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Ethos, anthropoi, daimon

Aperto da doxa, 11 Aprile 2021, 14:59:36 PM

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Ipazia

#15
Citazione di: Eutidemo il 14 Aprile 2021, 06:11:00 AM
Ciò premesso, sarebbe interessante riflettere sul perchè Eraclito  abbia parlato di "άνϑρωπος" (contrapposto a δαίμων),  invece che di "ἀνήρ"; ma, per il momento, non mi sovviene alcuna soddisfacente spiegazione al riguardo
Il motivo è lapalissiano per chiunque non sia affetto da misoginia severa: Eraclito, come Protagora per il μέτρον, intende la specie umana, ergo άνϑρωπος. Non riducibile al singolo individuo, ma proprio la specie nel suo insieme, normata dal Logos:
Citazione di: Eraclito frammento 2 DKBisogna perciò seguire ciò che è comune: ma pur essendo comune il Logos, la maggioranza degli uomini vive come se essi avessero una loro propria mente.
Eraclito presuppone un sapere (logos), che travalica umani e numi, sul quale pone il suo pilastro trascendente, al quale possono accedere gli immanenti umani attraverso la disciplina che ama il sapere, la filosofia.

La dimensione collettiva, comune come la definisce Eraclito, del sapere è inequivocabile e attraversa tutta la visione classica del mondo nella sua culla elettiva, innanzi alla quale non ci resta che inchinarci e arrampicarci sulle sue spalle per raggiungere la condizione di mortali (bios) immortali (logos).
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

niko

 In Eraclito il logos è la legge del cambiamento, la legge che domina il cambiamento, quindi vi è divenire e non essere alla base del cosmo, ma non un divenire assolutamente caotico, un divenire abbastanza "ordinato" da permettere il pensiero e il discorso, da cui i tre significati principali del termine logos:


1 pensiero 2 discorso 3 legge ordinatrice del cosmo


"Ascoltando non me, ma il logos, è necessario convenire che tutto è uno"


Insomma il discorso vero è quello che supera la differenza tra un io e un tu, tra un sé e un altro e arriva al cuore della convergenza di tutte le differenti possibili soggettività, il discorso falso è quello che rimane soggettivo ed escludente l'altro e dunque mera opinione; la verità non può essere "detta" o "pensata" come un enunciato o un pensiero qualsiasi, (ascoltando non me, ma il logos...) ma implica l'identificazione del parlante o del pensante con l'ordine cosmico (è necessario convenire che tutto è uno); vi può essere accordo e comprensione tra gli (effimeri) uomini sulla terra perché sono tutti divenienti ordinati dalla stessa medesima legge ordinatrice del divenire.
Tale legge si può definire anche come ragione, razionalità, quindi se non una legge, una ragione universale domina il divenire, ma in Eraclito armonia e contrasto sono lo stesso, la cetra e l'arco, strumenti di concordia e di conflitto hanno lo stesso funzionamento.

Insieme a un pensiero del divenire e del flusso continuo, vi è un pensiero dell'unità del cosmo: "da tutte le cose l'uno e l'uno da tutte le cose".
Inoltre, da un punto di vista gnoseologico, abbiamo il bellissimo frammento secondo cui "la natura ama nascondersi", e questo è il precedente e il degno antenato del concetto che poi sarà di Platone della filo-sofia come amore per la conoscenza che nasce da mancanza e desiderio di conoscenza nel cure del tipo umano del filosofo, nella filo-sofia è l'uomo che ama il sapere e quindi ne sente e riconosce la mancanza laddove esso manca, nella natura che ama nascondersi è il sapere, la verità stessa, che "ama" mancare alle possibilità sensoriali e cognitive dell'uomo per suscitare in esso come un corteggiamento o una sfida. La natura non semplicemente si nasconde, ma ama nascondersi, quindi si nasconde specificamente in quello che ha in comune con l'uomo, cioè il fatto e l'atto stesso di amare, e si manifesta, si non-nasconde, come esplicita differenza di se stessa, come natura, dall'uomo.

Ma il punto fondamentale è che ovviamente la teoria dell'unità dell'universo, e la teoria del flusso continuo di tutte le cose non sono separate, ne tantomeno opposte, ma sono convergenti: se c'è flusso di tutte le cose, e unità di tutte le cose, il punto fondamentale in Eraclito direi che è l'unità stessa del divenire, quel possibile elemento in comune che possa mettere d'accordo uno e divenire: il divenire è unitario perché, e nella misura in cui, tutto diviene; a ben guardare, se potessimo abbracciare l'universo con uno sguardo e osservarlo per un po' per coglierne gli aspetti divenienti, constatare che in esso tutto diviene attraverso il tempo, tutto ciò che esiste e si distacca dallo sfondo è inpermanente e destinato a morire o trasformarsi, e constatare che in esso il divenire come processo, l'impermanenza stessa, è uniformemente diffusa come l'unico elemento davvero omogeneo e universale in grado di riempire senza mancanze lo spazio effettivo, so dell'universo sono la stessa cosa la stessa constatazione: tutto è impermanente e l'ubiquità stessa dell'impermanenza rende l'universo stesso come quanto unitario di spazio e di tempo abitato e riempito dallo stesso elemento/processo, e quindi unico, unitario.
In altre parole l'unità del divenire, l'assunto logico e metodologico che il divenire sia unitario, impone che il divenire stesso come totalità divenga, ma non divenga mai essere, divenga altro-divenire all'infinito. Dunque tutto il divenire diviene, sempre, dal divenire come processo non sorge mai l'essere neanche al termine finale di tale processo di trasformazione, l'essere può esistere neanche come il definitivamente divenuto, niente è mai definitivamente divento, perché se qualcosa fosse definitivamente divenuta, il divenire come processo non sarebbe unitario, sarebbe privo, mancante, delle sue parti definitivamente divenute, qualunque esse siano.

L'"essere" come concetto ammissibile in questo tipo di pensiero, significa solo che in un tale mondo, come non c'è spazio per l'essere non c'è spazio nemmeno per il nulla perché anche l'impermenza è impermanente, la fine diviene non fine e la non fine diviene fine, in un gioco di tempo ciclico in cui nessun abitante del mondo è eterno ma nessuno si perde mai definitivamente; in effetti è necessità logica che se l'impermanenza fosse permanente, allora il divenire come processo non sarebbe unitario, perché alcuni enti "trapassati" darebbero origine alla possibilità eterna dell'essere nella forma del definitivamente divenuto; per questo alcuni filosofi stoici a lui successivi hanno interpretato Eraclito in senso escatologico: se tutto diviene, anche il nulla, il non luogo dove sembrano tramontare tutte le cose che non sono più, il luogo dove vanno i morti e le cose distrutte, un giorno sarà nulla, e la natura riproporrà per similitudine o per identità assoluta quelle cose, insomma il modo di divenire proprio del nulla è la non corrispondenza di se stesso con se stesso e col suo significante e la genesi e il riassorbimento continuo dell'essere e degli enti.

Il motivo per cui il fatto che non si può scendere due volte nello stesso fiume dovrebbe suscitare meraviglia è sempre che se il divenire è unitario, ogni attimo di tempo è diverso, il ritorno di tutte le cose nel tempo non è reale, ma è più un atto concernente la similitudine e la volontà: non c'è unità di tempo tra la prima, la seconda e l'ennesima volta che una persona scende nello stesso fiume, quegli attimi considerati di per sé sono sia vuoti che diversi, la serie dei momenti di tempo è la serie di come mondi che l'uomo con i suoi sensi e la sua cognizione considererebbe tutti vuoti di enti e quindi tutti nulli, tutti vuoti uguali, possano impercettibilmente differire tra di loro, ci possono essere mondi vuoti diversi tra di loro, ma non per l'uomo e per le capacità cognitive umane, e ognuno di questi mondi vuoti più essere nominato e indicato con l'attimo di tempo di una serie in sé, in parole molto più semplici l'unità del divenire implica che il divenire continuerebbe ad essere tale anche in un mondo nullo, e questo è il tempo, il modo impercettibile ma reale in cui il divenire in sé sarebbe tale in un mondo nullo, è il tempo; quindi, tanto più in un mondo pieno, in cui possiamo misurare e avere l'illusione di percepire di per sé  quello che è il tempo perché lo relazioniamo alle cose e agli eventi, non c'è comunanza di tempo tra la prima, la seconda e l'ennesima volta in cui si scende nello stesso fiume, il tempo è durata in senso bergsoniano ed è fatto di attimi tutti diversi, e pure il fiume in quanto tale è, e resta, sempre intelligibile, il bagnate anche, e la relazione tra il fiume e il bagnate anche, quindi la meraviglia, il tauma da cui dovrebbe nascere la filosofia è che se non c'è alcuna comunanza di tempo tra i vari momenti dei vari bagni (cito a questo proposito anche un altro frammento eracliteo importante e bellissimo: "il sole è nuovo ogni giorno"), eppure il fiume, il bagnante e l'esperienza del bagnante sono sempre intelligibili e reali, a fare da elemento comune agli elementi singolarmente considerati di questa serie di bagni e di momenti di vita deve esserci comunanza di qualcosa di altro che vada al di là del tempo e "differisca" dal tempo: comunanza che può essere di materia (forse l'acqua stessa?), di forma, di memoria, di causalità, insomma non è il tempo a rendere comuni, e confrontabili, e ordinabili in serie quei momenti, ma una questione di volizione e intellezione, che nasce ovviamente in prima battuta nella mente di chi fa il bagno e riconosce i momenti precedenti e successivi della propria vita, ma in senso astratto e filosofico può essere attribuita anche all'universo, che riconosce e "vuole" il bagnante e il fiume permettendone l'esistenza, il bagnante non potrebbe fare questo se le leggi che regolano l'universo non lo permettessero, e non si tratta di attribuire una volontà o una personalità all'universo, ma appunto la comunanza tra i vari momenti non è di tempo, ma di movimento, causalità e materia, che risultano come apparizioni e rivelazioni ulteriori al tempo, e quindi intelligibilmente governati da una legge eterna, legge di parola pensiero e linguaggio che è l'unico aspetto a manifestarsi all'uomo come permanente di un mondo per il resto interamente diveniente, diveniente anche nell'impermanenza dell'impermanenza, e quindi nella tendenza, sia pure incompleta e incompletabile, al ritorno di tutte le cose.
Ci hanno detto che potevamo scegliere tra la pace e il climatizzatore, non abbiamo ottenuto nessuno dei due.