Da bambino trovavo alquanto difficoltoso riuscire a comprendere che cosa fosse un punto; ora che sono vecchio, invece, lo trovo ancora più difficile.
E adesso vi spiego perchè!***Alle elementari mi insegnarono che una linea (ad es., una retta) è un insieme infinito di punti; e che, il punto, dunque, è l'elemento fondamentale della geometria, senza il quale non si darebbero né linee, né piani, né volumi. E va bene!***Poi mi spiegarono pure che la geometria (almeno quella intuitiva) si basa sulla percezione di enti e figure geometrici di cui è possibile immaginare il corrispettivo empirico, percepibile mediante i sensi; ad esempio, un cerchio o un quadrato assolutamente "perfetti" in natura non esistono, però il loro corrispondente "reale" sicuramente sì.E va bene!***Ma il punto, chi ne ha mai visto il suo corrispondente in natura?IL CORRISPONDENTE IN NATURA DEL PUNTOIl punto, possiamo indicarlo convenzionalmente su un foglio di carta, mediante una matita dalla punta molto sottile; però sappiamo benissimo che si tratta soltanto di un "segno convenzionale", che sta per "qualche cosa d'altro". Quello segnato sulla carta, infatti, visto con una lente d'ingrandimento, è soltanto una piccola pallina nera; cioè un "cerchio", e non un "punto" (sebbene possa assumere anche altre forme, le più svariate).(https://i.postimg.cc/brSztKLn/CERCHIO-E-PUNTO.jpg)***LE OPINIONI DEGLI ANTICHIAl riguardo, in estrema (e forse un po' eccessiva), possiamo ricordare:1) PlatonePlatone non parla mai del "punto" geometrico; però, nel Sofista, per bocca di Socrate, sembra farvi un riferimento indiretto parlando del'"uno".Ed infatti scrive: "Occorre certamente dire, secondo un giusto ragionamento, che sia del tutto indivisibile ciò che è veramente uno." Platone, per dire "indivisibile", usa il vocabolo greco "αμερές" (che vuol dire "privo di parti").2) Aristotele.A differenza di Platone, Aristotele (nella sua "Metafisica") fa invece una netta distinzione tra:- il concetto di "uno" (1);- il concetto di "punto" (.). Ed infatti postula seguente distinzione: - "ciò che è indivisibile ("αμερές") secondo la quantità e in quanto quantità, e che è indivisibile ("αμερές") in tutte le dimensioni e non ha posizione si chiama <<uno>>"; - ciò che, invece, è indivisibile ("αμερές") in tutte le dimensioni ma ha una posizione, si chiama <<punto>>". 3) EuclideEuclide scrive: "Σημεΐόν έστιν ού μέρος ούθέν", cioè, "il punto è ciò che non ha parti"; utilizza, cioè, la stessa terimonologia di Platone e Aristotele, in quanto "αμερές" deriva da "μέρος" preceduto dall'"alpha steritokòn" privativo .Non è ben chiaro, almeno per me, se la "definizione" di "punto" data da Euclide presupponga il concetto di "punto come unità" (che risale a Platone e, prima ancora, a Pitagora) oppure quella di "punto come ente razionale privo di dimensioni" (data da Aristotele); però a me pare che, "sostanzialmente", il grande matematico, non si discosti granchè dalla definizione di Platone, e da quella esplicitata in modo più articolato da Aristotele.LE OPINIONI DEI MODERNIIl matematico Carl B. Boyer, riguardo a tale genere di definizioni, scrive: "Alcune definizioni non definiscono un bel niente! Ed infatti dire, come fa Euclide, che «un punto è ciò che non ha parti», non significa minimamente definire tali entità, giacché una definizione deve essere espressa in termini di concetti che vengono prima e che sono più noti delle cose definite." (Carl L. Boyer "A History of Mathematics, 1968).***Assunto, questo, che spesso (ma non sempre), viene recepito sui testi didattici delle scuole superiori, così come nel seguente: "Il punto non si può definire in alcun modo; ed infatti, in ogni scienza esistono dei concetti che si debbono supporre noti a priori e che, pertanto, non vengono definiti attraverso altre parole o altri concetti di quella determinata scienza. Ma la mancanza di definizione non è dovuta al fatto che i concetti in esame sono così comuni e semplici da non aver bisogno di essere definiti, bensì per una vera e propria impossibilità logica di definirli." (L. Cateni - R. Fortini, Il pensiero geometrico. Manuale di geometria per il liceo scientifico, Firenze, Felice Le Monnier, 1975, p. 3.)Evviva la sincerità!***In modo molto più "spiccio", su un altro testo di geometria trovo scritto: "Il punto è un ente geometrico che non ha dimensioni ed è indicato generalmente con una lettera stampatella maiuscola: A" (Rinaldo Cigna - Marina Devalle, Matematica (2 voll.), Milano, Casa Editrrice Tramontana, 1967, vol. 1, p. 192).Evviva lo spirito pratico!LA MIA (NON) OPINIONESul "punto" devo confessare di non riuscire a farmi una vera e propria opinione, in quanto:- capisco benissimo il significato del "lemma" denominato "punto", perchè lo uso (e lo scrivo) in continuazione;- però mi sfugge completamente il "concetto" razionale di "punto".***Ed infatti:a)Come si fa a costruire, sia pure idealmente, una "entità geometrica che ha delle dimensioni", con delle componenti che, invece, sono "prive di dimensioni"?Cioè, visto che sono tutti d'accordo (me compreso) sul fatto che "il punto non ha dimensioni", come è possibile che, mettendo in fila -uno appresso all'altro- tanti punti, ne possa scaturire una "linea"; cioè un qualcosa che, invece, ha la dimensione della "lunghezza"?Senza mattoni, infatti, non vedo come si possa costruire una casa fatta di mattoni.b)Se le parti di cui il punto si compone sono "nulla", come può essere "reale" (ed anche "razionale") ciò che si compone di punti?Al riguardo, Max Simon, rifacendosi un po' alla "definizione" di Marziano Capella ( V secolo dopo Cristo), scrive: "Punctum est cuius pars nihil est" ("Punto è ciò la cui parte è niente"); vale a dire che le parti di cui il punto si compone sono "nulla". E se è vero che le parti di cui il punto si compone sono "nulla", allora dovrebbe risultare "nulla" anche qualsiasi forma geometrica composta dai punti che ne fanno parte; ma, poichè così non è, deve per forza esserci qualcosa di sbagliato nel concetto di "punto" (se lo si vuole "concettualizzare" oltre un uso strettamente "pratico").c)Come può esistere qualcosa che non si può "numerare"?Infine, mentre qualsiasi forma geometrica può essere idealmente numerata "da uno ad infinito", il punto, invece, no.Ad esempio, nella seguente immagine, io ho disegnato una fila di quadrati contigui (che costituiscono un rettangolo), e, sotto, ho disegnato una fila di punti contigui (che costituiscono una semiretta)(https://i.postimg.cc/65W1hZjQ/FILA.jpg)Quello che risulta evidente dal disegno, è che:- i quadrati contigui da me disegnati sono 12, ma potrebbero anche essere 1, 100 o 1000, o addirittura infiniti (anche se questi ultimi sarebbero impossibili da disegnare e da contare);- i punti contigui da me disegnati, invece, sono infiniti (ma non potrei mai disegnarne un numero limitato tale, cioè, da poter essere contato).Il paradosso sta nel fatto che io:- posso disegnare una fila limitata di quadrati contigui ma non posso disegnare una fila infinita di quadrati contigui;- mentre, al contrario, qualsiasi fila di punti contigui io disegni, breve o lunga che essa sia, conterrà necessariamente un numero infinito di punti (anche se volessi, infatti, non riuscirei mai a disegnare una semiretta composta soltanto da 12 punti contigui). CONCLUSIONEIn realtà, non penso che ci sia al riguardo alcun reale "paradosso"; è solo che, personalmente, mi sfugge completamente il concetto "razionale" di "punto" (mentre ad altri probabilmente no).Trovo, cioè, che il concetto di "punto" sia utilissimo in pratica, ed assolutamente da non abbandonare a tali fini; però, almeno per le mie limitate facoltà di astrazione, non lo ritengo "razionalizzabile".Se lo si fa, secondo me, si cade in dei "non sensi" logici!***Ad esempio, se io disegno una semiretta, posso anche indicare i suoi estremi come "termine sinistro" e "termine destro", il che, concettualmente, sarebbe del tutto corretto; però, se si trattasse di un disegno più complesso, in cui più semirette si incrociano "ad asterisco" (*), la faccenda comincerebbe a farsi un tantino complicata.Pertanto, per convezione, in pratica è molto più semplice dire che la mia semiretta va dal "punto" A al "punto" B; sebbene, concettualmente, si tratti di elementi geometrtici "fatti di niente"!(https://i.postimg.cc/QMN8GmqW/TRATTI.jpg)***Per concludere, ricordo che, sotto il nome di P.F.G. ("Point Free geometry" cioè "Geometria Senza Punti"), viene indicato un nuovo tipo di geometria assumendo come nozione primitiva quella di "regione" piuttosto che quella di "punto". Ma, al riguardo, non ne so di più! :)
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La matematica è forse l'ambito che più di ogni altro mostra l'influsso del nichilismo nella scienza.
Difatti il nichilismo deriva direttamente dal pensiero razionale, ne è l'effetto sgradito ma inevitabile.
E la matematica è probabilmente la più autentica espressione del pensiero razionale.
Un pensiero che seppur nato dalla osservazione del mondo fisico, se ne è man mano distaccato, fino a muoversi autonomamente. Costruendo un mondo a sé.
Un mondo che si è rivelato utile, nell'agire nel mondo fisico, ma che viene ormai creduto a sua volta "reale". Quando non è altro che astrazione.
L'utilità viene così confusa con la verità.
Ci si immagina, per esempio, che esista per davvero un mondo dei numeri!
Abitati cioè dagli infiniti numeri. Che se ne stanno lì, aspettando che qualcuno li pensi...
Mentre un numero esiste solo nel pensiero che lo pensa. Se non è pensato non esiste assolutamente!
La matematica tratta solo concetti. E questi concetti hanno tutta la loro realtà nel mondo fisico a cui si riferiscono.
Se dico: "4 mele", la realtà è tutta nelle mele.
Se tolgo la parola "mele" il 4 che resta non ha alcuna realtà.
Ciò vale per qualsiasi concetto matematico.
Quindi anche per il punto, la retta, il piano...
Non esistono, se non nel pensiero.
Ma il nichilismo se ne è appropriato. E così ormai si crede nella loro esistenza.
Di credere che l'infinito esista davvero!
E di poterlo usare, come cosa tra le cose...
Così la filosofia viene messa da parte come assurdo vaneggiamento.
E si perde l'incommensurabile mistero dell'esistenza.
Salve Eutidemo. Hai voglia dare una definizione matematico-logica di punto. Infatti l'unica definizione accettabile secondo me è "il punto rappresenta un ente concettuale spaziale del tutto INDEFINIBILE".
Secondo te i CONCETTI esistono materialmente, geometricamente, metricamente ? Oppure esistono solo in via strumentale e priva di esistenza propria inquanto la loro funzione è solo quella DI AFFERMARE L'ESISTENZA DI CIO' CHE IL CONCETTO RIGUARDA, SENZA ESSERLO IN SE' ?.
La definizione di "punto" quindi spetta solo alla filosofia, la quale può solo limitarsi a notare la coincidenza di significato pratico tra "INDEFINIBILE" ed "INESISTENTE".
Nonostante i matematici cerchino di giocarci come fanno con il concetto di INFINITO, con il suo complementare negazionistico (L'INFINITESIMA porzione di spazio "occupata" dal punto) l'addomesticamento non può riuscire. Saluti.
P.S. Intervento editato in contemporanea con quello di Bobmax, che saluto.
Euclide forse non avrà definito in maniera rigorosa il concetto di punto, ma su quel "nulla", come sull'altra araba fenice che è lo zero, 0, si costruisce tutta la matematica. Nichilista come il bigbang, che pare altrettanto nascere dal nulla. Ma a differenza della nullificazione antropologica (riduzionismo scientista), si tratta di un nichilismo innocuo che funziona perfettamente come postulato originario di grandi architetture di calcolo. Basti pensare al punto zero delle assi cartesiane e ai punti notevoli delle funzioni.
Logicamente è un pò ostico pensare che una successione di punti adimensionali produca un linea monodimensionale, e altrettanto che da 1 dimensione si passi per accumulazione a 2,...ma va preso come un postulato e tra tanti atti di fede questo dimostra di saper funzionare in una disciplina senza la quale saremmo ancora fermi alla selce.
Il concetto matematico di limite , come risolve tanti altri paradossi, forse potrebbe aiutare al rigore della definizione anche del punto matematico, come fa già egregiamente coi punti fisici (ad es. punto di fusione).
Azzarderei qualche intento definitorio:
Il punto è il luogo geometrico indivisibile.
È il limite inferiore della suddivisione di ogni ente geometrico.
È l'elemento adimensionale costitutivo di ogni altro ente geometrico di qualsiasi dimensione.
Come spiegato in WP, il punto pur essendo adimensionale ha un ambito di realtà definendo la posizione all'interno di uno spazio geometrico, matematico e fisico.
Ciao Viator,
direi che il punto esiste come concetto, ma non fisicamente.
E il suo stesso concetto non è originario, ma deriva a sua volta dal principio di identità.
Il punto infatti è necessario per soddisfare il principio di identità quando lo si applica al mondo fisico.
Perché un qualunque oggetto deve necessariamente avere dimensioni determinate.
In caso contrario avremmo una miriade di oggetti tra loro equivalenti, al posto di quell'unico oggetto.
Anche se noi non siamo in grado di misurarle esattamente, diamo quindi per scontato che queste dimensioni siano determinate. E non fluttuanti.
Perciò abbiamo bisogno del punto che le determini univocamente.
Solo che... il punto, esistendo solo idealmente, in realtà non determina univocamente un bel niente!
Con buona pace del principio di identità.
A non è mai A.
Ciao Bobmax
A parte il fatto che il "punto" è un concetto "geometrico", e non "matematico", tutto sommato penso che il tuo ragionamento possa considerarsi valido per entrambi gli ambiti; almeno a livello di "astrazione".
Ed invero, il pensiero "geometrico" (.), così come quello "matematico" (1), seppur nato dalla osservazione del mondo fisico, se ne è man mano distaccato, fino a costituire un mondo "razionale" a sé.
Al riguardo, sono d'accordo con te che:
- confondere il mondo razionale con il mondo reale, checchè ne dica Hegel, costituisce un grave errore;
- usare il mondo razionale per capire il mondo reale, invece, è uno dei massimi traguardi della mente umana rispetto a quella animale (che a volte è molto intelligente, ma è incapace di astrazione).
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Un saluto! :)
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Ciao Viator. :)
In verità, "definire" qualcosa "indefinibile" suona un po' contraddittorio; tuttavia come "calembour", lo ritengo senz'altro più che accettabile e condivisibile, almeno per quanto riguarda il "punto".
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Secondo me i "concetti" sono delle "astrazioni", utili per indicare l'"archetipo" di oggetti che esistono materialmente, ma che non corrispondono a nessuno di essi in particolare: ad esempio "la sedia" è un concetto "archetipico", "desunto" dalle caratteristiche comuni a tutte le singole "sedie", ma, ovviamente, non è affatto "una sedia".
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Quanto alla definizione di "punto", sebbene "indefinibile" non significhi necessariamente "inesistente", forse, invece, potrebbe definirsi tale ciò che è privo di dimensioni spaziali di qualsiasi tipo; come, appunto, il "punto".
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Un saluto! :)
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Ciao Ipazia. :)
In effetti, trovo davvero ostico pensare che una successione di punti "adimensionali" possa produrre un linea "monodimensionale"; come ho detto, mi sembra come pensare ad una casa di mattoni costruita senza mattoni.
Ed anche, posto che si vogliano considerare "esistenti" anche dei mattoni "adimensionali", trovo davvero ostico pensare che una casa di tre piani possa essere composta dello stesso identico numero di mattoni di una casa di trenta piani.
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Quanto, invece, al pensare che da 1 si passi per accumulazione a 2, non lo trovo affatto "ostico", bensì, semmai, un po' "tautologico"; ed infatti dire che 1+1 equivale a (dire) 2, è come dire che un animale con "due gambe", come l'uomo, è un "animale bipede".
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Un saluto! :)
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Ciao Eutidemo
La geometria è parte della matematica.
Di modo che il punto, prima ancora che geometrico è matematico.
Non penso proprio che l'astrazione razionale sia una nostra peculiarità. Probabilmente in noi umani la razionalità si è sviluppata maggiormente, a causa delle nostre corde vocali e mani prensili con il pollice opponibile, ma perché mai dovrebbe essere una nostra esclusiva?
Il pensiero razionale è indispensabile per il nostro inoltrarci nel mondo.
Ma non è fonte di Verità.
È lo strumento per chiarire il mondo e noi stessi. Senza di esso saremmo perduti.
Ma di per se stesso non aggiunge nulla, e ciò che chiarisce è il deserto. Attraversando il quale possiamo infine tornare a casa.
Ciò che conta, infatti, non ha nulla a che fare con la razionalità.
PS
L'uno viene dopo il due.
Non può esservi alcun concetto del 1 senza che prima vi sia consapevolezza del molteplice.
Allo stesso modo, prima si ha consapevolezza dello spazio, poi, eventualmente del concetto di piano o di retta.
Ciao Eutidemo.
Le linee che hai disegnato al computer non sono ne' infinite ne' composte da infiniti punti, ma semmai da un numero finito di pixel, o di tratti discontinui se disegnati a matita, come si può dimostrare guardandoli al microscopio.
Tuttavia ciò che hai disegnato possiamo considerarlo come simbolo di una retta infinita fatta da infiniti punti.
Un simbolo che sta per altro, che sta solo nella mente e che nella mente si possono manipolare.
Possiamo cioè operare mentalmente con essi, ma perché altri possano replicare nella loro mente le operazioni che abbiamo fatto nella nostra occorre servirsi di simboli.
Quindi quando disegnamo un segmento, che tu erroneamente hai chiamato semiretta, stiamo in effetti disegnando un simbolo che sta per un segmento.
I simboli possono essere di diversi tipi, dei quali i più puri sono quelli numerici, o meglio di tipo numerico, perché se il simbolo di un segmento sta intuitivamente per un segmento mentale, per un simbolo numerico non ci aiuta l'analogia, e non possiamo quindi mancare di specificare per cosa esso stia.
In qualche modo, attraverso l'uso di simboli, riusciamo a fare qualcosa di meraviglioso, condividere le nostre operazioni mentali., posto che sia chiara a tutti in modo univoco la convenzionale corrispondenza fra simboli ed enti mentali, e quest'ultimo credo sia il punto delicato. Il rischio infatti è di intendere cose diverse usando le stesse espressioni simboliche. Purtroppo la matematica diventa meno comprensibile quando la svincoliamo dalle possibili analogie che ci aiutano a intuirlo, ma questo è il orizzonti da pagare quando si vogliono scongiurare fraintendimenti.
Paradossalmente, tanto più vogliamo assicuraci che tutti intendano la stessa cosa, tanto più alcuno la intende.
Al fine di evitare tali malintesi credo che Cantor ci abbia indicato la giusta strada, che almeno in questo caso però è anche facile da capire. Egli infatti non ci chiede di intuire l'infinito, ma di mettersi a costruirlo, o quantomeno di iniziare, e questo tutti lo sanno fare.
Egli , in disaccordo col grande Aristotele, che a me sorprende sempre ( non conoscevo la sua definizione di punto che hai riportato) e in accordo con Platone, e andando oltre Platone, non si limita a dire che l'infinito è attuale, ma c'è lo dimostra. Come? Con un argomento molto convincente secondo me.
Egli in sostanza ci suggerisce che gli infiniti attuali esistono, proprio come esistono i numeri finiti, se posso con essi in modo simile operare .. Ad esempio se li posso confrontare e dire se sono dissimili oppure uguali.
Così ad esempio ci dimostra che l'infinito dei numeri naturali e l'infinito dei numeri razionali sono lo stesso infinito.
E una volta che noi di questo abbiamo prova, non faremo difficoltà anche a "vederlo" intuitivamente.
Occorre infatti considerare che un infinito che si possa definire tale, al di la' del poterlo intuire, deve avere un ben specificato processo di costruzione., e Cantor ci dice in sostanza che i diversi processi coi quali costruiamo i diversi infiniti razionali e naturali, seppur apparentemente appunto diversi , in effetti sono lo stesso processo, dovvve prima si fa' una cosa piuttosto che un altra, ma alla fine si fa' la stessa cosa in modo diverso.
Se proviamo a costruire questi infiniti aiutandoci col disegno di rette e segmenti da suddividere all'infinito, ci accorgeremo infatti di stare facendo la stessa cosa in modi diversi, a meno di un unita' di misura, la quale però è convenzionale.
Parimenti i punti esistono , hanno cioè una loro attualità, a condizione che con essi possiamo mentalmente operare.
Sarebbe però ingenuo credere che finiti, infinitesimi e infiniti esistano fuori dalla nostra mente., la quale in effetti è l'iperuranio cui si riferiva Platone volendogli attribuire una esistenza reale, seppur in altro mondo diverso da questo., e il perché mi piacerebbe capire. Che fossero solo nella nostra mente e perciò reali, non gli bastava?
Immagino perché egli rilevava dei corrispondenti reali fuori dalla mente , seppur imperfetti, che quelle idee appunto richiamavano, credendo di poter avere un accesso diretto alla realtà, come tanti ancora credono.
In sostanza, non solo i punti, ma qualunque cosa crediamo esista,,esiste solo nella nostra mente, ma in corrispondenza con una realtà fuori dalla mente, una corrispondenza che non è biunivoca, perché ciò equivarrebbe di fatto ad un accesso diretto alla realtà, ma è più una corrispondenza operativa.
Le costruzioni mentali sono arbitrarie in se', ma se alcune sembrano più importanti di altre, è perché hanno una corrispondenza operarativa con la realtà, dovendosi porre più l'accento sulle operazioni che corrispondono al divenire, che agli enti mentali che corrispondono all'essere.
Potremo esser certi di possedere gli stessi enti mentali se parimenti con essi riusciamo ad operare e coi punti mi pare non abbiamo difficoltà a condividere come con essi operare, mentre più difficile e' convincersi che abbiano una duratura esistenza, al di la' di quello che ci possiamo fare, condividendolo attraverso simboli, come quelli disegnati da Eutidemo.
Ciao Bobmax :)
In effetti, ricordo che, a scuola, il professore di matematica, ci insegnava sia la matematica che la geometria: però ricordo pure che avevamo due testi distinti, uno per la matematica, e l'altro per la geometria.
Allo stesso modo, il professore di latino, ci insegnava sia il latino che il greco: però ricordo pure che avevamo due testi distinti, uno per il greco, e l'altro per il latino.
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Inoltre, mentre in matematica ero una frana, in geometria ero bravino; come, peraltro, risultò anche dai test del Q.I., da adulto.
***
Però, molto probabilmente, io faccio confusione tra:
a)
La "matematica", che è lo studio delle misure e delle proprietà delle quantità usando numeri e simboli; e che, quindi, come giustamente dici tu, in tal senso comprende indubbiamente anche la "geometria".
b)
L'"aritmetica", che, invece, è quella branca della matematica che si occupa delle proprietà dei numeri; e che, quindi, non ha niente a che fare con la "geometria".
***
Però, ad essere sincero, non sono sicuro neanche di questo; per cui attendo una tua conferma, considerato che ho visto che in materia sei oggettivamente molto più ferrato di me.
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Quanto all'"astrazione", per quanto sia intelligente e capace, uno scimpanzè:
- potrà anche essere in grado di battere un umano in un test di intelligenza pratica (come quello della nocciolina e della provetta piena d'acqua, su cui scrissi un apposito topic);
- potrà anche essere in grado di formulare delle vere e proprie frasi con appositi computer, come ho visto in alcuni documentari;
- però, come soleva dire Bertrand Russel, non potrà mai essere in grado di dire: "I miei genitori erano poveri, ma onesti!".
:)
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Sono invece del tutto d'accordo con te, che il pensiero razionale è indispensabile per il nostro inoltrarci nel mondo; ma che non è assolutamente fonte di Verità (almeno di quella con la maiuscola).
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Sono anche d'accordo con te, che non può esservi alcun concetto del 1 senza che prima vi sia consapevolezza del molteplice; e viceversa.
Allo stesso modo, prima si ha la consapevolezza dello spazio, e poi, eventualmente del concetto di piano o di retta; ma senza questi ultimi, dubito che potremmo avere la consapevolezza di uno spazio vuoto.
Ed infatti:
- io posso benissimo immaginarmi un piano o una retta (che presuppongono, come giustamente dici tu, la consapevolezza dello spazio);
- però non sono assolutamente in grado di immaginarmi uno spazio vuoto.
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Un saluto! :)
***
Ciao Bobmax.
Mi scappa un analogia fra verità e infinito.
Se si è dimostrato che esistono diversi tipi di infinito, e posto che tu sia convinto della dimostrazione, allora forse esistono diversi tipi di verità?
Infinito e verità sono simili in quanto irrangiungibili.
Eppure in analogia con l'infinito si parla di verità come cosa attuale.
Si è dimostrata l'attualità dell'infinito, ma a costo di moltiplicarne i tipi.
Potrebbe darsi la stessa cosa per la verità?
Immagino tu risponderai di no, anche se non saprai dire perché no.😊
Eutidemo dice
- io posso benissimo immaginarmi un piano o una retta (che presuppongono, come giustamente dici tu, la consapevolezza dello spazio);
- però non sono assolutamente in grado di immaginarmi uno spazio vuoto.
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Una possibile spiegazione è che immaginare uno spazio vuoto equivalga a non immaginare uno spazio, se uno spazio esiste solo nella nostra immaginazione, che è una possibilità da non trascurare, in quanto, seppur in disaccordo col nostro intuito, ci aiuta a spiegare tante cose.
Se esiste solo nella nostra immaginazione, si spiega ad esempio perché ogni teoria fisica pur parimenti di successo, possieda un suo spazio personale.
Ma se ci sono tanti spazi diversi quale sarà quello vero?
Una risposta possibile è nessuno., se non appunto nella nostra immaginazione.
Ogni diverso spazio sarebbe quindi solo un diverso modo possibile di rapportarsi con la realtà .
Se pur cosi è, però nessuno di questi spazi è gratuito, ma nessuno sta fuori dalla nostra mente.
Ogni diverso spazio corrisponde operativamente alla stessa realtà, perché diversamente ci rapportiamo con essa a seconda della diversa teorica che applichiamo, ad ognuna delle quali è relativo un diverso spazio.
La difficoltà sta nell'accettare che la nostra percezione sensibile equivalga a una teoria fisica cui in questo caso è occasionalmente relativo uno spazio Newtoniano.
Gli spazi sono mappe diverse della stessa realtà, che siamo più o meno bravi a disegnare, cioè a trasporre in simboli.
Quando disegnamo un segmento stiamo disegnando un simbolo che sta per un segmento puramente mentale che possiamo immaginare solo come parte di uno spazio parimenti mentale.
Per immaginare uno spazio vuoto invece è sufficiente non immaginarlo.
Questo ci suggerisce che uno spazio equivalga a una struttura, perciò non possiamo parlarne se non riferendoci alle sue parti strutturali., le quali per lo spazio euclideo , che poi è quello Newtoniano, sono punti segmenti e rette, mentre altre saranno per spazi diversi.
Ciao Iano :)
Innanzittutto mi scuso per il mio "marchiano" errore; ed infatti è ovvio che, quella che avevo disegnato, non era affatto una "semiretta", bensì, evidentemente, un "segmento".
:-[
Ultimamente mi sono accorto che sbaglio troppe parole quando scrivo; cosa che, considerata la mia età, trovo alquanto preoccupante.
:'(
***
Quanto al fatto che come scrivi tu, "...le linee che hai disegnato al computer non sono ne' infinite ne' composte da infiniti punti, ma semmai da un numero finito di pixel, o di tratti discontinui se disegnati a matita, come si può dimostrare guardandoli al microscopio", questo non è giustissimo, ma, a dire il vero, io lo avevo già chiaramente premesso e precisato nel paragrafo "IL CORRISPONDENTE IN NATURA DEL PUNTO".
In tale sede,infatti, parlando del punto, avevo scritto che: "...quello segnato sulla carta con una matita , infatti, visto con una lente d'ingrandimento, è soltanto una piccola pallina nera; cioè un "cerchio", e non un "punto" (sebbene possa assumere anche altre forme, le più svariate).
Questo è naturale!
***
Diverso, invece, era il mio discorso relativo all'immagine, nella quale avevo disegnato una fila di quadrati contigui (che costituiscono un rettangolo), e, sotto, una fila di punti contigui (che costituiscono un segmento); è infatti ovvio che, anche in tal caso i disegni grafici erano composti da "pixel", ma, in tal caso, io intendevo riferirmi alle figure geometriche astratte da tali "pixel" simbolicamente rappresentate.
***
Ed infatti, in base a quanto risulta evidente dal disegno, traslato a livello "simbolico":
- i quadrati contigui da me "concepiti", sono 12, ma potrebbero anche essere 1, 100 o 1000, o addirittura infiniti;
- i punti contigui da me "concepiti", invece, sono sempre infiniti, nè potrei mai concepirne un numero limitato tale, cioè, da poter essere contato.
***
Il "paradosso" evidenziato dal mio disegno, sta nel fatto che io:
- posso concepire, immaginare (e anche simbolicamente disegnare), una fila limitata di quadrati contigui, però non posso concepire, immaginare (e neanche simbolicamente disegnare), una fila infinita di quadrati contigui;
- mentre, al contrario, qualsiasi fila di punti contigui io possa concepire, immaginare (e anche "simbolicamente" disegnare), breve o lunga che essa sia, conterrà necessariamente un numero infinito di punti.
***
Anche se lo volessi, cioè, non riuscirei mai concepire, immaginare (e anche simbolicamente a disegnare), 12 punti contigui; ed infatti, mi è solo consentito immaginare i punti come "infiniti" o come "uno solo", ma mai niente di intermedio, qualunque sia la forma geometrica costituita da tali punti.
Sarebbe come postulare l'esistenza dei numeri come "infiniti" (N) o come "uno solo" (1); ma mai nessun numero di intermedio (345,543,678 ecc.), qualunque sia la quantità fisica in esame!
Il che lo trovo assurdo; per cui, almeno per me, nel concetto di punto, c'è qualcosa che non funziona!
***
Quanto a Cantor, lui affrontò un problema diverso, assumendo che un insieme infinito è un insieme che può essere messo in corrispondenza biunivoca con un suo proprio sottoinsieme; ma, come ho detto, si tratta di una questione differente, che non intendevo minimamente affrontare in questo topic (anche perchè non ho le cognizioni matematiche per farlo).
***
Quanto al fatto che, in sostanza, come tu scrivi: "... non solo i punti, ma qualunque cosa crediamo esista, esiste solo nella nostra mente, ma in corrispondenza con una realtà fuori dalla mente", questo, secondo me, può essere una affermazione vera in taluni casi, ma non in altri.
Ed infatti c'è stato un tempo in cui credevamo nell'esistenza degli dei; però, tale credenza, esisteva solo nella nostra mente, senza alcuna corrispondenza con una realtà fuori dalla mente.
***
Un saluto! :)
***
Non è vero Eutidemo che gli Dei non avessero una corrispondenza con la realtà, e non è vero che stai perdendo colpi per l'età, e quest'ultima cosa mi accingo a dimostrare.
Vero è invece che nell'uso dei simboli siamo a volte colpevolmente approssimativi, e altre significativamente approssimativi.
Significativo è infatti che , come tu hai fatto, usiamo lo stesso simbolo grafico per designare due cose diverse, perché riteniamo magari prioritario che il simbolo richiami analogicamente quel che vogliamo rappresenti.
Perciò usiamo lo stesso simbolo per indicare un segmento e una semiretta ( non a caso dunque le hai confuse) perché privilegiamo un simbolo continuo, anche solo pseudo-continuo, in analogia alla continuità di ciò che vogliamo rappresentare. Ma come dicevo, l'uso di puri simboli, non necessariamente analogici quindi, ci aiuta magari a non capire quanto a non sbagliare.
Il tuo errore quindi è ben significativo dell'approssimazione con cui affrontiamo la questione, privilegiando una simbologia piuttosto che un altra.
Un simbolo non sta per qualcosa in quanto la richiama, ma perché noi convenzionalmente decidiamo per cosa sta, e tanto meno saremo approssimativi tanto meglio riusciamo a condividere con precisione i nostri contenuti mentali.
Quindi, rinunciando all'analogia simbolica di continuità, possiamo meglio decidere di simboleggiare una semiretta con un segmento relativamente lungo, seguito da un tratteggio fatto con segmenti più brevi.
Così non possiamo sbagliarci, essendo una simbologia a prova della nostra veneranda età intellettiva.
Si è vero, tu avevi spiegato già' tutto ben coi tuoi disegni, che io ho voluto ribadire a modo mio ponendo l'accento sul linguaggio simbolico, che è poi la matematica, tanto più difficile da comprendere quanto più pretendiamo da essa non ci porti a confusione. Una matematica puramente astratta non ci suggerisce volutamente alcuna analogia seguendo le quali analogie ognuno rischia di immaginare cose diverse, il prezzo da pagare alla precisione è perciò' una difficoltà a immaginare,,e quindi a capire, a far propria in breve la materia.
Oggi però possiamo delegare le operazioni matematiche ai computer, i quali non sbagliano mai, anche perché non hanno nulla da capire..😊
In definitiva Eutidemo, i simboli analogici servono a capire quanto a fraintendere.
Mentre i puri simboli non aiutano capire quanto a non fraintendere.
In ciò credo possiamo far risiedere la lamentata astrattezza della matematica, la quale però ha nella sua natura di essere astratta. Questo è il suo pregio e il suo difetto, che non riferendosi a nulla in particolare può riferirsi a tutto.
Un segmento disegnato su un foglio non si riferisce a nulla in particolare , oppure a tutto, ma non a cose diverse insieme.
Sì, Eutidemo, nell'uso comune del termine con matematica si intende aritmetica.
Tuttavia la matematica è molto più ampia e include la geometria, l'algebra, la statistica, e tanto altro.
Aree diverse, che tuttavia sono fondate sulla stessa modalità di astrazione matematica.
Bertrand Russell era molto simpatico, ironico, pragmatico, ma pessimo filosofo.
Il dare per scontato che vi siano differenze sostanziali, tra due cose qualsiasi del mondo, è la fonte di ogni male.
Citazione di: iano il 27 Dicembre 2021, 14:38:58 PM
Si è dimostrata l'attualità dell'infinito, ma a costo di moltiplicarne i tipi.
Iano, è avvenuto proprio il contrario.
È il dare per scontata l'attualizzazione dell'infinito che ha permesso di dimostrare l'esistenza di più ordini di infinito.
Perciò una dimostrazione che si regge sulla presunta, e assurda, possibilità di elaborare all'infinito.
Andata e ritorno all'infinito e questo una infinità di volte!
Mentre l'infinito è sempre e solo in potenza, cioè limite irraggiungibile.
Ciao Bobmax.
Eutidemo ci illustra il paradosso che un segmento, seppur definibile come fatto di infiniti punti, non si può costruire reiterando l'operazione di mettere un punto dietro l'altro.
Nel dire quindi che un segmento è fatto di infiniti punti messi in fila, non ne stiamo dando una definizione operativa.
Se diciamo invece che un segmento può dividersi all'infinito, allora stiamo dando una definizione operativa di punto come risultato di una operazione reiterata all'infinito a partire da un segmento.
Nel parlare di infiniti attuali, argomento che vedo non ti appassiona, credo sia importante che nella loro definizione sia compresa una reiterazione.
La reiterazione di una operazione è presente in ogni possibile definizione di infinito, ma fino a prova contraria se diverse sono le operazioni da reiterare diversi sono gli infiniti da esse generati.
Aggiungere un pixel dietro un altro è una operazione, mentre dividere un segmento in due è un altra operazione che a naso mi pare generino con la loro reiterazione due diversi tipi di infinito.
Nel primo caso quello dei numeri naturali, nel secondo quello dei numeri reali.
Sono infiniti diversi, s meno che tu non possa dimostrare il contrario, perché costruiti in modo diverso.
Ma non è che noi dobbiamo costruirli. Noi ci limitiamo a dire come vanno costruiti.
Se l'infinito invece non fosse da costruire, perché già esiste, creato con una operazione unica e sola, non reiterata, se creato, allora è uno solo.
Io credo che siano di diversi tipi, anche perché diversamente dovrei rinunciare ad una libera ricerca matematica ponendovi paletti mistici.
Ti invito comunque a riflettere sul fatto che un infinito, oltre a poter essere immaginato, può anche essere definito operativamente, e quindi considerare se forse le due cose non siano strettamente legate, e ancora considera che in definitiva un infinito sta dentro a una definizione finita , la cui lunghezza e' confrontabile col segmento che sta per il diametro del nostro che immagina, e dentro cui dunque può stare.
Ciao Iano.Insisto nel ritenere:- sia che gli Dei, "falsi e bugiardi", non avessero la benchè minima corrispondenza con la realtà;- sia che io sto davvero perdendo colpi per l'età (come, purtroppo, ogni giorno che passa, devo constatare sempre di più). :(
***Ed infatti:- io avevo chiaramente disegnato un SEGMENTO, il quale è una parte di retta delimitata da due punti, chiamati ESTREMI (nel mio caso A e B);- la SEMIRETTA, invece, ha un inizio ma non una fine (solo l'estremo A). (https://i.postimg.cc/t4X2nNKX/SEGMENTO.jpg)***Per cui il mio è stato un evidentissimo ERRORE; che tu, giustamente, non hai mancato di rimarcare!***Adesso tu cerchi cortesemente di attenuare la portata del mio errore, scrivendo che a volte usiamo lo stesso simbolo grafico per designare due cose diverse; e, quindi, usiamo lo stesso simbolo per indicare un segmento e una semiretta.Ma questo sarebbe stato vero se io mi fossi limitato a tracciare semplicemente due linee, senza indicarne alfabeticamente gli estremi:(https://i.postimg.cc/q76nNtvJ/RETTE.jpg)*** Poichè, però, io ne avevo alfabeticamente indicato gli estremi A e B, chiamare tale segmento una "semiretta" è stato un mio inescusabile errore.E il guaio è che di errori così, ed anche di più gravi, ne commetto sempre più spesso! :'(
***Al riguardo, comunque, trovo interessante la tua idea di simboleggiare una semiretta con un segmento relativamente lungo, seguito da un tratteggio fatto con segmenti più brevi:(https://i.postimg.cc/8kZ5VpTt/TRATTI-vvvv.jpg)Così, in effetti, non possiamo sbagliarci, essendo una simbologia a prova della nostra veneranda età intellettiva. ;D
***Un saluto! :) ***
Ciao Bobmax :)
Come supponevo, il mio sbaglio è consistito nell'aderire all'"uso comune" del termine "matematica", con il quale, invece, si intende la sola "aritmetica"; però, come giustamente hai rilevato tu, tale '"uso comune" è errato, perchè, la "matematica" vera e propria è molto più ampia della semplice '"aritmetica" e include la "geometria", l'"algebra", la "statistica", e tanto altro.
Aree diverse, che tuttavia sono fondate sulla stessa modalità di astrazione matematica.
***
Ciò premesso, non capisco per quale motivo tu, poi, scrivi che "Il dare per scontato che vi siano differenze sostanziali, tra due cose qualsiasi del mondo, è la fonte di ogni male!"
Ed infatti, facendomi giustamente riflettere, al di là dell'"uso comune" dei termini, sulla sostanziale differenza di significato tra la "matematica" e l'"aritmetica", tu stesso ha rimarcato l'importanza della "discriminazione" e del "discernimento" tra una cosa e un'altra.
Secondo me, quindi, la fonte di ogni male è proprio quella di non vedere le differenze tra le cose; e, quindi, di "fare di tutta l'erba un fascio".
***
Quanto a Bertrand Russell il primo libro di filosofia che lessi in vita mia (a 14 anni), fu il suo "I problemi della filosofia"; poi lessi anche "Storia della Filosofia Occidentale" (più volte), e quasi tutti gli altri suoi libri di carattere divulgativo.
Ma, poichè io non sono un "matematico", non ho mai letto nessuno dei suoi molti libri di matematica.
Peraltro, non essendo io neanche un vero e proprio "filosofo", non sono in grado di giudicare se lui fosse un ottimo o un pessimo filosofo; però ho quasi sempre condiviso le critiche da lui mosse agli altri filosofi.
***
Un saluto! :)
***
Eutidemo, il tuo trovarti d'accordo con Bertrand Russell lo avrei dato per scontato.
La tua visione pragmatica della realtà appare in ogni tuo intervento.
Sebbene mi pare tu senta una qual attrazione per la Trascendenza. Frenata però proprio da questo, diciamo così, empirismo.
Difatti le aree della matematica non hanno "sostanziali" differenze tra loro.
Proprio in quanto tutte sono matematica.
E la matematica altro non è che negazione.
La matematica è infatti espressione dello stesso pensiero razionale, che è fondato su quel unico principio: il principio di identità.
A = A
Che è l'essenza della negazione.
Ma essendo l'Uno negazione della negazione, il pensiero razionale, e quindi la matematica, non hanno alcuna Verità.
Iano, dato un qualsiasi intervallo, i numeri reali sono di più dei numeri naturali.
Questo di più è potenzialmente infinito.
Bene!
Su questa base possiamo procedere.
Con gli infinitesimi e tutto il resto.
Ma lasciamo stare l'infinito con la pretesa di trattarlo come una cosa!
È questo il gravissimo errore.
Perché se no, ci ritroviamo a concludere, per esempio, che i numeri interi pari sono tanti quanti sono i numeri interi... Una assurdità!
L'infinito non è qualcosa.
Ciao Bobmax.
I numeri interi sono quanto i numeri pari e si può dimostrare, ma per evidenziare che stiamo confrontando insiemi infiniti si dice che possiedono la stessa cardinalita'.
Ma non si possono confrontare contandoli, perché il conteggio non avrebbe fine.
Seppure la nostra intuizione dice il contrario, per i pedanti matematici l'intuizione non è un argomento definitivo.
Così essi avranno ragione a dire che se non si possono contare , e se non ci è alternativa al contare, allora non si può dire in modo definitivo ne' che siano diversi, ne' che siano uguali.
A meno che non vi sia un alternativa al contare, che sia un modo diverso di fare la stessa.
Qualcosa che non è il contare, ma che vi equivale, se si ammette che esistono modi diversi di fare la stessa cosa.
Se di due insiemi finiti possiamo mettere in corrispondenza biunivoca i loro elementi, di modo che ad un elemento di un insieme corrisponda uno ed un solo elemento dell'altro, e viceversa, allora i due insiemi hanno la stessa quantità di elementi.
Se accetti questa operazione di confronto come equivalente al contare , allora i numeri pari sono tanti quanto i numeri naturali, perché ad ogni n corrisponde uno ed un solo 2n.
Concordo con te che la matematica non ci dica alcuna verità, ma tanto meno lo fai il nostro intuito, e quando essa va' contro il nostro intuito è il nostro intuito che si deve adeguare.
La cosa richiede un certo sforzo, ma alla fine si viene ricompensati.
Per aiutarti in questa operazione ti consiglio di sostituire la formula di identità A=A con A=B, la quale ultima suggerisce che due cose uguali possono avere una forma differente, e perciò bisogna dimostrare che sono uguali.
Allora ti potrà' apparire che , se invece di astrarre i numeri pari dai numeri naturali come loro parte, costruisci ex novo i due diversi insiemi in modo indipendente , ti accorgerai che , al di la' della diversa simbologia usata, essendo la scelta di questa libera, stai costruendo però esattamente la stessa cosa.
Ma caro Bobmax, non vorrei proprio fare la figura del saccente che ti guida nella comprensione delle cose, perché capisco in questo momento ciò che ti invito a capire, e lo capisco interagendo con te.
Avevo in effetti idee ancora confuse e tu ed Eutidemo, volendovi rispondere, mi avete costretto a focalizzarle.
Grazie, e spero di esservi utile a mia volta.
La matematica non ci dice alcuna verità.Se cerchi la verità la matematica non ti serve. La matematica si limita a dimostrare l'uguaglianza di cose potenzialmente diverse, perché in diversa forma appaiono.
A è certamente uguale ad A, ma non è uguale a B se abbiamo usato simboli diversi per designare, ameno che no si dimostri il contrario. Così si dimostra a volte che cose che appaiono in forma diversa sono uguali, perché una dimostrazione altro non è che dare forma diversa alla stessa cosa.
Si può anche dire che sia una grande tautologia , ma se serve a perfezionare il nostro intuito, a qualcosa allora serve.
Non è certo un caso che la matematica non sia amata dai più,,se il suo compito non è di dirti la verità, ma di evidenziare quando il nostro intuito sbaglia, e quindi noi sbagliamo, sopratutto se nel dircelo non usa garbo.😅
Quindi la matematica non serve affatto a cercare la verità, ma se pensi di poterla intuire la verità, allora la matematica serve, perché affina il tuo intuito.
Se l'intuito è la lama che vuole tagliare il capello in due, la matematica è la mola.
Per quanto mi riguarda non solo credo che non esista una verità, ma che se esistesse non mi occorrerebbe conoscerla.
Grazie Iano, anch'io constato che solo con il confronto con l'altro può nascere in me una nuova idea.
Tuttavia la Verità viene "prima" di qualsiasi idea.
La Verità non esiste, la Verità è.
La notte scorsa, ho fatto un sogno molto singolare su questoargomento; per cui ero incerto se riferirlo in coda a questo "thread", oppure se aprire al riguardo un "topic" a parte nella sezione "percorsi ed esperienze".
Poi ho pensato che forse quest'ultima soluzione era la migliore, anche perchè dava adito a considerazioni conclusive che esulavano dalla specifica questione riguardante il "punto".
Però, per correttezza, la riporto pure qui.
***
Il sogno, non so perchè, era ambientato su una spiaggia tropicale, dove si trovavano sdraiati fianco a fianco Archimede (con l'aspetto di Nino Taranto) e Nicolò Cusano (con l'aspetto di Totò); una coppia davvero strana, in tutti i sensi!
Stavano giocando a scopa con le carte napoletane, quando Archimede, dopo una previsione sulle prossime elezioni presidenziali, se ne uscì con la seguente affermazione:
--------------------------------------------------
-In fondo la definizione di "punto" è molto semplice: qualsiasi forma geometrica di dimensioni "infinetesimali", in sostanza, non è altro che un "punto"!-
- Cioè vuoi dire che un cerchio infinitesimamente piccolo non sarebbe altro che un "punto"?- chiese Cusano prendendo il Settebello.
- Sì!-
- E che un quadrato infinitesimamente piccolo non sarebbe altro che un "punto" pure lui?-
- Senz'altro!-
- Ma così vai contro il principio di non contraddizione!- obiettò scandalizzato Cusano -Ed infatti un cerchio non potrà mai essere un quadrato, a prescindere dalle sue dimensioni!-
- Be', se è per questo è un po' paradossale anche il fatto che un quadrato, qualunque sia la sua area, possiamo dirlo composto da una infinità di cerchi infinitamente piccoli, e che un cerchio, qualunque sia la sua area, possiamo dirlo composto da una infinità di quadrati infinitamente piccoli!-
- Appunto!- esclamò Cusano allargando le braccia.
- Ciò non toglie, però, che un qualunque cerchio o un qualunque quadrato sono composti da infiniti punti; e, se riconosciamo che qualsiasi forma geometrica infinitamente piccola può essere considerata un punto, ne consegue pure che un quadrato, qualunque sia la sua area, possiamo dirlo composto da una infinità di cerchi infinitamente piccoli, e che un cerchio, qualunque sia la sua area, possiamo dirlo composto da una infinità di quadrati infinitamente piccoli!-
- E' vero!- ribattè Cusano - E allora questo significa che una forma geometrica, per quanto, infinitamente piccola non potrà mai essere considerata un punto, altrimenti cadremmo nel paradosso; questo anche perchè, per definizione, un cerchio, sia pure infinitamente piccolo, non potrà mai essere considerato un quadrato, anche se infinitesimale!-
- Hai ragione!- convenne Archimede - Però potremmo anche dedurne che una "forma geometrica infinitamente piccola" non è logicamente concepibile; questo perchè, visto che una "forma" comporta necessariamente delle "dimensioni", e visto che ciò che è infinitamente piccolo non ha "dimensioni", ne consegue che ciò che è infinitamente piccolo non può avere nessuna "forma"!-
- Non fa una piega!- ammise Cusano -Però, se fosse vero che una "forma geometrica infinitamente piccola" non è logicamente concepibile, ciò vorrebbe dire che, ad esempio, esiste un quadrato più piccolo di tutti gli altri quadrati concepibili, ma la cui area dovrebbe essere comunque in qualche modo misurabile.-
-Già!- convenne Archimede - Ma quale sarebbe questo "piccolissimo" quadrato? Quale sarebbe la sua area?-
- Appunto: non c'è!
Ed infatti qualsiasi area di quadrato (di cerchio ecc.) può essere concettualmente soggetta ad una "reductio ad infinitum"; nel qual caso diventa un "punto"...cos'altro, sennò?
Come volevasi dimostrare!-
- D'altronde, anche qualunque "segmento" può essere accorciato all'infinito nel qual caso diventa un "punto" pure lui: per cui si potrebbe definire il punto come un infinitesimo di segmento.-
- Già!-
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***
A questo punto, mi sono svegliato, realizzando così la "coincidentia oppositorum" tra Archimede e Cusano; io quali, altri non erano se non "Io"!
Allo stesso modo, può darsi, che, un giorno, anche questo "io" che adesso scrive il presente post, si fonderà con tutti gli altri "io replicanti" di questo FORUM, risvegliandoci tutti quanti nell'unità del SE'.
Forse!
***
Ciao Eutidemo.
Gli enti della geometria euclidea, punti, rette etc..., secondo una visione moderna della matematica, che Archimede e Cusano non potevano possedere, non hanno a priori corrispondenti reali, il che consente a posteriori di attribuirgli corrispondenti reali di diverso tipo, di cui quelli tradizionali cui noi qui stiamo facendo riferimento, sono un esempio particolare. La geometria Euclidea, sperimentata per millenni, non presenta alcun paradosso , mentre ci può apparire che questi siano presenti in un suo corrispondente reale, ma questo allora significa che abbiamo sbagliato corrispondenza, o che non l'abbiamo applicata correttamente.
Nella geometria euclidea i punti non si ottengono da altro, ne' altro si ottiene dai punti, come non si ottiene Giovanni da Mario.
Quando suddividiamo all'infinito un segmento oppure Mario, non stiamo facendo un operazione che la geometria euclidea preveda, quindi ne stiamo andando fuori.
A tal proprio infatti i matematici usano una altra branca della matematica, che già Leibnitz e Newton avevano perfezionato, L'analisi Matematica.
Questa nuova matematica ci permette di definire e calcolare la velocità istantanea, cosa della quale immagino Euclide avesse vaga cognizione (la butto lì) , ma di sicuro attraverso la sua geometria non poteva definirla.
Ma esiste davvero la velocità istantanea? Riesci a immaginarla?
Non dimentichiamo che ad essa possiamo dare sempre il nome Mario, e che cio' per i matematici è sensato.
Ancor meglio dargli nome che non corrisponda a nulla che conosci, perché magari conosci uno che si chiama Mario che ti sta antipatico, e questo ti predisporrebbe male verso la teoria.
Aheyeye Brazow va' già' meglio.
Ma questa è solo una premessa che apre una discussione molto più grande di questa, che questa al confronto scompare.
Archimede e Cusano avevano a che fare con una sola geometria e una sola aritmetica, sui cui dettagli potevano non del tutto concordare, ma non sul fatto che dovevano aderire perfettamente alla loro esperienza, e quindi alla realtà .
Le vedevano come materie astratte, ma comunque aderenti alla realtà, anche se non erano chiaro a loro, e ancora non è del tutto chiaro a noi, essendo astratte, come facessero a mantenere i piedi per terra.
Non era ancora chiaro, è rimane ancora oscuro in parte, come si potessero manipolare enti che non sembravano avere una esistenza reale, in modo indipendente dalla corrispondente manipolazione di cose esistenti e reali, tanto indipendenti nel modo di manipolarli che Platone li poneva in mondi separati.
Per Archimede e Cusano le teorie matematiche non avevano una origine indipendente dall'esperienza reale.
Oggi noi abbiamo esperienza del contrario.
La matematica usata da Einstein è nata in modo indipendente dalla teoria della relatività, e infatti c'era già, astratta quanto inutile finché Einstein non l'ha usata per costruire un nuovo mondo del tutto lontano dalla nostra esperienza diretta, ma capace di incidere ancora meglio sulla realtà.
Gasati da questo inatteso successo, hanno preso spunto per non farsi dell'astrattezza più un problema, moltiplicando a dismisura la costruzione di teorie sempre più astratte in numero tale da non poterle più governare, non riuscendo ad averne più una visione di insieme, se non a costo di aumentare ancora il grado di astrazione..
Tale rincorsa all'astrazione e senza freni potrebbe sembrare assurda quanto più la matematica sembra allontanarsi da una corrispondenza reale che si possa intravedere.
Tuttavia lo scopo di mettere ordine nel cumulo di teorie , in modo che un matematico potesse riuscire a comprenderle tutte nel breve arco della sua vita si è ottenuto, ad esempio scoprendo, non senza sorpresa, che teorie ritenute diverse fra loro, erano uguali, e che di fatto si erano dati nomi diversi a cose uguali.
In altri termini l'ordine che l'astratta geometria di Euclide sembrava aver introdotto in quella che appariva essere la complicazione del reale, comprimendola meravigliosamente in pochi assiomi e regole logiche, lo stesso è toccato fare ai matematici moderni per mettere ordine nella apparente molteplicità slegata da loro stessi creata.
Siamo all'astrazione dell'astratto, un numero che solo questo circo vi può dare...accorrete scorri e siori.😊
Non è questo il numero dell'uomo cannone , sparato in carne e ossa. Qui si sparano teorie...direbbero i detrattori di tale nuova deriva della matematica.
Tutto ciò richiederebbe una riflessione filosofica per trarne una conclusione, che io, a differenza delle premesse vi propongo con brevità', che non sia piuttosto falso che la matematica sia una astrazione della realtà, quando pur sembra servire a qualcosa, e che non sia vero il contrario, perché a me non pare una coincidenza che la matematica di cui aveva bisogno Einstein per descrivere il mondo che si era immaginato, senza che lui lo sapesse, c'era già', dimenticata dentro al cassetto di un matematico, ma ancora fresca di inchiostro. Guarda il caso e guarda la contemporaneità, perché non è che quella teoria la tenesse nel suo cassetto Archimede o Cusano, ma un contemporaneo di Einstein .
E in questo nuovo mondo che Einstein ha creato che fine hanno fatto i punti e i segmenti della nostra discussione?
Ci sono ancora , ma dentro una nuova teoria, soggetti a nuove regole, ma certo più difficili da disegnare, che neppure Eutidemo ci riuscirebbe, pur essendo il nostro riconosciuto disegnatore ufficiale.
Li chiamiamo ancora punti e segmenti, ma sarebbe meglio chiamarli Mario.
In altri termini noi non descriviamo ciò che vediamo, ma vediamo ciò che descriviamo, quando riusciamo a tirare fuori un mondo dal cassetto, che, anche quando ancora chiuso, rimane parte sempre della realtà.
Una invenzione con una corrispondenza più o meno reale. Non una realtà che siccome rileviamo in quanto tale, allora riusciamo a trattare, ma che ci appare nella misura in cui la riusciamo a trattare.
Punti e segmenti non esistono , sia che li si consideri astratti che reali, se non nella misura in cui li riusciamo a manipolare, e ciò che non si può negare è che la manipolazione aumenta la sua efficacia quanto più gli oggetti che manipoliamo ci spariscono fra le mani.
@Eutidemo
Secondo me, l'adimensionalità del punto serve euristicamente per scongiurare il regresso all'infinito e l'infinita divisibilità di zenoniana memoria; cercare quindi di dare una forma e una dimensione al punto, significa riaprire il problema per la cui chiusura (o meglio, "toppa logica") è stata redatta ad hoc la definizione standard di «punto». Più che un elemento geometrico il punto è un concetto-tampone, o per dirlo meglio, un assioma che rende completa e coerente la matematica, ma che da essa non è spiegato (come sempre capita agli assiomi). Sarebbe un po' come chiedersi quanto è spessa una linea (segmento, retta o altro), se essa è "erta" un punto o due punti o infiniti punti, perché se la vediamo non può essere monodimensionale e priva di larghezza come ce la racconta la sua definizione; è tuttavia un domandare che chiede ad un assioma di dimostrare se stesso all'interno del sistema che esso fonda, dimostrazione impossibile perché la sua definizione è ciò che dà senso alla logica del sistema stesso.
Provando a restare nella logica matematica, riprendo alcune questioni del "sogno":
«un cerchio infinitesimamente piccolo non sarebbe altro che un "punto"?»(cit.).
Direi di no, un cerchio per definizione non è un punto, nemmeno se lo pensiamo infinitamente piccolo, perché esso avrà comunque un centro, rappresentato da... un punto; dunque anche il cerchio infinitesimamente piccolo ha pur sempre una circonferenza che è una linea e un centro che è un punto mentre il punto, sempre per definizione, non ha né perimetro, né area, né centro.
«potremmo anche dedurne che una "forma geometrica infinitamente piccola" non è logicamente concepibile; questo perchè, visto che una "forma" comporta necessariamente delle "dimensioni", e visto che ciò che è infinitamente piccolo non ha "dimensioni", ne consegue che ciò che è infinitamente piccolo non può avere nessuna "forma"!»(cit.).
Una forma infinitamente piccola non è empiricamente riscontrabile ma resta logicamente concepibile, soprattutto nel momento in cui diamo a tale forma un nome che ne contiene la definizione: se dico «quadrato infinitamente piccolo» so già che tale forma avrà quattro lati uguali, quattro angoli retti, etc. a prescindere da quanto sia grande (so com'è, pur non sapendo, per limiti empirici, disegnarne uno).
«Ma quale sarebbe questo "piccolissimo" quadrato? Quale sarebbe la sua area?»(cit.)
La sua area si otterrà elevando al quadrato la misura del lato poiché, per quanto piccolissimo, per esser un quadrato, ne avrà comunque una; infatti non ha senso parlare di "quadrato infinitamente piccolo", ma piuttosto di quadrati infinitamente piccoli, poiché ogni quadrato, in quanto tale, può contenerne uno minore al suo interno (in una serie infinita di "quadrati matrioska"). Se usiamo il singolare, «quadrato infinitamente piccolo», rendiamo finito l'infinito, come se dicessimo che tale quadrato non può contenerne altri, ma finché è un quadrato avrà una sua area e all'interno di tale area sarà sempre logicamente possibile inscrivere un quadrato più piccolo.
«Ed infatti qualsiasi area di quadrato (di cerchio ecc.) può essere concettualmente soggetta ad una "reductio ad infinitum"; nel qual caso diventa un "punto"...cos'altro, sennò?»(cit.)
Un'area non può mai diventare un punto, né per le rispettive definizioni, né perché logicamente nessuna forma può diventare un punto, anche se empiricamente qualunque forma estremamente piccola (o estremamente lontana) può sembrarci un punto.
Il punto sta proprio a simboleggiare la "reductio ad infinitum" come possibilità logica, ma non come forma matematica, similmente come avviene, mutatis mutandis, con i puntini di sospensione nella lingua scritta: nessuna parola diventa puntini di sospensione, ma i puntini di sospensione stanno a simboleggiare un proseguimento che non viene esplicitato (così come non viene esplicitata, essendo inesplicitabile, l'infinita divisibilità logica dello spazio).
«D'altronde, anche qualunque "segmento" può essere accorciato all'infinito nel qual caso diventa un "punto" pure lui: per cui si potrebbe definire il punto come un infinitesimo di segmento.»(cit.)
Nemmeno un segmento può diventare un punto, poiché il segmento è per definizione la linea che unisce due punti, quindi, logicamente, per quanto piccolo, avrà sempre due punti alle sua estremità, sarà sempre divisibile in due semi-segmenti e così via...
Salve phil. Come al solito, ottimamente pensato e scritto. Un mio piccolo quesito collaterale : citandoti "anche il cerchio infinitesimamente piccolo ha pur sempre una circonferenza che è una linea e un centro che è un punto mentre il punto, sempre per definizione, non ha né perimetro, né area, né centro".
Ma, a proposito di circonferenze, secondo te (od altri) può esistere una circonferenza che - viceversa - non racchiuda in sè una qualsiasi area (o cerchio) di propria pertinenza ?
Quindi, dando per scontato che l'esistenza di un cerchio presupponga quella della sua propria circonferenza...l'esistenza di una circonferenza implica oppure no quella di un cerchio da essa circonferenza racchiuso ?.
Salutoni ed auguroni.
Citazione di: viator il 30 Dicembre 2021, 18:05:35 PM
Salve phil. Come al solito, ottimamente pensato e scritto. Un mio piccolo quesito collaterale : citandoti "anche il cerchio infinitesimamente piccolo ha pur sempre una circonferenza che è una linea e un centro che è un punto mentre il punto, sempre per definizione, non ha né perimetro, né area, né centro".
Ma, a proposito di circonferenze, secondo te (od altri) può esistere una circonferenza che - viceversa - non racchiuda in sè una qualsiasi area (o cerchio) di propria pertinenza ?
Quindi, dando per scontato che l'esistenza di un cerchio presupponga quella della sua propria circonferenza...l'esistenza di una circonferenza implica oppure no quella di un cerchio da essa circonferenza racchiuso ?.
Salutoni ed auguroni.
Mi unisco a te per i complimenti a Phil, ma come ho provato ad evidenziare nei miei precedenti post una cosa è la geometria di Euclide, e un altra e l'analisi matematica di Newton e Leibnitz, e noi rischiamo di mischiarle in modo inopportuno con i risultati paradossali più vari.
Se Euclide dice di disegnare un punto, non disegna un segmento, e se decide di disegnare un segmento non disegna un punto, posto che in effetti non potrà disegnare al posto di un punto che un segmento appena accennato, fidando nella nostra comprensione, cioè nella comprensione della convenzione dei simboli usati, perché a rigore lo stesso simbolo, un segmento, sta per un punto come per un segmento, ma non perciò li confondiamo.
Basta curare che quando usiamo il simbolo segmento che sta per il segmento, che sia lungo abbastanza che nin si possa equivocare. Mentre quando sta per il punto andiamo a risparmio di inchiostro.
Ciò che è imporrante come dice Phil è ciò che definiamo, il punto come privo di estensione , che a rigore non va' neanche immaginato, per quanto lo immaginiamo.
Anzi, la teoria è ancora più buona quanto non occorra immaginare i suoi elementi, tanto che anche un computer li può manipolare, pur senza poterli immaginare, perché se l'immaginazione a noi ci aiuta, però ci aiuta anche a sbagliare, mentre questo pericolo il computer non corre.
Però, in generale, se un cerchio ha certamente un area, perché sennò non sarebbe un cerchio, è ormai da un po' uso intendere ( così non intendeva ancora Euclide, ma così già intendevano Newton e Leibnitz) che fra i possibili valori che può avere un area è compreso lo zero. È un caso limite ci dice Newton, ma è sempre un possibile caso, che aEuclide nin intendeva come tale.
La storia dello zero è significativa, perché prima ha faticato ad essere accettato come numero, e poi come valore, ma questa in verità è la storia di tutti i numeri , perché ogni numero ha la sua storia che inizia con la sua nascita in un parto sempre travagliato.
Euclide non ci dice che un punto ha lunghezza zero. Ci dice che non ha lunghezza.
Se non si capisce questa differenza fondamentale ogni paradosso è buono.
La matematica progredisce per generalizzazione ed assegnare una lunghezza , e zero come suo valore, a un punto è una di queste utili generalizzazioni senza la quale non esisterebbe la teoria di Newton .
Ad Euclide questa generalizzazione non occorreva, quindi perché avrebbe dovuto farla?
@viator
[Grazie per l'apprezzamento] Una circonferenza, per esser tale, deve racchiudere uno spazio, un'area; in tale area è sempre (almeno concettualmente) possibile disegnare un'altra circonferenza o un perimetro poligonale che racchiuda una parte di quello spazio, come fosse un sottoinsieme.
@iano
[Grazie anche a te] Non colgo la possibilità dell'area uguale a zero: per avere l'area uguale a zero dovremmo non avere né perimetro, né raggio, né altre forme chiuse di riferimento (che inevitabilmente, con la loro estensione, renderebbero l'area diversa da 0); direi, da profano, che ha area zero solo "la figura che non c'è" (che sia come "l'isola che non c'è" di Peter Pan?).
Salve phil. Citandoti : "Una circonferenza, per esser tale, deve racchiudere uno spazio, un'area; in tale area è sempre (almeno concettualmente) possibile disegnare un'altra circonferenza o un perimetro poligonale che racchiuda una parte di quello spazio, come fosse un sottoinsieme".
Sai già quanto mi piacciano le provocazioni intellettuali, per quelle poche che riesco ad esprimere.
Io sostengo invece che sia ipotizzabile una eccezione. Una circonferenza di raggio infinito (illimitato) risulterebbe priva di curvatura (o avente curvatura infinitesima, comunque non apprezzabile), quindi - per quanto riguarda le sue proprietà - indistinguibile da una retta.
In tal caso inoltre si godrebbe del vantaggio di togliersi di torno l'inutile complicazione di uno spazio interno da delimitarsi (Occam insegni !)............riducendo la presenza delle DUE dimensioni ad una UNIDIMENSIONALITA' geometrico-spaziale. Saluti.
Salve iano. Citandoti : "La storia dello zero è significativa, perché prima ha faticato ad essere accettato come numero, e poi come valore, ma questa in verità è la storia di tutti i numeri , perché ogni numero ha la sua storia che inizia con la sua nascita in un parto sempre travagliato".
Lo zero è concetto filosofico utilizzato non per esprimere una presenza, una esistenza, un numero od un valore, BENSI' LA LORO NEGAZIONE. Esso zero rappresenta semplicemente l'espressione del NULLA QUANTITATIVO.
Perciò la CONSUETUDINE, ABITUDINE e CONVENZIONE di utilizzo matematico-scientifico dello ZERO, come ho sopra appena affermato, non ha nulla a che vedere con un qualsiasi tipo di numerazione, visto che i NUMERI servono a denotare delle quantità (ZERO, al massimo, sarà da considerare una CIFRA od un VALORE). Salutoni ed auguroni.
Citazione di: Phil il 30 Dicembre 2021, 20:49:20 PM
@viator
[Grazie per l'apprezzamento] Una circonferenza, per esser tale, deve racchiudere uno spazio, un'area; in tale area è sempre (almeno concettualmente) possibile disegnare un'altra circonferenza o un perimetro poligonale che racchiuda una parte di quello spazio, come fosse un sottoinsieme.
@iano
[Grazie anche a te] Non colgo la possibilità dell'area uguale a zero: per avere l'area uguale a zero dovremmo non avere né perimetro, né raggio, né altre forme chiuse di riferimento (che inevitabilmente, con la loro estensione, renderebbero l'area diversa da 0); direi, da profano, che ha area zero solo "la figura che non c'è" (che sia come "l'isola che non c'è" di Peter Pan?).
Il perimetro e il raggio ci sono ma hanno misura zero.
Se Euclide ha potuto dare dimensione unitaria alla retta è perché nel frattempo i greci avevano accettato l'uno come numero. Così non è sempre stato. Lo stesso ha fatto Newton grazie allo zero, che Euclide nin accettava come numero.
Così se ciò che varia fra i diversi enti è il numero delle dimensioni ,perciò un ente con una dimensione può tendere al limite ad un altro ente con diversa dimensione, dove la dimensione può variare.
Se sono mele può cambiare il numero al limite per sottrazione, ma restano mele.
Euclide invece metteva insieme mele e pere, e una pera non poteva ridussi al limite a una mela.
Ciò che ha dimensione non può ridursi a ciò che non ne ha, a meno che non sia permesso associare ad ogni ente una dimensione e a ogni dimensione un numero, accettando lo zero come tale,definendo quindi in modo generale ed elegante gli enti geometrici come ciò che si distinguono nella sostanza per la diversa dimensione, avendone tutti una.
È una tipica generalizzazione matematica.
Tu non hai problemi ad accettare l'uno come numero, perché il numero è ciò con cui contiamo a partire proprio da uno.
Per i greci antichi il numero era molteplicità, e l'uno non è tale, quindi non era un numero.
Già' ai tempi di Newton però il numero era qualcosa di più che cio con cui poter contare.
Numeri nuovi nascono sempre, ma con un parto che non manca mai di essere travagliato, con puntuali tentativi di aborto mai riusciti. A naso direi che anche lo zero ormai è fuori pericolo.
Citazione di: viator il 30 Dicembre 2021, 21:18:24 PM
Io sostengo invece che sia ipotizzabile una eccezione. Una circonferenza di raggio infinito (illimitato) risulterebbe priva di curvatura (o avente curvatura infinitesima, comunque non apprezzabile), quindi - per quanto riguarda le sue proprietà - indistinguibile da una retta.
In tal caso inoltre si godrebbe del vantaggio di togliersi di torno l'inutile complicazione di uno spazio interno da delimitarsi (Occam insegni !)............riducendo la presenza delle DUE dimensioni ad una UNIDIMENSIONALITA' geometrico-spaziale. Saluti.
Se ho bene inteso: se su un piano tracciamo una retta o una circonferenza con curvatura quasi impercettibile, dividiamo comunque il piano in due parti: dentro/fuori la curvatura, o quantomeno al di qua e al di là della (apparente) retta. La bidimensionalità rimane (garantita dal piano), così come rimane un dentro/fuori la circonferenza, con la particolarità che essendo la curvatura impercettibile non si può essere sicuri se si è nella parte del piano dentro l'infinita circonferenza o fuori dall'infinita circonferenza.
Se la "super circonferenza" contenesse tutto, avendo raggio infinito (ed essendo quindi una pseudo-circonferenza poiché l'infinito in quanto tale non ha verificabile forma propria), noi ci troveremmo allora nella bidimensionalità dell'area al suo interno, potendo tracciare il perimetro del nostro orticello o quello del nostro parcheggio riservato.
La spiegazione di phil mi pare a prova di coccio. Punti, linee, segmenti, quadrati, cerchi, ... sono elementi di un assioma, la geometria, che per ciascuno di essi ha dato definizioni rigorose (x è il luogo geometrico ...), al di fuori delle quali semplicemente non esistono; nemmeno nell'iperuranio della sofistica più tenace.
Citazione di: Ipazia il 30 Dicembre 2021, 21:56:04 PM
La spiegazione di phil mi pare a prova di coccio. Punti, linee, segmenti, quadrati, cerchi, ... sono elementi di un assioma, la geometria, che per ciascuno di essi ha dato definizioni rigorose (x è il luogo geometrico ...), al di fuori delle quali semplicemente non esistono; nemmeno nell'iperuranio della sofistica più tenace.
Sono d'accordo. Il fatto è che le teorie sono diverse e non vanno mischiate.
Il punto di Euclide non è lo stesso di Newton, perché fanno parte di teorie distinte, ma siccome usiamo lo stesso nome ne parliamo come fossero la stessa cosa.
Il punto di Euclide non ha dimensione e non si può ridurre ad esso ciò che ne ha.
Il punto di Newton ha dimensione con valore zero, e ad esso può ridursi al limite un ente con dimensione superiore , perché ciò è previsto dal concetto di limite introdotto da Newton, ma sconosciuto nella geometria di Euclide.
Il punto da fare non è sul punto, ma sui punti, o meglio sul fatto che per motivi storici diamo ad entri distinti lo stesso nome, e poi li trattiamo come fossero la stessa cosa.
Il significato di ogni ente teorico va' cercato dentro alla sua teoria, e non fuori, in altra teoria, per non dire ancor più fuori , nella realtà.
PER TUTTI!
Il mio è stato veramente un sogno notturno, e non una metafora; per cui non sono stato io a scegliere Archimede e Cusano (nelle persone di Nino Taranto e Totò, che giocavano a scopa e discutevano a ruota libera per conto loro).
Col tema in questione, infatti, il vero Archimede, e soprattutto il vero Cusano, non c'entrano assolutamente "niente"; e, comunque, almeno per quello che so di loro, sono sicuro non si sarebbero mai espressi nel modo che ho sognato io!
;D
Si è trattato soltanto di una casuale farneticazione onirica del mio cervello, sia pure molto ragionativa; al posto loro sarebbero benissimo potuti esserci Paperino e Topolino!
Questo, tanto per la chiarezza!
;)
Ciao Iano. :)
Ribadisco che Archimede e Cusano non c'entrano assolutamente niente con il tema del "punto"; ed infatti, nelle vesti di Nino Taranto e Totò, sono entrati nel mio sogno per conto loro, giocando a scopa e discutendo a ruota libera come più gradivano, a prescindere da qualsiasi mia scelta cosciente. ;D
***Ciò premesso, da sveglio, non posso che prendere atto delle problematiche che mi si sono presentate in sogno; perchè, effettivamente, non le trovo affatto prive di senso.Qui, infatti, non si tratta nè di geometria e matematica "euclidea" nè di geometrie e matematiche "moderne", bensì di semplice "logica" e di elementare "semantica" linguistica.***E infatti:- è OVVIO che "cerchi" e "quadrati" non possono avere "corrispondenti reali" perfetti, anche usando il compasso o le tecnologie più evolute;- però è parimenti OVVIO che sia i concetti astratti dei "cerchi" e dei "quadrati" sia i loro "corrispondenti reali", rappresentano cose assolutamente diverse le une dalle altre.***Possiamo anche essere d'accordo che se suddividiamo all'infinito un segmento oppure Mario, non stiamo facendo un operazione che la geometria euclidea preveda, quindi ne stiamo andando fuori; ma chi se ne frega della "geometria euclidea", ed anche della cosiddetta "matematica moderna", visto che si tratta di un tipo di suddivisione che io posso benissimo intellettualmente concepire, senza per questo dover fare ricorso a nessuna delle due.***Posso concepire un quadrato B più piccolo del quadrato A, un quadrato C più piccolo del quadrato B, un quadrato D più piccolo del quadrato C, e così via, a prescindere dalla circostanza che io lavori di "immaginazione" ovvero di "matita"?Direi proprio di sì!(https://i.postimg.cc/9fvLhk3G/QUADRATI.jpg)CONCLUSIONI ONIRICHECiò premesso, andando avanti così, alla fine mi si presentavano come possibili solo due conclusioni:a)Se fosse vero che una "forma geometrica infinitamente piccola", oltre a non essere "materialmente disegnabile", non è neanche "logicamente concepibile", allora ne dovrebbe conseguire che debba essere necessariamente "concepibile" un quadrato più piccolo di tutti gli altri "quadrati concepibili", ma la cui area dovrebbe essere comunque in qualche modo "misurabile" (almeno, se partiamo dal presupposto che un quadrato infinitamente piccolo non può esistere). E allora io mi chiedo: - qual mai sarebbe l'area di tale quadrato?- quanto sarebbe lungo un suo lato?Annotamela!(https://i.postimg.cc/9fvLhk3G/QUADRATI.jpg)***Bada bene che:- non si tratta di "disegnare" un quadrato più piccolo di tutti gli altri (perchè, ovviamente, al di sotto di una certa dimensione, la cosa non è più materialmente possibile);- bensì, molto più semplicemente, di immaginare la lunghezza di un suo lato, in modo tale che la sua area risulti in qualche modo "misurabile" (in millimetri, angstrom o nanometri). ***Ed infatti, se davvero fosse "concepibile" un "quadrato più piccolo di tutti gli altri quadrati concepibili" (ma non infinitesimo), la sua area dovrebbe essere risultare in qualche modo "misurabile"; ma poichè, di fatto, questo non è possibile, ciò vuol dire che tale ipotetico quadrato semplicemente non esiste.E se tale tale quadrato non esiste, dobbiamo di necessità ammettere la "concepibilità" di un "quadrato infinitamente piccolo"; altrimenti cadremmo nell'"assurdo"; a prescindere dal tipo di "geometria-matematica", antica o moderna, adottata.b)Ora, una volta esclusa la "concepibilità" di un "quadrato più piccolo di tutti gli altri quadrati misurabili", e dovendo, quindi, di necessità ammettere la "concepibilità" di un "quadrato infinitamente piccolo", poichè quest'ultimo dovrebbe essere necessariamente privo di "dimensioni", dovrebbe anche essere logicamente privo di "forma"; però, se diventa privo di "forma", allora non è più neanche un "quadrato", essendo l'equivalente di un "cerchio infinitamente piccolo" (e di qualsiasi altra "forma geometrica" ridotta ad infinitesimo).Ma se un "quadrato infinitamente piccolo" non è più un "quadrato", questo equivale a dire che un "quadrato infinitamente piccolo" non è concepibile; ed allora, se è vero che un "quadrato infinitamente piccolo" non è concepibile (perchè non sarebbe più un quadrato), allora torniamo a dover ammettere l'esistenza di "un quadrato misurabile più piccolo di tutti gli altri quadrati misurabili", il quale, però, non si riesce a trovare da nessuna parte.***Comunque te la rigiri, secondo me, è un "sepente che si morde la coda"!Di qui la mia "definizione onirica" di "punto", come : "Qualsiasi forma geometrica, la quale, concepita in misura infinitamente piccola, cessa di essere la forma geometrica che era, per diventare un semplice punto".Definizione che, però, non risolve assolutamente niente! ::)
CONCLUSIONI DA SVEGLIODa sveglio, invece, mi rendo conto benissimo che esistono "nuove matematiche" e "nuove geometrie"; come, ad esempio, la P.F.G. ("Point Free geometry" cioè "Geometria Senza Punti"), la quale assume come nozione primitiva quella di "regione" piuttosto che quella di "punto". ***Personalmente, visto che non capivo granchè delle "vecchie matematiche" e delle "vecchie geometrie", figuriamoci cosa posso capire delle "nuove matematiche" e delle "nuove geometrie"; a parte il fatto, però, che i loro fautori sono spesso in contrasto ed in lite tra di loro, per cui credo di poter capire che nessuna di esse possa ancora assurgere a "verità definitiva".***In ogni caso, non credo che gli argomenti "ex autoritate" possano servire a convincermi ; e, cioè, che non entrino nel merito della specifica logica dei miei ragionamenti, sia di quelli onirici, che di quelli da sveglio!Però ti ringrazio per lo sforzo!***Un saluto! :) ***
Ciao Eutidemo.
Diciamo che considerare la storia della matematica ci aiuta a capirla, senza doverci immergere in nessuna teoria in particolare. La storia dei numeri fa' parte della storia del pensiero umano e per questo mi interessa. Il pensiero dei matematici antichi non meno di quelli moderni parimenti destabilizzano le nostre convinzioni presenti facendo uscire dall'ovvieta' le nostre convinzioni.
Se da un lato le teorie moderne sembrano più astratte ed astruse, dall'altro hanno l'effetto di banalizzare le vecchie teorie'. Capisci allora che il modo in cui noi vediamo il mondo , attraverso la geometria Euclidea, è solo uno dei tanti possibili.
Ciò che possiamo immaginare non esiste se non nella nostra immaginazione, la quale però è parte della realtà, e perciò ciò che immaginiamo esiste.
Esistono i punti se possiamo immaginarli.
Certo, secondo questa semplicistica filosofia esisterebbero anche gli unicorni e gli ippogrifi, che però hanno una sostanziale differenza rispetto agli enti matematici; questi ultimi infatti si possono manipolare in modo coerente ne' più ne meno come fossero oggetti fisici, mentre gli ippogrifi no.
Le moderne teorie fisiche non ci invitano a vedere ippogrifi, ma cose non meno insolite, di vedere cioè il mondo attraverso teorie matematiche diverse dalla geometria Euclidea.
È però un modo diverso di vedere, ma non meno degno, ciò che ci fa' capire che noi la realtà la possiamo solo immaginare, ma che non c'è un solo modo utile di farlo.
Però c'è modo e modo di immaginare.
Ciao Phil. :)
Sono perfettamente d'accordo con te che è assolutamente impossibile "dare una forma e una dimensione al punto"; se lo si facesse, infatti, cesserebbe di essere un "punto" per diventare una "forma geometrica" (e viceversa). (https://i.postimg.cc/VsTs3vdX/PUNTO-DIMENSIONATO.jpg)***In un certo senso, quindi, non hai tutti i torti nel dire che il "punto" è un po' un "concetto-tampone", o per dirlo meglio, un "assioma" che rende completa e coerente la matematica; però la la P.F.G. ("Point Free geometry" cioè "Geometria Senza Punti"), a quanto pare, ne fa a meno, ricorrendo al concetto di "regione", piuttosto che a quello di "punto".*** Quanto alla tua risposta alla mia domanda: "Un cerchio infinitesimamente piccolo non sarebbe altro che un "punto"?", in parte la condivido, ed in parte no.***Ed infatti:a)La condivido nel senso che un "cerchio", per quanto "estremamente piccolo", se non lo concepiamo con un "centro" e una "circonferenza", non corrisponderebbe più alla definizione di "cerchio", e, quindi, sarebbe un'altra cosa.b)Non la condivido nel senso che un "cerchio", se fosse "infinitesimamente piccolo", non potrebbe avere nè una circonferenza nè un'area misurabile; altrimenti non sarebbe un "cerchio infinitesimamente piccolo", bensì sarebbe un "cerchio più piccolo di tutti gli altri cerchi", ma non infinitesimo, in quanto la sua area dovrebbe in qualche modo risultare "misurabile".***Un cerchio "infinitesimamente piccolo", infatti, non può avere assolutamente avere, come dici tu:- nè una circonferenza che è una linea circolare misurabile;- nè, un centro che è un punto che dista una distanza misurabile dalla circonferenza (raggio).Ed infatti, se li avesse, non sarebbe affatto un "cerchio infinitesimamente piccolo", e, cioè, "privo di dimensioni", ma sarebbe un "cerchio molto piccolo, ma dotato di dimensioni e di forma"; e, quindi, dovrebbe essere misurabile.***Secondo me è un serpente che si morde la coda!***Non sono invece d'accordo con te sul fatto che: "...una forma infinitamente piccola non è empiricamente riscontrabile ma resta logicamente concepibile, soprattutto nel momento in cui diamo a tale forma un nome che ne contiene la definizione: se dico «quadrato infinitamente piccolo» so già che tale forma avrà quattro lati uguali, quattro angoli retti, etc. a prescindere da quanto sia grande"***Diversamente, invece, almeno secondo me, una "forma geometrica" infinitamente piccola:- non solo non è "empiricamente riscontrabile";- ma non è neanche "logicamente concepibile", poichè ciò che non ha "dimensioni", non può neanche avere una "forma".Si riduce a un "punto"!***Se cerchiamo di dargli un "nome formale", indichiamo qualcosa che non è concepibile; ed infatti, ad esempio, dire che esiste una "forma con quattro lati lati privi di dimensioni", renderebbe logicamente impossibile qualificarlo come un "quadrato" o come un "rettangolo"!***Quanto alla domanda «Ma quale sarebbe questo "piccolissimo" quadrato? Quale sarebbe la sua area?», in questo caso io non mi riferivo, come tu hai inteso, ad un "quadrato infinitamente piccolo", bensì mi riferivo al "quadrato più piccolo di tutti gli altri quadrati misurabili" (ma non infinitesimale).***Al riguardo io ti chiedo: - qual mai sarebbe l'area di tale quadrato?- quanto sarebbe lungo un suo lato?(https://i.postimg.cc/9fvLhk3G/QUADRATI.jpg)***So benissimo che la sua area si otterrà elevando al quadrato la misura del lato poiché, per quanto piccolissimo, per esser un quadrato, ne avrà comunque una; ma io ti chiedevo appunto qual'è tale area in millimetri o nanometri. Ed infatti, visto che non stavo parlando di un "quadrato infinitamente piccolo" (cioè privo di dimensioni), bensì del "quadrato misurabile più piccolo di tutti gli altri quadrati misurabili" tu dovresti essere in grado di fornirmelo in cifre determinate!***Quanto al fatto che non ha senso parlare di "quadrato infinitamente piccolo", ma piuttosto di "quadrati infinitamente piccoli", secondo me nessuna delle due espressioni ha alcun senso; perchè un quadrato infinitamente piccolo, non avendo "dimensioni", non può neanche avere alcuna "forma" (nè la forma di quadrato nè di altro).***E' indubbiamente vero che ogni quadrato, in quanto tale, può contenerne uno minore al suo interno; ma questo è vero solo finchè mantiene la sua natura di quadrato, avendo delle "dimensioni misurabili", le quali gli conferiscono la sua specifica "forma geometrica". Altrimenti, non può contenere un bel niente, nè essere contenuto da un bel niente!***Siamo invece perfettamente d'accordo con te, quando scrivi che: "... un'area non può mai diventare un punto, né per le rispettive definizioni, né perché logicamente nessuna forma può diventare un punto, anche se empiricamente qualunque forma estremamente piccola (o estremamente lontana) può sembrarci un punto."***Ciò che scrivi corrisponde esattamente a quanto sostenevo sopra, e, cioè, che:- poichè, logicamente, nessuna "forma geometrica" può equivalere a un "punto";- ne consegue che se riduci ad un "infinitesimo non misurabile" l'area di quella che originariamente era, per "definizione postulatoria", una "forma geometrica", avendo essa perso qualsiasi "dimensione" misurabile, perde anche la qualifica sostanziale di "forma geometrica" (anche se tu continui a chiamarla così), e, quindi, sostanzialmente diventa un "punto".***C'è invece sicuramente qualcosa di vero, almeno metaforicamente, nel fatto che, come scrivi: "... il "punto" sta proprio a simboleggiare la "reductio ad infinitum" come "possibilità logica", ma non come "forma geometrica", similmente come avviene, "mutatis mutandis", con i puntini di sospensione nella lingua scritta: nessuna parola diventa puntini di sospensione, ma i puntini di sospensione stanno a simboleggiare un proseguimento che non viene esplicitato (così come non viene esplicitata, essendo inesplicitabile, l'infinita divisibilità logica dello spazio)."Il che pure, sia pure in modo metaforico, corrisponde esattamente a quello che sostenevo io, e, cioè, che il "punto" sta a simboleggiare la "reductio ad infinitum" di una "forma geometrica", la quale, però, a "tal punto", perde la sua specifica natura di "forma geometrica"; così come nessuna parola diventa i puntini di sospensione, ma i puntini di sospensione stanno a simboleggiare un proseguimento che non viene esplicitato. ***Sono anche perfettamente d'accordo con te quanto al fatto che "...un segmento non può diventare un punto, poiché il segmento è per definizione la linea che unisce due punti, quindi, logicamente, per quanto <<estremamente piccolo>>, avrà sempre due punti alle sue estremità"Se, però, il segmento diventa <<infinitamente piccolo>> (il che è cosa diversa dall'l'<<estremamente piccolo>>), non essendoci più alcuna distanza tra i due "punti" alle sue estremità, questi vengono a coincidere e a sovrapporsi in un unico "punto"; per cui, il segmento, avendo perso qualsiasi "lunghezza" misurabile, perde anche la qualifica sostanziale di "segmento" (anche se tu continui a chiamarlo così), e, quindi, sostanzialmente diventa un "punto".(password "logos")
https://www.dailymotion.com/video/x86pbxa
***Un saluto! :) ***P.S.Credo che, la principale fonte di "misunderstanding" tra di noi, consista principalmente nel fatto che io distinguo tra:- "forma geometrica infinitamente piccola", e, pertanto, "priva di dimensioni misurabili";- "forma geometrica misurabile più piccola di tutte le altre forme geometriche misurabili del suo tipo" (ad es.i quadrati), e, pertanto, dotata di dimensioni estremamente minuscole, ma, per definizione, "misurabili".Tu, invece, tendi a considerare le due cose come se si trattasse della stessa cosa.
Citazione di: Eutidemo il 31 Dicembre 2021, 14:00:28 PM
Credo che, la principale fonte di "misunderstanding" tra di noi, consista principalmente nel fatto che io distinguo tra:
- "forma geometrica infinitamente piccola", e, pertanto, "priva di dimensioni misurabili";
- "forma geometrica misurabile più piccola di tutte le altre forme geometriche misurabili del suo tipo" (ad es.i quadrati), e, pertanto, dotata di dimensioni estremamente minuscole, ma, per definizione, "misurabili".
Tu, invece, tendi a considerare le due cose come se si trattasse della stessa cosa.
La divergenza principale, oltre che quella fra "l'infinitamente piccolo" e "il più piccolo possibile", è principalmente quella fra la misurabilità e la concepibilità. Se per "forma geometrica infinitamente piccola" intendiamo quella i cui lati (o perimetro o circonferenza) hanno una misura che tende a meno infinito, parliamo in realtà o di una serie infinita di figure determinate (quadrati, cerchi o altro) inscritti uno nell'altro, all'infinito; oppure di una "pseudo figura" il cui perimetro/circonferenza
misura meno infinito (quindi non è
concettualmente priva di misura), che ovviamente non è una misura coincidente con un numero con cui calcolare agevolmente aree o altre caratteristiche (quindi non so quanto senso abbia chiedere quale ne sia esattamente la superficie o quanto misuri univocamente il suo perimetro). Come detto, una "forma geometrica infinitamente piccola" non può essere, né diventare, un punto almeno finché la identifichiamo con il nome di una forma e finché ha una estensione (che il punto non ha) per quanto tendente a meno infinito. D'altronde, altrimenti non avrebbe senso chiamarla, ad esempio, "
cerchio infinitamente piccolo", quindi concettualmente ben distinto da uno "scarabocchio infinitamente piccolo", da una "firma infinitamente piccola", un "autoritratto infinitamente piccolo", etc. Il punto è che, almeno secondo me, l'infinitamente piccolo non significa adimensionale (tanto quanto meno infinito non è uguale a zero) ma significa avere "una" dimensione che tende a rimpicciolirsi all'infinito. Perciò non so quanto sia opportuno parlare di
una forma geometrica infinitamente piccola, o se invece sia più esplicito parlarne al plurale (salvo considerare la suddetta "circonferenza che misuri meno infinito", ma non ho le minime competenze matematiche per postulare coerentemente le conseguenze di un'ipotesi del genere).
Per quanto riguarda invece la «forma geometrica misurabile più piccola di tutte le altre forme geometriche misurabili del suo tipo»(cit.), la sua esistenza cozza proprio con il concetto logico (non certo empirico) di infinito (immisurabile per definizione), ossia tale forma può esistere solo empiricamente, per limiti pratico-tecnici, ma logicamente (e con lo sviluppo di ulteriori tecniche) risulta sempre a sua volta divisibile (senza mai diventare un punto, che essendo
adimensionale non può essere ottenuto dividendo il dimensionale, tanto quanto l'assenza di dimensione non si ottiene rimpicciolendo
all'infinto una dimensione... altrimenti tale processo non sarebbe, appunto, "all'infinito"). Se ne facciamo una questione fisica di misurabilità, è come chiedersi quale sia l'area del quadrato più grande misurabile: «misurabile» non coincide con «logicamente/matematicamente possibile», ed in fondo in questo sta il passaggio fra la finitezza dell'uomo e dei suoi strumenti all'infinitezza delle possibilità concepibili (seppur non attualizzabili, se non con espedienti grafici come «∞» e «...», che comunque non rappresentano un'alfa privativo, anzi...).
Non vorrei smontare l'entusiasmo del thread, ma il punto è l'intersezione degli infiniti piani.
E' anche abbastanza facile visualizzarlo geometricamente, se si ha un minimo di capacità astrattiva.
Tra l'altro nella topologia si intende anche i piani oltre la terza dimensione, il concetto non cambia, dunque l'intersezione delle ipersfere (Platone) è un punto per esempio.
Che poi sia un punto di qualcosa, come negli esempi precedenti è solo la costruzione matematica successivamente fatta, con i suoi soliti assiomi e corollari.
In fin dei conti stiamo sempre con Platone.
Ciao Phil, :)
per me "misura" vuol dire "numero", sennò non vuole dire assolutamente niente; ed infatti, in geometria, la "misura" indica la "dimensione esatta", lineare o angolare ottenuta da una o più operazioni di "costruzione geometrica".Pertanto, la "forma geometrica misurabile più piccola di tutte le altre forme geometriche misurabili del suo tipo", come più volte avevo ribadito, non ha niente a che vedere con il concetto di "forma geometrica infinitamente piccola"; e, cioè "non misurabile per definizione".***Ed infatti, almeno secondo me:- a differenza della "forma geometrica misurabile più piccola di tutte le altre forme geometriche misurabili del suo tipo", la quale mantenendo la sua qualifica di "forma geometrica misurabile", non potrà mai diventare un "punto";- diversamente, invece, una "forma geometrica infinitamente piccola", sebbene la si continui ancora a denominare lessicalmente così (in modo erroneo), diventa un "punto", perdendo quindi a sua specifica qualifica di "forma geometrica".***D'altronde, poichè la forma geometrica di un "cerchio" di dimensioni infinitamente grandi cessa di essere un "cerchio", e diventa una "retta", non vedo perchè mai, sempre a livello definitorio, dovrebbe sorprenderti che un "cerchio" di dimensioni infinitamente piccole cessi di essere un "cerchio", e diventi, invece, un "punto" !***Ovviamente, se ne facciamo una questione di "fisica" della misurabilità, la "forma geometrica misurabile più piccola di tutte le altre forme geometriche misurabili del suo tipo", è un po' come "il tetto del cielo"; però è senz'altro qualcosa di logicamente concepibile "in modo necessario", poichè, visto che esiste un "quadrato misurabile più piccolo" del primo che ho concepito, uno un "più piccolo" del primo e del secondo, e così via, ne consegue che deve logicamente esistere anche un "quadrato misurabile più piccolo di tutti gli altri quadrati misurabili" (e la stessa cosa vale per quello più grande). (https://i.postimg.cc/9fvLhk3G/QUADRATI.jpg)***Il "quadrato misurabile più piccolo di tutti gli altri quadrati misurabili", però, è una cosa assolutamente diversa da un "quadrato infinitamente piccolo" (ovvero, se preferisci, da un numero infinito di "quadrati infinitamente piccoli"); ed infatti, almeno per come la vedo io, un "quadrato infinitamente piccolo" è una definizione lessicale autocontraddittoria, in quanto, se è infinitamente piccolo, non è più un "quadrato", bensì è ormai diventato un "punto".***Ovviamente, non nego che le mie conclusioni risultino paradossali (ammesso e non concesso che poi "filino" logicamente); ma ritengo che non lo siano più delle tue.***Un saluto! :) ***
Citazione di: Eutidemo il 01 Gennaio 2022, 11:33:45 AM
D'altronde, poichè la forma geometrica di un "cerchio" di dimensioni infinitamente grandi cessa di essere un "cerchio", e diventa una "retta", non vedo perchè mai, sempre a livello definitorio, dovrebbe sorprenderti che un "cerchio" di dimensioni infinitamente piccole cessi di essere un "cerchio", e diventi, invece, un "punto" !
Nella mia scarsa "matematicità", credo che se la retta è definibile anche come una
circonferenza di raggio infinito, tale cerchio non «cessa di essere un cerchio»(cit.), non
diventa un'altra forma, è la circonferenza ad essere (asintoticamente?) una retta. Dunque, pur essendo corretta la tua allusione (alla circonferenza che estendendosi all'infinito diventa retta), è comunque un caso ben differente dal cerchio che "implodendo" diventa punto: la circonferenza infinita, nel diventare una retta, cambia curvatura ma rimane nondimeno un ente con la sua medesima ed unica dimensione (quella di linea); se pensiamo invece ad un cerchio che diventa un punto, c'è un passaggio concettuale dall'essere bidimensionale (cerchio) al non avere dimensione (punto). Cambiare curvatura non è paragonabile al "perdere due dimensioni", così come cambiare coordinate sul piano cartesiano non è paragonabile all'essere elemento strutturante il piano cartesiano.
Banalizzando empiricamente, è un po' la differenza fra il piegare un arco fino a farlo diventare un bastone e il tagliare i bordi di un cerchio di carta e continuare a ritagliare fino a (credere di) ottenere il
concetto di cerchio; riducendo la materia non si ottengono per via empirica i concetti, così come diminuendo matematicamente una misura non si arriva all'assenza di misura (punto a-dimensionale).
Così come i limiti della misurabilità non sono i limiti della concepiblità:
Citazione di: Eutidemo il 01 Gennaio 2022, 11:33:45 AM
Ovviamente, se ne facciamo una questione di "fisica" della misurabilità, la "forma geometrica misurabile più piccola di tutte le altre forme geometriche misurabili del suo tipo", è un po' come "il tetto del cielo"; però è senz'altro qualcosa di logicamente concepibile "in modo necessario", poichè, visto che esiste un "quadrato misurabile più piccolo" del primo che ho concepito, uno un "più piccolo" del primo e del secondo, e così via, ne consegue che deve logicamente esistere anche un "quadrato misurabile più piccolo di tutti gli altri quadrati misurabili" (e la stessa cosa vale per quello più grande).
L'idea di «quadrato misurabile più piccolo di tutti gli altri quadrati misurabili»(cit.) non è una necessità logico-matematica (altrimenti non esisterebbe il concetto di infinito matematico), ma piuttosto un limite empirico; per la matematica la misura del lato del «quadrato misurabile più piccolo di tutti gli altri quadrati misurabili» sarà sempre
concettualmente divisibile, ed è questo che dà un senso (ma non un referente empirico) al concetto di in-finito matematico.
Se con «quadrato misurabile più piccolo di tutti gli altri quadrati misurabili» ti riferisci alla finitezza delle possibilità tecniche dell'umanamente misurabile, concordo che tali "limiti pragmatici" indubbiamente esistano, tuttavia non vanno confusi con i limiti concettuali pertinenti discorsi che implicano l'infinito matematico.
Citazione di: Eutidemo il 01 Gennaio 2022, 11:33:45 AM
Ovviamente, non nego che le mie conclusioni risultino paradossali (ammesso e non concesso che poi "filino" logicamente); ma ritengo che non lo siano più delle tue.
Dove trovi
paradossali le mie considerazioni di "matematica da strada"?
Una circonferenza di raggio infinito non sarebbe più una circonferenza se diventasse una retta in quanto violerebbe la sua definizione geometrica che la condanna ad essere curva e non retta.
Giusto Ipazia. Riflettevo sul fatto che si può negare solo ciò che è ben posto, perché diversamente non si sa' bene cosa negare. Così la geometria di Euclide là si è potuta negare, a partire dal suo quinto postulato, il quale non so' bene come Euclide lo abbia posto, ma diverse sono state le equivalenti formulazioni che ne sono state date.
Ma escluderei che Euclide nel dare unitario ordine a tutte le nozioni geometriche varie e potenzialmente slegate del suo tempo, abbia voluto volutamente usare il concetto di infinito, che per i greci del suo tempo era il caos, il contrario cioè dell'ordine.
Così immagino che per il suo quinto postulato, quello delle rette parallele che non si incontrano mai, immagino si sia limitato a dire che non si intersechino, o qualcosa di equivalente che non richiami un processo infinito.
Ci sono rette che non si intersecano in un punto, e altre che si intersecano in un uno ed in un solo punto, ma le une non sono la negazione del punto , come le altre non ne sono la definizione.
Se Euclide avesse postulato un processo all'infinito si sarebbe risparmiato qualche definizione, perché un sol cerchio postulato con quel processo diventa punto o retta, che non vanno perciò definiti a parte.
Noi in effetti in questa discussione facciamo questo, perché lo possiamo fare, basta però non dire poi che si sta facendo geometria euclidea.
Di fatto in questa discussione , non potendoci pienamente appellare alla coerente geometria, ognuno qui ritiene di poter parlare di rette cerchi e punti senza darne una definizione, col nin recondito rischio di parlare di cose diverse a cui diamo lo stesso nome.
Gli enti geometrici hanno esistenza dentro alla loro geometria e se ne usciamo nin sono più tali.
Ora io credo che ne' io ne' voi siamo mai veramente stati dentro a quella teoria, anche se lo crediamo, perché è attraverso quella che noi vediamo il mondo, e perciò viviamo dentro uno spazio euclideo, e gli uomini ci vivevano già, quando Euclide non era ancora nato.
Prima di Euclide esistevano procedimenti geometrici fra loro potenzialmente slegati, che sono gli stessi che noi stiamo riproducendo qua.
Euclide vi ha dato coerente unita', noi qui stiamo rimettendo in campo il caos che Euclide aveva scongiurato.
Occorrerebbe avere chiaro cosa si pone come vero e cosa si vuol , a partire da quello , verificare secondo logica.
Qui invece noi si pone un punto come vero e allo stesso tempo lo si vuol verificare.
Stiamo cioè mettendo insieme più geometrie le quali, solo per motivi storici, chiamano i loro enti con lo stesso nome, ma che sono invece cose diverse fra loro, da non poter essere confrontati.
Platone ha posto gli enti geometrici dentro un solo iperuranio, un mondo a parte, ma i matematici moderni quei mondi a parte li hanno moltiplicati, eppure noi ci ragioniamo come fosse sempre uno.
Perché Euclide ha definito quell'unico mondo platonico con una tale esattezza che lo si è potuto negare, e perciò adesso sono tanti, ma sempre tutti a parte, mentre noi, che matematici non siamo, continuiamo a pensarli filosoficamente e platonicamente come uno solo, più o meno ancora a parte.
Salve phil ed Ipazia (e pure Eutidemo e tutti gli altri). Anzitutto auguri a tutti e ringraziamento particolare per il Dott.Ivo.
Voi avete ragione dal punto di vista geometrico, ma sfortunatamente stiamo trattando di filosofia, non di geometria.
La filosofia si occupa, prima di tutto il resto, di concetti, al cui interno troveremo pure (filosoficamente subordinati) i concetti praticabili (cioè inerenti o traducibili in una pratica scientifica o tecnologica o comunque MATERIALE), ma tali concetti praticabili costituiscono appunto una presenza eventuale, incidentale all'interno dello speculabile.
Il fatto che il concetto di "sfera di raggio infinito" non risulti utilizzabile - o risulti contradditorio - in geometria è appunto conseguenza del constatare che esso viene a coincidere con il concetto di "retta".
Infatti esso concetto di "sfera di raggio infinito" rappresenta una forzatura intellettuale intenzionale nei confronti della "realtà" (geometrica ma anche di ogni altro genere).
E, dal mio punto di vista, andrebbe utilizzato per rendere coscienti della impossibilità di stabilire un confine tra il possibile e (scusate)l'impossibile utilizzando sensi e conoscenza.
Infatti, in qual modo possiamo discernere la coincidenza piuttosto che la diversità tra una retta ed una curva avente raggio non misurabile e non percepibile ?.
Nella "realtà", non possediamo proprio strumenti che possano consentirci di negare la coesistenza di rette e di circonferenze di raggio infinito. Anzi, è pure possibile che siano le rette quelle che non possono esistere (in effetti la perfetta rettilineità è concetto intrinsecamente assurdo, dal momento che ogni allineamento presenterà sempre dei quanto si vuole minimi scarti in una qualche direzione, e la teoria degli errori - mi sembra - indica che il totale degli errori residui tenderà pur sempre da una precisa parte piuttosto che dall'altra!).
Certo, di fronte al concetto di "infinito" siamo appunto ben lontani dalle necessità della nostra vita terrena, e potremo girarci dall'altra parte poichè esso non ci riguarderà mai. Ma questa nostra possibilità di ignorarlo è causato dalla nostra limitatezza, non certo dall'impossibilità della sua esistenza, magari in forma circolare (ma questo è un altro capitolo!). Saluti.
Concordo Viator.
Ma forse la questione là si può porre in modo filosoficamente più semplice ,intanto notando che Platone ci ha insegnato a ragionare per mondi a parte, e che questi esistono se li possiamo esperire quanto se li possiamo pensare.
I processi all'infinito quindi esistono se al minimo li possiamo pensare.
Seppure questi mondi a parte ammettono possibili analogie, ciò non li fa' un mondo solo, ricomponendoli.
Si trascura però stranamente di sottolineare una analogia fondamentale.
Gli oggetti di un mondo, al pari dell'altro , si possono manipolare, e ciò in sostanza fanno i matematici in un caso e i fisici nell'altro.
Ma i mondi della matematica si sono moltiplicati come pure quelli della fisica non hanno mancato di fare.
Nin c'è un solo manuale su come fare a manipolare la materia, e non c'è ne è uno solo su come manipolare gli enti ideali. C'è però più di un analogia fra quei diversi tipi di manuale, perché vi è proprio una corrispondenza precisa.
Se vuoi manipolare gli oggetti secondo la corrispondente fisica di Euclide, che a noi è "storicamente naturale" non devi considerare processi infiniti. Non occorre farlo.
Se vuoi manipolare gli oggetti fisici di Newton lo devi fare, e che a noi ciò non viene naturale da fare è solo un dettaglio, un accidente storico.
Potrebbe anche essere che il concetto di punto Euclide lo abbia tratto mediante un processo all'infinito ideale, ma questo mi pare di poter affermare che nel suo manuale di geometria non appare, e parlando della sua geometrica, ed eventuale fisica corrispondente, ciò non è da considerare.
A tal fine è sufficiente notare che se Euclide lo avesse voluto introdurre nella sua geometria , cio' sarebbe stato coerente col voler introdurre enti quanto basti di modo che gli altri si possano derivare, e che un processo all'infinito è un modo economico di derivare un ente dall'altro senza dover moltiplicare gli assiomi. Ciò però egli nin ha fatto in coerenza con la sua filosofia che scongiurava l'esistenza del caos a cui l'infinito esso legava.
Quando si dice che la filosofia nin conta. Conta eccome.
Se Newton ha introdotto i processi infiniti nella sua teoria di analisi matematica, e corrispondente fisica della gravità, è perché la sua filosofia glielo consentiva.
La filosofia, intesa come libero pensiero, somiglia agli arbitrari assiomi della geometria, che però non hanno conseguenze nin arbitrarie, una volta posti, e perciò il fatto che noi ci rapportiamo con la realtà in un modo preciso non significa che quello sia scontato, anche se questo è quello che si pensava ai tempi di Euclide, e in effetti ancora in gran parte si continua a pensare, nella misura in cui diversamente dai matematici e fisici, comtinua la maggioranza di noi a vivere in un mondo ancora Euclideo.
Rispetto al mondo reale la matematica ha la fortuna di fondarsi sulla coerenza interna dei suoi postulati i quali hanno, a differenza dei postulati scientifici, un grado di certezza assoluto, non falsificabile per via sperimentale o metafisica, qualora le regole del gioco matematico siano rispettate. Ozioso pensare di confutarle non rispettandole.
Citazione di: Ipazia il 01 Gennaio 2022, 21:21:09 PM
Rispetto al mondo reale la matematica ha la fortuna di fondarsi sulla coerenza interna dei suoi postulati i quali hanno, a differenza dei postulati scientifici, un grado di certezza assoluto, non falsificabile per via sperimentale o metafisica, qualora le regole del gioco matematico siano rispettate. Ozioso pensare di confutarle non rispettandole.
Salve Ipazia. Credo che talvolta tu reagisca troppo velocemente, senza far "decantare" i termini. Può capitare a tutti.
Secondo me "coerenza interna ai propri postulati" significa "autoreferenziale", ovvero coerenza che trovasi facilmente in vendita a prezzi di saldo.
Quanto poi ai "gradi di certezza assoluti"......................ehm............se presentano delle gradazioni saranno assai difficilmente assoluti. Buon, anzi, ottimo anno !.
1) La matematica è totalmente autoreferenziale rendendo conto solo ai propri assiomi, il che rende
2) assoluto il suo grado di certezza una volta siano rispettate le regole di calcolo e le definizioni. A differenza di scienze sperimentali e filosofiche che devono passare sempre sotto le forche caudine di una realtà altra da loro, sovraccarica di oscurità, atta a rendere relativi i loro gradi di certezza.
Contraccambio gli auguri, ma perdurando la covidemia non mi faccio illusioni. Vedrò di stare a galla, come ho sempre fatto, qualunque sia il mare che trovo.
Citazione di: Eutidemo il 26 Dicembre 2021, 13:24:16 PM
Da bambino trovavo alquanto difficoltoso riuscire a comprendere che cosa fosse un punto; ora che sono vecchio, invece, lo trovo ancora più difficile.
In un certo senso io troverei difficile capire anche cosa sia una palla da biliardo, e se mi dicono che al pari di un ente geometrico fatto di punti , questa è fatta di atomi invisibili , ed eventualmente indivisibili, sposto solo la mia difficoltà a capire sugli atomi.
Ma stranamente non occorre capire cosa siano questi enti fisici o mentali per poterli manipolare, a meno chei proprio il poterli manipolare non equivalga a capirli.
Ma evidentemente cova dentro di noi la convinzione che il loro significato vada oltre la nostra possibilità di manipolazione.
Siccome allora non è chiaro cosa intendiamo per capire, potremmo assumere che capisco ciò che riesco a manipolare, e per manipolare una palla da biliardo, e quindi per capirla, non ho bisogno di sapere che è fatta di invisibili atomi.
Parimenti posso manipolare un ente geometrico senza bisogno di sapere che è fatto di indisegnabili punti, e quindi sapere che è fatto di punti è un di più al mio poter capire , che perciò lo compromette.
Ma , posto che la manipolazione degli oggetti fisici avvenga dentro ad un unica realtà, si rischia di non capire nulla se parimenti si crede che gli enti geometrici insistano su un unico mondo ideale, come Platone affermava, essendosi questi moltiplicati nel frattempo. Così se vogliamo comprendere il punto occorre dire a quale mondo lo vogliamo riferire.
Se proviamo a manipolare il punto senza ciò specificare avremo difficoltà a manipolarlo in modo coerente, rischiando di non capire cosa sia, secondo definizione proposta del capire.
Andando fuori argomento io estenderei questa difficoltà a capire anche al cosiddetto mondo fisico reale, dove si creda ancora che sia unico. Unica possiamo credere sia la realtà con cui interagiamo, ma diversi sono i mondi fisici attraverso cui diversamente lo facciamo.
Di fatto nella realtà abbiamo la stessa difficoltà a comprendere quali siano i costituenti fondamentali della materia, cosi' come abbiamo difficoltà a comprendere quali siano gli enti geometrici fondamentali finché crediamo di avere a che fare con corrispondenti relativi mondi unici, per quanto platonicamente separati.
Certo che se crediamo di interagire con la realtà secondo una fisica unica dobbiamo poi render conto del perché un atomo, che al pari di una alla da biliardo riusciamo a manipolare, non sembri però avere la stessa concretezza , concretezza che in certe teorie fisiche sembra poi del tutto svanire fino a diventare la loro sostanza evanescente come quella degli enti ideali che così vanno ad invadere il campo fisico.
Forse perché questi due mondi non sono poi così separati come ci appaiono.
Ci piace vedere il mondo in bianco e nero, anche quando sappiamo bene che esiste il grigio, perché per poter capire la realtà la dobbiamo semplificare, perché semplici debbono essere preferibilmente le istruzioni per poterla manipolarla.
Certo, la moltiplicazione che ho azzardato dei mondi fisici non mancherete di criticarla, e io stesso finora non l'avevo considerata. È nata nella mia testa in analogia con la moltiplicazione dei mondi teorici , la quale stessa non molti, a giudicare da questa discussione, hanno ancora digerita.
Però, posto che la realtà sia unica, mi pare che questa idea aiuti la nostra possibilità di capire, perché alla fine ci dice non v'è nulla da capire, quantomeno quel capire che riteniamo non debba andare oltre la capacità di manipolare, divenendo quel capire metafisico che resta sospeso come un mondo di possibilità' che non contiene precise istruzioni d'uso.
Quindi vi è un mondo fisico fatto di continuità composte di elementi indivisibili, e ve ne è un altro discontinuo composto di elementi discreti. L'errore è credere che solo uno di essi debba corrispondere alla realtà, quando ognuno di essi serve a poterla manipolare in diverso modo.
Ciao Phil. :)
Tranquillo, la mia "matematicità" e scarsa quanto la tua; e, forse, anche di più! ;)
***Comunque, quanto al fatto una circonferenza di raggio infinito non cessa di essere un "cerchio" (A), ma è la stessa "circonferenza" ad "essere" una "retta" (B), secondo me, almeno per il principio di non contraddizione, la cosa non è possibile.Ed infatti:- A è A, e non può mai essere B, perchè B è B;- però non c'è dubbio che A, cessando di essere A, può benissimo diventare B.Se sono vivo non posso essere un cadavere; ma, purtroppo, un giorno ci diventerò!***Pertanto, se è corretta la mia allusione (alla circonferenza che estendendosi all'infinito "diventa" una retta), a me sembra un caso esattamente identico a quello del cerchio che "implodendo" diventa punto: ed infatti, una circonferenza infinita, nel diventare una "linea retta", cambia natura anch'essa, perchè da "linea curva" diventa un'altra cosa, e, cioè, una "linea retta" (pur restando ad una dimensione).(https://i.postimg.cc/V61HB1nb/LINEE.jpg)***Hai ragione nel dire che cambiare curvatura non è paragonabile al "perdere due dimensioni", tuttavia sempre di un cambio di "identità definitoria" si tratta.Ed infatti:- una curva è una curva, e non può mai essere una retta, perchè una retta è una retta (nè può "essere" niente di diverso)- però non c'è dubbio che una curva, cessando di essere una curva, può benissimo diventare una retta (cioè una cosa diversa da quella che era prima).Se sono vivo non posso essere un cadavere; ma, purtroppo, un giorno ci diventerò!***Sono invece pienamente d'accordo con te sul fatto che diminuendo matematicamente una misura non si arriva "mai" all'assenza di misura, bensì ad una "forma geometrica misurabile più piccola di tutte le altre forme geometriche misurabili del suo tipo"; il "quadrato misurabile più piccolo di tutti gli altri quadrati misurabili", però, è una cosa assolutamente diversa da un "quadrato infinitamente piccolo" (ovvero, se preferisci, da un numero infinito di "quadrati infinitamente piccoli").Ed infatti, almeno per come la vedo io, un "cerchio nero infinitamente piccolo" è una definizione lessicale autocontraddittoria, in quanto, se è infinitamente piccolo, non è più un "cerchio", bensì è ormai diventato un "punto"; il quale, non avendo dimensioni, non è ovviamente "misurabile". ***L'idea del "cerchio misurabile più piccolo di tutti gli altri cerchi misurabili", almeno secondo me, è una necessità di natura logica; ed infatti non mi sembra possibile che, almeno a livello concettuale, in un "insieme" di entità misurabili, non si possa concepire, quantomeno per astrazione, una entità misurabile più piccola (o più grande) di tutte le altre.Però, se è un'entità per definizione "misurabile", non può essere una "entità infinitamente piccola"; ed infatti le "entità infinitamente piccole" (come il "punto"), non avendo dimensioni, non sono per loro natura "misurabili". Però ammetto che si tratta di concetti molto facili da confondere (a cominciare dal sottoscritto).***Quanto al "quadrato misurabile più piccolo di tutti gli altri quadrati misurabili", è ovvio che, come evidenziato nel mio sogno, anch'esso è fonte di paradossi, in quanto;- come giustamente osservi tu, dovrebbe essere sempre logicamente divisibile, perchè è misurabile;- però, allo stesso tempo, se è "il più piccolo di tutti gli altri quadrati misurabili", allora non può essere logicamente divisibile, perchè altrimenti non sarebbe "il più piccolo di tutti gli altri quadrati misurabili" (ed infatti la sua metà sarebbe più piccola di lui).E' un serpente che si morde la coda, come, del resto, in tutte le "aporie" (oniriche o meno).***Diversamente, quanto al "quadrato infinitamente piccolo", o meglio, quanto ai "quadrati infinitamente piccoli" (come giustamente hai osservato tu), si tratta di cosa concettualmente diversa dal "quadrato misurabile più piccolo di tutti gli altri quadrati misurabili", in quanto:- i primi sono infiniti e divisibili, appunto, all'infinito;- il secondo è uno solo, e non può essere ulteriormente diviso, perchè altrimenti non sarebbe "il più piccolo di tutti gli altri quadrati misurabili" (ed infatti la sua metà sarebbe più piccola di lui).***Si tratta in entrambi i casi di astrazioni, che possono condurre a dei paradossi; soprattuto la seconda astrazione, la quale, a pensarci bene, mi ricorda un po' l'aporia del "mentitore cretese".***Ed infatti, con "quadrato misurabile più piccolo di tutti gli altri quadrati misurabili" io non mi riferisco affatto alla finitezza delle possibilità tecniche dell'umanamente misurabile; ed infatti è ovvio che tali "limiti pragmatici" indubbiamente esistano, e non vanno confusi con i limiti concettuali pertinenti discorsi che implicano "l'infinito matematico".Ma "il più piccolo di tutti gli altri quadrati misurabili" (che non può essere logicamente divisibile, perchè altrimenti non sarebbe più "il più piccolo di tutti gli altri quadrati misurabili"), non implica affatto l'infinito matematico, che è una cosa ben diversa!***Quanto alle tue considerazioni, non le trovo affatto "matematica da strada", ma assolutamente razionali; solo che, per i motivi che ho esposto, penso che anch'esse conducano a conclusioni alquanto "paradossali" (non più delle mie, però)!***Un saluto! :) ***
@EutidemoSulla circonferenza che "diventa" retta, ho anch'io le mie perplessità: avrai notato che infatti ho parlato di «essere (
asintoticamente?) una retta»(autocit.), con il concetto di asintoto che spiega bene come siamo in un caso-
limite (quasi un esperimento mentale) e già parlando con
viator avevo optato per «retta apparente» con «curvatura impercettibile». Tuttavia ho letto
online che è una questione da matematici seri per cui ho preferito non addentrarmi in discorsi troppo tecnici per me (anche perché non questo è il punto del topic).
Citazione di: Eutidemo il 02 Gennaio 2022, 06:54:43 AM
le "entità infinitamente piccole" (come il "punto"), non avendo dimensioni, non sono per loro natura "misurabili"
Forse questa è la confusione cruciale: «infinitamente piccolo» non significa «privo di dimensione». La suddetta distanza asintotica (fra circonferenza che tende all'infinito e retta) si riduce all'infinto ma non è mai zero, così come dividendo un numero infinite volte non ottengo l'assenza di numeri, né zero. Per questo anche l'infinitamente piccolo, proprio in quanto tale, non può diventare a-dimensionale, ossia una forma, caratterizzata da almeno due dimensioni, non può mai perdere tali dimensioni e
diventare un punto privo di dimensioni (una forma può solo diventare più piccola o più grande, magari all'infinito, ma non può diventare altro-da-sé come fosse un bruco che diventa farfalla; in questo sta la rigidità concettuale della definitoria matematica). L'esser forma (o retta o circonferenza) esclude il poter diventare punto, non può esserci continuità dimensionale in tale processo; come non può esserci continuità fra il bidimensionale e il tridimensionale: se anche aumento all'infinito le dimensioni di una forma bidimensionale non diventerà mai tridimensionale; infatti per renderla tridimensionale non ho bisogno di "saturare" le due dimensioni, ma mi basta aggiungere la terza, anche ad una figura di dimensioni modeste; lo stesso vale anche all'inverso: diminuendo la misura ad una coppia di dimensioni (altezza/larghezza) non ottengo l'assenza di dimensione.
Per quanto riguarda il «quadrato misurabile più piccolo di tutti gli altri quadrati misurabili»(cit.) non credo possa essere considerato un concetto matematico, proprio perché la matematica moderna (quella scolastica, oltre non vado), come ci ricorda
iano, comprende anche il concetto di infinito o, più semplicemente, non prevede che ci sia un quadrato con un lato che non possa essere diviso. L'apparente aporia nasce solo se pensiamo di poter inserire l'esistenza di tale "quadrato definitivo" in una matematica che considera i numeri naturali (e le misure) infiniti; ma in fondo, come detto, l'unica necessità che può spingerci a considerare tale "superlativo assoluto" è una necessità pratico-empirica, fuori dalle concettualizzazioni matematiche (che con l'infinità dei numeri tolgono le basi logiche per proporre il superlativo assoluto).
P.s.
Abbi pazienza, ma non ho individuato quali sono i paradossi nelle mie considerazioni.
Ciao Phil. :)
Quanto ai tuoi paradossi, la circonferenza che diventa una "retta apparente" con una "curvatura impercettibile" mi sembra appunto un evidente paradosso; ed infatti una linea o è "curva" o è "retta", ma non può essere un po' l'una o un po' l'altra.
Una donna non può essere "incinta soltanto un pochino"!
;)
***
Quanto alla questione dei "matematici seri", non è tanto che io preferisca non addentrarmi in discorsi troppo tecnici; ma è proprio che non se sono in grado, anche volendo.
Sono troppo incompetente in materia!
Però, visto che i "matematici seri" li vedo litigare anche tra di loro, ne desumo che anch'essi, tutto sommato, non abbiano poi le idee tanto chiare riguardo a certe problematiche.
***
Quanto al fatto che, secondo me, le "entità infinitamente piccole", non avendo dimensioni, non sono per loro natura "misurabili", mi sembra che su questo tutti i matematici siano d'accordo; ma forse, appunto per ignoranza, su tale punto mi sbaglio.
***
D'altronde, secondo me, anche le "entità infinitamente grandi", non avendo dimensioni "misurabili", si confondono un po' tra di loro; come i gatti al crepusculo, che sembrano tutti grigi.
Ed infatti, davanti ad una "retta di lunghezza infinita", come fai a sapere se si tratta:
- del "lato" di un quadrato infinitamente grande;
- ovvero della "circonferenza" di un cerchio infinitamente grande;
- ovvero di "entrambe le cose" contemporaneamente?
***
Tu mi risponderai che sai che è il "lato" di un quadrato infinitamente grande perchè tu parti dal presupposto che sia un quadrato; ma io potrei replicare che so che è la "circonferenza" di un cerchio infinitamente grande, in quanto io parto dal presupposto che sia un cerchio.
Ma non c'è modo di saperlo!
***
Peraltro, quando tu scrivi che "l'infinitamente piccolo, proprio in quanto tale, non può diventare a-dimensionale" e poi, però, aggiungi che "il punto è privo di dimensioni", cadi in manifesta contraddizione; ed infatti il punto (per unanime parere di tutti i matematici) è senz'altro un'entità geometrica "infinitamente piccola", ma nessuno dubita che sia "adimensionale" e, quindi, "non misurabile".
***
Tu cerchi di aggirare l'ostacolo sostenendo che, però, "una "forma geometrica dimensionale non può diventare altro-da-sé come se fosse un bruco che diventa farfalla"; e, cioè, che una forma, caratterizzata da almeno "due dimensioni", non può mai perdere tali dimensioni e diventare un punto "privo di dimensioni".
***
Ma allora, partendo dalla tua stessa premessa, ne consegue che un "segmento di retta", in quanto caratterizzato soltanto da "una dimensione" (la lunghezza), accorciato all'infinito diventa un punto "privo di dimensioni"; cos'altro diventerebbe, senno?
***
Stando così le cose, quindi, se accorciamo all'infinito il "segmento di retta" che costituisce il lato di un quadrato, cosa ci resta di tale lato se non un punto "privo di dimensioni"?
***
E come fa un quadrato che ha per lato un punto "privo di dimensioni" ad avere delle dimensioni?
Ovviamente non ce l'ha, perchè ormai è diventato un punto pure lui.
***
Di conseguenza, se vogliamo insistere a dire che "esser forma esclude il poter diventare punto", perchè non può esserci continuità dimensionale in tale processo, allora ne consegue che una forma geometrica infinitamente piccola non può esistere, perchè non sarebbe più una forma.
Sulla qual cosa possiamo anche essere d'accordo, in quanto, poichè l'unica cosa davvero infinitamente piccola è il "punto", allora ne potrebbe logicamente conseguire che una forma geometrica "infinitamente piccola" semplicemente non può esistere!
***
Quanto al fatto che non può esserci continuità fra il bidimensionale e il tridimensionale, a me sembra che:
- se aumenti all'infinito la larghezza di un piano, ne ricavi un cilindro aperto di grandezza infinita;
-se, invece, accorci all'infinito la larghezza di un piano, ne ricavi una retta.
***
Per quanto, infine, riguarda il "quadrato misurabile più piccolo di tutti gli altri quadrati misurabili" non so se possa essere considerato un concetto matematico; però, poichè esiste senz'altro l'insieme di "tutti i quadrati misurabili", non vedo per quale motivo non dovrebbe essere astrattamente concepibile il "quadrato misurabile più piccolo di tutti gli altri quadrati misurabili" e il il "quadrato misurabile più grande di tutti gli altri quadrati misurabili".
Sebbene, come più volte ho ripetuto, si tratterebbe comunque di un concetto dalle implicazioni paradossali.
***
Un saluto! :)
***
Non trovo che le argomentazioni di Phil siano paradossali, mi sembrano logicamente ineccepibili.
Conosco poco di geometria, ma molti dei problemi che sollevi Eutidemo sono stati risolti in matematica con la definizione di limite. Ad esempio il limite di un segmento di una circonferenza di un cerchio il cui raggio tende ad infinito è un segmento di retta. Oppure il limite di un quadrato o di un cubo il cui lato tende a zero è un punto. Penso che siano dimostrabili algebricamente.
L'esistenza del quadrato misurabile più piccolo di tutti gli altri quadrati misurabili è possibile in pratica laddove ci siano o si pongano dei limiti alla misurazione.
Citazione di: Eutidemo il 02 Gennaio 2022, 15:53:05 PM
Quanto ai tuoi paradossi, la circonferenza che diventa una "retta apparente" con una "curvatura impercettibile" mi sembra appunto un evidente paradosso; ed infatti una linea o è "curva" o è "retta", ma non può essere un po' l'una o un po' l'altra.
Non colgo la paradossalità: l'aggettivo «apparente» falsifica la natura di ciò a cui si riferisce, a differenza di «impercettibile». Detto altrimenti: parlare di «retta apparente» significa parlare di qualcosa che non è una retta, ma lo sembra (così come parlare di un «miracolo apparente» significa parlare di qualcosa che in realtà non è un miracolo, anche se lo sembra); invece parlare di «curvatura impercettibile», significa parlare comunque di una curvatura, seppur molto difficile da percepire, non di una retta (come se dicessi che fra due corridori c'è stata un'impercettibile differenza al traguardo; ovviamente «impercettibile» qui significa «ridottissimo», altrimenti non potremmo nemmeno parlarne). Quindi nessun paradosso: «retta apparente» o «curvatura impercettibile» si riferiscono entrambi ad una circonferenza con raggio che tende all'infinito, seppur, come detto, sia un «caso-
limite» (lieto che
baylham abbia colto l'allusione al limite come operazione matematica).
Citazione di: Eutidemo il 02 Gennaio 2022, 15:53:05 PM
Peraltro, quando tu scrivi che "l'infinitamente piccolo, proprio in quanto tale, non può diventare a-dimensionale" e poi, però, aggiungi che "il punto è privo di dimensioni", cadi in manifesta contraddizione; ed infatti il punto (per unanime parere di tutti i matematici) è senz'altro un'entità geometrica "infinitamente piccola", ma nessuno dubita che sia "adimensionale" e, quindi, "non misurabile".
Anche qui non sono affatto sicuro della
apparente contraddizione che rilevi: i matematici definiscono il punto come «adimensionale», ma davvero lo definiscono "unanimemente" anche «infinitamente piccolo»? Hai qualche fonte al riguardo?
Se anche così fosse, non vi sarebbe paradossalità
all'interno nella mia posizione, che resterebbe coerente (basandosi proprio sulla da me presunta differenza fra adimensionalità e infinitamente piccolo), ma sarebbe di certo una considerazione
ad auctoritatem che smentirebbe la plausibilità matematica delle mie elucubrazioni (
ubi maior...).
Citazione di: Eutidemo il 02 Gennaio 2022, 15:53:05 PM
un "segmento di retta", in quanto caratterizzato soltanto da "una dimensione" (la lunghezza), accorciato all'infinito diventa un punto "privo di dimensioni"; cos'altro diventerebbe, senno?[/size]
***
Stando così le cose, quindi, se accorciamo all'infinito il "segmento di retta" che costituisce il lato di un quadrato, cosa ci resta di tale lato se non un punto "privo di dimensioni"?
Queste due domande partono dal presupposto che qualcosa debba
necessariamente diventare altro da sé (a dispetto della rigidità delle definizioni matematiche); se non erro, il tendere a meno o più infinito è il modo in cui i matematici risolvono la questione, senza "snaturare" rette, figure, etc. ma non sono in grado di entrare in dettaglio (più di quanto abbia già accennato).
Per quanto riguarda i cambiamenti di dimensione:
Citazione di: Eutidemo il 02 Gennaio 2022, 15:53:05 PM
- se aumenti all'infinito la larghezza di un piano, ne ricavi un cilindro aperto di grandezza infinita;
Un piano ha due dimensioni; un cilindro "aperto" non è più un cilindro (anche le due circonferenze agli estremi diventano infinite? e lo spazio intermedio fra loro e la superficie laterale aperta? degli infiniti che si delimitano a vicenda sono ancora infiniti?): nessun cilindro
diventa bidimensionale, quello dell'"apertura del cilindro" è solo un espediente narrativo per aiutare i bambini a capire la geometria usando l'immaginazione; l'"apertura" di un cilindro, non è un'
operazione matematica che consente il passaggio da tre dimensioni a due (concetti matematici ed infinto a parte, puoi sperimentarlo concretamente tu stesso, puoi provare tale "apertura" con un cilindro di pongo o altro; ti accorgerai che la bidimensionalità non è raggiungibile nel mondo a tre dimensioni...).
Citazione di: Eutidemo il 02 Gennaio 2022, 15:53:05 PM
-se, invece, accorci all'infinito la larghezza di un piano, ne ricavi una retta.
Per definizione, una retta ha una sola dimensione, ogni piano sempre due; dunque anche questa è, a suo modo, una variante del quadrato che tende a rimpicciolirsi all'infinito, quindi preferisco non ripetermi né annoiarti... all'infinito.
Citazione di: baylham il 02 Gennaio 2022, 16:59:23 PM
Non trovo che le argomentazioni di Phil siano paradossali, mi sembrano logicamente ineccepibili.
Conosco poco di geometria, ma molti dei problemi che sollevi Eutidemo sono stati risolti in matematica con la definizione di limite. Ad esempio il limite di un segmento di una circonferenza di un cerchio il cui raggio tende ad infinito è un segmento di retta. Oppure il limite di un quadrato o di un cubo il cui lato tende a zero è un punto. Penso che siano dimostrabili algebricamente.
L'esistenza del quadrato misurabile più piccolo di tutti gli altri quadrati misurabili è possibile in pratica laddove ci siano o si pongano dei limiti alla misurazione.
Infatti non vi è alcun paradosso, ma il vero tema di questa discussione è come fare ad aiutare Eutidemo a capire, anche se lui non ci dice cosa intende per capire. Allora forse aiuterebbe Eutidemo considerare che, un concetto che lui ben possiede e ben capisce è certamente quello di velocità, che però nella analisi matematica usata da Newton si ottiene con un processo al limite sulla velocità media, perché sono certo che quando lui pensa alla velocità non pensa ad una velocità media, l'unica misurabile, ma alla velocità istantanea, non misurabile, ma ottenibile per calcolo come limite della velocità media.
Nella geometria di Euclide, quella con cui di fatto tutti noi continuiamo ad intuire la realtà, le velocità non sono importanti, perciò Euclide non ha bisogno di introdurre il concetto di limite.
Al massimo nella sua geometria alle figure è richiesto di traslare per giustapporsi con altre, e non importa con quale velocità lo facciano.
Per inciso non è banale notare che la geometria Euclidea, secondo i matematici di oggi, si caratterizza proprio per la invarianza delle figure per traslazione, ciò che corrisponde alla nostra esperienza reale, tanto che ci sembra un di più doverlo assumere assiomaticamente.
I matematici moderni, trovandosi in presenza di una molteplicità di geometrie non euclidee, sono riusciti però a mettervi ordine distinguendole logicamente in relazione ai loro diversi tipi di invarianza.
Ci sono geometrie dove le figure traslando variano.
Ad esempio quelle geometrie che non ammettono il quinto postulato di Euclide , e per le quali ad esempio due rette qualsiasi si incontrano sempre in almeno un punto.
Sembrerebbe una astrusaggime inutile, ma in effetti è la geometria che usano navi ed aerei.
Comandanti di navi ed aerei in vena di battute potrebbero dire...Euclide chi?
Recentemente ho preso un aereo per la prima volta in vita mia.
Conoscendo la dinamica di Newton avrei dovuto aspettarmi quel che ho provato, ma invece mi sono sorpreso a sentirmi fermo andando a 800 km/ h, ma questo Euclide non c'è lo aveva detto.
Appena ci spostiamo dal nostro tran tran quotidiano, la geometria Euclidea sulla quale poggia gran parte della nostra intuizione, è quanto di meno ci possa servire.
Però non è facile far decollare il nostro intuito e non è forse questo il vero punto in discussione?
Ciao Eutidemo,
non so se hai mai visto il film di Salvatores "Nirvana". Vedendolo, tanti anni fa, mi colpì la parte interpretata da Abatantuono il quale si rese conto che la sua vita si svolgeva all'interno di un videogioco. Lo capì rilevando alcune incongruenze della sua vita che si svolgeva all'interno del videogioco. Piano piano arrivò al limite estremo aprendo una porta che dava sul nulla (il videogioco aveva, logicamente, una fine).
Ecco il tuo pensare al punto e alle sue incongruenze geometrico-logiche mi ha fatto venire in mente quel film. E ad un altra cosa veramente complicatissima come il tempo. Tu rilevi contraddizioni logiche incontrovertibili. Ed ad uno spirito assetato di conoscenza non basta la classica risposta: il punto serve per misurare. Le contraddizioni logiche non sono argomento del presente ragionamento. :D Tra l'altro non solo il punto, di fatto, non esiste come entità misurabile ma anche la mono dimensione e la bi dimensione, in effetti, non hanno riscontro nella realtà materiale. Esiste solo la tri dimensione. La quale tuttavia è formata da tutto quello che ho appena elencato. E' infatti motivo di perplessità riscontrare che tutta realtà è basata e misurata! (quindi non sono chiacchiere ma roba da ingegneri) da un qualcosa che non ha dimensione, che dunque non esiste nello spazio.
Inoltre, passando per il punto infinite rette, ne consegue che oltre a non avere dimensione è pure infinito!
Mi viene anche da pensare che il punto mi ricorda lo 0 matematico. Altro valore che dà luogo ad incongruenze molto rilevanti. Allo 0 si tende a dare valore nullo ma, per esempio, + infinito e - infinito = 0. Ne deriva che con 0 potremmo indicare niente popò di meno che tutto. Laddove dentro tutto ci sta anche l'infinito positivo e negativo.
Insomma da perderci la testa........ :)
@eutidemo@ipazia@phil
due rette si incontrano all'infinito (dunque è un cerchio).
si tratta di un assioma fatto dalle matematiche alternative a quella di euclide, ormai ce ne sono tante, ma quella è la principale avendo riscontro in campo di fisica nucleare.
L'infinito diventa misurabile nel momento che lo computo come tale, ossia come simbolo matematico
dimodo che ininito-1= infinito.
assumendolo come assioma, da lì arriva la logica di godel etc...
il concetto di infinito è invece altra cosa.
Insomma Eutidemo non si tratta tanto di capire in maniera reale, ma di applicare le formule e dire che quelle formule sono il reale (capirai bene che quindi litigano per qualcosa di grosso).
io comunque sono propenso all'intersezione infinita dei piani.
non ho ricevuto feedback forse serve immagine.
(https://www.zerozetasm.it/6matematica/01cartella/sottoPag/img07/fig_10.jpg)
Ciao Phil. :)
Quando tu parli di rette "apparenti" e di curve "impercettibili", sinceramente, a me sembra che tu confondi un tantino la "geometria" con l'"ottica".OTTICA E GEOMETRIAEd infatti, non c'è dubbio che, sotto il profilo dell'"ottica", l'orizzonte del nostro pianeta:- si manifesti come una "apparente" linea "retta" (tanto è vero che il 5% degli Italiani è ancora convinto che la Terra sia piatta):(https://i.postimg.cc/kG9C2Y6m/ORIZZONTE.jpg)- ma che, in effetti, si tratti soltanto di una "impercettibile" linea curva (come si può distintamente vedere da un satellite:(https://i.postimg.cc/k56RsGj5/ORIZZONTE-02.jpg)***Ed invero, sempre restando nel campo dell'"ottica", ovvero, se preferisci, della "fenomenologia della percezione visiva", come tu, stesso correttamente scrivi (ed io sottoscrivo):- parlare di una "retta apparente" significa parlare di qualcosa che non è una retta, ma lo sembra soltanto (così come l'orizzonte visto dalla spiaggia); - parlare di una "curvatura impercettibile" significa parlare di una "curvatura" difficile da "percepire" da vicino, e che, invece, diventa sempre più "percepibile" mano a mano che se ne allontana (così come l'orizzonte visto da un satellite).***Non c'è parimenti dubbio, invece, che, sotto il profilo della "geometria", una linea o è "curva" o è "retta"; e, questo, a prescindere da come fisicamente ci appare sotto il profilo dell'"ottica", ovvero, se preferisci, della "fenomenologia della percezione visiva".FONTI SULLA "PICCOLEZZA DEL PUNTO"Quanto alle "fonti" che mi hai chiesto, le quali definiscono il punto come "infinitamente piccolo", potrei citarti:1)Daniil Charms, ("Casi" Adelphi Books):(https://i.postimg.cc/25XDtvYv/PUNTO-PICCOLO-01.jpg)2)O.Lagerkrantz ("Scrivere come Dio" Ed. Marietti):(https://i.postimg.cc/5y59D0nV/PUNTO-PICCOLO-02.jpg)3)G. Szpiro ("L'enigma di Poincaré" Odifreddi Ed.Apogeo): (https://i.postimg.cc/vmnJ0KPR/punto-piccolo-03.jpg)E potrei continuare a lungo!***Ma c'era davvero bisogno di dover citare delle "fonti", per mettersi d'accordo sul fatto, ovvio, che il punto è "infinitamente piccolo", e, quindi. è "privo di dimensioni"?Ed infatti, ragionando "a contrario", saresti forse mai in grado di spiegarmi cosa mai sarebbe un punto "finitamente piccolo", e, quindi "fornito di dimensioni"?IL PRINCIPIO DI NON CONTRADDIZIONEQuanto al fatto che qualcosa possa e/o debba necessariamente diventare "altro da sé", non è certo mia intenzione quella di ledere il "principio di non contraddizione" (sebbene oggi venga messo anch'esso in discussione); io dico semplicemente che, mutandone le condizioni e le circostanze che ne determinano le caratteristiche, deve necessariamente mutare anche la corrispondente definizione originaria di un qualche cosa.CAMBIO DI DIMENSIONIStando così le cose, quindi, se accorciamo all'infinito il "segmento di retta" che costituisce il lato di un quadrato, cosa ci resta di tale lato se non un punto "privo di dimensioni"?Ed infatti, un "segmento di retta" accorciato "all'infinito", assume indubbiamente le caratteristiche di un "punto"; o, almeno, sia pure nella mia "crassa" ignoranza matematica, a me, logicamente, sembra così!***Circa il fatto che, se aumenti all'infinito la larghezza di un piano, ne ricavi un "cilindro" di grandezza infinita, per semplificare il discorso, avevo appunto precisato che ci tratta di "cilindro aperto", e, cioè, senza superfici chiuse ai due lati; ma, volendo, possiamo ipotizzare pure loro, quali cerchi di area infinita che chiudono gli estremi di un cilindro infinitamente grande.Il discorso non cambia!***Comunque non riesco a capire:- perchè ti stupisca tanto che da "un piano a due dimensioni" portate all'infinito, possa scaturire un cilindro a "tre dimensioni";- mentre non ti stupisce affatto che da "una retta ad una singola dimensione", portata all'infinito, possa scaturire un cerchio infinito a "due dimensioni"."Simul stabunt aut simul cadent"; il discorso non cambia!***Come non cambia per qualsiasi "forma geometrica", la quale, estesa o ridotta all'infinito, più che "diventare altra da se stessa", perde il senso "formale" della sua definizione in "misura finita"!***D'altronde da "un piano a due dimensioni" esteso all'infinito in larghezza e lunghezza, non scaturisce forse una "sfera di grandezza infinita"?Ed infatti, basta un qualsiasi minimo accenno di convessità o di concavità della sua superficie, ed ecco che potremo avere una sfera:- di "gigantesca grandezza" (come il nostro sole);- ma non certo di "infinita grandezza".***Non devi cadere nell'errore dell'"apparenza" e della "percettibilità" delle forme a livello "fenomenologico"; le quali, in un mondo "non fisico", possono soltanto indurci in errore.Come ho cercato di spiegare in premessa!CONCLUSIONIIn effetti, però, mi rendo conto che non sei tu ad annoiare me, bensì sono io ad annoiare te; anche perchè, come più volte ho ripetuto, in matematica e geometria sono sempre stato un somaro patentato!Figuriamoci cosa ne posso capire delle "matematiche moderne"; a parte il constatare che anche i "matematici moderni", a volte, litigano tra di loro (così come fecero Russel e Wittgenstein circa la "teoria degli insiemi")!***Ho provato a farmene un'idea, ma, purtroppo:- avendo fatto il liceo classico mi mancano gli strumenti cognitivi adeguati;- anche se li avessi , temo molto che la mia conformazione mentale non sia molto adeguata ad affrontare certe tematiche.***Pertanto:- benchè il mio "modo di ragionare" continui a ripetermi interiormente che "ho ragione", ed a portarmi sempre alle medesime conclusioni;- tuttavia il mio "buon senso" mi induce invece a ritenere che, molto probabilmente, "ho torto marcio".Ed infatti non posso certo essere un buon giudice in una materia che non mi è per niente congeniale!"Sutor, nec supra crepidam!" ;D
***In conclusione, quindi, anche poichè non possiamo continuare a girare in tondo "all'infinito" sulle stesse cose, i direi che è meglio darci un taglio, mettendoci sopra una croce.O meglio, un bel PUNTO! ***Un saluto! :) ******
Io credo che il punto matematico con tutte le sue conseguenze paradossali, che non sono certo in grado di risolvere, appartenga alle tipiche conseguenze logiche di un pensiero che ricerca ad ogni costo l'unità del reale: infatti, se tutto è uno, ne consegue che tutto è composto da parti nulle.
viceversa se tutto fosse composto da parti essenti/autosussistenti, quindi da "atomi" e non da "punti", non sarebbe uno (perché la parte potrebbe mostrare a certe condizioni la qualità di poter esistere anche senza il tutto, tutto che sarebbe quindi contingente: in altre parole, gli atomi non sono frazioni, perché non rimandano al concetto di un uno originario frazionato in essi stessi e quindi in atomi; i punti hanno invece sempre qualcosa in comune con le frazioni, perché avendo una esistenza solo posizionale, hanno una esistenza che trae riconoscibilità e senso solo dal tutto, di cui la parte-punto è parte, infatti si può avere una posizione solo rispetto ad altre posizioni, e quindi solo essendo parte di un tutto).
E se tutto è composto da parti nulle, allora tutto non esiste, infatti, quantomeno il fantastico mondo della geometria pura è un mondo che appare abbastanza unificato al suo interno da poter essere pensato come concettuale/spirituale, un mondo di punti e non di atomi.
Infatti, un punto contiene infiniti punti al suo interno, e la famosa tetractis pitagorica (la quale propone come oggetto di intuizione e meditazione il parallelismo tra la successione dei primi quattro numeri interi uno, due, tre e quattro, e i quattro modi fondamentali a complessità crescente di pensare e organizzare lo spazio, adimensionalità, monodimensionalità, bidimensionalità e tridimensionalità, con queste due serie unificate concettualmente dalla serie "mediatrice" delle prime quattro figure a occupazione dimensionale crescente individuabili univocamente col minor numero possibile di punti da uno a quattro: punto, retta, piano e tetraedro) è immaginabile anche come la conseguenza di una serie di eccezioni a complessità crescente rispetto allo stato di massima semplicità iniziale in cui infiniti punti coincidono semplicemente tra di loro in un medesimo punto (un punto che contiene infiniti punti sovrapposti).
Ovvero la condizione di disegnabilità della retta e la genesi della bidimensionalità "a partire" dal punto, intendo la condizione stessa che ci siano nello spazio due punti non coincidenti, rispetto al punto-di-punti che abbiamo assunto come "iniziale", è la forma minima "elementare" delle infinite forme possibili in cui può in linea di principio darsi la non-coincidenza di tali punti, con un solo punto che differisce singolarmente dal luogo di coincidenza "perfetta" degli infiniti altri, un solo atto di prelevamento e spostamento, e quindi disaggregazione, di una di queste infinite parti nulle di cui sembra comporsi l'uno; a seguire, la condizione di disegnabilità del piano è una eccezione di non allineamento di un singoli punto rispetto agli infiniti altri sulla retta, e la condizione di disegnabilità del tetraedro è una eccezione di non complanarità di un punto rispetto a un'infinità di punti complanari, insomma tutte eccezioni a una regola iniziale di posizione e con-posizione identica ottenibili facendo la differenza nello spostare e riposizionare concettualmente un solo punto dalla serie infinita di altri.
@EutidemoCorsivo mio:
Citazione di: Eutidemo il 02 Gennaio 2022, 15:53:05 PM
il punto (per unanime parere di tutti i matematici) è senz'altro un'entità geometrica "infinitamente piccola"
Citazione di: Eutidemo il 03 Gennaio 2022, 11:53:33 AM
Quanto alle "fonti" che mi hai chiesto, le quali definiscono il punto come "infinitamente piccolo", potrei citarti:
Daniil Charms, ("Casi" Adelphi Books):
O.Lagerkrantz ("Scrivere come Dio" Ed. Marietti):
G. Szpiro ("L'enigma di Poincaré" Odifreddi Ed.Apogeo):
E potrei continuare a lungo!
Gli autori che hai citato, Charms e Lagercrantz, sono, se non erro, poeti e scrittori, non matematici; il che mi fa sospettare che nella loro interpretazione "artistica" del punto non siano fedelissimi alla definizione matematica
standard, come per altro schiettamente riportata da wikipedia e Treccani (oltre che, mi sbilancio senza nemmeno controllare, dai manuali di matematica).
Per quanto riguarda la citazione da G. Szpiro, non sono sicuro si tratti di una attenta definizione in ambito matematico; leggiamo il passo:
«Aveva una buona ragione per non amare molto il nome di famiglia: foneticamente, in francese, suona come "punto quadrato" e fin dal tempo degli antichi greci si sà che il punto é infinitamente piccolo e certo non quadrato. Quel suo "nome sbagliato" irritava notevolmente il futuro matematico».(cit.)
Se davvero hai altre fonti
matematiche, non esitare a postarle... tutto il resto puoi già trovarlo nei manuali.
Al netto di tutti i deliri metafisici, il punto ha la sua essenza ontologica nell'indicare la posizione e lo può, anzi deve, fare in assenza di una sostanza sua propria, così come la retta, il piano, il volume, le cui dimensioni procedono per grado, in una coerente bellezza di forma matematica immateriale, dove la bruttezza sofistica non incide.
Citazione di: Phil il 03 Gennaio 2022, 13:23:20 PM
@Eutidemo
Corsivo mio:
Citazione di: Eutidemo il 02 Gennaio 2022, 15:53:05 PM
il punto (per unanime parere di tutti i matematici) è senz'altro un'entità geometrica "infinitamente piccola"
Citazione di: Eutidemo il 03 Gennaio 2022, 11:53:33 AM
Quanto alle "fonti" che mi hai chiesto, le quali definiscono il punto come "infinitamente piccolo", potrei citarti:
Daniil Charms, ("Casi" Adelphi Books):
O.Lagerkrantz ("Scrivere come Dio" Ed. Marietti):
G. Szpiro ("L'enigma di Poincaré" Odifreddi Ed.Apogeo):
E potrei continuare a lungo!
Gli autori che hai citato, Charms e Lagercrantz, sono, se non erro, poeti e scrittori, non matematici; il che mi fa sospettare che nella loro interpretazione "artistica" del punto non siano fedelissimi alla definizione matematica standard, come per altro schiettamente riportata da wikipedia e Treccani (oltre che, mi sbilancio senza nemmeno controllare, dai manuali di matematica).
Per quanto riguarda la citazione da G. Szpiro, non sono sicuro si tratti di una attenta definizione in ambito matematico; leggiamo il passo:
«Aveva una buona ragione per non amare molto il nome di famiglia: foneticamente, in francese, suona come "punto quadrato" e fin dal tempo degli antichi greci si sà che il punto é infinitamente piccolo e certo non quadrato. Quel suo "nome sbagliato" irritava notevolmente il futuro matematico».(cit.)
Se davvero hai altre fonti matematiche, non esitare a postarle... tutto il resto puoi già trovarlo nei manuali.
Eppure mi pare Eutidemo stesso abbia citato Euclide che definisce il punto come ciò che non ha parti, che è altro credo da ciò che è infinitesimo. Posto che Euclide abbia derivato il concetto di punto a patire da ciò che ha parti, togliendogliele, non si può dire che abbia così messo in campo un processo al limite.
Il risultato di una sottrazione può essere zero, ma zero non è un infinitesimo.
Euclide non assegna al punto il compito di generare per successivi suoi assembramenti gli altri enti geometrici aventi parti, diversamente non avrebbe definito gli altri enti in modo a parte, ma li avrebbe derivati a partire dal punto, e non mi risulta nemmeno che dopo Euclide qualcuno abbia provato a farlo.
A scuola hanno insegnato ad Eutidemo che una retta è fatta di infiniti punti e quindi il punto è l'ente fondamentale della geometria. Ma questo non è quello che ha detto Euclide e nessun altro matematico dopo di lui.
Infatti, posto che si possa dimostrare che la retta sia fatta di infiniti punti, occorre che prima siano definiti punto e retta, che perciò sono parimenti fondamentali.
Per trovare qualcuno che lo abbia detto forse, bisogna tornare ai Pitagorici, i quali stessi però arrivarono a dimostrare che le loro convinzioni erano false, scoprendo l'incommensurabilità della diagonale di un quadrato di lato unitario.
Essi infatti credevano che il mondo fosse fatto di numeri, che il numero fosse cioè il suo costituente fondamentale, e che perciò ogni cosa possedesse la sua misura. I pitagorici credevano che che ogni cosa fosse fatta di elementi finiti e in numero finito. Si sbagliavano.
Se volessimo mantenere l'assunto dei pitagorici che il numero sia il costituente fondamentale del mondo dovremo ammettere che il mondo è molto più vario e ricco di come i pitagorici lo vedevano , essendosi nel frattempo i numeri moltiplicati per tipi.
Così oggi si ammettono i numeri irrazionali come radice di due, così che si possa dire che anche la diagonale del quadrato di lato unitario ha la sua misura.
Se c'è una cosa che io non capivo a scuola era proprio questo trucco usato dai matematici.
Quando qualcosa non aveva misura, quando non vi era cioè un numero che vi corrispondesse, si inventavano numeri nuovi ad hoc perché nulla restasse senza misura. Il risultato era che nuovi tipi di numero nascevano a dismisura.
Questa non è cosa facile da capire per chi crede che i numeri non hanno da essere inventati, ma solo scoperti, in quanto, seppur in un mondo platonico a parte, esistono già .
Così, ammettendoinvece che quel mondo non esiste finché noi stessi non lo creiamo, tutto mi è diventato chiaro.
Non ho più alcuna difficoltà, posto che ne abbia la voglia, di comprendere ogni nuovo tipo di numero.
O, diciamo meglio, le difficoltà rimangono, ma è sparito il blocco mentale che mi rendeva impossibile capire.
Tutto cio' ha comportato una generalizzazione sempre più spinta del concetto di numero, così come in parallelo è avvenuto per i concetti geometrici, e in questa generalizzazione le stesse distinzioni fra le diverse branche della matematica si fanno labili, e la matematica diventa sempre più omogenea, convergendo in una le sue tante storie.
Già Cartesio delle distinte storie della aritmetica e della geometria ne aveva fatta una sola con i suoi assi cartesiani.
È la storia di un processo di astrazione che non sembra avere limiti , senza la quale astrazione nulla ci è dato capire, anche quando ciò non ci appare, come se non possa mai esserci stato un tempo in cui sia stato necessario capire ciò che evidente oggi ci appare.