (retorica) «ma allora chi pensa i miei pensieri» è a sua volta viziosa perché presuppone ugualmente un'io (implicito nel «chi» più «miei»); se rispondiamo a tale domanda con «il cervello», abbiamo almeno un ente materiale a cui attribuire verificabilmente l'attività di pensiero (si può pensare senza cervello, come pura anima o spirito? Chissà, intanto possiamo almeno attenerci "cartesianamente" all'evidenza certa).
Ovviamente, la comune ragionevolezza presuppone che il mio corpo esista (che non stia vivendo in un sogno, etc.); è solo una nota esegetica su Cartesio.


P.s.
@Dante @niko
Sono l'ultimo a poter dare ripetizioni di matematica, ma il 50% di possibilità di indovinare è relativo al singolo evento, come la scelta fra due bottoni, un lancio di moneta, etc. non ad una serie di tentativi del medesimo evento ripetuto: se lancio la moneta 10 volte, non è affatto scontato che riesca ad indovinarne il 50% dei risultati. Se nei test con molteplici pazienti, gli scienziati hanno predetto il 60% dei risultati corretti, ciò non toglie che l'uomo della strada ne avrebbe potuti indovinare anche l'80%... tuttavia, nella scienza non si tratta di scommesse o divinazione, ma di cognizione di causa.

La vista un'astrazione? Sei sicuro Philip? Prova a chiudere un occhio. Non vedi niente, ma se provi a immaginare vedi lo stesso .La coscienza dipende dai sensi, ma anche in asenza di stimoli dai sensi sei cosciente lo stesso.
Padrone dacci fame, abbiamo troppo da mangiare.La sazietà non ci basta più. Il paradosso di chi non ha più fame,ma non vuol rinunciare al piacere di mangiare.(E. In Via Di Gioia)

and1972rea




Il dualismo cartesiano, a mio avviso,  è chiaramente attuale oggi più che mai. Cerco di riproporre l'esperimento mentale che, a mio avviso ,lo riconferma insuperabile razionalmente dalle neuroscienze in forma, forse, più intuitiva;
Consideriamo due persone fisicamente identiche per ciascuno dei loro elementari costituenti fisici e per ognuna delle irriducibili relazioni in cui questi loro elementi si trovano fisicamente connessi; queste due siffatte, distinte ,presunte autocoscienze materiali si trovano in una stanza isolata , ciascuna per sé stessa autocosciente del proprio sé. In questa situazione non vi è alcun modo logico-razionale di poterle distinguere fisicamente ,al di fuori del loro sentirsi per sé stesse tali , se non attraverso la loro posizione spaziale rispetto a chi dovesse entrare nella stanza per osservarle materialmente; ma questo osservatore, una volta uscito dalla stanza e rientrato senza aver potuto mantenere traccia del sistema di riferimento originario , non sarà più in grado con la sola logica razionale associata all'indagine fisica, di ricondurre con logica certezza a ciascuna delle due entità autocoscienti la propria precedente osservazione fatta; le  due entità, dal canto loro  , rimarranno   ciascuna per sé stessa le sole a mantenere evidente certezza della loro distinta  ,cosciente e ben individuabile alterità. Inoltre, se una delle due materiali autocoscienze venisse ipoteticamente disintegrata ,cioè nullificata ,e quindi nuovamente ristabilita come la stessa entità spazio-materiale preesistente  , non vi sarebbe modo alcuno di conoscere se in ciò che si è ristabilito nella stessa forma spaziale risieda anche la medesima originaria autocoscienza; e questo ,perché , supponendo ,anziché la nullificazione ,la creazione di una terza nuova  ulteriore identica alterità fisica oltre alle due già presenti nella stanza ,  è logico che detta alterità consisterà in una per sé stessa ulteriore autocoscienza distinta dalle due gemelle a confronto . È evidente , quindi ,a mio avviso, come da questo genere di esperimenti mentali emerga l'attuale inequivocabile impossibilità da parte della logica razionale materialista , su cui sono fondate le teorie neuroscientifiche ,di superare o glissare il dualismo cartesiano fra il concetto fisico di estensione spaziale ( e temporale  ,aggiungerei) e quello ineffabile e irrazionale di autocoscienza del sé.

InVerno

#22
Citazione di: Phil il 25 Ottobre 2020, 16:07:12 PM

Direi persino che la coscienza (come la mente, etc.) non esiste "in sé", ma sia un concetto "classico" (non per questo non rivedibile) nel quale facciamo convergere, sintetizzandole, una serie di attività neurologiche distinguibili seppur interagenti fra loro (propriocezione, emozioni, etc.). Paragonerei il concetto di coscienza, pur con le dovute differenze, a quello di vista: non si tratta di un ente, localizzabile o studiabile isolatamente dagli altri (pertinenti), ma di un'astrazione che si basa sul vissuto dell'interazione fisica fra mondo esterno, luce, occhi, cervello, etc.
Si, come esperienza soggettiva sono d'accordo che potrebbe essere accomunata alla vista, anche perchè sia la "autocoscienza" sia la vista discernono la fisicità, ovvero, l'autocoscienza vive nell'illusione di "abitare il cervello" con una distanza simile alla quale la vista "abita gli occhi", in entrambi i casi l'illusione e la fisicità si compenetrano, ma mantengono una distanza "di sicurezza"..  Quando mi riferivo ad accomunarla ad unità di misura tuttavia, mi riferivo ad essa come oggetto di indagine.
Non ci si salva da un inferno, sposandone un altro. Ipazia

Dante il Pedante

#23
Citazione di: InVerno il 25 Ottobre 2020, 17:06:14 PM
Citazione di: Phil il 25 Ottobre 2020, 16:07:12 PM

Direi persino che la coscienza (come la mente, etc.) non esiste "in sé", ma sia un concetto "classico" (non per questo non rivedibile) nel quale facciamo convergere, sintetizzandole, una serie di attività neurologiche distinguibili seppur interagenti fra loro (propriocezione, emozioni, etc.). Paragonerei il concetto di coscienza, pur con le dovute differenze, a quello di vista: non si tratta di un ente, localizzabile o studiabile isolatamente dagli altri (pertinenti), ma di un'astrazione che si basa sul vissuto dell'interazione fisica fra mondo esterno, luce, occhi, cervello, etc.
Si, come esperienza soggettiva sono d'accordo che potrebbe essere accomunata alla vista, anche perchè sia la "autocoscienza" sia la vista discernono la fisicità, ovvero, l'autocoscienza vive nell'illusione di "abitare il cervello" con una distanza simile alla quale la vista "abita gli occhi", in entrambi i casi l'illusione e la fisicità si compenetrano, ma mantengono una distanza "di sicurezza"..  Quando mi riferivo ad accomunarla ad unità di misura tuttavia, mi riferivo ad essa come oggetto di indagine.
Ciao Inverno

Ciao Inverno
Sono Dante :)
Sia tu che Philip state pesantemente sbagliando.Infatti alla coscienza sembra di abitare in tutto il corpo,e difatti è così. Se ci pensate meglio è così. :) Quindi non si può proprio paragonare ad una percezione come la vista.Se si muove un piedi la coscienza sente immediatamente che è "suo".
Padrone dacci fame, abbiamo troppo da mangiare.La sazietà non ci basta più. Il paradosso di chi non ha più fame,ma non vuol rinunciare al piacere di mangiare.(E. In Via Di Gioia)

viator

Salve Dante. Meraviglioso. Sei sempre una conferma, una certezza ! Citandoti : "Quindi non si può proprio paragonare ad una percezione come la vista.Se si muove un piedi la coscienza sente immediatamente che è "suo".
Io mi chiedo........ma come fai ad arrivare così lontano ? Infatti la vista dialoga con il cervello, mentre la coscienza ragiona con i piedi. Infatti se un tizio di 190 kg schiaccia inavvertitamente un piede altrui, la coscienza dell'obeso sente immediatamente come un gradino, un rigonfiamento sotto la propria scarpa, accorgendosi che la scarpa di sopra è la propria !. La vista invece vede immediatamente che l'immagine che è appena entrata nel cervello attraverso il nervo ottico e che proviene da uno specchio che io ho davanti.......e capisce al volo che l'immagine "è mia" (cioè sua di lui me che sarei io), cioè che è l'immagine di un pirla |"
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

niko

phil, su un numero alto di eventi casuali, se la probabilità di indovinare è 50%, la media dei risultati corretti e non corretti tenderà sempre di più al 50% tanti più tentativi si fanno, più è alto il numero dei tentativi, più il risultato medio esprime esattamente la percentuale propria del tentativo singolo, quindi se hanno ottenuto 60 di risultati corretti sul totale laddove l'uomo della strada con un numero alto di tentativi, tipo cento o mille, avrebbe sicuramente ottenuto 50, (perché l'uomo della strada va a casaccio e cerca di indovinare, può andargli meglio o peggio della media su un numero basso di tentativi, su un numero alto la statistica detta legge) il metodo che hanno usato ha almeno in parte funzionato...
Ci hanno detto che potevamo scegliere tra la pace e il climatizzatore, non abbiamo ottenuto nessuno dei due.

davintro

nel momento in cui dico "Io" mi sto riconoscendo come soggetto dei miei pensieri o delle mie azioni, e dunque sto attribuendo al mio essere l'idea di un'unità per cui il complesso dei miei impulsi psichici e la mia spazialità corporea non si disperdono mai totalmente, ma sono delimitati sulla base di un'idea di soggetto, di identità che pensa e agisce sulla base di una certa qualità interiore, una certa direzione che orienta i miei atti. Il contributo di Cartesio, poi recuperato dalla fenomenologia husserliana, per cui proprio la sospensione delle cose dalla loro condizione di "fatti esistenziali" per recuperarli come fenomeni costituenti la coscienza, è il presupposto per svolgerne un'analisi sotto il segno dell'evidenza, sta nell'affermazione che l'eventuale dubbio circa l'effettiva realtà di questa unità identitaria autopercepita dall'Io, potrebbe riguardare solo la realtà esterna all'autocoscienza, ma non il vissuto stesso soggettivo autocosciente (l'Io): anche se mi illudessi, l'illusione riguarderebbe la corrispondenza fra vissuto soggettivo dell'Io e oggettiva realtà del mio essere, il Sé, che nella sua oggettività comprende il complesso delle relazioni con cui il mondo esterno, tramite la materia, interviene sulla mia identità, ma non l'atto stesso di un soggetto genericamente, cioè trascendentalmente, inteso che si illude su aspetti della sua persona. Posso dubitare, errare sul mio "Sé, ma non sul mio Io. La fallibilità del giudizio sul mio Sé è data proprio dalla componente di materialità che lo costituisce: in quanto, anche, corporeo, il Sé è aperto (materialità come passività nell'accezione aristotelica a cui forse Cartesio stesso resta fedele) agli influssi ambientali del mondo esterno, che in quanto alterità rispetto alla mia soggettività pensante, resta una dimensione mai pienamente trasparente, e questa opacità si trasferisce al Sè nella misura in cui l'esterno incide su di esso. Posso ammettere la possibilità che il fatto di aver due gambe anziché 4 sia un inganno che subisco fin dalla nascita, oppure di aver un'allucinazione e di essere in questo momento in Francia anziché in Italia, tutti aspetti del mio Sé in qualche modo legati alla dimensione corporea, mentre, che mi illuda o meno, esiste senza dubbio l'atto dell'Io che si interroga e riflette sul proprio Sé, attribuendogli una certa idea, un'unità individuale, una forma, ed essendo la forma interruzione della continuità spaziale e materiale, quest'atto di unificazione è attività spirituale, che non è idea astratta, nel senso in cui l'empirismo erroneamente associa tutto ciò di ideale all'astratto, ma concreta attività psichica tramite cui l'Io sa astrarsi, anche se limitatamente, dalla materialità del proprio Sé per tematizzarlo, metterlo in discussione, limitarlo sulla base di una forma. In sintesi, se il Sé, complesso delle nostre proprietà oggettive, inserito in una rete di relazioni causali con il mondo esterno, è unità di spirito e materia, l'Io atto di pensiero autocosciente, è pura spiritualità, e ciò gli rende possibile l'astrazione e l'oggettivazione del proprio Sè, che come materia, "subisce" passivamente la valutazione dell'Io. Se fossimo Dio, puro spirito, piena coincidenza tra Io e Sè, nessuna possibilità di illusione su di sé sarebbe possibile, proprio in quanto si darebbe coincidenza totale tra autocoscienza soggettiva, Io e suo oggetto riflesso, Sè, senza alcuna interferenza dell'esterno, che invece nell'uomo incide per il tramite della componente materiale.


Il problema della spiritualità/materialità dell'Io è un problema specificatamente filosofico, non neuroscientifico o di qualsivoglia altro sapere fisicalista, in quanto qualunque sapere poggiante sull'esperienza dei sensi, cioè ponente il proprio oggetto di studio come esterno rispetto all'osservatore, non può che limitarsi all'indagine della componente più superficiale, di esso, quella predisposta a corrispondere all'osservazione sensibile, alla materia, ma non può dir nulla sull'esistenza o meno di una componente spirituale, proprio perché il loro fondamento epistemico è per definizione inadeguato a occuparsi di tale componente. Se ci si vuole occupare dell'Io occorre procedere all'interno di un punto di vista il più possibile contiguo all'Io stesso, e se definiamo l'Io come "autocoscienza", allora è solo l'analisi dei vissuti in prima persona, registrando ciò che è essenziale in loro mettendo fuori circuito le componenti accidentali secondo l'insegnamento fenomenologico, ciò entro cui possiamo averne un'esperienza autentica. Non si può studiare l'Io con l'osservazione esterna, perché tale scelta metodologica assume come premessa pregiudiziale la posizione materialista: ciò che non è osservabile esteriormente, con i sensi, non può esistere, quindi vado a cercare l'Io dove già in partenza è scontato non potrei averne che manifestazioni fisiche, o comunque direttamente condizionate dalla fisicità del mondo esterno. Il che non vuol dire affatto squalificare i risultati delle neuroscienze, ma delimitarne la validità all'interno di un livello antropologico parziale, quello materiale, che non si sovrappone e non si sostituisce al livello più interiore ed essenziale, la componente formale del soggetto che pone l'Io, che è quello propriamente filosofico e metafisico, che procede sulla base di una razionalità ad hoc, non empirica nel senso del verificazionismo positivista, ma fenomenologico e poi deduttivo/speculativo

and1972rea

Citazione di: davintro il 25 Ottobre 2020, 19:23:07 PM
Il che non vuol dire affatto squalificare i risultati delle neuroscienze, ma delimitarne la validità all'interno di un livello antropologico parziale, quello materiale, che non si sovrappone e non si sostituisce al livello più interiore ed essenziale, la componente formale del soggetto che pone l'Io, che è quello propriamente filosofico e metafisico, che procede sulla base di una razionalità ad hoc, non empirica nel senso del verificazionismo positivista, ma fenomenologico e poi deduttivo/speculativo
Riconoscersi allo specchio ,riconoscendosi soltanto nel proprio Sé fisicamente corporeo , per molti potrebbe voler dire identificarsi in tutto e solo ciò che la scienza può dire riguardo al corpo inteso come entità spaziotemporale; e le conseguenze sul piano antropologico di questo atteggiamento , ormai piuttosto generalizzato, sono significative e diffuse; la verità "relativa" ma ormai egemone delle scienze rischia oggi di ridurre gli uomini ed i loro corpi ad un insieme di atomiche entità platoniche fraintese come essenziali e di calare le loro esistenze in altrettanti modelli disegnati  dalla ragione. Definire L'IO (ma è logicamente troppo anche il solo poterlo "definire") come soggetto e agente assoluto, come lampada da scrivania che non può auto illuminarsi, non "oggettivizzabile", e quindi non trattabile da alcuna indagine che studia i fenomeni come oggetti, a mio avviso,  non è sufficiente per spiegare razionalmente l'impossibilità da parte della scienza  di poter  dichiarare L"IO"  clinicamente morto leggendo un elettroencefalogramma piatto.

viator

Salve and1972rea, Citandoti : "non è sufficiente per spiegare razionalmente l'impossibilità da parte della scienza  di poter  dichiarare L"IO"  clinicamente morto leggendo un elettroencefalogramma piatto".
Solo una capziosa precisazione che ti prego voler sopportare : Se la scienza dichiara clinicamente morto un qualcosa/qualcuno lo potrà fare a proposito dell'individuo (dell'Io si occupano, con scarsa pertinenza, psicologia, psichiatria, psicoterapia ("scienze comportamentali" perciò non soggette al metodo scientifico, quindi complessivamente da considerare come dottrine "non scientifiche")).

Ovvio che la scienza non dimostrerà mai nulla a chi creda a dei fondamenti spiritualistici, fideistici, metafisici od esoterici del nostro esistere. Saluti.



Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

davintro

Citazione di: and1972rea il 01 Novembre 2020, 19:55:14 PM
Citazione di: davintro il 25 Ottobre 2020, 19:23:07 PM
Il che non vuol dire affatto squalificare i risultati delle neuroscienze, ma delimitarne la validità all'interno di un livello antropologico parziale, quello materiale, che non si sovrappone e non si sostituisce al livello più interiore ed essenziale, la componente formale del soggetto che pone l'Io, che è quello propriamente filosofico e metafisico, che procede sulla base di una razionalità ad hoc, non empirica nel senso del verificazionismo positivista, ma fenomenologico e poi deduttivo/speculativo
Riconoscersi allo specchio ,riconoscendosi soltanto nel proprio Sé fisicamente corporeo , per molti potrebbe voler dire identificarsi in tutto e solo ciò che la scienza può dire riguardo al corpo inteso come entità spaziotemporale; e le conseguenze sul piano antropologico di questo atteggiamento , ormai piuttosto generalizzato, sono significative e diffuse; la verità "relativa" ma ormai egemone delle scienze rischia oggi di ridurre gli uomini ed i loro corpi ad un insieme di atomiche entità platoniche fraintese come essenziali e di calare le loro esistenze in altrettanti modelli disegnati  dalla ragione. Definire L'IO (ma è logicamente troppo anche il solo poterlo "definire") come soggetto e agente assoluto, come lampada da scrivania che non può auto illuminarsi, non "oggettivizzabile", e quindi non trattabile da alcuna indagine che studia i fenomeni come oggetti, a mio avviso,  non è sufficiente per spiegare razionalmente l'impossibilità da parte della scienza  di poter  dichiarare L"IO"  clinicamente morto leggendo un elettroencefalogramma piatto.


Precisazione importante: nel mio messaggio cercavo di riferirmi, pensando di stare nello spirito del topic aperto, alla questione della natura spirituale/materiale dell'Io, questione distinta da quella dell'eventuale indipendenza, nel senso di sopravvivenza, dell'Io rispetto alla morte corporea (l'elettroencefalogramma piatto), che aprirebbe il problema dell'anima immortale, che è collegato a quello dell'Io, ma ha una sua autonomia. Riconoscere, e in ciò concordo, una natura spirituale all'Io, alla luce della sua inoggettivabilità, non implica l'idea di un'Io, o meglio, a questo punto, di un'anima, che continuerebbe a vivere slegata dal corpo. Il fatto che l'Io non sia riducibile a oggetto materiale non comporta necessariamente che per il suo attuarsi non sia necessario il corpo inteso come strumento, o per meglio dire, supporto: un conto è ammettere l'insufficienza della materia a render ragione dell'atto soggettivo dell'Io (il punto che ho provato ad argomentare), un altro è ricavare da tale insufficienza anche una non-necessità di un supporto materiale, cerebrale per il vivere e l'esistere di tale Io (punto che qua ho lasciato tra parentesi)


Per Viator


"credere" (ma il termine non sarebbe così adeguato, essendo la metafisica disciplina razionale per eccellenza, al netto delle umane lacune di rigore argomentativo che le configurazioni storiche della metafisica hanno mostrato) a fondamenti spirituali o metafisici non implica il precludersi al riconoscimento di validità delle dimostrazioni scientifiche, ma semplicemente ammettere ACCANTO E NON IN CONTRAPPOSIZIONE al livello fisico della realtà appannaggio delle scienze naturali, un livello intelligibile e spirituale, indagabile con una specifica modalità argomentativa, il modello di razionalità deduttiva, che inferisce a partire da princìpi di verità evidenti come quelli della logica formale, e dall'analisi delle relazioni tra i concetti colti nelle loro definizioni generali. L'idea di un metafisico che rigetta in toto le scienze empiriche, che quando sta male preferirebbe rivolgersi a un teologo o a uno sciamano anziché a un medico i cui studi siano scientificamente riconosciuti è solo una caricatura: un metafisico serio non ha alcun problema a riconoscere al medico la competenza riguardo ciò che a che fare con la corporeità, fintanto che quest'ultima non si pretenda di allargarla alla realtà dell'uomo nella totalità degli aspetti. Ma un medico, nella misura in cui fosse alla presa con pensieri di questo genere, cesserebbe di essere tale, e si porrebbe come filosofo (e metafisico) a sua volta

Discussioni simili (5)