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Essere o non essere

Aperto da InVerno, 04 Settembre 2017, 08:46:35 AM

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Angelo Cannata

Il rapporto tra mappa e territorio potrebbe essere descritto nei termini seguenti.

Supponiamo di esistere (capisco che si tratta di una supposizione alquanto azzardata, ma osiamo!). Una volta che esistiamo, ci consideriamo soggetti, in quanto tali distinti da oggetti. A questo punto, mi sembra fondamentale osservare che per noi, come soggetti, l'unica possibilità di appurare l'esistenza di oggetti consiste nella possibilità che tali oggetti riescano a produrre modificazioni, reazioni. Se di un oggetto non riesco ad individuare alcun effetto da esso prodotto su alcunché, non ho alcuna possibilità di accertare l'esistenza di tale oggetto. In questo senso, la mappa non è altro che un resoconto di certe modifiche, reazioni, effetti che l'oggetto è in grado di suscitare. Questa mappa di reazioni include il concetto stesso di essere, poiché esso non è altro che un modo di sintetizzare un insieme di reazioni.

Distinguere tra mappa e oggetto è solo uno degli aspetti della problematica; tra di essi ci sarebbe da tenere in conto anche la questione tempo, a cui mi sono riferito nel mio messaggio precedente, la questione meta- (mappa della mappa, e così all'infinito) a cui ha fatto riferimento Phil, le questioni linguistiche. In altre parole, l'uso del verbo essere è solo una convenzione di comodo per indicare, in maniera semplificata, oggetti a cui intendiamo riferirci. Il problema è che, dopo un certo tempo, la semplificazione ci induce a dimenticare tutte le complessità a cui essa si è riferita. Ciò corrisponde all'operazione, compiuta da alcuni in questa discussione, nel sostituire Korzybski con K. Non ci sarebbe molto da meravigliarsi se dopo un certo tempo, a forza di usare K., non solo non ricordiamo più il vero nome, ma ci persuadiamo che il vero nome completo sia K. Allo stesso modo, ci persuadiamo che dire "essere" significhi dire l'essenza dell'oggetto, fino al punto di non farci troppo scrupolo di identificare il nostro concetto con l'oggetto, cioè la mappa con il territorio.

Trattandosi, come ho detto, di questioni molto più vaste e complesse, che non si riducono solo alla necessità di distinguere la mappa dal territorio, sarebbe sufficiente usare il verbo essere con umiltà, sapendo che esso non ha diritto di ritenersi contenitore perfetto del riferimento all'essenza, e che ogni tanto può essere bene riesaminare le varie questioni implicate nella parola essere, come ha fatto Korzybski e come hanno fatto i filosofi in generale.
Il problema è anche che la natura ci impedisce di essere umili. Un fattore che ce lo impedisce è la smemoratezza, proprio riguardo alla molteplicità di questioni sull'essere: infatti l'abbreviazione K. viene ideata proprio per diminuire il lavoro da fare col cervello o con la tastiera, col risultato di favorire la smemoratezza. È facile rendersi conto che la smemoratezza è amica della presunzione, l'opposto dell'umiltà.
Oltre alla smemoratezza, ci sono altre condizioni del nostro essere che ci costringono a non essere umili. A volte mi sono chiesto come potrebbe essere possibile fare sesso con umiltà: lo trovo davvero un accostamento ai limiti del grottesco e del comico; se poi pensiamo che la nostra nascita viene causata proprio da un atto sessuale, che per sua natura non può essere vissuto con modestia e umiltà, potremmo giungere a dire che siamo tutti figli dell'autoaffermazione, dell'auto esibizione. Si può estendere il campo di quest'osservazione notando che un altro gesto che fa a pugni con modestia e umiltà è il mangiare, poiché il cibo, per sua natura, contiene una capacità attrattiva, deve produrre appetito, ma appetito non è una cosa che si armonizzi tanto pacificamente con umiltà e modestia. Insomma, la nostra esistenza è anche piacere, il piacere va a braccetto con smemoratezza, autoaffermazione, autoesibizione, tutte situazioni esistenziali che militano contro il ricordarci di distinguere tra mappa e territorio. Un pavone che fa la ruota sta cercando di convincere che lui è territorio, un ottimo territorio e non una modesta, umile mappa.

Non potendo tenere tutto a memoria, siamo costretti a percorrere queste o quelle complicazioni, a periodi, a epoche, e così si formano le epoche culturali.

Quanto vale oggi distinguere tra mappa e territorio? Quanto vale oggi il richiamo ad essere umili? Giustamente il discorso è stato collegato alla politica e alla storia. Penso che Diego Fusaro direbbe che dobbiamo creare mappe che evidenzino che il territorio può essere modificato, mappe che s'incarichino non semplicemente di rispecchiare con fedeltà il territorio, ma di suggerire progetti di modifica di esso. Affinché ciò avvenga deve trattarsi di mappe evidenziatrici, selettive, come certe mappe che evidenziano la distribuzione nel mondo della fame o di altri disagi o inganni. Una mappa che pretenda di essere oggettiva, nella visione di Fusaro, è una mappa ingannatrice, subdola, perché con lo splendore della sua fedelissima somiglianza al territorio ci fa innamorare della bellezza di rispecchiare il territorio, adeguarci ad esso, sottometterci ad esso, piuttosto che renderci conto che esso può e deve essere modificato.

In questo senso non ci sono da perseguire mappe fedeli o mappe che non si confondano con il territorio, ma mappe che indichino come rendere il territorio più umano. Ci potrebbe essere chi dica che solo con una mappa fedele si può capire come stanno le cose e dove bisogna intervenire, ma una mappa solo matematica della fame nel mondo non ti dice di smuoverti e fare qualcosa. La matematica, anche quella delle statistiche sulla fame o sui disagi, non ha capacità di spinta all'azione. Ci vogliono mappe che siano opere d'arte, non foto neutrali.

In questo senso, lo sforzo di distinguere mappe da territori, piuttosto che condurre all'umiltà delle mappe, potrebbe anche condurre all'ambizione di fare mappe più precise per dominare meglio non tanto il territorio, ma soprattutto le menti che vi abitano. Alla fine potremmo dire che nel nostro mondo di umanità non esistono territori, ma solo mappe, e ciò che fa la differenza non è la loro fedeltà al territorio o la loro distinzione da esso, ma lo scopo e il modo per cui e con cui le usiamo.

Carlo Pierini

#16
Citazione di: Angelo Cannata il 04 Settembre 2017, 15:38:55 PM
Insomma, non possiamo neanche essere certi che 1=1, oppure che l'essere è, perché nulla ci garantisce che, già nel pensare la semplice idea di essere o di 1, non si siano verificate infedeltà, incoerenze, inganni nella nostra mente.

...E tu sei certo che <<...non possiamo neanche essere certi che 1=1, oppure che l'essere è >>?
1 - Se ne sei certo, vuol dire che qualche certezza al mondo esiste: la tua. E se esiste la tua, possono esisterne anche molte altre.
2 - Se invece non ne sei certo, vuol dire allora che esiste la possibilità di << essere certi che 1=1, oppure che l'essere è>> e quindi la possibilità di essere certi di molte altre verità.

Questo voler mettere in dubbio solo la verità altrui, senza guardarsi allo specchio, è la smodata presunzione del relativismo. Il relativista, cioè, crede di poter essere al di sopra dei problemi e delle miserie epistemiche che egli attribuisce agli altri : ogni affermazione è fallace, tranne la sua!
Se credi davvero che ogni filosofia sia fallace devi includere anche la tua. E allora, invece di star qui a pontificare, abbandona la filosofia e dedicati a qualcosa di utile: questa sarebbe coerenza con ciò che predichi! ...Altrimenti non credo a una parola di quello che dici.


L'angolo musicale:
G. RUSSO: La Sua figura
https://youtu.be/NVKFl2tL2qw

M. CAVALLO: E aspetterò la stella
https://youtu.be/MdLqSqMz-LQ

Sariputra

Vorrei introdurre il concetto di "ragionevolezza"...non è filosofico ma "sapienziale", vabbè!... :)
Se lo scetticismo appare razionalmente insuperabile, come afferma secondo me coerentemente Sgiombo, la ragionevolezza ( non la razionalità pura e astratta) ci induce a mitigare questo scetticismo totale iniettando un certo grado di certezza dovuto alla continuità del ripetersi dell'esperienza. Se , come afferma Popper, la razionalità ci dice che, se anche verifichiamo che una data cosa avviene sempre allo stesso modo, nulla ci dà la certezza che non possa avvenire in un altro, la ragionevolezza ci induce a ritenere che non succederà "nella realtà" ( non vedremo mai, per esempio, un uomo mettersi a volare come un uccello anche se la razionalità non lo può negare in assoluto...). Questa ragionevolezza è quella iniezione , secondo me necessaria, di "fede" o fiducia che dir si voglia della quale mi sembra parli Sgiombo ( se ho ben compreso...). Quindi, se lo scetticismo è insuperabile sul piano della pura speculazione astratta, esiste una dimensione attingibile dall'esperienza percettiva, che ho definito, forse in maniera approssimativa, come "sapienza" che ci rimette sul piano di un'interagire fruttuoso con la "realtà vera".
Spero di essermi spiegato ( non sono un filosofo...) :)
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

Angelo Cannata

Citazione di: Carlo Pierini il 05 Settembre 2017, 09:54:43 AM...E tu sei certo che <<...non possiamo neanche essere certi che 1=1, oppure che l'essere è >>?
1 - Se ne sei certo, vuol dire che qualche certezza al mondo esiste: la tua. E se esiste la tua, possono esisterne anche molte altre.
2 - Se invece non ne sei certo, vuol dire allora che esiste la possibilità di << essere certi che 1=1, oppure che l'essere è>> e quindi la possibilità di essere certi di molte altre verità.

Questo voler mettere in dubbio solo la verità altrui, senza guardarsi allo specchio, è la smodata presunzione del relativismo. Il relativista, cioè, crede di poter essere al di sopra dei problemi e delle miserie epistemiche che egli attribuisce agli altri : ogni affermazione è fallace, tranne la sua!
Se credi davvero che ogni filosofia sia fallace devi includere anche la tua. E allora, invece di star qui a pontificare, abbandona la filosofia e dedicati a qualcosa di utile: questa sarebbe coerenza con ciò che predichi! ...Altrimenti non credo a una parola di quello che dici.
Sembra che tu abbia letto il mio post con molta superficialità: in esso non c'è nulla di cui pensi di poterlo accusare. Basta leggerlo.
Oltre alla superficialità esprimi anche nervosismo: mi accusi di pontificare, la tua rivendicazione di non credere a ciò che dico sembra una seria minaccia, ma non risulta tanto seria se si osserva che nel mio messaggio non si parla di nulla a cui credere.
Tutto il mio messaggio si potrebbe riassumere in una sola parola: "forse". Ora prova a rileggere la tua risposta e vedi che impressione fa come risposta ad un semplice forse.
Pensi che l'animosità che manifesti favorisca la tua comprensione delle questioni?

Angelo Cannata

Citazione di: Sariputra il 05 Settembre 2017, 10:44:15 AMVorrei introdurre il concetto di "ragionevolezza"...non è filosofico ma "sapienziale"
Mi sembra che tu abbia toccato un argomento importante, cioè il rapporto fra teoria e pratica.

A me sembra che in filosofia, col passare dei secoli, ci si vada rendendo conto che la teoria, da sola, rivela due gravi difetti: 1) non regge, cioè non è solida, non è in grado di resistere in maniera convincente alle critiche: i dibattiti mai finiti, che durano fino ad oggi, da secoli, ne sono una chiara dimostrazione; 2) anche quando mostra coerenze, appare sterile, lontana dal vissuto, dai concreti problemi umani.

A causa di ciò, si tende ad orientare di più la filosofia verso il pratico, il concreto, per arrivare fino alla politica e ai problemi dettagliati della gente; il mio orientamento verso la spiritualità corrisponde a questa tendenza, che mi sembra di poter individuare.

Tutto ciò è giustificabile, ma vi vedo un rischio: quello di dimenticare l'importanza della teoria in quanto critica.

La tua proposta di andare ad una ragionevolezza sapienziale, pratica, è giusta; il problema è che, seguendo questa via, è facile esporsi all'universalizzazione del particolarismo, cioè per ognuno di noi illudersi che la ragionevolezza pratica e vera è la propria. Per me la ragionevolezza autentica e concreta è la mia; per te la tua; per gli occidentali quella della mentalità occidentale. È qui che il non buttare la teoria nella spazzatura è prezioso: perché la teoria mi mette a nudo e in questione i miei particolarismi.

L'errore della teoria è stato quello di risolvere il problema dei particolarismi optando per l'opposto, cioè gli universalismi, le idee assolute. Questo è ciò che ha creato i due gravi difetti che ho detto sopra.

Allora io vedo questa via: è necessario procedere per ragionevolezze sapienziali, come tu hai detto, ma esse hanno bisogno di mantenere un confronto con la critica teorica; questo confronto deve servire a non cadere nell'elevazione delle nostre idee di ragionevolezza a valori universali, ma piuttosto valorizzarle proprio in quanto idee particolaristiche.

In altre parole, mi sembra che oggi ciò che vale non sia ciò che si presenta come idea universale, ma ciò che è opinione. Invece, secoli di filosofia ci hanno convinti del contrario: l'opinione non vale niente, ciò che conta è il teorema, la legge, la dimostrazione universale.

Dunque, mi sento in dovere di interessarmi della tua idea di ragionevolezza sapienzale, perché ogni ragionevolezza universale mi ha deluso, ha deluso secondo me il mondo intero; a patto di non percepire in te tentativi di trasformare di soppiatto la ragionevolezza sapienziale in universale: saremmo punto e a capo.

Carlo Pierini

#20
Citazione di: paul11 il 05 Settembre 2017, 09:28:40 AM
Le argomentazioni poste da Carlo P., a mio parere sono"forti", quelle poste da Korzybsk sono"deboli", al fine di una teoria della conoscenza.
Non significa che ciò che esprime K. sia sbagliato, semmai trovo che possono convivere.
In fondo K. mi dice che abbiamo dei limiti conoscitivi  che la mappa non corrisponde al territorio e abbiamo più livelli d astrazione.

Ammettere l'esistenza di verità assolute su cui fondare e costruire nel tempo una conoscenza solida in grado di crescere e di evolversi non significa né affermare l'onniscienza del sapere umano, né che ogni teoria scientifica sia una verità assoluta e indubitabile. Significa solo affermare che una fondazione del sapere su nozioni, leggi e principi certi è una meta possibile, dal momento che, in una sia pur piccola misura, sta già avvenendo. Mentre il relativismo, cieco di fronte alle conquiste reali della Conoscenza, ignorante della sua vera natura epistemica, inconsapevole del fatto che la tecnologia non si basa su nozioni opinabili, ma su una somma di tante piccole verità assolute (se non lo fossero, sarebbe impossibile inviare una sonda su una cometa o far funzionare la lavastoviglie di casa), ...monta in cattedra e, facendo di tutta l'erba un fascio, dichiara discutibile ogni sapere, mette sullo stesso piano fede e conoscenza, superstizione e scienza, sentenziando così l'impossibilità di qualunque fondamento metafisico, non solo nell'ambito della conoscenza, ma nell'intero ambito della cultura!
Questa non è filosofia, ma un virus mortale della filosofia e dell'intelletto, di cui dobbiamo liberarci quanto prima.

Carlo Pierini

#21
Citazione di: Angelo Cannata il 05 Settembre 2017, 12:02:20 PM
Citazione di: Carlo Pierini il 05 Settembre 2017, 09:54:43 AM...E tu sei certo che <<...non possiamo neanche essere certi che 1=1, oppure che l'essere è >>?
1 - Se ne sei certo, vuol dire che qualche certezza al mondo esiste: la tua. E se esiste la tua, possono esisterne anche molte altre.
2 - Se invece non ne sei certo, vuol dire allora che esiste la possibilità di << essere certi che 1=1, oppure che l'essere è>> e quindi la possibilità di essere certi di molte altre verità.

Questo voler mettere in dubbio solo la verità altrui, senza guardarsi allo specchio, è la smodata presunzione del relativismo. Il relativista, cioè, crede di poter essere al di sopra dei problemi e delle miserie epistemiche che egli attribuisce agli altri : ogni affermazione è fallace, tranne la sua!
Se credi davvero che ogni filosofia sia fallace devi includere anche la tua. E allora, invece di star qui a pontificare, abbandona la filosofia e dedicati a qualcosa di utile: questa sarebbe coerenza con ciò che predichi! ...Altrimenti non credo a una parola di quello che dici.
Sembra che tu abbia letto il mio post con molta superficialità: in esso non c'è nulla di cui pensi di poterlo accusare. Basta leggerlo.
Oltre alla superficialità esprimi anche nervosismo: mi accusi di pontificare, la tua rivendicazione di non credere a ciò che dico sembra una seria minaccia, ma non risulta tanto seria se si osserva che nel mio messaggio non si parla di nulla a cui credere.
Tutto il mio messaggio si potrebbe riassumere in una sola parola: "forse". Ora prova a rileggere la tua risposta e vedi che impressione fa come risposta ad un semplice forse.

Il problema è che tu questo "forse" lo metti dappertutto, anche dove non puoi metterlo; e questa non è umiltà, ma arroganza, pre-sunzione. Chi non crede in Dio, abbandona la religione; e chi non crede nella verità abbandona la filosofia. Perché, se in "virtù" di un assoluto e onnipresente "forse", si predica l'impossibilità di distinguere il vero dal falso, la filosofia diventa un rumore molesto, non uno strumento di comprensione di sé e del mondo.

Angelo Cannata

Dallo Zingarelli:

filosofia
Attività del pensiero che nei secoli, ininterrottamente dalla Grecia antica fino a oggi, ha avuto come oggetto i fondamenti della realtà, i princìpi e le cause prime delle cose, i modi della conoscenza, i problemi e i valori connessi all'agire umano.

Attività che ha avuto come oggetto: filosofia non è credere a qualcosa, non è condividere qualcosa, è attività. Se c'è attività su quegli oggetti citati, allora c'è filosofia. Lo dice il vocabolario.

Naturalmente il vocabolario può essere criticato, si può essere in disaccordo, ma bisogna dirlo, è questione di onestà intellettuale. Io lo faccio con la spiritualità: ne propongo mie definizioni, in diversi modi relazionate con quello che ne dicono vocabolari ed enciclopedie, ma lo dico: è un mio lavoro sulla definizione.
Al contrario, non è intellettualmente onesto svisare il significato della parola filosofia, non dirlo, e poi in base a questo travisamento pontificare (questo sì che risulta un pontificare) su chi dovrebbe fare filosofia e chi no.
Vuoi mettere in questione il significato della parola filosofia? Ottimo, sono interessato.
Ma se prima non fai questo, non è onesto far finta che il significato della parola filosofia sia quello che tu presupponi.

Carlo Pierini

Citazione di: Angelo Cannata il 05 Settembre 2017, 13:38:33 PM
Dallo Zingarelli:

filosofia
Attività del pensiero che nei secoli, ininterrottamente dalla Grecia antica fino a oggi, ha avuto come oggetto i fondamenti della realtà, i princìpi e le cause prime delle cose, i modi della conoscenza, i problemi e i valori connessi all'agire umano.

Attività che ha avuto come oggetto: filosofia non è credere a qualcosa, non è condividere qualcosa, è attività. Se c'è attività su quegli oggetti citati, allora c'è filosofia. Lo dice il vocabolario.

Naturalmente il vocabolario può essere criticato, si può essere in disaccordo, ma bisogna dirlo, è questione di onestà intellettuale. Io lo faccio con la spiritualità: ne propongo mie definizioni, in diversi modi relazionate con quello che ne dicono vocabolari ed enciclopedie, ma lo dico: è un mio lavoro sulla definizione.
Al contrario, non è intellettualmente onesto svisare il significato della parola filosofia, non dirlo, e poi in base a questo travisamento pontificare (questo sì che risulta un pontificare) su chi dovrebbe fare filosofia e chi no.
Vuoi mettere in questione il significato della parola filosofia? Ottimo, sono interessato.
Ma se prima non fai questo, non è onesto far finta che il significato della parola filosofia sia quello che tu presupponi.

La filosofia è anche una attività del pensiero. Ma il suo fine è la ricerca della verità delle cose (conoscenza) e dei criteri generali da seguire per questo scopo. "Filo-sofia" significa "amore per la sapienza", non amore per l'attività del pensiero fine a se stessa. E "sapienza" è la conoscenza della verità sul mondo e su noi stessi.

Phil

Citazione di: Carlo Pierini il 04 Settembre 2017, 23:13:25 PM
Perché non l'hai chiesta anche a Korzybski la medesima dimostrazione? Sarà, forse, perché il suo è davvero un dogma che, come tale, non può portare nessuna osservazione reale a suo supporto?
Davvero chiedi "un'osservazione reale" a "supporto" del fatto che "la mappa non è il territorio"? Guarda una mappa dell'Italia e poi alza lo sguardo intorno a te  ;)
Fuor di metafora, vuoi una prova "reale" del fatto che "il dire non è il detto"? Prova ad aprire una porta usando la parola "chiave"  ;D

Citazione di: Carlo Pierini il 04 Settembre 2017, 23:13:25 PM
La verità è la concordanza tra ciò che si dice e ciò che è; e io ho detto che "la Terra gira intorno al Sole" non che "la Terra girerà in eterno intorno al Sole"; ho usato il verbo al presente, e se non ti basta, posso anche aggiungere nell'enunciato la data e l'ora in cui l'ho detto
Se mettiamo alla presunta "verità assoluta" postille e note del tipo: "fino ad ora", "qui", "in questo senso", "in tal contesto", "fino a prova contraria", etc. che fine fa la sedicente "assolutezza"? Che differenza c'è allora fra una verità e una verità assoluta?
Come Apeiron (credo) fece notare, "assolutezza" e "certezza" non vanno confuse: una verità certa ("la terra gira intorno al sole") non è una verità assoluta, proprio perché non è "sciolta" dal contesto di conoscenze/osservazioni che la verifica. Nel momento in cui dici "qui ed ora", ti precludi di poter usare filosoficamente la parola "assoluto".
La parola "assoluto" in filosofia appartiene infatti al linguaggio metafisico-dogmatico, la parola "certezza" appartiene invece, oggi, all'epistemologia; se le confondiamo, "assoluto" diventa ridondante rispetto a "vero" (e ogni verità diventa allora "assoluta", con le dovute precisazioni: "fino ad oggi", "stando ai dati", etc.).
Questo tipo di "assolutezza relativa al presente" (!?) è sterile, e lo dimostra il fatto che può essere cancellata senza cambiare il "valore" della verità a cui si riferisce.


Angelo Cannata

Citazione di: Carlo Pierini il 05 Settembre 2017, 14:12:16 PMLa filosofia è anche una attività del pensiero. Ma il suo fine è la ricerca della verità delle cose (conoscenza) e dei criteri generali da seguire per questo scopo. "Filo-sofia" significa "amore per la sapienza", non amore per l'attività del pensiero fine a se stessa. E "sapienza" è la conoscenza della verità sul mondo e su noi stessi.
Il fine della filosofia non è quello che stabilisci tu o io. Se vuoi individuare un fine che sia valido per chiunque, allora devi fare riferimento a qualche fonte e chiarire la tua posizione in merito alla fonte. Questa è onestà intellettuale. Altrimenti siamo alle solite: stabilisci aribitrariamente definizioni, fini e quant'altro e poi accusi le persone di arroganza perché non corrispondono a definizioni e fini che ti sei inventato.
L'etimologia di un termine non ha alcun valore per stabilire il significato di una parola; può essere utile a discuterlo (cosa che tu non fai), ma non a stabilirlo. Chi lo stabilisce sono vocabolari ed enciclopedie, sui quali possiamo poi anche discutere. Ma tu non ti confronti con vocabolari ed enciclopedie, stabilisci e basta. E poi accusi gli altri di pontificare e di usare arroganza.

InVerno

#26
Citazione di: Angelo Cannata il 05 Settembre 2017, 09:47:44 AMinfatti l'abbreviazione K. viene ideata proprio per diminuire il lavoro da fare col cervello o con la tastiera, col risultato di favorire la smemoratezza. È facile rendersi conto che la smemoratezza è amica della presunzione, l'opposto dell'umiltà.
Ti sbagli, l'ho "inventata" proprio per fare un meta-esperimento, o meglio fare un meta-scherzo, volevo vedere se avrebbe attechito nella discussione e vedere in quali contesti sarebbe stata usata una o l'altra forma. Volevo anche esclamare "K. non è Korzybski" ma l'hai fatto prima tu, e mi hai bruciato la battuta!  Cerca di essere meno perspicace per favore.
CitazioneE dove sta scritto che esiste una incommensurabilità fondamentale tra soggetto e oggetto del discorso? Se così fosse, tutto quello che hai scritto tu (e K) sarebbe a sua volta incommensurabile con la realtà epistemologica che tenti di descrivere. Se invece vuoi che qualcuno prenda in considerazione ciò che dici, devi pre-supporre la possibilità che il tuo linguaggio (soggettivo), la tua mappa, possa rispecchiare fedelmente l'oggetto.

Ma allora, se la logica stessa del linguaggio ti obbliga a presupporre la possibilità della verità (pena l'auto-contraddizione), non sarà che la nostra idea di linguaggio, inteso come un'invenzione arbitraria e convenzionale dell'uomo, che nulla avrebbe a che vedere col mondo, è un'idea sballata e che esso, alla stregua di tutti gli altri simboli (il linguaggio è simbolo), faccia invece parte della Natura (nel senso pagano di materia+spirito) e che emerga da essa come potenziale immagine speculare della Natura stessa? Non sarà proprio questo il senso dell'intuizione religiosa secondo cui "in principio era il Verbo, per mezzo del quale tutto è stato fatto"?. E non sarà proprio questo il senso anche dell'idea leibniziana che vede una "armonia praestabilita" (almeno potenziale) tra linguaggio e cosa, tra soggetto e oggetto? ...Oppure dell'idea platonica secondo la quale ogni ente sensibile discende da un corrispondente "modello celeste" (l'archetipo), fatto della stessa sostanza delle idee (cioè del Verbo)? ...Oppure il senso delle credenze, diffuse in tutto l'arco spazio-temporale della nostra tradizione mitico-religiosa, secondo le quali...
Per quanto ne so io di linguistica è una questione estremamente attuale e divisiva, non solo l'origine storica del linguaggio ma l'origine in ogni singolo individuo, siamo abituati e magari ci spazientiamo se il bambino "ancora non parla" ma la realtà è che è di fronte all'ostacolo più grande, quello che nella natura conosciuta nessun altro supera. Proprio per questo ho difficoltà di credere che faccia parte di quello che generalmente consideriamo il dominio naturale, perchè il linguaggio è il mattone con cui si costruisce tutto ciò che normalmente non è considerato naturale ma artificiale (ma tutto questo potrebbe essere una semplice incomprensione riguardo alla parola natura, a cui peraltro io non attribuisco la maiuscola a differenza tua, e quindi ho il forte sospetto che sia così). Però tu prendi il linguaggio come una specie di corpus conoscitivo calato dall'alto (o di riflesso) tuttavia il suo sviluppo non sembra esattamente cosi lineare da poter far supporre  ciò. Per esempio, prima del "soma" greco non esisteva una parola per definire "corpo" (corpse in inglese ancora ancora significa "cadavere"  a memoria del fatto che importarono la parola senza avere il concetto sotteso), come mai alcune lingue ancora per dire "corpo" sono costrette ad elencare i propri arti ed amenicoli? Non sono stati baciati dalla natura? Eppure è una parola piuttosto importante. In russo generalmente "essere" si omette, non dico che non ci sia, è sottinteso, ma sistematicamente viene omesso in quanto "ovvio", se  dici "sono a Mosca" i moscoviti capiranno subito che non sei uno dei loro. Come mai il riflesso del "Verbo" (che è logos) è cosi ondivago? Per non parlare di strutture linguistiche estremamente diversificate che hanno poco o niente della lingua "moderna". Se la risposta è che la linguistica è una convenzione, allora sei sulla mia stessa barca, ma allora la (N)atura non c'entra niente con le convenzioni, senza perciò negare che vi sia un "quid" innato che predispone l'uomo alla vocalizzazione e all'astrazione. Un esempio diverso è che tutto il mondo conta base dieci, da qualche anno un simpatico gruppo di matematici ha proposto di passare a base dodici, perchè dodici è multiplo di più numeri e molte più frazione di esso evitano i "fastidiosi" decimali. Purtroppo abbiamo dieci dita, e almeno ai bambini (almeno fino a qualche anno fa) fanno comodo per contare. Immagina due universi paralleli, uno dove si conta in base dieci e uno in base dodici, io ti chiedo, quale dei due è riflesso del "Verbo" e quale "semplice convenzione"? Tu dirai quello base dieci, dieci sono le dita, dieci è la natura. Io poi ti farò notare che le quattro dita lunghe hanno dodici spezzoni, è che base dodici era usato anche nel tuo universo (unità di misura non metriche) e che anche l'universo base dodici era nato per per riflesso della natura. Ho paura che non ne usciremo vivi :) Peraltro, non per infierire, ma visto che citi il il palazzo di Ceylon, l'idea  di inizio novecento che l'architettura sacrale fosse cosi costituita per riflettere o comunicare un messaggio ontologico, è davvero bislacca, visto che la ricorrenza più comune è la forma fallica, dovremmo trarre per deduzione che la sacralità è una forma di sessualità repressa, quindi al posto di Jung dovremmo cominciare a citare  Freud e a Jung non piacerebbe ;)
Non ci si salva da un inferno, sposandone un altro. Ipazia

Angelo Cannata

Citazione di: Carlo Pierini il 05 Settembre 2017, 14:12:16 PMLa filosofia è anche una attività del pensiero
...
E "sapienza" è la conoscenza della verità sul mondo e su noi stessi.
L'esordio potrebbe essere preso per una discussione critica su ciò che dice il vocabolario, ma viene a risultare del tutto infondato.
Visto che scrivi che, rispetto a ciò che dice il vocabolario, filosofia non è solo, ma anche un'attività del pensiero, sarebbe interessante se tu riuscissi ad indicare qualche tipo di filosofia che non è attività del pensiero.

Che sapienza sia "la conoscenza della verità sul mondo e su noi stessi" corrisponde alla solita pretesa di pontificare definizioni senza curarsi di consultare alcuna enciclopedia o vocabolario.

Carlo Pierini

#28
Citazione di: Angelo Cannata il 05 Settembre 2017, 17:25:53 PM
Citazione di: Carlo Pierini il 05 Settembre 2017, 14:12:16 PMLa filosofia è anche una attività del pensiero
...
E "sapienza" è la conoscenza della verità sul mondo e su noi stessi.
L'esordio potrebbe essere preso per una discussione critica su ciò che dice il vocabolario, ma viene a risultare del tutto infondato.
Visto che scrivi che, rispetto a ciò che dice il vocabolario, filosofia non è solo, ma anche un'attività del pensiero, sarebbe interessante se tu riuscissi ad indicare qualche tipo di filosofia che non è attività del pensiero.

Tutte le filosofie sono anche attività di pensiero. Attività che però non è fine a sé stessa, ma è finalizzata alla ricerca della verità.  

ANGELO
Che sapienza sia "la conoscenza della verità sul mondo e su noi stessi" corrisponde alla solita pretesa di pontificare definizioni senza curarsi di consultare alcuna enciclopedia o vocabolario.

CARLO
I vocabolari non sono stati scritti dal dito di Dio, ma da uomini come me. Infatti, se prendi un dizionario filosofico puoi leggere:
"Per Platone la Filosofia implica: 1 - l'acquisizione della conoscenza più valida e più estesa possibile; 2 - l'uso di questa conoscenza a vantaggio dell'uomo.  ...Per Cartesio la F. è finalizzata ad una perfetta conoscenza di tutte le cose che l'uomo può conoscere.   Per Kant è la scienza delle relazioni tra le diverse forme di conoscenza. ...Per Aristotele è la scienza della verità. ...Per Fichte è la scienza di tutte le scienze. ...Per Dilthey è lo studio della fondazione del sapere. ...Per Locke è lo sforzo per liberare l'uomo dall'ignoranza. ...Per Sartre è la totalizzazione del sapere". ...E altre centinaia che mettono comunque in stretta relazione la F. con la conoscenza.

sgiombo

Citazione di: Sariputra il 05 Settembre 2017, 10:44:15 AM
Vorrei introdurre il concetto di "ragionevolezza"...non è filosofico ma "sapienziale", vabbè!... :)
Se lo scetticismo appare razionalmente insuperabile, come afferma secondo me coerentemente Sgiombo, la ragionevolezza ( non la razionalità pura e astratta) ci induce a mitigare questo scetticismo totale iniettando un certo grado di certezza dovuto alla continuità del ripetersi dell'esperienza. Se , come afferma Popper, la razionalità ci dice che, se anche verifichiamo che una data cosa avviene sempre allo stesso modo, nulla ci dà la certezza che non possa avvenire in un altro, la ragionevolezza ci induce a ritenere che non succederà "nella realtà" ( non vedremo mai, per esempio, un uomo mettersi a volare come un uccello anche se la razionalità non lo può negare in assoluto...). Questa ragionevolezza è quella iniezione , secondo me necessaria, di "fede" o fiducia che dir si voglia della quale mi sembra parli Sgiombo ( se ho ben compreso...). Quindi, se lo scetticismo è insuperabile sul piano della pura speculazione astratta, esiste una dimensione attingibile dall'esperienza percettiva, che ho definito, forse in maniera approssimativa, come "sapienza" che ci rimette sul piano di un'interagire fruttuoso con la "realtà vera".
Spero di essermi spiegato ( non sono un filosofo...) :)
CitazioneSono proprio d' accordo: voler essere razionalisti del tutto conseguentemente, "fino in fondo" condanna inevitabilmente alla passività pratica: se non posso essere certo di nulla non posso agire a ragion veduta, ma solo del tutto a casaccio.

Invece una "ragionevolezza" (e non una razionalità del tutto conseguente), che ammette un minimo di credenze indimostrabili permette (per mal che vada, per lo meno l' illusione di) agire più o meno efficacemente per i fini che sentiamo di perseguire.

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