Facciamo un po' il "punto" sul "punto"!

Aperto da Eutidemo, 26 Dicembre 2021, 13:24:16 PM

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Eutidemo

Da bambino trovavo alquanto difficoltoso riuscire a comprendere che cosa fosse un punto; ora che sono vecchio, invece, lo trovo ancora più difficile.
E adesso vi spiego perchè!

***
Alle elementari mi insegnarono che una linea (ad es., una retta) è un insieme infinito di punti; e che, il  punto, dunque, è l'elemento fondamentale della geometria, senza il quale non si darebbero né linee, né piani, né volumi.
E va bene!
***
Poi mi spiegarono pure che la geometria (almeno quella intuitiva) si basa sulla percezione di enti e figure geometrici di cui è possibile immaginare il corrispettivo empirico, percepibile mediante i sensi; ad esempio, un cerchio o un quadrato assolutamente "perfetti" in natura non esistono, però il loro corrispondente "reale" sicuramente sì.
E va bene!
***
Ma il punto, chi ne ha mai visto il suo corrispondente in natura?

IL CORRISPONDENTE IN NATURA DEL PUNTO
Il punto, possiamo indicarlo convenzionalmente su un foglio di carta, mediante una matita dalla punta molto sottile; però sappiamo benissimo che si tratta soltanto di un "segno convenzionale", che sta per "qualche cosa d'altro".
Quello segnato sulla carta, infatti, visto con una lente d'ingrandimento, è soltanto una piccola pallina nera; cioè un "cerchio", e non un "punto" (sebbene possa assumere anche altre forme, le più svariate).

***

LE OPINIONI DEGLI ANTICHI
Al riguardo, in estrema (e forse un po' eccessiva), possiamo ricordare:

1) Platone
Platone non parla mai del "punto" geometrico; però, nel Sofista, per bocca di Socrate, sembra farvi un riferimento indiretto parlando del'"uno".
Ed infatti scrive: "Occorre certamente dire, secondo un giusto ragionamento, che sia del tutto indivisibile ciò che è veramente uno."
Platone, per dire "indivisibile",  usa il vocabolo greco  "αμερές" (che vuol dire "privo di parti").

2) Aristotele.
A differenza di Platone, Aristotele (nella sua "Metafisica") fa invece una netta distinzione tra:
- il concetto di "uno" (1);
- il concetto di "punto" (.).
Ed infatti postula seguente distinzione:
- "ciò che è indivisibile ("αμερές") secondo la quantità e in quanto quantità, e che è indivisibile ("αμερές") in tutte le dimensioni e non ha posizione si chiama <<uno>>";
- ciò che, invece, è indivisibile ("αμερές") in tutte le dimensioni ma ha una posizione, si chiama <<punto>>".

3) Euclide
Euclide scrive: "Σημεΐόν έστιν ού μέρος ούθέν", cioè, "il punto è ciò che non ha parti"; utilizza, cioè, la stessa terimonologia di Platone e Aristotele, in quanto "αμερές"  deriva da  "μέρος" preceduto dall'"alpha steritokòn" privativo .
Non è ben chiaro, almeno per me, se la "definizione" di "punto" data da Euclide presupponga il concetto di "punto come unità" (che risale a Platone e, prima ancora, a Pitagora) oppure quella di "punto come ente razionale privo di dimensioni" (data da Aristotele); però a me pare che, "sostanzialmente", il grande matematico, non si discosti granchè dalla definizione di Platone, e da quella esplicitata in modo più articolato  da Aristotele.

LE OPINIONI DEI MODERNI
Il matematico Carl B. Boyer, riguardo a tale genere di definizioni, scrive: "Alcune definizioni non definiscono un bel niente! Ed infatti dire, come fa Euclide, che «un punto è ciò che non ha parti», non significa minimamente definire tali entità, giacché una definizione deve essere espressa in termini di concetti che vengono prima e che sono più noti delle cose definite." (Carl L. Boyer "A History of Mathematics, 1968).
***
Assunto, questo, che spesso (ma non sempre), viene recepito sui testi didattici delle scuole superiori, così come nel seguente: "Il punto non si può definire in alcun modo; ed infatti, in ogni scienza esistono dei concetti che si debbono supporre noti a priori e che, pertanto, non vengono definiti attraverso altre parole o altri concetti di quella determinata scienza. Ma la mancanza di definizione non è dovuta al fatto che i concetti in esame  sono così comuni e semplici da non aver bisogno di essere definiti, bensì  per una vera e propria impossibilità logica di definirli." (L. Cateni - R. Fortini, Il pensiero geometrico. Manuale di geometria per il liceo scientifico, Firenze, Felice Le Monnier, 1975, p. 3.)
Evviva la sincerità!
***
In modo molto più "spiccio", su un altro testo di geometria trovo scritto: "Il punto è un ente geometrico che non ha dimensioni ed è indicato generalmente  con una lettera stampatella maiuscola: A" (Rinaldo Cigna - Marina Devalle, Matematica (2 voll.), Milano, Casa Editrrice Tramontana, 1967, vol. 1, p.  192).
Evviva lo spirito pratico!

LA MIA (NON) OPINIONE
Sul "punto" devo confessare di non riuscire a farmi una vera e propria opinione, in quanto:
- capisco benissimo il significato del "lemma" denominato "punto", perchè lo uso (e lo scrivo) in continuazione;
- però mi sfugge completamente il "concetto" razionale di "punto".
***
Ed infatti:

a)
Come si fa a costruire, sia pure idealmente, una "entità geometrica che ha delle dimensioni", con delle componenti che, invece, sono "prive di dimensioni"?
Cioè, visto che sono tutti d'accordo (me compreso) sul fatto che "il punto non ha dimensioni", come è possibile che, mettendo in fila -uno appresso all'altro- tanti punti, ne possa scaturire una "linea"; cioè un qualcosa che, invece, ha la dimensione della "lunghezza"?
Senza mattoni, infatti, non vedo come si possa costruire una casa fatta di mattoni.

b)
Se le parti di cui il punto si compone sono "nulla", come può essere "reale" (ed anche "razionale") ciò che si compone di punti?
Al riguardo, Max Simon, rifacendosi un po' alla "definizione" di Marziano Capella ( V secolo dopo Cristo), scrive: "Punctum est cuius  pars nihil est" ("Punto è ciò la cui parte è niente"); vale a dire che le parti di cui il punto si compone sono "nulla".
E se è vero che le parti di cui il punto si compone sono "nulla", allora dovrebbe risultare "nulla" anche qualsiasi forma geometrica composta dai punti che ne fanno parte; ma, poichè così non è, deve per forza esserci qualcosa di sbagliato nel concetto di "punto" (se lo si vuole "concettualizzare" oltre un uso strettamente "pratico").

c)
Come può esistere qualcosa che non si può "numerare"?
Infine, mentre qualsiasi forma geometrica può essere idealmente numerata "da uno ad infinito", il punto, invece, no.
Ad esempio, nella seguente immagine, io ho disegnato una fila di quadrati contigui (che costituiscono un rettangolo), e, sotto, ho disegnato una fila di punti contigui (che costituiscono una semiretta)

Quello che risulta evidente dal disegno, è che:
- i quadrati contigui da me disegnati sono 12, ma potrebbero anche essere 1, 100 o 1000, o addirittura infiniti (anche se questi ultimi sarebbero impossibili da disegnare e da contare);
- i punti contigui da me disegnati, invece, sono infiniti (ma non potrei mai disegnarne un numero limitato tale, cioè, da poter essere contato).
Il paradosso sta nel fatto che io:
- posso disegnare una fila limitata di quadrati contigui ma non posso disegnare una fila infinita di quadrati contigui;
- mentre, al contrario, qualsiasi fila di punti contigui io disegni, breve o lunga che essa sia, conterrà necessariamente un numero infinito di punti (anche se volessi, infatti, non riuscirei mai a disegnare una semiretta composta soltanto da 12 punti contigui). 

CONCLUSIONE
In realtà, non penso che ci sia al riguardo alcun reale "paradosso"; è solo che, personalmente, mi sfugge completamente il concetto "razionale" di "punto" (mentre ad altri probabilmente no).
Trovo, cioè, che il concetto di "punto" sia utilissimo in pratica, ed assolutamente da non abbandonare a tali fini; però, almeno per le mie limitate facoltà di astrazione, non lo ritengo "razionalizzabile".
Se lo si fa, secondo me, si cade in dei "non sensi" logici!
***
Ad esempio, se io disegno una semiretta, posso anche indicare i suoi estremi come "termine sinistro" e "termine destro", il che, concettualmente, sarebbe del tutto corretto; però, se si trattasse di un disegno più complesso, in cui più semirette si incrociano "ad asterisco" (*), la faccenda comincerebbe a farsi un tantino complicata.
Pertanto, per convezione, in pratica è molto più semplice dire che la mia semiretta va dal "punto" A al "punto" B; sebbene, concettualmente, si tratti di elementi geometrtici "fatti di niente"!

***
Per concludere, ricordo che, sotto il nome di P.F.G. ("Point Free geometry" cioè "Geometria Senza Punti"), viene indicato un nuovo tipo di geometria assumendo come nozione primitiva quella di "regione" piuttosto che quella di "punto".
Ma, al riguardo, non ne so di più!
:)
***

bobmax

La matematica è forse l'ambito che più di ogni altro mostra l'influsso del nichilismo nella scienza.

Difatti il nichilismo deriva direttamente dal pensiero razionale, ne è l'effetto sgradito ma inevitabile.
E la matematica è probabilmente la più autentica espressione del pensiero razionale.
Un pensiero che seppur nato dalla osservazione del mondo fisico, se ne è man mano distaccato, fino a muoversi autonomamente. Costruendo un mondo a sé.

Un mondo che si è rivelato utile, nell'agire nel mondo fisico, ma che viene ormai creduto a sua volta "reale". Quando non è altro che astrazione.

L'utilità viene così confusa con la verità.

Ci si immagina, per esempio, che esista per davvero un mondo dei numeri!
Abitati cioè dagli infiniti numeri. Che se ne stanno lì, aspettando che qualcuno li pensi...
Mentre un numero esiste solo nel pensiero che lo pensa. Se non è pensato non esiste assolutamente!

La matematica tratta solo concetti. E questi concetti hanno tutta la loro realtà nel mondo fisico a cui si riferiscono.
Se dico: "4 mele", la realtà è tutta nelle mele.
Se tolgo la parola "mele" il 4 che resta non ha alcuna realtà.

Ciò vale per qualsiasi concetto matematico.
Quindi anche per il punto, la retta, il piano...
Non esistono, se non nel pensiero.

Ma il nichilismo se ne è appropriato. E così ormai si crede nella loro esistenza.

Di credere che l'infinito esista davvero!
E di poterlo usare, come cosa tra le cose...

Così la filosofia viene messa da parte come assurdo vaneggiamento.
E si perde l'incommensurabile mistero dell'esistenza.
Tardi ti ho amata, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amata. Tu eri con me, mentre io ero lontano da te.

viator

Salve Eutidemo. Hai voglia dare una definizione matematico-logica di punto. Infatti l'unica definizione accettabile secondo me è "il punto rappresenta un ente concettuale spaziale del tutto INDEFINIBILE".



Secondo te i CONCETTI esistono materialmente, geometricamente, metricamente ? Oppure esistono solo in via strumentale e priva di esistenza propria inquanto la loro funzione è solo quella DI AFFERMARE L'ESISTENZA DI CIO' CHE IL CONCETTO RIGUARDA, SENZA ESSERLO IN SE' ?.



La definizione di "punto" quindi spetta solo alla filosofia, la quale può solo limitarsi a notare la coincidenza di significato pratico tra "INDEFINIBILE" ed "INESISTENTE".

Nonostante i matematici cerchino di giocarci come fanno con il concetto di INFINITO, con il suo complementare negazionistico (L'INFINITESIMA porzione di spazio "occupata" dal punto) l'addomesticamento non può riuscire. Saluti.

P.S. Intervento editato in contemporanea con quello di Bobmax, che saluto.

Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

Ipazia

Euclide forse non avrà definito in maniera rigorosa il concetto di punto, ma su quel "nulla", come sull'altra araba fenice che è lo zero, 0, si costruisce tutta la matematica. Nichilista come il bigbang, che pare altrettanto nascere dal nulla. Ma a differenza della nullificazione antropologica (riduzionismo scientista), si tratta di un nichilismo innocuo che funziona perfettamente come postulato originario di grandi architetture di calcolo. Basti pensare al punto zero delle assi cartesiane e ai punti notevoli delle funzioni.

Logicamente è un pò ostico pensare che una successione di punti adimensionali produca un linea monodimensionale, e altrettanto che da 1 dimensione si passi per accumulazione a 2,...ma va preso come un postulato e tra tanti atti di fede questo dimostra di saper funzionare in una disciplina senza la quale saremmo ancora fermi alla selce.

Il concetto matematico di limite , come risolve tanti altri paradossi, forse potrebbe aiutare al rigore della definizione anche del punto matematico, come fa già egregiamente coi punti fisici (ad es. punto di fusione).
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

Ipazia

#4
Azzarderei qualche intento definitorio:

Il punto è il luogo geometrico indivisibile.

È il limite inferiore della suddivisione di ogni ente geometrico.

È l'elemento adimensionale costitutivo di ogni altro ente geometrico di qualsiasi dimensione.

Come spiegato in WP, il punto pur essendo adimensionale ha un ambito di realtà definendo la posizione all'interno di uno spazio geometrico, matematico e fisico.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

bobmax

Ciao Viator,
direi che il punto esiste come concetto, ma non fisicamente.

E il suo stesso concetto non è originario, ma deriva a sua volta dal principio di identità.
Il punto infatti è necessario per soddisfare il principio di identità quando lo si applica al mondo fisico.

Perché un qualunque oggetto deve necessariamente avere dimensioni determinate.
In caso contrario avremmo una miriade di oggetti tra loro equivalenti, al posto di quell'unico oggetto.

Anche se noi non siamo in grado di misurarle esattamente, diamo quindi per scontato che queste dimensioni siano determinate. E non fluttuanti.
Perciò abbiamo bisogno del punto che le determini univocamente.

Solo che... il punto, esistendo solo idealmente, in realtà non determina univocamente un bel niente!

Con buona pace del principio di identità.
A non è mai A.
Tardi ti ho amata, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amata. Tu eri con me, mentre io ero lontano da te.

Eutidemo

Ciao Bobmax
A parte il fatto che il "punto" è un concetto "geometrico", e non "matematico", tutto sommato penso che il tuo ragionamento possa considerarsi valido per entrambi gli ambiti; almeno a livello di "astrazione".
Ed invero, il pensiero "geometrico" (.), così come quello "matematico" (1),  seppur nato dalla osservazione del mondo fisico, se ne è man mano distaccato, fino a costituire un mondo "razionale" a sé.
Al riguardo, sono d'accordo con te che:
- confondere il mondo razionale con il mondo reale, checchè ne dica Hegel, costituisce un grave errore;
- usare il mondo razionale per capire il mondo reale, invece, è uno dei massimi traguardi della mente umana rispetto a quella animale (che a volte è molto intelligente, ma è incapace di astrazione).
***
Un saluto! :)
***

Eutidemo

Ciao Viator. :)
In verità, "definire" qualcosa "indefinibile" suona un po' contraddittorio; tuttavia come  "calembour", lo ritengo senz'altro più che accettabile e condivisibile, almeno per quanto riguarda il "punto".
***
Secondo me i "concetti" sono delle "astrazioni", utili per indicare l'"archetipo" di oggetti che esistono materialmente, ma che non corrispondono a nessuno di essi in particolare: ad esempio "la sedia" è un concetto "archetipico", "desunto" dalle caratteristiche comuni a tutte le singole "sedie", ma, ovviamente, non è affatto "una sedia".
***
Quanto alla definizione di "punto", sebbene "indefinibile" non significhi necessariamente "inesistente", forse, invece, potrebbe definirsi tale ciò che è privo di dimensioni spaziali di qualsiasi tipo; come, appunto, il "punto".
***
Un saluto! :)
***

Eutidemo

Ciao Ipazia. :)
In effetti, trovo davvero  ostico pensare che una successione di punti "adimensionali" possa produrre un linea "monodimensionale"; come ho detto, mi sembra come pensare ad una casa di mattoni costruita senza mattoni.
Ed anche, posto che si vogliano considerare "esistenti" anche dei mattoni "adimensionali", trovo davvero  ostico pensare che una casa di tre piani possa essere composta dello stesso identico numero di mattoni di una casa di trenta piani.
***
Quanto, invece, al pensare che da 1 si passi per accumulazione a 2, non lo trovo affatto "ostico", bensì, semmai,  un po'  "tautologico"; ed infatti dire che 1+1 equivale a (dire) 2, è come dire che un animale con "due gambe", come l'uomo, è un "animale bipede".
***
Un saluto! :)
***

bobmax

Ciao Eutidemo
La geometria è parte della matematica.
Di modo che il punto, prima ancora che geometrico è matematico.

Non penso proprio che l'astrazione razionale sia una nostra peculiarità. Probabilmente in noi umani la razionalità si è sviluppata maggiormente, a causa delle nostre corde vocali e mani prensili con il pollice opponibile, ma perché mai dovrebbe essere una nostra esclusiva?

Il pensiero razionale è indispensabile per il nostro inoltrarci nel mondo.
Ma non è fonte di Verità.

È lo strumento per chiarire il mondo e noi stessi. Senza di esso saremmo perduti.
Ma di per se stesso non aggiunge nulla, e ciò che chiarisce è il deserto. Attraversando il quale possiamo infine tornare a casa.

Ciò che conta, infatti, non ha nulla a che fare con la razionalità.

PS
L'uno viene dopo il due.
Non può esservi alcun concetto del 1 senza che prima vi sia consapevolezza del molteplice.
Allo stesso modo, prima si ha consapevolezza dello spazio, poi, eventualmente del concetto di piano o di retta.
Tardi ti ho amata, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amata. Tu eri con me, mentre io ero lontano da te.

iano

#10
Ciao Eutidemo.
Le linee che hai disegnato al computer  non sono ne' infinite ne' composte da infiniti punti, ma semmai da un numero finito di pixel, o di tratti discontinui se disegnati a matita, come si può dimostrare guardandoli al microscopio.
Tuttavia ciò che hai disegnato possiamo considerarlo come simbolo di una retta infinita fatta da infiniti punti.
Un simbolo che sta per altro,  che sta solo nella mente e che nella mente si possono manipolare.
Possiamo cioè operare mentalmente con essi, ma perché altri possano replicare nella loro mente le operazioni che abbiamo fatto nella nostra occorre servirsi di simboli.
Quindi quando disegnamo un segmento, che tu erroneamente hai chiamato semiretta, stiamo in effetti disegnando un simbolo che sta per un segmento.
I simboli possono essere di diversi tipi, dei quali i più puri sono quelli numerici, o meglio di tipo numerico, perché se il simbolo di un segmento sta intuitivamente per un segmento mentale, per un simbolo numerico non ci aiuta l'analogia, e non possiamo quindi mancare di specificare per cosa esso stia.
In qualche modo, attraverso l'uso di simboli, riusciamo a fare qualcosa di meraviglioso, condividere le nostre operazioni mentali., posto che sia chiara a tutti in modo univoco la convenzionale corrispondenza fra simboli ed enti mentali, e quest'ultimo credo sia il punto delicato. Il rischio infatti è di intendere cose diverse usando le stesse espressioni simboliche. Purtroppo la matematica diventa meno comprensibile quando la svincoliamo dalle possibili analogie che ci aiutano a intuirlo, ma questo è il orizzonti da pagare quando si vogliono scongiurare fraintendimenti.
Paradossalmente, tanto più vogliamo assicuraci che tutti intendano la stessa cosa, tanto più  alcuno la intende.
Al fine di evitare tali malintesi credo che Cantor ci abbia indicato la giusta strada, che almeno in questo caso però  è anche facile da capire. Egli infatti non ci chiede di intuire l'infinito, ma di mettersi a costruirlo, o quantomeno di iniziare, e questo tutti lo sanno fare.
Egli , in disaccordo col grande Aristotele, che a me sorprende sempre ( non conoscevo la sua definizione di punto che hai riportato) e in accordo con Platone, e andando oltre Platone, non si limita a dire che l'infinito è attuale, ma c'è lo dimostra. Come? Con un argomento molto convincente secondo me.
Egli in sostanza ci suggerisce che gli infiniti attuali esistono, proprio come esistono i numeri finiti, se posso con essi in modo simile operare .. Ad esempio se li posso confrontare e dire se sono dissimili oppure uguali.
Così ad esempio ci dimostra che l'infinito dei numeri naturali e l'infinito dei numeri razionali sono lo stesso infinito.
E  una volta che noi di questo abbiamo prova, non faremo difficoltà anche  a "vederlo" intuitivamente.
Occorre infatti considerare che un infinito che si possa definire tale, al di la' del poterlo intuire, deve avere un ben specificato processo di costruzione., e Cantor ci dice in sostanza che i diversi processi coi quali costruiamo i diversi infiniti razionali e naturali, seppur apparentemente appunto diversi , in effetti sono lo stesso processo, dovvve prima si fa' una cosa piuttosto che un altra, ma alla fine si fa' la stessa cosa in modo diverso.
Se proviamo a costruire questi infiniti aiutandoci col disegno di rette e segmenti da suddividere all'infinito, ci accorgeremo infatti di stare facendo la stessa cosa in modi diversi, a meno di un unita' di misura, la quale però è convenzionale.


Parimenti i punti esistono , hanno cioè una loro attualità, a condizione che con essi possiamo mentalmente  operare.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

iano

#11
Sarebbe però ingenuo credere che finiti,  infinitesimi e infiniti esistano fuori dalla nostra mente., la quale in effetti è l'iperuranio cui si riferiva Platone volendogli attribuire una esistenza reale, seppur in altro mondo diverso da questo., e il perché mi piacerebbe capire. Che fossero solo nella nostra mente e perciò reali, non gli bastava?
Immagino perché egli rilevava dei corrispondenti reali fuori dalla mente , seppur imperfetti, che quelle idee appunto richiamavano, credendo di poter avere un accesso diretto alla realtà, come tanti ancora credono.
In sostanza, non solo i punti, ma qualunque cosa crediamo esista,,esiste solo nella nostra mente, ma in corrispondenza con una realtà fuori dalla mente, una corrispondenza che non è biunivoca, perché ciò equivarrebbe di fatto ad un accesso diretto alla realtà, ma è più una corrispondenza operativa.
Le costruzioni mentali sono arbitrarie in se', ma se alcune sembrano più importanti di altre, è perché hanno una corrispondenza operarativa con la realtà, dovendosi porre più l'accento sulle operazioni che corrispondono al divenire, che agli enti mentali che corrispondono all'essere.
Potremo esser certi di possedere gli stessi enti mentali se parimenti con essi riusciamo ad operare e coi punti mi pare non abbiamo difficoltà a condividere come con essi operare, mentre più  difficile e' convincersi che abbiano una duratura esistenza, al di la' di quello che ci possiamo fare, condividendolo attraverso simboli, come quelli disegnati da Eutidemo.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

Eutidemo

Ciao Bobmax :)
In effetti, ricordo che, a scuola, il professore di matematica, ci insegnava sia la matematica che la geometria: però ricordo pure che avevamo due testi distinti, uno per la matematica, e l'altro per la geometria.
Allo stesso modo, il professore di latino, ci insegnava sia il latino che il greco: però ricordo pure che avevamo due testi distinti, uno per il greco, e l'altro per il latino.
***
Inoltre, mentre in matematica ero una frana, in geometria ero bravino; come, peraltro, risultò anche dai test del Q.I., da adulto.
***
Però, molto probabilmente, io faccio confusione tra:
a)
La "matematica", che è lo studio delle misure e delle proprietà delle quantità usando numeri e simboli;  e che, quindi, come giustamente dici tu, in tal senso comprende indubbiamente anche la "geometria".
b)
L'"aritmetica", che, invece, è quella branca della matematica che si occupa delle proprietà dei numeri; e che, quindi, non ha niente a che fare con la "geometria".
***
Però, ad essere sincero, non sono sicuro neanche di questo; per cui attendo una tua conferma, considerato che ho visto che in materia sei oggettivamente molto più ferrato di me.
***
Quanto all'"astrazione", per quanto sia intelligente e capace, uno scimpanzè:
- potrà anche essere in grado di battere un umano in un test di intelligenza pratica (come quello della nocciolina e della provetta piena d'acqua, su cui scrissi un apposito topic);
- potrà anche essere in grado di formulare delle vere e proprie frasi con appositi computer, come ho visto in alcuni documentari;
- però, come soleva dire Bertrand Russel, non potrà mai essere in grado di dire: "I miei genitori erano poveri, ma onesti!".
:)
***
Sono invece del tutto d'accordo con te, che il pensiero razionale è indispensabile per il nostro inoltrarci nel mondo; ma che non è assolutamente fonte di Verità (almeno di quella con la maiuscola).
***
Sono anche d'accordo con te, che non può esservi alcun concetto del 1 senza che prima vi sia consapevolezza del molteplice; e viceversa.
Allo stesso modo, prima si ha la consapevolezza dello spazio, e poi, eventualmente del concetto di piano o di retta; ma senza questi ultimi, dubito che potremmo avere la consapevolezza di uno spazio vuoto.
Ed infatti:
- io posso  benissimo immaginarmi un piano o una retta (che presuppongono, come giustamente dici tu, la  consapevolezza dello spazio);
- però non sono assolutamente in grado di immaginarmi uno spazio vuoto.
***
Un saluto! :)
***

iano

Ciao Bobmax.
Mi scappa un analogia fra verità e infinito.
Se si è dimostrato che esistono diversi tipi di infinito, e posto che tu sia convinto della dimostrazione, allora forse esistono diversi tipi di verità?
Infinito e verità sono simili in quanto irrangiungibili.
Eppure in analogia con l'infinito si parla di verità come cosa attuale.
Si è dimostrata l'attualità dell'infinito, ma a costo di moltiplicarne i tipi.
Potrebbe darsi la stessa cosa per la verità?
Immagino tu risponderai di no, anche se non saprai dire perché no.😊
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

iano

#14
Eutidemo dice
- io posso  benissimo immaginarmi un piano o una retta (che presuppongono, come giustamente dici tu, la  consapevolezza dello spazio);
- però non sono assolutamente in grado di immaginarmi uno spazio vuoto.
————————————-

Una possibile spiegazione è che immaginare uno spazio vuoto equivalga a non immaginare uno spazio, se uno spazio esiste solo nella nostra immaginazione, che è una possibilità da non trascurare, in quanto, seppur in disaccordo col nostro intuito, ci aiuta a spiegare tante cose.
Se esiste solo nella nostra immaginazione, si spiega ad esempio perché ogni teoria fisica pur parimenti di successo, possieda un suo spazio personale.
Ma se ci sono tanti spazi diversi quale sarà quello vero?
Una risposta possibile è nessuno., se non appunto nella nostra immaginazione.
Ogni diverso spazio sarebbe quindi solo un diverso modo possibile di rapportarsi con la realtà .
Se pur cosi è, però nessuno di questi spazi è gratuito, ma nessuno sta fuori dalla nostra mente.
Ogni diverso spazio corrisponde operativamente alla stessa realtà, perché diversamente ci rapportiamo con essa a seconda della diversa teorica che applichiamo, ad ognuna delle quali è relativo un diverso spazio.
La difficoltà sta nell'accettare che la nostra percezione sensibile equivalga a una teoria fisica cui in questo caso è occasionalmente relativo uno spazio Newtoniano.
Gli spazi sono mappe diverse della stessa realtà, che siamo più o meno bravi a disegnare, cioè a trasporre in simboli.
Quando disegnamo un segmento stiamo disegnando un simbolo che sta per un segmento puramente mentale che possiamo immaginare solo come parte di uno spazio parimenti mentale.
Per immaginare uno spazio vuoto invece è sufficiente non immaginarlo.
Questo ci suggerisce che uno spazio equivalga a una struttura, perciò non possiamo parlarne se non riferendoci alle sue parti strutturali., le quali per lo spazio euclideo , che poi è quello Newtoniano, sono punti segmenti e rette, mentre altre saranno per spazi diversi.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

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