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Essere o non essere

Aperto da InVerno, 04 Settembre 2017, 08:46:35 AM

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InVerno

La discussione è andata un po fuori dai binari che avevo tracciato, mea culpa, avendo pochissimo tempo in questi giorni avrei dovuto aprirla quando potevo seguirla. Pierini tendi a monopolizzare un po i topic con la tua questione archetipica, sicuramente interessante, ma in contesto linguistico più adeguata ad una discussione riguardante l'origine del linguaggio (sia storico che individuale). In ogni caso ti manca da spiegare come in 175 lingue su 385 ad oggi catalogate, il verbo "essere" manchi, evidentemente a dimostrare come a questo livello di astrazione, la linguistica sia già convenzione e ben distante da quell'afflato "naturale" su cui tuttivia concordo perlomeno a livello basico. Per intraprendere un discorso come quello da te proposto dovremmo evitare di menzionare verbo essere e trattarlo su base logico-linguistica, ovvero come funzione, perchè una volta che si manifesta come "verbo" compiuto la questione diventa molto più complessa di un origine archetipica (basta pensare ai tempi nella sola lingua italiana, come l'imperfetto ipotetico che non assicura la certezza dell'evento, e la differenza con i tempi delle altre lingue, per cadere in un ginepraio di una complessità tale che richiederebbe certamente un linguista di professione). Tuttavia mi permetto di suggerirti di  approfondire le tue conoscenze riguardo alla lingua protoindoeuropea ricostruita, che forse per il suo livello di rudimentalità ben si presta alle tue intuizioni archetipiche.

Se è  di interesse continuare il topic, proporrei una svolta verso la seconda parte del mio incipit, ovvero essere come identificazione e le problematiche che scaturiscono da esso. Ogni volta che vado in aeroporto mi viene chiesta la carta d'identità, io vorrei obbiettare "di identificazione" ma so che l'ufficiale non capirebbe. Capiva invece Bertrand Russel, che in prigione scrisse "E' una disgrazia per il genere umano che si sia usato "è" per due idee completamente differenti". E' davvero una disgrazia?
Non ci si salva da un inferno, sposandone un altro. Ipazia

Angelo Cannata

Più che una disgrazia mi sembra una necessità, come ho accennato in precedenza. La disgrazia consiste nel dimenticare che si tratta di una convenzione di comodo per lavorare con le relazioni.

Mi viene in mente una critica, forse bizzarra, che potrei fare alla matematica: dire 1=1 è sbagliato, perché identità, uguaglianza, dovrebbe significare essere lo stesso oggetto. Un atomo non è uguale a un altro atomo, per il semplice fatto che non occupano le stesse coordinate dello spazio: se un atomo è a destra e uno è a sinistra, essi non sono uguali e la differenza è stata appena detta: uno è a destra, l'altro a sinistra. Se 1=1 significa che 1 è uguale a se stesso, ne consegue che 1+1=2 è sbagliato, perché se io prendo una mela e la sommo a se stessa non ottengo due mele, ma sempre una. Allora che vuol dire 1=1? Si risponderà che sono uguali in merito alla quantità numerica, ma non identificano lo stesso oggetto. Così prendiamo coscienza che il segno = in matematica non indica uguaglianza totale, perfetta, di identità, ma solo in merito ad una qualità, che è la quantità. A questo punto continuerebbe ancora ad esserci qualche problema: se va bene che 1+1=2, considerando che si tratta di due 1 diversi, come la mettiamo con la sottrazione? Affinché 1-1=0 sia vero, è necessario invece che 1=1 si riferisca a identità di oggetto: infatti, se io ho una mela, per ottenere il risultato di zero devo togliere quella precisa mela, non posso toglierne un'altra diversa da quella che c'è. Ne consegue una contraddizione matematica:
- affinché 1+1=2 sia vero, è necessario che nell'equazione 1=1 i due 1 indichino due oggetti diversi;
- affinché 1-1=0 sia vero è necessario che nell'equazione 1=1 i due numeri 1 indichino lo stesso oggetto.

Allora cosa significa 1=1? Si tratta di un oggetto che è uguale a se stesso o di due oggetti che sono uguali nella quantità? In entrambi i casi si va incontro ad una contraddizione.

Non so se sto perdendo di vista qualcosa, ma mi sembra una contraddizione abbastanza curiosa e intrigante.

Problemi simili valgono per ogni uso del verbo essere: esso non esprime mai identità totale, ma sempre comunanza di qualche particolare qualità. Ad esempio, tra una mela e la definizione di mela c'è in comune il fatto che entrambe, se presentate ad una persona, suscitano nella sua mente l'idea di mela. In questo modo però capiamo subito che suscitare la stessa idea non significa essere la stessa cosa, tanto più che l'idea suscitata non è proprio identica, altrimenti la persona non sarebbe in grado di distinguere tra una mela e la sua definizione, col rischio di addentare una pagina del vocabolario.

Mi sembra che allora il verbo essere sia solo un contraddittorio strumento da usare con molta distanza, uno strumento molto utile per semplificare il linguaggio, purché ci si ricordi che aver semplificato il linguaggio non significa aver reso tutto più semplice.

Carlo Pierini

#62
Citazione di: InVerno il 09 Settembre 2017, 11:51:22 AM
La discussione è andata un po fuori dai binari che avevo tracciato, mea culpa, avendo pochissimo tempo in questi giorni avrei dovuto aprirla quando potevo seguirla. Pierini tendi a monopolizzare un po i topic con la tua questione archetipica, sicuramente interessante, ma in contesto linguistico più adeguata ad una discussione riguardante l'origine del linguaggio (sia storico che individuale). In ogni caso ti manca da spiegare come in 175 lingue su 385 ad oggi catalogate, il verbo "essere" manchi, evidentemente a dimostrare come a questo livello di astrazione, la linguistica sia già convenzione e ben distante da quell'afflato "naturale" su cui tuttivia concordo perlomeno a livello basico. Per intraprendere un discorso come quello da te proposto dovremmo evitare di menzionare verbo essere e trattarlo su base logico-linguistica, ovvero come funzione, perchè una volta che si manifesta come "verbo" compiuto la questione diventa molto più complessa di un origine archetipica (basta pensare ai tempi nella sola lingua italiana, come l'imperfetto ipotetico che non assicura la certezza dell'evento, e la differenza con i tempi delle altre lingue, per cadere in un ginepraio di una complessità tale che richiederebbe certamente un linguista di professione). Tuttavia mi permetto di suggerirti di  approfondire le tue conoscenze riguardo alla lingua protoindoeuropea ricostruita, che forse per il suo livello di rudimentalità ben si presta alle tue intuizioni archetipiche.

Se è  di interesse continuare il topic, proporrei una svolta verso la seconda parte del mio incipit, ovvero essere come identificazione e le problematiche che scaturiscono da esso. Ogni volta che vado in aeroporto mi viene chiesta la carta d'identità, io vorrei obbiettare "di identificazione" ma so che l'ufficiale non capirebbe. Capiva invece Bertrand Russel, che in prigione scrisse "E' una disgrazia per il genere umano che si sia usato "è" per due idee completamente differenti". E' davvero una disgrazia?

Se la forma più evoluta di conoscenza  che l'uomo abbia mai prodotto (per quanto fortemente squilibrata a scapito della polarità spirituale dello scibile) è nata in paesi nella cui lingua è presente il verbo essere, ho l'impressione che quella di Korzybski sia solo una caccia alle streghe, una lotta contro i mulini a vento.

sgiombo

#63
Citazione di: InVerno il 09 Settembre 2017, 11:51:22 AM

Se è  di interesse continuare il topic, proporrei una svolta verso la seconda parte del mio incipit, ovvero essere come identificazione e le problematiche che scaturiscono da esso. Ogni volta che vado in aeroporto mi viene chiesta la carta d'identità, io vorrei obbiettare "di identificazione" ma so che l'ufficiale non capirebbe. Capiva invece Bertrand Russel, che in prigione scrisse "E' una disgrazia per il genere umano che si sia usato "è" per due idee completamente differenti". E' davvero una disgrazia?
CitazioneGrande, vecchio Bertrand, anche stavolta avevi ragione!

Bisognerebbe distinguere "essere" come copula (" andare inteso come" o "in quanto") da "essere"come predicato verbale (intransitivo = esistere/accadere realmente).

Ben diverso é il caso di "un' ippogrifo é un cavallo alato" da quello di "un cavallo da corsa (reale) é nella scuderia qui davanti a me".

E' sempre stato un mio cavallo di battaglia (non alato, e reale, per quanto metaforico) quello della "fondamentalissima" distinzione fra "esistere-accadere realmente" ed "essere inteso, pensato come"

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