Essere razionale è una scelta?

Aperto da DrEvol, 21 Ottobre 2016, 04:16:00 AM

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green demetr

Certamente la questione a livello filosofico non è quella di stabilire un primato del sentimento sulla ragione, ma è di intendere che le azioni che si dicono etiche e oggettive, sono storicamente sostenute da passioni private, che molto spesso di oggettivo e di razionale non hanno nulla.
Anche volendo ignorare la storia dei crolli del fascismo e del comunismo o del socialismo, per chi vive il presente dovrebbe essere evidente, che qualsiasi misura presa in Europa si sta risolvendo in una crisi dalle dimensioni bibliche.
Dove è la virtù? dove è l'oggettività?
Solo demagogia a vagonate, appunt mass-mediazione etc....etc....

La soluzione dunque non è quella di adottare dei metamodelli come, che ne sò, un habermas mettiamo, che ha costruito un reticolo così capzioso di REGOLE per la democrazia, che sono chiaramente qualcosa che riguarda più una sua ossesione, che non uno sguardo sul reale.
E gli esempi nel pensiero politico-etico contemporaneo sono migliaia. Pochi intendono il discorso sul potere, pochi capiscono che siamo vittime della tradizione giudaico-romana.

Ma è proprio da popolo che dalla storia, dalla realtà ha preso solo solenni batoste, che poteva emergere pian piano la nuova filosofia dalla Harendt, ad Anders fino a Levinas, si è cominciato a spostare l'attenzione sul problema dell'altro, del prossimo, del vicino etc.....etc.....

Ripeto non è che se leggiamo uno di questi 3 autori allora ci troviamo di fronte a proposte irrazionali, ma ci troviamo di fronte a persone che riflettono a lungo sul destino umano legato alle sue passioni. (una per tutte la celebre "banalità del male", la banalità del male come routine, come delegazione delle intenzioni, appunto come delegazione al potere PER un potere minore, ma comunque potere).
Non è che il problema gerarchico si dissolve facilmente. Non serve dire democrazia quando in realtà ci di demanda ad un potere più grande.
Tra l'altro a Dicembre assisteremo con la vittoria del sì, con la vittoria della razionalità, perchè diranno che questo è giusto e vero (santo), al suo completo inveramento del contrario, non ci sarà più nemmeno la demandazione, tanto demandare per demandare senza riflettere, il potere ha capito che può permettersi di elimiare la stessa demandazione.(il buon Carmelo Bene queste cose le aveva già intese, ma essendo uno spirito anarchico e non un filosofo, non diede mai soluzioni).

Insomma bisogna usare la razionalità come ancella del sentimento e non il contrario: semplicemente non funziona!
Vai avanti tu che mi vien da ridere

maral

Sono d'accordo con la conclusione di Green Demetr.
Purtroppo la razionalità, per quanto importante se non altro perché rende necessario fermarsi a riflettere sul significato del proprio agire, non è sufficiente all'etica, non lo è mai stato. Essa può infatti servire a giustificare e a  promuovere qualsiasi intento, buono o malvagio che sia. Certamente si potrebbe assumere come del tutto razionale il comandamento morale di non nuocere agli altri e a se stessi o, come intese Kant nel suo tentativo di stabilire un principio morale fondamentalmente razionale, di considerare l'essere umano sempre come fine e mai come mezzo. Principi sacrosanti di morale cristiana e laica, la cui negazione appare completamente irrazionale, eppure ... eppure nessuna azione malvagia, non etica prescinde da uno scopo che si ritiene buono, soprattutto se pubblica. Nessuna azione intende nuocere, è concepita per nuocere (salvo che in rarissimi casi di nichilismo sadio masochistico forse) ma al contrario, si vuole promuovere sempre il bene (il vero e unico bene) della comunità di cui ci si intende prendere cura, al limite dell'intera umanità e per promuovere questo bene supremo (e supremamente razionale) si rivelano sempre necessari dei sacrifici per rintuzzare "il regno del Male" che si contrappone al nostro adamantino e perfetto "regno del Bene". E a questo scopo può apparire quanto mai opportuno considerare pure l'essere umano, lo sconosciuto quanto l'amico, quanto il mondo intero come mezzi e non più come fini. 
Come ho detto prima se la vera razionalità va intesa come quella che sa ammettere il suo limite, così l'atteggiamento etico deve poter riconoscere il proprio non configurarsi mai come assoluto (o quanto meno non concedersi altro assoluto fuori di questo). L'etica è prassi prima di essere pensiero, non può essere pensiero che domina la prassi, ma che l'accompagna. E credo che questo, più che razionale sia ragionevole. Ogni etica potrà essere volta al bene finché riuscirà a mantenersi ragionevole e per questo il sentimento (modo di sentire) etico viene prima di ogni sua razionalissima definizione.
     

Phil

Citazione di: DrEvol il 21 Ottobre 2016, 16:47:44 PM
Aristotele vedeva chiaramente che non esiste etica senza razionalità e che non esiste felicità senza etica. Questa correlazione tra razionalità, etica e felicità era valida ai suoi tempi (anche se i contenuti erano diversi da quelli di oggi), ma il principio non è più valido oggigiorno?
La triangolazione (parodisticamente hegeliana ;D) fra razionalità/felicità/etica, se la si accetta, mette ambiziosamente in relazione un'innata attitudine cognitiva, un desiderato vissuto individuale, una sovrastruttura sociale condizionante.

A seconda di quale elemento fra i tre venga considerato (arbitrariamente) fondante, si ottengono differenti prospettive:
-se si dà la precedenza alla razionalità, subordinandole etica e felicità, si assume una prospettiva razionalistica (oppure utilistaristica);
-se si mette l'accento sulla felicità per poi orientare razionalità ed etica, si è in una prospettiva edonistica;
-se invece si parte dall'etica per impostare la razionalità e la felicità, ci si muove in una prospettiva moralistica, di derivazione religiosa (se non schiettamente religiosa), anche quando si tratta di un approccio emancipatamente laico (come nel caso della politica in cui, proprio come nella fede, viene solitamente presupposto un "dogma del Giusto", che non è mera convenzione giuridica, connesso ad un Bene che può avere radici solo in un improbabile giusnaturalismo oppure essere dissimulatamente "debole" ed opinabile).

Se invece non accettiamo la suddetta "triangolazione virtuosa", o almeno ne riconosciamo la contingenza, possiamo anche comprendere come ci siano alcune etiche che prescindono dalla felicità e dalla razionalità (alcune morali "dittatoriali" legate al culto di una divinità), alcune felicità che non hanno nulla di etico e razionale (ovvero molte delle felicità nella vita quotidiana :) ), e alcune forme di razionalità che non badano a felicità ed eticità (la razionalità della programmazione o della ricerca scientifica).

davintro

#18
"essere razionale", come suggerisce il termine "essere", non è una scelta, non è cioè la conseguenza di una decisione, di un atto che l'Io compirebbe in un certo istante della sua vita, bensì una disposizione, una condizione ontologica originaria. Essere razionali è la condizione che contraddistingue la natura umana, in questo senso non scegliamo di essere razionali, perchè ciò sarebbe assurdo nello stesso senso in cui  sarebbe assurdo che noi saremmo umani perchè, scegliendo tra diverse alternative avremmo scelto l'essere umani, o avremmo scelto in nostro sesso... Questo non vuol dire che la razionalità sia uno stato totalmente esteriore ed indifferente alla nostra responsabilità. La razionalità è il tratto specifico dell'umanità, poi subentra l'individualità. In quanto individui ciascuno di noi sceglie liberamente in che misura sviluppare, attualizzare questa disposizione, applicando più o meno il dubbio, la critica alle situazioni in cui si trova. Quanto più sviluppiamo la razionalità quanto più costriuiamo dei filtri entro cui valutare e controllare i nostri istinti, i condizionamenti esterni, mettendoli in discussione, riservando così alla nostra soggettività un certo margine di distacco dalle sue oggettivazioni tale che nessuna di queste si ponga come fattore causale univoco e necessitante, a cui non riusciremo a ribellarci o a dire di no. C'è dunque un circolo strettissimo tra libertà e razionalità, per cui essere razionali ci rende liberi ed al tempo stesso sta alla nostra libertà sviluppare la disposizione ad essere razionali. Il circolo è virtuoso, non vizioso, sarebbe vizioso nel caso in cui i due termini, "libertà" e "razionalità" finissero col giustificare la loro presenza rimandandosi all'infinito l'uno con l'altro. Ciò perchè uno dei due, la razionalità, precede l'altro, la libertà, che non crea l'altra ex novo, ma attualizza le potenzialità inscritte in una predisposizione che è prima delle nostre scelte, mentre le scelte potenziano, approfondiscono, ma non creano nulla dal nulla

Sintetizzando in una battuta: essere razionali non è una scelta, ma il presupposto necessario di ogni scelta possibile

cvc

Io non capisco. Secondo voi sono tramontati i valori morali tradizionali, le virtù cardinali, la fede nella ragione, e pensate che debbano essere archiviati e sostituiti con nuovi valori. Oppure che si debba filosofare nella consapevolezza di non poter mai arrivare ad alcun valore riconosciuto, eppure bisogna continuare a filosofare, filosofare, filosofare.... La critica a cui alludete è quella della decostruzione. Ma tale pensiero, che fa una grande impressione, non è altro che una antitesi che per reggersi ha bisogno della tesi cui si oppone.  Se eliminate le virtù, non ha più alcun senso nemmeno la critica dei valori tradizionali. Questa decostruzione non è un distruggere per ricostruire. Distrutti i valori che hanno guidato la civiltà per millenni, non ce ne sono altri con cui sostituirli. Perché quei valori non sono il frutto della pura arbitrarietà, ma sono ciò che è emerso dall'uomo data la sua struttura fisica e mentale. La dimostrazione è che per quanto la tecnologia abbia cambiato il mondo, i valori dell'uomo sono sempre quelli. La corruzione, l'odio, l'ingiustizia, la violenza, l'inganno, c'erano ai tempi più antichi e venivano percepiti allo stesso modo: anche 2000/3000/10.000 anni fa gli uomini si innamoravano, di risentivano, si disprezzavano, ma anche solidarizzavano e collaboravano come adesso. Cambiano gli apparati, ma non lo stato d'animo di fondo. Ed il paradosso è che Nietzsche è considerato l'emblema della filosofia moderna, ma quello che ha scritto lo ha tratto dalla filosofia antica. Senza quei valori che critica, che vorrebbe distruggere, di Nietzsche non rimane niente. La ragione è l'ancella del sentimento? Ma senza la ragione che gli da un senso ed un significato, che ne è del nostro sentire? I valori cadono perché le strutture le li incarnano, gli stati, le repubbliche che li sintetizzano nelle loro costituzioni e nelle loro leggi, più o meno imperfettamente, sono sempre più soppiantati da interessi che sfuggono alle loro sovranità. Le multinazionali contano più degli stati, coi loro ideali di giustizia. Gli ideali delle multinazionali sono la tecnologia e la crescita economica. Ideali che l'uomo, la filosofia non riesce a contrastare. E questo è il fallimento della filosofia moderna e contemporanea.
Fare, dire, pensare ogni cosa come chi sa che da un istante all'altro può uscire dalla vita.

sgiombo

Citazione di: cvc il 22 Ottobre 2016, 19:43:41 PM
Io non capisco. Secondo voi sono tramontati i valori morali tradizionali, le virtù cardinali, la fede nella ragione, e pensate che debbano essere archiviati e sostituiti con nuovi valori. Oppure che si debba filosofare nella consapevolezza di non poter mai arrivare ad alcun valore riconosciuto, eppure bisogna continuare a filosofare, filosofare, filosofare.... La critica a cui alludete è quella della decostruzione. Ma tale pensiero, che fa una grande impressione, non è altro che una antitesi che per reggersi ha bisogno della tesi cui si oppone.  Se eliminate le virtù, non ha più alcun senso nemmeno la critica dei valori tradizionali. Questa decostruzione non è un distruggere per ricostruire. Distrutti i valori che hanno guidato la civiltà per millenni, non ce ne sono altri con cui sostituirli. Perché quei valori non sono il frutto della pura arbitrarietà, ma sono ciò che è emerso dall'uomo data la sua struttura fisica e mentale. La dimostrazione è che per quanto la tecnologia abbia cambiato il mondo, i valori dell'uomo sono sempre quelli. La corruzione, l'odio, l'ingiustizia, la violenza, l'inganno, c'erano ai tempi più antichi e venivano percepiti allo stesso modo: anche 2000/3000/10.000 anni fa gli uomini si innamoravano, di risentivano, si disprezzavano, ma anche solidarizzavano e collaboravano come adesso. Cambiano gli apparati, ma non lo stato d'animo di fondo. Ed il paradosso è che Nietzsche è considerato l'emblema della filosofia moderna, ma quello che ha scritto lo ha tratto dalla filosofia antica. Senza quei valori che critica, che vorrebbe distruggere, di Nietzsche non rimane niente. La ragione è l'ancella del sentimento? Ma senza la ragione che gli da un senso ed un significato, che ne è del nostro sentire? I valori cadono perché le strutture le li incarnano, gli stati, le repubbliche che li sintetizzano nelle loro costituzioni e nelle loro leggi, più o meno imperfettamente, sono sempre più soppiantati da interessi che sfuggono alle loro sovranità. Le multinazionali contano più degli stati, coi loro ideali di giustizia. Gli ideali delle multinazionali sono la tecnologia e la crescita economica. Ideali che l'uomo, la filosofia non riesce a contrastare. E questo è il fallimento della filosofia moderna e contemporanea.

Citazione"I filosofi hanno solo interpretato diversamente il mondo; ma si tratta di trasformarlo"
                                                                                                                       (Karl Marx, XI tesi su Feuerbach)

Il problema é che trasformarlo si é dimostarlo da allora estremamente difficile; e restando com' é imputridisce sempre più in tutti i sensi.

"Socialismo o Barbarie
                                            (Rosa Luxemburg)

Ma, stante lo sviluppo attualmente raggiunto dallo sviluppo delle forze tarasfomative (produttive ma anche distruttive) materiali, senza un socialismo tempestivamente realizzato la barbarie giungerà fino all' irreversibile distruzione delle condizioni fisico-chimiche e biologiche della sopravvivenza umana: non un qualche "nuovo Medio Evo" più o meno lungo cui potrà comunque prima o poi succedere un qualche "nuovo Rinascimento", ma la fine della storia (umana; in senso letterale , non in quello becero e falso in cui ne blaterava Fukuyama).


***************************************************

Concordo con Green Demetr (al quale pure moltissimo mi oppone) che la ragione non può che essere l' ancella del sentimento nel senso (per parte mia; non sono sicuro che lui sarebbe d' accordo) che la ragione può indicarci i mezzi adeguati a raggiungere un fine (purché realistico) in determinate circostanze; può anche aiutarci a calcolare o meno (di solito solo probabilisticamente e di certo sempre non infallibilmente! Ma comunque molto meglio che qualsiasi strumento o atteggiamento irrazionale) la compatibilità o meno di insiemi di scopi oppure la loro reciproca esclusione e perseguibiltà alternativa; e inoltre a "soppesare" o "ponderare" in qualche modo non quantitativo e irriducibilmente vago e incerto (non letteralmente a "pesare", cioé non a misurare: impossibile trattandosi di res cogitans!) la forza complessiva di insiemi di scopi conseguibili alternativamente gli uni agli altri (l' intensità del desiderio di avere "la botte piena" rispetto a quello di avere "la moglie ubriaca") onde decidere quale scelta fra di essi sia preferibile per cercare di raggiungere la maggiore felicità possibile.

Ma desideri e aspirazioni li avvertiamo dentro di noi irrazionalmente, non si possono "dimostrare razionalmente".

green demetr

Citazione di: cvc il 22 Ottobre 2016, 19:43:41 PM
Io non capisco. Secondo voi sono tramontati i valori morali tradizionali, le virtù cardinali, la fede nella ragione, e pensate che debbano essere archiviati e sostituiti con nuovi valori. Oppure che si debba filosofare nella consapevolezza di non poter mai arrivare ad alcun valore riconosciuto, eppure bisogna continuare a filosofare, filosofare, filosofare.... La critica a cui alludete è quella della decostruzione. Ma tale pensiero, che fa una grande impressione, non è altro che una antitesi che per reggersi ha bisogno della tesi cui si oppone.  Se eliminate le virtù, non ha più alcun senso nemmeno la critica dei valori tradizionali. Questa decostruzione non è un distruggere per ricostruire. Distrutti i valori che hanno guidato la civiltà per millenni, non ce ne sono altri con cui sostituirli. Perché quei valori non sono il frutto della pura arbitrarietà, ma sono ciò che è emerso dall'uomo data la sua struttura fisica e mentale. La dimostrazione è che per quanto la tecnologia abbia cambiato il mondo, i valori dell'uomo sono sempre quelli. La corruzione, l'odio, l'ingiustizia, la violenza, l'inganno, c'erano ai tempi più antichi e venivano percepiti allo stesso modo: anche 2000/3000/10.000 anni fa gli uomini si innamoravano, di risentivano, si disprezzavano, ma anche solidarizzavano e collaboravano come adesso. Cambiano gli apparati, ma non lo stato d'animo di fondo. Ed il paradosso è che Nietzsche è considerato l'emblema della filosofia moderna, ma quello che ha scritto lo ha tratto dalla filosofia antica. Senza quei valori che critica, che vorrebbe distruggere, di Nietzsche non rimane niente. La ragione è l'ancella del sentimento? Ma senza la ragione che gli da un senso ed un significato, che ne è del nostro sentire? I valori cadono perché le strutture le li incarnano, gli stati, le repubbliche che li sintetizzano nelle loro costituzioni e nelle loro leggi, più o meno imperfettamente, sono sempre più soppiantati da interessi che sfuggono alle loro sovranità. Le multinazionali contano più degli stati, coi loro ideali di giustizia. Gli ideali delle multinazionali sono la tecnologia e la crescita economica. Ideali che l'uomo, la filosofia non riesce a contrastare. E questo è il fallimento della filosofia moderna e contemporanea.

Il decostruzionismo secondo me ha svolto il suo ruolo storico, di accompagnatore del processo Nichilista, ed è servito a far capire quali siano i cocci rimasti dalla grande fine delle metafisiche.
Ora capisco il terrore a vedere tutte quelle virtù cattoliche cadute a pezzi.

Ma bisogna rimboccarsi le maniche, comprese le forze cattoliche a cui molti filosofi guardano con speranza.
Quindi piano a prendersela con coloro che semplicemente hanno preso nota della situazione.

Il punto è sempre quello comunitario, che sia cattolico, giudaico o ateo, francamente è un dettaglio.

E' proprio perchè il male c'è sempre stato che bisogna affrontarlo con nuova sensibilità e intelligenza, magari a vista d'uomo, sono d'accordo con sgiombo (una volta tanto), dimodochè ricominciamo a capire il tema dell'amicizia. Cosa che Nietzche fece al suo tempo, vedi i 3d in corso di Garbino. (poi è ovvio che Nietzche si concentri più sull'ambito laico, ma la stima che mostra verso la figura del Cristo, fa capire, che sebbene non creda nei suoi fedeli, comunque ne stima la via che ha indicato).

La ragione serve ancora, eccome se serve!!!

Per quanto riguarda la fine del Mondo, pronosticata entro 100 anni, visto i danni che sta già facendo la deviazione della corrente del golfo (vedi Haiti quest'anno, la Florida un paio d'anni fa....), è ovvio che assisteremo ad una risposta politica.(e quindi terribilmente ingiusta, già si sa....ma comunque noi non la vedremo di certo....forse qualche giovine). Dunque bisogna stare calmi e proseguire lentamente questo tentativo di riforma comunitaria.
A mio avviso se non parte dal privato, nei rapporti che ciascuno ha con gli altri, la vedo difficile comunque a livello teorico. (questo significa essere onesti e ammettere il proprio egoismo in primis).

Poi se uno vuole credere nella collaborazione, beh lo faccia, io ho già dato, e ho visto cose buje.(e pur sapendolo visto che parafrasando Galimberti, il nichilismo abita già nelle nostre case, rimane una esperienza di vissuto veramente amara).

Se per collaborazione intendiamo le macchine....beh è oggetto di altro 3d....perchè sì nessuno ci rinuncia, sono un bene...ma non è tutto oro quello che luccica.

E su questo qualunquismo generale, scappo. a presto.
Vai avanti tu che mi vien da ridere

Sariputra

#22
Citazione di: DrEvol il 22 Ottobre 2016, 23:30:51 PM
Citazione di: cvc il 22 Ottobre 2016, 19:43:41 PM"Distrutti i valori che hanno guidato la civiltà per millenni, non ce ne sono altri con cui sostituirli. Perché quei valori non sono il frutto della pura arbitrarietà, ma sono ciò che è emerso dall'uomo data la sua struttura fisica e mentale. La dimostrazione è che per quanto la tecnologia abbia cambiato il mondo, i valori dell'uomo sono sempre quelli. La corruzione, l'odio, l'ingiustizia, la violenza, l'inganno, c'erano ai tempi più antichi e venivano percepiti allo stesso modo: anche 2000/3000/10.000 anni fa gli uomini si innamoravano, di risentivano, si disprezzavano, ma anche solidarizzavano e collaboravano come adesso. Cambiano gli apparati, ma non lo stato d'animo di fondo." Concordo con CVC

Concordo anch'io con Cvc.
Non c'è sostanzialmente nulla di nuovo sotto il sole. L'uomo è sempre lo stesso essere fondamentalmente semplice e violento ( la specie di gran lunga più violenta apparsa sul pianeta), solo il suo pensiero è estremamente complesso ma, purtroppo, non altrettanto profondo...
( come mi disse una volta un vecchio contadino: "Complessità non fa sempre rima con profondità").
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

acquario69

Citazione di: cvc il 22 Ottobre 2016, 19:43:41 PM
Io non capisco. Secondo voi sono tramontati i valori morali tradizionali, le virtù cardinali, la fede nella ragione, e pensate che debbano essere archiviati e sostituiti con nuovi valori. Oppure che si debba filosofare nella consapevolezza di non poter mai arrivare ad alcun valore riconosciuto, eppure bisogna continuare a filosofare, filosofare, filosofare.... La critica a cui alludete è quella della decostruzione. Ma tale pensiero, che fa una grande impressione, non è altro che una antitesi che per reggersi ha bisogno della tesi cui si oppone.  Se eliminate le virtù, non ha più alcun senso nemmeno la critica dei valori tradizionali. Questa decostruzione non è un distruggere per ricostruire. Distrutti i valori che hanno guidato la civiltà per millenni, non ce ne sono altri con cui sostituirli. Perché quei valori non sono il frutto della pura arbitrarietà, ma sono ciò che è emerso dall'uomo data la sua struttura fisica e mentale. La dimostrazione è che per quanto la tecnologia abbia cambiato il mondo, i valori dell'uomo sono sempre quelli. La corruzione, l'odio, l'ingiustizia, la violenza, l'inganno, c'erano ai tempi più antichi e venivano percepiti allo stesso modo: anche 2000/3000/10.000 anni fa gli uomini si innamoravano, di risentivano, si disprezzavano, ma anche solidarizzavano e collaboravano come adesso. Cambiano gli apparati, ma non lo stato d'animo di fondo. Ed il paradosso è che Nietzsche è considerato l'emblema della filosofia moderna, ma quello che ha scritto lo ha tratto dalla filosofia antica. Senza quei valori che critica, che vorrebbe distruggere, di Nietzsche non rimane niente. La ragione è l'ancella del sentimento? Ma senza la ragione che gli da un senso ed un significato, che ne è del nostro sentire? I valori cadono perché le strutture le li incarnano, gli stati, le repubbliche che li sintetizzano nelle loro costituzioni e nelle loro leggi, più o meno imperfettamente, sono sempre più soppiantati da interessi che sfuggono alle loro sovranità. Le multinazionali contano più degli stati, coi loro ideali di giustizia. Gli ideali delle multinazionali sono la tecnologia e la crescita economica. Ideali che l'uomo, la filosofia non riesce a contrastare. E questo è il fallimento della filosofia moderna e contemporanea.

anch'io condivido le cose che dici;

direi di più'...non solo non sono il frutto della pura arbitrarietà ma si ricollegano e corrispondono nella loro essenzialità a cio che e' da sempre e per sempre.

la tecnologia ha cambiato il mondo ma i valori dell'uomo sono sempre quelli,pero il punto secondo me,non sono i valori a cambiare,(perché come provato a dire sopra,quelli appunto non cambiano e non possono cambiare,essendo perenni ed immutabili) ma l'uomo a non riconoscerli più'  :)  ::)   

 

DrEvol

Dopo aver letto tante erudite e interessanti risposte, mi convinco ancor più fermamente che essere razionale è una scelta, una voluta e deliberata presa di coscienza.  Non parlo dell'essere quale entità umana (ossia, la nostra potenzialità di usare il ragionamento logico che  possediamo geneticamente). Parlo dell'essere col significato di possibilità, di opportunità, di valore voluto e ricercato consapevolmente.  La potenzialità di ragionare logicamente ce l'abbiamo tutti, ma ad incrementarla, raffinarla e praticarla ci vuole un atto di volontà, di deliberata scelta.

Che poi si dica che la nostra razionalità sia succube delle emozioni o istinti e che le emozioni regnano su di essa questo comporta delle implicazioni. Che cosa dovremmo dedurre da questa osservazione?  Dobbiamo concludere che non abbiamo la capacità di sviscerare il significato delle nostre emozioni attraverso il raziocinio? Non mi pare che l'uomo civilizzato sia tale perché ha permesso al suo raziocinio di rimanere permanentemente in balia delle sue emozioni.

Quello che alcuni chiamano anima, spirito interiore, altri chiamano coscienza, oppure ego, oppure identità individuale.  Comunque venga chiamato, questo aspetto del nostro essere umani è un prodotto di un cervello concettuale, di un cervello capace di tradurre la realtà concreta e sensoriale  che percepiamo fisicamente in astrazioni completamente immateriali, E poi, questo nostro cervello straordinario ha la capacità di utilizzare le astrazioni, i concetti, e creare con essi nuove cose concrete, modificare le cose concrete della realtà naturale in cose nuove mai esistite prima.  Non solo... ma il nostro cervello ci permette di auto-osservarci. Ci permette di valutare i nostri istinti, le nostre emozioni o passioni, Ci permette di censurarne alcune ed implementarne altre.  Si, perché l'interazione tra razionalità ed emozioni è costantemente aperta ed interdipendente. Non esiste pensiero che non rifletta una sana dose di emotività e non esiste emozione che non possa essere osservata dal raziocinio.

cvc

Sgiombo, il passaggio della filosofia da teoria a prassi, da mezzo per capire il mondo a mezzo per trasformarlo ha coinciso con il porre l'economia al centro dell'uomo. Il marxismo, il socialismo, sono filosofie che pure nei loro ideali ugualitari finiscono col porre la questione economica al centro di tutti i problemi, laddove la filosofia è nata come fenomeno spirituale. Materialismo storico se non erro significa proprio questo: storia dell'uomo = storia dell'economia.
Quanto alla ragione come ancella del sentimento, io nemmeno credo sia il sentimento ancella della ragione. Non ci sono ancelle e padroni, semplicemente perché ogni fatto umano è una concatenazione inseparabile di ragione e sentimento. Il fatto è che, non credendo nella percezione diretta, tutto ciò che pensiamo è già stato etichettato dal linguaggio e dal raziocinio, e il cambiate le etichette (i nomi) influisce sul nostro sentire. Tutto ciò che non ha etichetta è inconscio. Sul fatto l'inconscio ci domini, sono d'accordo, ma in modo indiretto. La ragione determina la nostra volontà nel momento in cui distingue cosa desiderare e cosa evitare, e ciò avviene a livello conscio.

Green, non è questione di terrore nel vedere i valori tradizionali cadere a pezzi. Le grandi filosofie ellenistiche - cinismo, stoicismo,epicureismo, scetticismo - sorgono proprio nel momento in cui, dopo Alessandro Magno, cadono i valori della polis e la grecità si mescola alle altre culture. C'è un qualcosa in comune con la globalizzazione attuale, l'uomo capisce che non può più identificarsi con lo stato e le sue leggi, così cerca l'autarchia, l'autonomia spirituale. Così nasce l'ideale del saggio, che rimane imperturbabile anche se il mondo gli crolla intorno. La differenza è che oggi la filosofia non offre mezzi per affrontare questa sconcertante caduta di valori, perché è divenuta prassi economica o scientifica anziché spirituale. Laddove si auspica un risveglio dell'uomo non sotto le insegne dei valori di giustizia e libertà, ma alla luce dell'ideale del filosofo che distrugge tutte le verità condivise e se ne compiace, ignorando di essere figlio di ciò che distrugge, non so che dire.
Fare, dire, pensare ogni cosa come chi sa che da un istante all'altro può uscire dalla vita.

cvc

Sariputra e Acquario, a me piace pensare che se l'intera civiltà andasse distrutta, e ne sorgesse un'altra del tutto ignara dell'esistenza della precedente, ancora si fonderebbe - o meglio tenterebbe di fondarsi - sugli ideali di giustizia, libertà, uguaglianza, solidarietà.

DrEvol, ho una sensazione simile ad una sorta di ritorno a casa quando, dopo tante elucubrazioni, si torna a parlare di un'interiorità dell'uomo (anima, io, identità...) e si pensa che è in questa interiorità che si svolge il "gioco" della vita: distinzione fra ciò che dipende da noi e ciò che non dipende da noi. Il che sottintende che c'è qualcosa che dipende da noi e non siamo cocci di navi spezzate alla deriva, totalmente in balia dell'inconscio (questo vento impazzito) e del caso (mare sinistro).
Fare, dire, pensare ogni cosa come chi sa che da un istante all'altro può uscire dalla vita.

sgiombo

Citazione di: cvc il 23 Ottobre 2016, 09:01:25 AM
Sgiombo, il passaggio della filosofia da teoria a prassi, da mezzo per capire il mondo a mezzo per trasformarlo ha coinciso con il porre l'economia al centro dell'uomo. Il marxismo, il socialismo, sono filosofie che pure nei loro ideali ugualitari finiscono col porre la questione economica al centro di tutti i problemi, laddove la filosofia è nata come fenomeno spirituale. Materialismo storico se non erro significa proprio questo: storia dell'uomo = storia dell'economia.

CitazionePer me la filosofia della prassi (per dirlo a la Gramsci) si pone sì come scopo non semplicemente di capire il mondo ma di trasformarlo (ma capendolo, conoscendolo nella usa realtà oggettiva come conditio sine qua non per poterlo trasformare).
Ma non pone l'economia al centro dell'uomo, bensì riconosce per l' appunto il fatto oggettivo che essa di fatto è in ultima istanza e attraverso molteplici e complesse mediazioni determinante nella storia umana (ma "storia dell'uomo = storia dell'economia" ne è una semplificazione decisamente caricaturale); e in base a questa conoscenza oggettiva opera per trasformarlo (ovviamente questa è la mia convinzione; non credo proprio che sia il caso di tentare in questa sede di argomentarla, anche solo molto approssimativamente e per brevi cenni, pur sapendo bene che ben pochi la condividono; mi limito a illustrare ciò che penso a chi ne possa eventualmente essere interessato).


Quanto alla ragione come ancella del sentimento, io nemmeno credo sia il sentimento ancella della ragione. Non ci sono ancelle e padroni, semplicemente perché ogni fatto umano è una concatenazione inseparabile di ragione e sentimento. Il fatto è che, non credendo nella percezione diretta, tutto ciò che pensiamo è già stato etichettato dal linguaggio e dal raziocinio, e il cambiate le etichette (i nomi) influisce sul nostro sentire. Tutto ciò che non ha etichetta è inconscio. Sul fatto l'inconscio ci domini, sono d'accordo, ma in modo indiretto. La ragione determina la nostra volontà nel momento in cui distingue cosa desiderare e cosa evitare, e ciò avviene a livello conscio.

CitazioneCome mi pare risulti evidente anche da quanto da me scritto, concordo che ogni fatto umano è una concatenazione inseparabile di ragione e sentimento; non concordo invece con una teoria aprioristica della conoscenza (se ben la capisco) qual quella cui accenni.
Men che meno concordo sull' inconscio, che ritengo una sorta di "mostruosità ideologica freudiana (aggettivo cui attribuisco una connotazione decisamente deteriore)" del tutto priva di alcun valore scientifico (anche questo senza ridicole pretese di convincere chichessia attraverso una discussione come questa).
I sentimenti di cui parlo, che ci pongono scopi che la ragione può cercare di "ponderare" e di realizzare nella parte preferibile fra quelle alternativamente possibili mediante opportuni mezzi, sono ben consapevoli (li avvertiamo coscientemente).
Secondo me è più giusto dire che la ragione, nel momento in cui cerca di distinguere e valutare cosa è più fortemente desiderato e cosa meno, cosa da ricercare e cosa da evitare (e a cosa rinunciare) per sperare di ottenere la migliore soddisfazione complessiva possibile dei nostri desideri irrazionali (e ciò avviene a livello conscio: perfettamente d' accordo!) contribuisce a determinare la nostra volontà in concorso con i sentimenti che gli scopi dell' azione ci pongono indiscriminatamente, con maggiore o minore forza.

sgiombo

#28
Citazione di: cvc il 23 Ottobre 2016, 09:29:19 AM
Sariputra e Acquario, a me piace pensare che se l'intera civiltà andasse distrutta, e ne sorgesse un'altra del tutto ignara dell'esistenza della precedente, ancora si fonderebbe - o meglio tenterebbe di fondarsi - sugli ideali di giustizia, libertà, uguaglianza, solidarietà.

CitazioneA me piace pensare che nell' universo infinito esistono altri pianeti abitati da viventi simili al nostro.
E che, come in parte di essi la vita si estingue non avendo superato la condizione degli procarioti (batteri); in un' altra parte non avendo superato quella degli eucarioti monocellulari; in un' altra ancora non avendo superato quella dei pluricellulari vegetali e animali privi di linguaggio e autocoscienza (e di "storia umana o similumana" accanto alla "storia naturale"; come sarebbe successo qui da noi se insieme ai dinosauri si fossero estinti anche i primi mammiferi); così potrebbe darsi ed effettivamente sia che in un' ulteriore parte minore la "storia similumana" superi per tempo la fase "similcapitalistica" prima dell' estinzione dei viventi autocoscienti e raggiunga una fase "similcomunistica".
E che (nel caso probabile l' umanità si autoestingua non riuscendo a superare il capitalismo), come noi pensiamo con ammirazione e gratitudine a chi ha lottato prima di noi per la giustizia e il progresso ed é stato sconfitto (da Spartaco a fra Dolcino, a Huss, a Robespierre, a Babeuf, a Toussaint Louverture, a Salvador Allende, a Thomas Sankara e a tantissimi altri dai nomi sconosciuti), allo stesso modo, con la stessa ammirazione e venerazione i "similuomini nuovi" di quei fortunati pianeti pensano a noi che qui sulla terra e in altri mondi ci battiamo per salvare la nostra umanità e il suo progresso storico venendo (se lo saremo, come é probabile) sconfitti.
Lo so, é una consolazione più "religiosa" che "filosofica", per dirlo in termini boeziani, non molto razionalistica.


green demetr

Citazione di: cvc il 23 Ottobre 2016, 09:01:25 AM
Green, non è questione di terrore nel vedere i valori tradizionali cadere a pezzi. Le grandi filosofie ellenistiche - cinismo, stoicismo,epicureismo, scetticismo - sorgono proprio nel momento in cui, dopo Alessandro Magno, cadono i valori della polis e la grecità si mescola alle altre culture. C'è un qualcosa in comune con la globalizzazione attuale, l'uomo capisce che non può più identificarsi con lo stato e le sue leggi, così cerca l'autarchia, l'autonomia spirituale. Così nasce l'ideale del saggio, che rimane imperturbabile anche se il mondo gli crolla intorno. La differenza è che oggi la filosofia non offre mezzi per affrontare questa sconcertante caduta di valori, perché è divenuta prassi economica o scientifica anziché spirituale. Laddove si auspica un risveglio dell'uomo non sotto le insegne dei valori di giustizia e libertà, ma alla luce dell'ideale del filosofo che distrugge tutte le verità condivise e se ne compiace, ignorando di essere figlio di ciò che distrugge, non so che dire.

Ma infatti l'epicureismo viene recuperato da Nietzche, e lo stoicismo pur nel suo idealismo metafisico introduce per primo l'idea di sopportazione, tema imprescindibile nella riflessione contemporanea.

Il punto dello spiritualismo non è che esso è defunto, direi tutt'altro, è che nella sua accezzione politica, non riesce proprio a scrollarsi di dosso il suo corollario, ossia quello del potere.

Se io entro in un gruppo catechetico, o se io entro in un gruppo locale comunista (ce ne sono ancora no?), la regola della gerarchia non cambia proprio MAI.

Per questo bisogna rifondare gruppi che imparino l'arte del riconoscimento del male insito in ognuno di noi.

CI vuole un gran forza per non cadere nella fascinazione del leader. Noi si deve portare come esempio quella forza, senza per questo poi a nostra volta diventare leader. Per fare questa cosa, bisogna però scontrarsi col reale. Questo implica automaticamente rigettare l'idea dell'impossibilità, come se veramente il destino umano ne sia improntato meccanicamente. Direi di no, fa parte di quella filosofia che ragiona del bio-potere. Questa rassegnazione e pessimismo diffuso sono esattamente quelle che il potere coltiva da anni. Non siamo macchine fin quando c'è posto per pensare l'utopia, e cioè vivendo il reale.
BEne! detto ciò io rifuggo nel virtuale di nuovo, a presto!!!(voglio essere onesto, io personalmente non posso che resistere, ad oggi.)
Vai avanti tu che mi vien da ridere

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