Essere razionale è una scelta?

Aperto da DrEvol, 21 Ottobre 2016, 04:16:00 AM

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green demetr

Citazione di: paul11 il 29 Ottobre 2016, 01:31:31 AM
greeen demetr
Siamo tutti "vittime", Nietzsche compreso...... quel sacro corrisponde all'armonia del dominio naturale e quello divino, e non separati.

Ovvio che lo fosse, ma lui ne era consapevole, al contrario tuo e di tutti quelli che fantasticano di strane divinità etc....

Essendo Dio Morto, ovviamente è morto anche quel sacro.

Probabilmente, riesci ad intendere il problema giuridico (infatti siamo spesso d'accordo), ma lo fai contrapponendolo ad un giusnaturalismo fantastico.
Infatti il giusnaturalismo E' il giuridico, cristiano ebreo musulmano che sia.

Francamente anche leggendo il 3d su realtà e rappresentazione, non mi posso che tirar fuori da qualsiasi discorso ideologico religioso.

Che ripeto è esattamente il discorso schizoide che il destrutturalismo scopre come metafisico.
E che suona ai miei orecchi così: "tu sei quello che non sei".

No mi dispiace non vedo traccia di sacro, nemmeno nella poesia. In compenso vedo un mare di opportunismo travestito da strani vestigie religiose e scientifiche.

Il darsi da fare è invece legato al riconoscimento del male che ci abita dentro.

A partire da quel male soltanto possiamo, se proprio vogliamo essere metafisici ( e io lo voglio essere), risalire all'origine del senso.

Vai avanti tu che mi vien da ridere

paul11

green demetr,
ho dei dubbi che Nietzsche conoscesse l'origine storica del sacro. Alcune importanti informazioni sull' origine degli scritti vedici indiani e sul percorso storico fra sumeri-ebraismo-cristianesimo sono venuti alla luce dopo la sua scomparsa. E' un tuo parere quello della fantasia divina, che lascia il tempo che trova.

E' morta un'interpretazione storica del divino, non l'origine del sacro e neppure del divino, che ora come non mai cercano, perchè questo relativismo questa idiosincresia dell'etica e del razionale non trova risposte in un mondo decaduto privo di punti di riferimento.

Niente affatto il giusnaturalismo o diritto di natura nasce con l'Umanesimo e poco o nulla ha a che fare con la religione.La sua prospettiva non è un diritto divino che cala nel sociale, tutt'altro, i filosofi si chiedono su quali basi si costituisce e costruisce una società, una comunità fino a diventare Stato.

Citazione di: green demetr il 29 Ottobre 2016, 22:19:15 PMIl darsi da fare è invece legato al riconoscimento del male che ci abita dentro. A partire da quel male soltanto possiamo, se proprio vogliamo essere metafisici ( e io lo voglio essere), risalire all'origine del senso.
non posso che condividere la richiesta di un senso originario di una male che ci abita dentro

Phil

Citazione di: paul11 il 30 Ottobre 2016, 00:51:40 AM
Citazione di: green demetr il 29 Ottobre 2016, 22:19:15 PMIl darsi da fare è invece legato al riconoscimento del male che ci abita dentro. A partire da quel male soltanto possiamo, se proprio vogliamo essere metafisici ( e io lo voglio essere), risalire all'origine del senso.
non posso che condividere la richiesta di un senso originario di una male che ci abita dentro
Mi incuriosisce questo "male che ci abita dentro"(doppia cit.): nel caso di paul11 che, se non fraintendo, non lascia il sacro religioso fuori dalla sua prospettiva, è possibile "innestarlo" in una metafisica classica (per cui il Male è uno degli attori protagonisti della dimensione umana e c'è un Senso originario da interrogare); nel caso di green demetr che (sempre se l'ho ben capito) ha una visione dell'uomo più laica, questo "male metafisico" come si connota e, soprattutto, su cosa si fonda?
Si tratta di una metafora per la fallibilità, ignoranza o immoralità dell'uomo (ed è quindi comunque un'interpretazione relativa) oppure ha una sua "sostanza" propria?

P.s.
@green demetr: quel "io lo voglio essere"(cit.) è molto dionisiaco, ma il voler-essere-metafisici non è una scelta che preclude a priori la possibilità di trovare risposte non metafisiche? Fino a che punto il voler essere metafisico, o nichilista o empirista o altro (è una domanda in generale, non personale su di te  :) ), può essere una scelta che "vizia" il ricercare?

sgiombo

Citazione di: Phil il 30 Ottobre 2016, 10:56:22 AM Fino a che punto il voler essere metafisico, o nichilista o empirista o altro, può essere una scelta che "vizia" il ricercare?
CitazioneCredo che sia un' inevitabile (e in quanto tale non "viziosa", per lo meno in senso etico) premessa del ricercare verità, senso delle cose e quant' altro (e del come cercare): ci si pone i problemi che spontaneamente ci vengono in mente (se invece si dimostrasse in qualche modo quali problemi siano da porci e come vadano affrontati, allora si cadrebbe in un regresso all' infinito nella ricerca di un inesistente -infinito potenziale- "primum movens" che non ci fosse arbitrariamente venuto in mente).

Phil

La scelta aprioristica del tipo di approccio "vizia" il ricercare, non nel senso etico, ma, secondo me, nell'impostazione epistemologica/metodologica: se sorgono problemi spontanei e li si affronta con il presupposto "voglio essere metafisico" o "voglio essere empirista", significa, per me, che non si affrontano tali problemi con limpidezza ed apertura, ma si sceglie di preimpostare l'indagine con un paradigma già selettivo, che non è detto sia sempre quello più pertinente o più funzionale... 
Pensiamo (esempio sciocco, ma, spero, chiaro) quali sarebbero le conseguenze se un elettricista, a casa sua, trovandosi di fronte ad un rubinetto che perde, dicesse "voglio ragionare da elettricista" ed iniziasse a "smanettare" come se i tubi fossero invece fili elettrici... forse farebbe meglio a chiamare un idraulico (ammettendo che le sue conoscenze non sono adeguate a risolvere quel problema), oppure affrontare il problema non da elettricista, ma da "idraulico improvvisato"...

Differente è riconoscersi "metafisici" o "empiristi" o altro, non per scelta, ma perchè si "scopre" di esserlo (ma non ci si sente in dovere nè di volere esserlo...).

L'atteggiamento più proficuo forse è affrontare i problemi senza volersi limitare o condizionare prima ancora di confrontarsi con essi, cercando piuttosto (metaforicamente) di lasciarli parlare la loro lingua (cercando di comprenderla) e non di fargli parlare forzatamente la nostra ("snaturandoli" e/o fraintendendoli...).

green demetr

Citazione di: Phil il 30 Ottobre 2016, 10:56:22 AM
Citazione di: paul11 il 30 Ottobre 2016, 00:51:40 AM
Citazione di: green demetr il 29 Ottobre 2016, 22:19:15 PMIl darsi da fare è invece legato al riconoscimento del male che ci abita dentro. A partire da quel male soltanto possiamo, se proprio vogliamo essere metafisici ( e io lo voglio essere), risalire all'origine del senso.
non posso che condividere la richiesta di un senso originario di una male che ci abita dentro
Mi incuriosisce questo "male che ci abita dentro"(doppia cit.): nel caso di paul11 che, se non fraintendo, non lascia il sacro religioso fuori dalla sua prospettiva, è possibile "innestarlo" in una metafisica classica (per cui il Male è uno degli attori protagonisti della dimensione umana e c'è un Senso originario da interrogare); nel caso di green demetr che (sempre se l'ho ben capito) ha una visione dell'uomo più laica, questo "male metafisico" come si connota e, soprattutto, su cosa si fonda?
Si tratta di una metafora per la fallibilità, ignoranza o immoralità dell'uomo (ed è quindi comunque un'interpretazione relativa) oppure ha una sua "sostanza" propria?

P.s.
@green demetr: quel "io lo voglio essere"(cit.) è molto dionisiaco, ma il voler-essere-metafisici non è una scelta che preclude a priori la possibilità di trovare risposte non metafisiche? Fino a che punto il voler essere metafisico, o nichilista o empirista o altro (è una domanda in generale, non personale su di te  :) ), può essere una scelta che "vizia" il ricercare?

Citazione di: Phil il 30 Ottobre 2016, 10:56:22 AM
La scelta aprioristica del tipo di approccio "vizia" il ricercare, non nel senso etico, ma, secondo me, nell'impostazione epistemologica/metodologica: se sorgono problemi spontanei e li si affronta con il presupposto "voglio essere metafisico" o "voglio essere empirista", significa, per me, che non si affrontano tali problemi con limpidezza ed apertura, ma si sceglie di preimpostare l'indagine con un paradigma già selettivo, che non è detto sia sempre quello più pertinente o più funzionale...
Pensiamo (esempio sciocco, ma, spero, chiaro) quali sarebbero le conseguenze se un elettricista, a casa sua, trovandosi di fronte ad un rubinetto che perde, dicesse "voglio ragionare da elettricista" ed iniziasse a "smanettare" come se i tubi fossero invece fili elettrici... forse farebbe meglio a chiamare un idraulico (ammettendo che le sue conoscenze non sono adeguate a risolvere quel problema), oppure affrontare il problema non da elettricista, ma da "idraulico improvvisato"...

Differente è riconoscersi "metafisici" o "empiristi" o altro, non per scelta, ma perchè si "scopre" di esserlo (ma non ci si sente in dovere nè di volere esserlo...).

L'atteggiamento più proficuo forse è affrontare i problemi senza volersi limitare o condizionare prima ancora di confrontarsi con essi, cercando piuttosto (metaforicamente) di lasciarli parlare la loro lingua (cercando di comprenderla) e non di fargli parlare forzatamente la nostra ("snaturandoli" e/o fraintendendoli...).



In linea di massima sono d'accordo con Sgiombo, sulla necessità del metafisico. (e d'altronde sono un lettore di Hume anch'io)

Per quanto riguarda la premessa, ovviamente è una questione del postulare una cosa, per poi vedere se funziona o meno, nel reale. (qui le strade mie e sgiombo divergono totalmente, ovvio anche con Hume) vedi il 3d sul fenomeno e realtà del dr.evol.


Provo ad abbozzare delle linre generali sull'uso della ragione.
Provando a distinguere il metafisico come storia dell'occidente, o discorso dell'occidente, e il metafisico come questione della questione.(Non sono ammessi regressi infiniti. Non esiste la questione della "questione della questione".
Questo è l'unico postulato che l'idealismo si pone. Da Peirce in poi, anche se tale Paolo Veneziano, autore sconosciuto medievale l'aveva già trattato sempre secondo il Peirce.)
La questione della questione, essendo formale, rimane poco trasparente, e quindi per pochi eletti che la intravedono.

La vado ad esporre comunque, sebbene ancora disordinata, contiene molti spunti validi che mi interessano.

Vai avanti tu che mi vien da ridere

green demetr

Non riesco ancora a dominare tutto il pensiero hegeliano (formalista-storicista) e heidegeriano (neo-tomista con sprazzi di agostino).
Figuriamoci con quello di Nietzche che mi consuma parecchie energie nervose.

Posso solo parlare di quello che intravedo, alla Heideger, il segnavia, il senso, la direzione, la radura.

Vedo anzitutto il male, come la morte stessa, ossia come il nostro dissolvimento: proprio qualche giorno fa, leggevo da Zizek, che la parola "fondamento" in tedesco suona come le macerie. Ossia ciò che rimane del dissolvimento.
Sostanzialmente in una chiave formale, eminentemente logica, l'uomo nasce già carente, carente dell'oggetto. Tramite solo cui si relaziona. E si costituisce.

Questa carenza costitutiva, è da leggere come recentemente davintro ha scritto sul 3d fenomeno e realtà, in termini ontologici, ossia come fenomenologia.
Ossia noi siamo quel soggetto abitato dalla necessità di un oggetto, qual'ora venisse a mancare, noi cesserremo di essere tale.

Ma in chiave metafisica, noi siamo spaventati a morte (appunto) di non essere più. Di non essere più dei soggetti. Ossia un terrore ci abbraccia fin dalla nostra nascita biologica, come discorso. Siamo cioè nati già aperti ad accogliere il mondo, come TERRORE del non essere più.

Quindi l'uomo è ontologicamente metafisico, come giustamente fa notare Heideger.

La seconda cosa è il comportamento, ossia noi siamo accompagnati dalla violenza, ed è il secondo male METAFISICO, ossia la proiezione del discorso SCHIZOIDE.

Che deriva dal primo discorso paranoide (non voglio morire), ossia come descritto magistralmente da Freud, la morte dell'animale viene associata alla nostra vita.

Io sono vivo, fin che uccido. Dove simbolicamente l'animale diviene il sacro, ossia ciò che non può essere toccato. Per cui l'uomo nasce subito simbolico. I resti funerari sono lì a testimoniarlo. Il resto è sempre il cerchio, ognuno protegge le spalle all'altro. Ossia è la comunità, la comunità diventa il sacro. Ossia diventa politica. Mors tua, vita mea.

Da lì le lotte tribali, e il periodo di sangue, che porta (vedi nietzche-garbino nel 3d il futuro dell'uomo) alla ragione.

E' solo tramite quel primo diamante che possiamo genealogicamente risalire alla costituzione del nostro domandare.

Domandare metafisico, filosofico: perchè devo morire?

Guardare in faccia significa guardare anche il suo doppio: tu non morirai mai.

Come la neuroscienza scopre con Damasio che la paura e la violenza sono i sentimenti primari, così ci erano già arrivati secoli prima Spinoza, poi Hegel, Nietzche infine  Heideger.

E' qui che rientra la tua domanda dalla finestra principale: la risposta metafisica alla domanda metafisica della ragione, l'uomo storicamente ha risposto con la teoria della unarietà, e cioè "come se" esistesse un UNO che mi garantisce, che mi fonda, come soggetto eterno.
Ossia c'è un problema di fondo, sempre uguale, sostituiamo il fondamento come dissolvimento, in un dissolvimento senza fondazione.
(in questo senso il problema metafisico dell'occidente è da distinguere dal problema metafisico in sè).



Così facendo, dimentichiamo, la domanda fondamentale ontologica, che viene prima della domanda fondamentale metafisica. Ossia come all'infinito ripete Sini: "chi parla?.

Ossia il problema del soggetto.

Per impedire di fare questo errore, basterebbe smettere di avere paura, e guardare le cose come stanno: noi dissolviamo.
Il fatto è che quel "basterebbe" richiede uno sforzo titanico, perchè dietro la paura fondamentale come ho cercato di illustrare, si nasconde il problema del sacro.
Il totem va abbattuto, il fantasma materno, la mamma (tu non morirai mai), va abbattuto.

Ma prima va abbattuto la sua tecnica, la fantasmatica, ossia la protezione ad ogni costo, del TU DEVI UCCIDERE.
Appunto la Giurisdizione, la dizione (il discorso) dello IUS (il giurì), il più forte, quello che ammazza di più.
Il male è il giusnaturalismo, il discorso del più forte. Diventa un problema bio-etico, di appropriazione dei corpi, problema della antropofagia, fin dai tempi più antichi, l'homo sapiens, si è letteralmente divorato qualsiasi altro ominide (ci rendiamo conto della ferocia??)
 
Qualsiasi guerra ha alla sua origine questo fraintendimento della ragione, come diceva Nietzche confondere il sogno, con la realtà.
(noi continueremo a morire anche se siamo potenti)
Da cui prende forma la psicanalisi, come analisi delle pulsioni inconsce (paura e violenza) che si riversano nel sogno, e infine la psicanalisi del discorso, come in Lacan e allievi. (che devo ancora studiare.).



Insomma il vizio della ricerca sul male costitutivo, deve fare attenzione a non essere una forma di auto-inganno, per illudersi di non morire mai.

Nel mio caso, l'errore che faccio, è quello di non fare attenzione al reale. Per me rimane fortissimo il legame con il fantasma materno, ossia con la madre.(appunto non voglio morire mai).

Rimango inevitabilmente affascinato dal mito, dai miti della madre. E mi domando del perchè in continuazione (visto che so che è una trappola), cadendo così nel discorso ossessivo, e rimanendo sulla soglia, infatti non ho mai ottenuto risposta.

Questo sostanzialmente crea disagio esistenziale, e da qui inizia la ricerca dell'intrattenimento, che devo dire, seppur per vie diverse dal volgo, trovo anch'io che funzioni.
Fare attenzione al reale serve un amico, meglio ancora una comunità.
Una comunità consapevole del male che ci circonda dentro e fuori dal nostro essere soggetti. Difficile, ma qualcuno deve iniziare a farlo, magari dando più importanza al reale. Per questo il mio unico amico degno di fiducia è Nietzche, perchè ogni volta che lo leggo, è uno schiffo in faccia, che mi ridesta quei pochi attimi per andare ancora avanti, per coltivare ancora l'utopia, prima ancora di cadere nel letargo della società dello spettacolo.


Per uscire dai discorsi del terrore, dell'orrore, dello spavento e della angoscia a mio parere però serve la comunità, ossia l'Altro.
Infatti a parte il terrore e l'angoscia che sono mali metafisici, difficili anche da intravedere, gli altri due sono errori della tradizione gerarchica occidentale.
Errori politici.

E' sempre difficile interrogarsi della radice del terrore e della sua malefica sorella l'angoscia, con persone che sono legate alla legge del padre ("orrore") e vittime dello spavento ("figlia dell'essere schizoidi", per cui non si accetta di essere qualcosa di diverso rispetto a quello che la società indica, legalizza, come i problemi degli attacchi di panico, dell'anoressia e della bulimia stanno sempre ad indicare).


saluti.
Vai avanti tu che mi vien da ridere

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