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Essere o non essere

Aperto da InVerno, 04 Settembre 2017, 08:46:35 AM

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InVerno

Ultimamente nel forum spiritualità compare questa locuzione in maniera molto capillare : "la mappa non è il territorio" allora mi sono chiesto quanti di voi siano disposti ad accettarne il significato esteso. Il dictum di Korzybski infatti riguarda specialmente il verbo "essere"  utilizzato per definire identità, che lo stesso K. riteneva essere principalmente una fallacia logica dove due termini di diverso livello di astrazione vengono fatti equivalere indebitamente. Come soluzione egli proponeva di utilizzare essere identificativo solo in forma negativa, di qui, la famosa frase.
Penso che in un momento storico dove il perno politico del mondo ha a che fare profondamente con l'identità, questo tipo di discussione sia quanto meno doveroso. Noi siamo occidentali o facciamo gli occidentali? Noi siamo materialisti o ci comportiamo da materialisti? Oppure dovremmo identificarci per negazione di ciò che non siamo? E' inutile dire che questa è tutt'altro che una querelle linguistica, perdere il verbo essere per definire identità significa perdere la maggior parte del vigore che determinati strumenti retorici possiedono, a scapito di una comodità che secondo K. è semplicemente contraddittoria. Definire identità per negazione, è non solo scomodo, ma anche tremendamente "impreciso", per definirci finiremmo a fare come si faceva nelle edda norrene dove il nome proprio era preceduto da uno stuolo di parenti. Io ho postato in filosofia ma in realtà gli sviluppi di questo tema sono pressochè illimitati ad ogni campo (per questo l'ho ricondotto al dilemma amletico), nel caso del determinismo linguistico ad esempio dovremmo aspettarci che con un po di pratica nell'evitare l'utilizzo improprio di essere, la nostra prospettiva del mondo cambierebbe drasticamente, chissà come.
Non ci si salva da un inferno, sposandone un altro. Ipazia

Sariputra

Mah!...Non so se ho capito bene ma, a parer mio:
Se facciamo gli occidentali siamo occidentali.
Se facciamo i materialisti siamo materialisti.
Ossia , la pratica determina quello che sei. Posso infatti pensare, per esempio, di essere generoso ma non praticare la generosità. Se viceversa pratico la generosità, anche senza pensare di essre generoso, sono generoso.
"La mappa non è il territorio" ma senza territorio dov'è la mappa?
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

paul11

#2
ciao Inverno,
sono saltati  i termini che includevano delle definizioni proprio nel rapporto fra teoria e pratica. Perchè il mondo è cambiato.
Ma trovo che anche in filosofia non esiste un termine, ad esempio l"essere" che sia combaciante con altri autori.
Significa che è il contesto che definisce e ridefinisce il termine.
Politicamente oggi è difficile coniugare destra = reazionari conformisti ; sinistra= progressisti.
Penso che le teorie mutando abbiano ridefinito  i termini e a loro volta i termini spesso siano in conflitto con la realtà fisica, sociale.
Il nome quindi non corrisponde con la definizione(o più definizioni), allora sono le definizioni che cercano nuovi termini.
Per Heidegger Occidente corrispondeva al mondo intero.

Il  linguaggio è una forma relazionale che lega i domini dell'astratto e concreto; per dirla hegelianamente è il processo dialettico storico che ridefinisce le relazioni con  i relativi nomi e definizioni.
Se si "perde"  il nome ,che si porta dietro un suo sistema relazionale che lo definisce quindi anche linguisticamente, significa in qualche modo non avere quanto meno una chiara identità , per cui  il linguaggio non informa più,  non riesce a comunicare e soprattutto a socializzare. Ognuno interpreta a suo modo.

Quando tempo fa scrivevo che l'attuale contemporaneità è fortemente metafisica, contrariamente ai luoghi comuni del "materialismo" intendevo anche al fatto che le figure simboliche della metafisica, non sono mai morte, così come nel mito, semplicemente diventano  più ambigue nel rapporto fra astrazione e concretezza reale.
Non c'è nulla di più metafisico del concetto di moneta, di Stato.............eppure sono così concrete e reali da condizionare esistenze di miliardi di umani.


...dimmi se sono dentro l'argomento che vuoi trattare, perchè anche a me pare molto vasto.

Carlo Pierini

#3
Citazione di: InVerno il 04 Settembre 2017, 08:46:35 AM
Ultimamente nel forum spiritualità compare questa locuzione in maniera molto capillare : "la mappa non è il territorio" allora mi sono chiesto quanti di voi siano disposti ad accettarne il significato esteso. Il dictum di Korzybski infatti riguarda specialmente il verbo "essere"  utilizzato per definire identità, che lo stesso K. riteneva essere principalmente una fallacia logica dove due termini di diverso livello di astrazione vengono fatti equivalere indebitamente. Come soluzione egli proponeva di utilizzare essere identificativo solo in forma negativa, di qui, la famosa frase.
Penso che in un momento storico dove il perno politico del mondo ha a che fare profondamente con l'identità, questo tipo di discussione sia quanto meno doveroso. Noi siamo occidentali o facciamo gli occidentali? Noi siamo materialisti o ci comportiamo da materialisti? Oppure dovremmo identificarci per negazione di ciò che non siamo? E' inutile dire che questa è tutt'altro che una querelle linguistica, perdere il verbo essere per definire identità significa perdere la maggior parte del vigore che determinati strumenti retorici possiedono, a scapito di una comodità che secondo K. è semplicemente contraddittoria. Definire identità per negazione, è non solo scomodo, ma anche tremendamente "impreciso", per definirci finiremmo a fare come si faceva nelle edda norrene dove il nome proprio era preceduto da uno stuolo di parenti. Io ho postato in filosofia ma in realtà gli sviluppi di questo tema sono pressochè illimitati ad ogni campo (per questo l'ho ricondotto al dilemma amletico), nel caso del determinismo linguistico ad esempio dovremmo aspettarci che con un po di pratica nell'evitare l'utilizzo improprio di essere, la nostra prospettiva del mondo cambierebbe drasticamente, chissà come.

E come spiega, Korzybski, l'esistenza di "mappe" inadeguate, che non danno alcun contributo alla conoscenza, e "mappe" adeguate  che, invece, possono produrre delle vere e proprie rivoluzioni conoscitive?  
Korzybski sostiene, cioè, che le nostre astrazioni, le nostre percezioni e la nostra lingua ci allontanano sempre e comunque dalla realtà; ma anche questa sua affermazione è una astrazione basata sulle sue percezioni ed espressa sul piano verbale. ...E allora perché essa dovrebbe corrispondere con la realtà? Perché, cioè, dovrei dargli credito? Tutte le astrazioni sono fuorvianti, tranne quelle di Korzybski ?
Torniamo all'ineludibile auto-contraddittorietà di ogni concezione che neghi (o indebolisca) la possibilità della verità. Otto Apel esprime meglio di me questa aporia:

"Come scrive Karl Otto Apel, chi sostenesse che *noi* dobbiamo ammettere che *noi* non possiamo giungere a verità indubitabili, cadrebbe in una «autocontraddizione performativa», poiché nel primo *noi* afferma ciò che nega nel secondo. Analogamente, chi tentasse di negare argomentativamente l'esistenza e le regole della situazione argomentativa, cadrebbe anche lui in una autocontraddizione performativa, in quanto negherebbe nella parte proposizionale ciò che nell'atto argomentativo necessariamente ammette o presuppone. [...] Ma se la situazione argomentativa implica l'esistenza di verità «incontestabili» e di credenze «apodittiche», vuol dire che UNA FONDAZIONE ULTIMA RISULTA FILOSOFICAMENTE POSSIBILE. [...] La costruzione di una semiotica trascendentale si accompagna a una polemica incessante contro gli aspetti relativistici, scettici e nichilistici del pensiero contemporaneo e a un rifiuto delle odierne prospettive di indebolimento della ragione. Prospettive alle quali Apel ha inteso contrapporre una rinnovata «fondazione della razionalità nei suoi aspetti teoretici, etici ed epistemologici» (S.PETRUCCIANI: Etica dell'argomentazione. Ragione, scienza e prassi nel pensiero di Karl Otto Apel). Infatti, contro coloro per i quali non vi sono pretese di validità «ma solo narrazioni o conversazioni o qualcosa del genere», Apel sentenzia che «la pretesa di validità è per il filosofo, come aveva visto correttamente Hegel, una condanna inevitabile». Del resto, le stesse tesi antifondative «continuano ad essere sostenute come tesi che rientrano nel contesto argomentativo,  vengono cioè sostenute con una pretesa universale di validità, esigenza che però dal punto di vista performativo è contraddittoria»".   [N. ABBAGNANO: Storia della filosofia, vol.IX - pp.224/227]

green demetr

Dico solo che ho perso 2 ore di lavoro sulla risposta..... >:(
per una volta che lavoravo on-line....grrrrrr

Provo a riscrivere ma le mie energie intellettuali sono al lumicino.
Spero di riassumere quanto andavo pensando.

1. le mie considerazioni personali.

per me la copula "è" ha un valore semplicemente insiemistico (e mi riferisco a Peirce che nella parola essere non ci vede il significato di esistenza).
Ma è una insiemistica del realismo perciò il co-dominio del soggetto sono sempre degi segni-oggetto  e non dei segni puri come nel nominalismo di R. presumo tanto che egli crede che mappa e territorio siano avulsi l'uno con l'altro.
Mi par di capire che per R. i segni del soggetto sia avulsi dal segno del territorio sempre praticamente.
Io credo invece che il soggetto sia formato da segni-oggetto.

2. le 3 questioni della domanda "siamo quello che siamo, siamo quello che crediamo di essere o siamo quello che crediamo di essere e non essere?"

Per me richiama allo scontro tra analitici e continentali.

Per i primi la res generica, diventa sempre res extensa, così anche il pensiero diventa res extensa riducendo tutto ad una forma unica di vivente. (monismo riduzionista) Quindi ogni pensiero diventa ontologico.

Per i secondi è quello che pensiamo che decide di ciò che facciamo. Ed è la tradizione fenomenologica continentale.

La terza è la posizione metafisica classica, dove le due res extensa e pensata vengono mediate da Dio (dualismo classico moderno).

3 le mie risposte ad inverno

cit Penso che in un momento storico dove il perno politico del mondo ha a che fare profondamente con l'identità, questo tipo di discussione sia quanto meno doveroso.

Assolutamente d'accordo. Per questo credo sia questione fra le più complicate da affrontare.


cit "Noi siamo occidentali o facciamo gli occidentali? Noi siamo materialisti o ci comportiamo da materialisti? Oppure dovremmo identificarci per negazione di ciò che non siamo? "

Mi è piaciuta tanto la domanda che solleva molte domande a cascata.

Noi siamo occidentali perchè pensiamo che esista qualcosa come la Occidentalità.
Noi siamo materialisti perchp pensiamo che esista qualcosa come la Materilità.


cit " nel caso del determinismo linguistico ad esempio dovremmo aspettarci che con un po di pratica nell'evitare l'utilizzo improprio di essere, la nostra prospettiva del mondo cambierebbe drasticamente, chissà come."

Il punto focale è proprio quello che il modello analitico ha vinto (egemonia culturale) e perciò la gente crede che Occidentalità e Materialità non siano semplicemente il frutto di un sistema linguistico-culturale.
Ma cose se esistessero veramente come enti (che è poi il frutto della ontologizzazione del pensiero).
Al di là se questo sia un bene o un male (ossia il fare a meno della medizione divina) rimane interessante proprio il lato politico.
Poichè dalla religione tradizionale il potere decisionale spetta al mondo scientifico.

Come diceva Heidegger, è il pensiero stesso a essere in pericolo di non venir più pensato.

(dai soli 20 minuti...ok!saluti!)

gli altri post li comment domani nel caso
Vai avanti tu che mi vien da ridere

InVerno

Citazione di: Sariputra il 04 Settembre 2017, 10:36:32 AM
Mah!...Non so se ho capito bene ma, a parer mio:
Se facciamo gli occidentali siamo occidentali.
Se facciamo i materialisti siamo materialisti.
Ossia , la pratica determina quello che sei. Posso infatti pensare, per esempio, di essere generoso ma non praticare la generosità. Se viceversa pratico la generosità, anche senza pensare di essre generoso, sono generoso.
"La mappa non è il territorio" ma senza territorio dov'è la mappa?
In realtà nelle retoriche difensive viene evidenziato spesso il contrario, ovvero che un azione non qualifica la persona (fare una cosa intelligente non significa essere intelligenti), e tante altre "fallacie logiche" derivate a cascata (la più famosa, indentificare un gruppo attraverso individui). Io però ho usato verbi che descrivono azioni ripetute (comportamento) e quindi tu puoi affermare che la ripetizione di un azione sia capace di tratteggiare una persona. Facciamo una cosa, prima di andare avanti cerchiamo di capire cosa dice K. e specifico (per Paul) che per ora, finchè la questione puramente linguistica non sarà meglio definita vorrei cercare di non allontanarmi troppo.
Il punto è che (secondo K.) nelle affermazione di identità il soggetto e l'oggetto appartengono a due livelli di astrazione (linguistica) differente, e perciò sono incompatibili e non possono essere considerati equivalenti (cioè non sono uno l'altro). Ci intendiamo riguardo al livello di astrazione? La mappa è un oggetto, e appartiene al dominio del reale, il territorio è un astrazione e appartiene al dominio verbale. Per dirla in maniera spicciola è come dire che 1kilo pane è 1 metro di farina, le due non solo non si equivalgono ma non interagiscono nemmeno tra loro. (e' un esempio fuorviante in realtà, perchè entrambe fanno parte dello stesso dominio e la diversità di dominio è rappresentata dalla diversità di unità di misura)
K. a questo punto suggerisce come soluzione "tenere a mente" che anche "mappa" nel caso della comunicazione entra nel dominio verbale, e perciò non è la mappa ma la "parola mappa" Secondo me invece, anche se si può "tenere a mente" la realtà è che le due parole continuano ad avere un ordine di astrazione diverso .
Immagina di fare un esperimento, e chiedere a mille persone di disegnare "una mappa", il risultato sarà vario entro un certo livello, perchè si tratta comunque di un oggetto con determinate caratteristiche ricorrenti e tangibile nella realtà. Ora immagina di chiedere di disegnare "un territorio" e vedrai la varietà interpretativa della parola è grandemente superiore.  Questo deriva dal fatto che i due sostantivi appartengono a due livelli di astrazione linguistica diversa, e per questo motivo l'essere identità è improprio.

@Green Demetr, anche io sono al lumicino con il tempo, ti rispondo più avanti.
Non ci si salva da un inferno, sposandone un altro. Ipazia

Angelo Cannata

#6
Non so se farei meglio ad iniziare una discussione apposita, ma mi sembra che ciò che scriverò qui di seguito rientri nel tema.

Ho visto sostenere diverse volte a sgiombo che i giudizi analitici apriori garantiscono certezza, al prezzo di non aumentare la conoscenza. Su Wikipedia c'è questa descrizione del giudizio analitico apriori in Kant:

I giudizi analitici a priori sono ovvi e non derivano dall'esperienza. Ad esempio: «I corpi sono estesi». Il predicato qui attribuito al soggetto corpi non dice nulla in più di ciò che già si sa, l'estensione è già implicita nella definizione di corpo e non occorre esperienza per formulare questa proposizione. Questo tipo di giudizio perciò non permette di progredire.

Ora, vorrei sottoporre a critica l'idea che tali giudizi garantiscano certezza, sulla base del riferimento al tempo e all'inaffidabilità della nostra mente.

Il giudizio analitico apriori appare come garanzia di certezza perché prescinde dall'esperienza, basandosi invece su definizioni stabilite dal soggetto, cioè da noi stessi. Viene a funzionare in questo modo, costituito da due momenti:

1) si stabilisce una definizione. Stabiliamo che per corpi s'intendono i corpi estesi. Siamo tutti d'accordo nello stabilire che con la parola corpi s'intendono i corpi estesi, nello stabilire che dire corpo e dire corpo esteso è la stessa cosa; tutt'al più, dire "corpo esteso" è una ridondanza, perché esplicita una qualità già inclusa nella definizione di corpo. È come dire fuoco acceso: se è fuoco non può non essere acceso. Oppure: H2O è il simbolo chimico dell'acqua.

2) si pronuncia un giudizio basato esclusivamente sulle informazioni già contenute nella definizione: i corpi sono estesi, il fuoco è acceso, H2O è il simbolo chimico dell'acqua. Questo giudizio viene a risultare giudizio analitico apriori e quindi inconfutabile, assolutamente certo, perché non fa che ripetere ciò che noi stessi abbiamo stabilito, concordato.

A questo punto mi sembra che ci sia qualcosa di criticabile quanto alla certezza. Il problema sta nel fatto che si tratta di due momenti, i quali, per poter essere posti in atto, hanno bisogno del tempo e della mente. Infatti, perché esista un giudizio analitico a priori, c'è bisogno di un prima e un dopo: prima bisogna stabilire una definizione; dopo bisogna formulare un giudizio che si basi esclusivamente su di essa. Questi due momenti devono essere posti in atto da una mente umana.

Supponiamo ora di trovarci nel secondo momento, quello del giudizio, successivo alla definizione. Chi mi garantisce che il giudizio "H2O è il simbolo chimico dell'acqua" rispecchi davvero la definizione concordata? Semplice, vado a controllare la definizione e vedo se dice le stesse cose espresse nel giudizio. Ma, mentre vado a controllare la definizione, chi mi dice che la mia mente stia ricordando fedelmente ciò che è stato espresso nel giudizio? E viceversa, quando tornerò a controllare il giudizio, chi mi garantisce che la mia mente stia ricordando fedelmente quanto previamente stabilito nella definizione? È il classico problema psicologico di chi torna in continuazione a controllare se ha chiuso bene la porta di casa, perché al ritorno ha il dubbio che forse, mentre effettuava il controllo, la mente si è distratta da altri pensieri e il controllo non è stato fatto a dovere. Questo problema, oltre che psicologico, è filosofico, nel senso che tutti i nostri ragionamenti, tutti gli atti della nostra mente si basano sul tempo, hanno un prima e un dopo. L'esserci di un prima e un dopo crea il problema insormontabile che tra il prima e il dopo non ci sia stata una comunicazione fedele, perfetta. Si potrebbe pensare come esempio anche a quando dobbiamo contare un gran numero di oggetti e alla fine ci rimane il dubbio se durante la conta la nostra mente si sia distratta e abbiamo sbagliato qualche numero. La conclusione è che, lì dove sono necessari tempo e mente umana, non risulta esserci affidabilità, perché tempo significa sfasamento tra essere ed essere.
Quest'affermazione non è una certezza, ma solo un presumere; se fosse una certezza sarebbe una conquista; ma nulla ci garantisce che anche in questo ragionamento non ci siano stati errori della nostra mente. Il fatto è che la mancanza di garanzie non equivale a certezza di garanzie opposte: la mancanza di garanzie di certezza sull'inaffidabilità non ci fornisce certezza dell'opposto, cioè che debba esistere qualcosa di affidabile: potrebbe esistere, potrebbe non esistere.

Ciò non è altro, mi sembra, che l'intuizione di Heidegger, contenuta già nel titolo stesso della sua opera "Essere e tempo": a noi umani non risultano finora possibilità di pensare l'essere senza inquinare tale pensiero con i dubbi provocati dal tempo in cui la nostra mente è costretta a muoversi. Tengo a sottolineare il "non risultano finora": non ho scritto "non esistono, non sono possibili", altrimenti avremmo conquistato una certezza. Diciamo solo: a quanto pare, forse, non sono possibili certezze. E già queste stesse parole dobbiamo dirle con umiltà e modestia, perché non siamo neanche certi (forse) di sapere cosa significano.

Da ciò non segue che sia impossibile ragionare, impossibile dire o pensare alcunché. Possiamo dire e pensare tutto, ma il nostro essere nel tempo sembrerebbe dirci che sia necessario farlo con umiltà.

Tutto ciò può essere reso in termini ancora più acuti, osservando che in realtà va a finire che non solo non possiamo pronunciare giudizi analitici a priori, ma non possiamo neanche limitarci alla sola definizione. Infatti, anche il solo fermarsi al momento 1, cioè il momento della definizione, sarebbe pur sempre un porre in atto un gesto che comunque richiede la sua misura di tempo, con tutte le infedeltà che il tempo ci costringe a sospettare. Insomma, non possiamo neanche essere certi che 1=1, oppure che l'essere è, perché nulla ci garantisce che, già nel pensare la semplice idea di essere o di 1, non si siano verificate infedeltà, incoerenze, inganni nella nostra mente.

Il presente del tempo non riesce a darci alcuna garanzia sul prima, né sul dopo, né ci risulta possibile rivoltare il calzino e pensare di aver guadagnato, con questo tipo di critiche, alcuna certezza.

Carlo Pierini

#7
Citazione di: InVerno il 04 Settembre 2017, 14:38:00 PM
Il punto è che (secondo K.) nelle affermazione di identità il soggetto e l'oggetto appartengono a due livelli di astrazione (linguistica) differente, e perciò sono incompatibili e non possono essere considerati equivalenti (cioè non sono uno l'altro). Ci intendiamo riguardo al livello di astrazione? La mappa è un oggetto, e appartiene al dominio del reale, il territorio è un astrazione e appartiene al dominio verbale. Per dirla in maniera spicciola è come dire che 1kilo pane è 1 metro di farina, le due non solo non si equivalgono ma non interagiscono nemmeno tra loro.

E dove sta scritto che esiste una incommensurabilità fondamentale tra soggetto e oggetto del discorso? Se così fosse, tutto quello che hai scritto tu (e K) sarebbe a sua volta incommensurabile con la realtà epistemologica che tenti di descrivere. Se invece vuoi che qualcuno prenda in considerazione ciò che dici, devi pre-supporre la possibilità che il tuo linguaggio (soggettivo), la tua mappa, possa rispecchiare fedelmente l'oggetto.

Ma allora, se la logica stessa del linguaggio ti obbliga a presupporre la possibilità della verità (pena l'auto-contraddizione), non sarà che la nostra idea di linguaggio, inteso come un'invenzione arbitraria e convenzionale dell'uomo, che nulla avrebbe a che vedere col mondo, è un'idea sballata e che esso, alla stregua di tutti gli altri simboli (il linguaggio è simbolo), faccia invece parte della Natura (nel senso pagano di materia+spirito) e che emerga da essa come potenziale immagine speculare della Natura stessa? Non sarà proprio questo il senso dell'intuizione religiosa secondo cui "in principio era il Verbo, per mezzo del quale tutto è stato fatto"?. E non sarà proprio questo il senso anche dell'idea leibniziana che vede una "armonia praestabilita" (almeno potenziale) tra linguaggio e cosa, tra soggetto e oggetto? ...Oppure dell'idea platonica secondo la quale ogni ente sensibile discende da un corrispondente "modello celeste" (l'archetipo), fatto della stessa sostanza delle idee (cioè del Verbo)? ...Oppure il senso delle credenze, diffuse in tutto l'arco spazio-temporale della nostra tradizione mitico-religiosa, secondo le quali...

"Il mondo che ci circonda, civilizzato dalla mano dell'uomo, ha, come unica validità, quella dovuta al prototipo extraterrestre che gli è servito di modello. L'uomo costruisce secondo un archetipo; non soltanto la sua città o il suo tempio hanno modelli celesti, ma anche tutta la regione che abita, con i fiumi che la bagnano, i campi che gli dànno il nutrimento, ecc.".     [M. ELIADE: Il mito dell'eterno ritorno - pg.23]

"Una Gerusalemme celeste è stata creata da Dio prima che la città di Gerusalemme fosse costruita dalla mano dell'uomo: a quella si riferisce il profeta nell'Apocalisse Siriaca di Baruch, 2,42, 2-7: « Credi che sia là la città di cui ho detto: "Nella palma delle mie mani ti ho fondata" ?»".  [M. ELIADE: Il mito dell'eterno ritorno - pg.21]

"Secondo le credenze mesopotamiche, il Tigri ha il suo modello nella stella Anunit, e l'Eufrate nella stella della Rondine. Un testo sumerico parla della «dimora delle forme degli dèi », in cui si trovano «[gli dèi] dei greggi e quelle dei cereali». Anche per i popoli altaici le montagne hanno un prototipo ideale nel cielo. I nomi dei luoghi e dei nomi egiziani erano dati secondo i «campi celesti»: si cominciava con il conoscere i «campi celesti », poi li si identifìcava nella geografia terrestre.  Nella cosmologia iranica di tradizione zervanita «ogni fenomeno terrestre, astratto o concreto, corrisponde a un termine celeste, trascendente, invisibile, a un"' idea" nel senso platonico. Ogni cosa, ogni nozione si presenta sotto un duplice aspetto: quello di mênôk e quello di gêtîk. Vi è un cielo visibile: vi è quindi anche un cielo mênôk che è invisibile (Bundahishn, c. 1). La nostra terra corrisponae a una terra celeste. Ogni virtù praticata quaggiù, nel gêtâh, possiede una controparte celeste che rappresenta la vera realtà".  [M. ELIADE: Il mito dell'eterno ritorno - pg.19]

"Il tempio - come luogo sacro per eccellenza - aveva un prototipo celeste. Sul monte Sinai, Jahvè mostra a Mosè Ia «forma» deI santuario che dovrà costruirgli: «Costruirete il tabernacolo con tutti gli arredi, esattamente secondo il modello che ti mostrerò» (Es. 25,8-9). «Guarda e costruisci tutti questi oggetti secondo il modello che ti ho mostrato sulla montagna» (25,40]. E quando Davide dà a suo fìglio Salomone la pianta delle fondamenta dei tempio, del tabernacolo e di tutti gli arredi lo assicura che «tutto ciò... si trova esposto in uno scritto opera della mano dell'Eterno, che me ne ha dato la comprensione» (Cron. 1,28,19). Di conseguenza ha visto il modello celeste".   [M. ELIADE: Il mito dell'eterno ritorno - pg.20]

"Il palazzo-fortezza di Sîhagiri, a Ceylon, è costruito sul modello della città celeste Alakamanda, ed è «di difficile accesso per gli esseri umani» (Mahâvastu, 39,2). Anche la città ideale di Platone ha un archetipo celeste (Rep. 592b, cfr. ibid., 500e). Le «forme» platoniche non sono astrali, ma la loro regione mitica si situa tuttavla su piani sopra-terreni (Fedro, 247,250)".     [M. ELIADE: Il mito dell'eterno ritorno - pg.22]

In definitiva, perché dovrebbe essere giusta la mappa di Korzybski (che nega verità a qualunque mappa) piuttosto che la mappa intuita e affermata dal consensus gentium
Questa è una domanda vera, non una domanda retorica. Chi ha la risposta?



L'angolo musicale:
SWEET: Love is like oxigen
https://youtu.be/tXJ4TZSXtzc

SUPERTRAMP: The logical song
https://youtu.be/LrLvrPnyt48

Phil

Citazione di: InVerno il 04 Settembre 2017, 14:38:00 PM
K. a questo punto suggerisce come soluzione "tenere a mente" che anche "mappa" nel caso della comunicazione entra nel dominio verbale, e perciò non è la mappa ma la "parola mappa" Secondo me invece, anche se si può "tenere a mente" la realtà è che le due parole continuano ad avere un ordine di astrazione diverso
Concordo, anche secondo me è tutta una questione di livelli di astrazione:
-mondo fisico non-linguistico (prendiamolo per buono ;) )
-territorio (concetto che struttura cognitivamente l'astrazione del mondo fisico); si entra nel linguaggio ponendo l'identità astratta "territorio";
-mappa (oggetto, ma anche meta-concetto in quanto astrae alcune caratteristiche del concetto-territorio; ad esempio mappa politica, mappa delle strade, mappa dei musei...). Oggetto (la mappa) che "parla" di un'astrazione linguistica (il territorio);
- discorso sulla mappa (meta-discorso: discorso sulla precedente "comunicazione" dell'oggetto-mappa). Korzybski ci suggerisce di "tenere a mente" che anche la mappa-oggetto può essere a sua volta oggetto di un discorso;
- meta-discorso sulla mappa (discorso sul meta-discorso della mappa). Le nostre considerazioni su K. che parla della mappa, che parla del territorio, che parla del mondo che... per fortuna almeno lui sta zitto (e neanche  ;D )!

@Carlo
Considerare la differenza fra verità assoluta (ab-solutus, sciolta da ogni contesto semantico-spazio-temporale) e quella relativa (re-latus, riferita a un preciso contesto semantico-spazio-temporale) risolve la famigerata auto-contraddittorietà di cui parli, e non solo quella del buon K. (che, come ricordato da InVerno, ci mette lui stesso in guardia del non confondere i livelli di astrazione...).
Che nel relativismo (o nel pluralismo a esso collegabile) non ci sia gerarchia, quindi "una posizione vale l'altra", non è affato scontato, ma non voglio deviare il discorso off topic.

@Angelo
Concordo, la temporalità provoca uno scarto/ritardo inevitabile in ogni rappresentazione permanente (non dinamica), anche nel caso di mappa/territorio: quanto più la mappa cerca di essere esatta, tanto più appena finisco di tracciare la mappa, qualcosa nel territorio può essere cambiato... se rappresento il pianeta terra con un puntino, quella mappa sarà tanto vaga quanto perfetta, magari per milioni di anni; se voglio invece un mappa più dettagliata, ad esempio che rappresenti anche le auto, sarà impossibile (come ci suggerisce Zenone  ;D ) ritrarre in tempo reale il "movimento aggiornato" di ogni vettura (le riprese satellitari sono in questo l'evoluzione della mappa cartacea, in quanto non ritraggono, ma filmano in tempo reale).


Carlo Pierini

#9
Citazione di: Phil il 04 Settembre 2017, 17:54:26 PMConsiderare la differenza fra verità assoluta (ab-solutus, sciolta da ogni contesto semantico-spazio-temporale) e quella relativa (re-latus, riferita a un preciso contesto semantico-spazio-temporale) risolve la famigerata auto-contraddittorietà di cui parli, e non solo quella del buon K. (che, come ricordato da InVerno, ci mette lui stesso in guardia del non confondere i livelli di astrazione...).

Sono queste astrazioni fatte solo di parole e prive di riscontri con il reale che ti (vi) portano fuori strada (ordo et connexio rerum idem est ac ordo et connexio idearum).
Quando ci troviamo in contesti semantici caratterizzati dall'univocità dei riferimenti segno-oggetto, siamo già sciolti da ogni condizione di tipo semantico spazio-temporale che potrebbe confutare la nostra verità.
Tanto per rimanere negli esempi di verità assoluta già elencati, se io affermo che "la Terra gira intorno al Sole", non esprimo alcuna ambiguità semantica, quindi la sua assolutezza si riferisce anche all'indipendenza da possibili altre interpretazioni semantiche che potrebbero confutarla.
Prima di formulare una affermazione astratta, si deve sapere da cosa si ab-strae, altrimenti non si fa filosofia, ma vuoti giochi di parole, mistificazione della verità.



L'angolo musicale:
TEMPTATIONS: My girl
https://youtu.be/C_CSjcm-z1w
 
GEORGE SYMONETTE: Don't touch me tomato
https://youtu.be/5zbkkVVSh3U

Phil

Citazione di: Carlo Pierini il 04 Settembre 2017, 21:06:40 PM
Sono queste astrazioni fatte solo di parole e prive di riscontri con il reale che ti (vi) portano fuori strada (ordo et connexio rerum idem est ac ordo et connexio idearum).
Tali "ordo et connexio" andrebbero tuttavia dimostrati epistemologicamente, non solo "affermati" dogmaticamente ("affermare" non è "interpretare" che non è "dimostrare"), e proprio riflettendo su ciò la filosofia del linguaggio si pone problemi critici come quello di K. o come l'affine questione dell'isomorfismo linguaggio/mondo in Wittgenstein (problemi che ognuno può reputare più o meno rilevanti, ovviamente...).

Citazione di: Carlo Pierini il 04 Settembre 2017, 21:06:40 PM
Quando ci troviamo in contesti semantici caratterizzati dall'univocità dei riferimenti segno-oggetto, siamo già sciolti da ogni condizione di tipo semantico spazio-temporale che potrebbe confutare la nostra verità.
Tanto per rimanere negli esempi di verità assoluta già elencati, se io affermo che "la Terra gira intorno al Sole"
Anche questa è una verità dipendente dal suo contesto semantico-spazio-temporale: nella fattispecie, è una verità relativa a questo tempo (un domani la terra potrebbe anche fermarsi o avere un moto diverso rispetto al sole), quindi temporalmente non è una verità assoluta (semmai ve ne possano essere di tal tipo senza essere dogmatiche, come si legge anche fra le righe di quanto scritto da Angelo, se ho ben capito).
Comunque, la questione sul relativismo la lascerei a margine, per restare (con)centrati sul topic  :)

Carlo Pierini

#11
Citazione di: Phil il 04 Settembre 2017, 22:13:45 PM
Citazione di: Carlo Pierini il 04 Settembre 2017, 21:06:40 PM
Sono queste astrazioni fatte solo di parole e prive di riscontri con il reale che ti (vi) portano fuori strada (ordo et connexio rerum idem est ac ordo et connexio idearum).
Tali "ordo et connexio" andrebbero tuttavia dimostrati epistemologicamente, non solo "affermati" dogmaticamente ("affermare" non è "interpretare" che non è "dimostrare"), e proprio riflettendo su ciò la filosofia del linguaggio si pone problemi critici come quello di K. o come l'affine questione dell'isomorfismo linguaggio/mondo in Wittgenstein (problemi che ognuno può reputare più o meno rilevanti, ovviamente...).

Perché non l'hai chiesta anche a Korzybski la medesima dimostrazione? Sarà, forse, perché il suo è davvero un dogma che, come tale, non può portare nessuna osservazione reale a suo supporto?
Il paradigma di Spinoza, al contrario, è supportato da una verifica che nessun altro criterio epistemologico può sognarsi di ottenere: l'applicazione dell'ordo et connexio numerorum (la matematica) al modo fisico e l'applicazione dell'ordo et connexio astrorum (il modello eliocentrico) ai moti del Sistema Solare hanno dato origine al più grande salto evolutivo della conoscenza che l'umanità abbia mai conosciuto dopo la sua comparsa sulla terra: quello prodotto dalla Scienza.
...Ma, come ho già detto più volte, le comode superstizioni ideologiche non si schiodano nemmeno di fronte alle evidenze più sfacciate!! Complimenti per la vostra "profondità filosofica"!

Citazione di: Carlo Pierini il 04 Settembre 2017, 21:06:40 PM
Quando ci troviamo in contesti semantici caratterizzati dall'univocità dei riferimenti segno-oggetto, siamo già sciolti da ogni condizione di tipo semantico spazio-temporale che potrebbe confutare la nostra verità.
Tanto per rimanere negli esempi di verità assoluta già elencati, se io affermo che "la Terra gira intorno al Sole"

PHIL
Anche questa è una verità dipendente dal suo contesto semantico-spazio-temporale: nella fattispecie, è una verità relativa a questo tempo (un domani la terra potrebbe anche fermarsi o avere un moto diverso rispetto al sole),

CARLO
Questa è un'altra esibizione della superficialità pressappochista del relativismo. La verità è la concordanza tra ciò che si dice e ciò che è; e io ho detto che "la Terra gira intorno al Sole" non che "la Terra girerà in eterno intorno al Sole"; ho usato il verbo al presente, e se non ti basta, posso anche aggiungere nell'enunciato la data e l'ora in cui l'ho detto, in modo tale che, se fra dieci minuti ci investe una stella vagante, ciò che ho scritto sarà comunque una verità eterna.

Prima di formulare una affermazione astratta, si deve sapere da cosa si ab-strae, altrimenti non si fa filosofia, ma vuoti giochi di parole, mistificazione della verità.     >:(  


L'angolo musicale:
AFTER THE FIRE: Der kommissar
https://youtu.be/t6CH9Tt-aSs

MEN AT WORK: Who can it be now?
https://youtu.be/SECVGN4Bsgg

sgiombo

Citazione di: Angelo Cannata il 04 Settembre 2017, 15:38:55 PM
Ho visto sostenere diverse volte a sgiombo che i giudizi analitici apriori garantiscono certezza, al prezzo di non aumentare la conoscenza. Su Wikipedia c'è questa descrizione del giudizio analitico apriori in Kant:

I giudizi analitici a priori sono ovvi e non derivano dall'esperienza. Ad esempio: «I corpi sono estesi». Il predicato qui attribuito al soggetto corpi non dice nulla in più di ciò che già si sa, l'estensione è già implicita nella definizione di corpo e non occorre esperienza per formulare questa proposizione. Questo tipo di giudizio perciò non permette di progredire.

Ora, vorrei sottoporre a critica l'idea che tali giudizi garantiscano certezza, sulla base del riferimento al tempo e all'inaffidabilità della nostra mente.

Il giudizio analitico apriori appare come garanzia di certezza perché prescinde dall'esperienza, basandosi invece su definizioni stabilite dal soggetto, cioè da noi stessi. Viene a funzionare in questo modo, costituito da due momenti:

1) si stabilisce una definizione. Stabiliamo che per corpi s'intendono i corpi estesi. Siamo tutti d'accordo nello stabilire che con la parola corpi s'intendono i corpi estesi, nello stabilire che dire corpo e dire corpo esteso è la stessa cosa; tutt'al più, dire "corpo esteso" è una ridondanza, perché esplicita una qualità già inclusa nella definizione di corpo. È come dire fuoco acceso: se è fuoco non può non essere acceso. Oppure: H2O è il simbolo chimico dell'acqua.

2) si pronuncia un giudizio basato esclusivamente sulle informazioni già contenute nella definizione: i corpi sono estesi, il fuoco è acceso, H2O è il simbolo chimico dell'acqua. Questo giudizio viene a risultare giudizio analitico apriori e quindi inconfutabile, assolutamente certo, perché non fa che ripetere ciò che noi stessi abbiamo stabilito, concordato.

A questo punto mi sembra che ci sia qualcosa di criticabile quanto alla certezza. Il problema sta nel fatto che si tratta di due momenti, i quali, per poter essere posti in atto, hanno bisogno del tempo e della mente. Infatti, perché esista un giudizio analitico a priori, c'è bisogno di un prima e un dopo: prima bisogna stabilire una definizione; dopo bisogna formulare un giudizio che si basi esclusivamente su di essa. Questi due momenti devono essere posti in atto da una mente umana.

Supponiamo ora di trovarci nel secondo momento, quello del giudizio, successivo alla definizione. Chi mi garantisce che il giudizio "H2O è il simbolo chimico dell'acqua" rispecchi davvero la definizione concordata? Semplice, vado a controllare la definizione e vedo se dice le stesse cose espresse nel giudizio. Ma, mentre vado a controllare la definizione, chi mi dice che la mia mente stia ricordando fedelmente ciò che è stato espresso nel giudizio? E viceversa, quando tornerò a controllare il giudizio, chi mi garantisce che la mia mente stia ricordando fedelmente quanto previamente stabilito nella definizione? È il classico problema psicologico di chi torna in continuazione a controllare se ha chiuso bene la porta di casa, perché al ritorno ha il dubbio che forse, mentre effettuava il controllo, la mente si è distratta da altri pensieri e il controllo non è stato fatto a dovere. Questo problema, oltre che psicologico, è filosofico, nel senso che tutti i nostri ragionamenti, tutti gli atti della nostra mente si basano sul tempo, hanno un prima e un dopo. L'esserci di un prima e un dopo crea il problema insormontabile che tra il prima e il dopo non ci sia stata una comunicazione fedele, perfetta. Si potrebbe pensare come esempio anche a quando dobbiamo contare un gran numero di oggetti e alla fine ci rimane il dubbio se durante la conta la nostra mente si sia distratta e abbiamo sbagliato qualche numero. La conclusione è che, lì dove sono necessari tempo e mente umana, non risulta esserci affidabilità, perché tempo significa sfasamento tra essere ed essere.
Quest'affermazione non è una certezza, ma solo un presumere; se fosse una certezza sarebbe una conquista; ma nulla ci garantisce che anche in questo ragionamento non ci siano stati errori della nostra mente. Il fatto è che la mancanza di garanzie non equivale a certezza di garanzie opposte: la mancanza di garanzie di certezza sull'inaffidabilità non ci fornisce certezza dell'opposto, cioè che debba esistere qualcosa di affidabile: potrebbe esistere, potrebbe non esistere.

CitazioneConcordo e sottoscrivo le considerazioni circa (la non superabilità de-) il dubbio (scettico) circa (ciò che ci dice) la memoria: nulla ci garantisce né ci può garantire che ciò che ci ricordiamo  sia vero, che ciò che secondo la memoria del passato, anche dell' immediato passato, é (stato) reale, che sia realmente accaduto.

Faccio tuttavia notare che  la memoria riguarda i giudizi sintetici a posteriori -termine del tutto evidentemente non casuale!- (circa i dati di fatto: eventuali -se veri- conoscenze di come é -stata, nella fattispecie- la realtà) e non i giudizi analitici a priori.

Posso dubitare di stare eseguendo correttamente un giudizio analitico a priori, poiché le premesse dalle quali mi ricordo di essere partito allorché sto tirando le conclusioni potrebbero non essere quelle da cui effettivamente (realmente) sono partito; ma questo giudizio degno di dubbio ("sto eseguendo correttamente un giudizio analitico a priori") é un giudizio sintetico a posteriori, un' affermazione che può esser vera circa ciò che realmente accade, che può essere una reale "conoscenza" (un giudizio "gnoseologicamente fertile"), ma che inevitabilmente paga la sua "fertilità gnoseologica" con la sua inevitabile incertezza.

Il giudizio analitico a priori (anche quello ipotetico oggetto di questo evento reale ipotizzato; di cui -cioé dell' evento reale: che sia in "in corso", e poi che stato svolto- non possiamo avere certezza), se é stato di fatto condotto in modo da essere) logicamente corretto -credo salvo casi "eccezionali" previsti dai teoremi di Goedel; e qui chiederei chiarimenti a Epicurus- allora é certo (ma "sterile circa qualsiasi conoscenza della realtà, di cui non dice nulla, né di vero né di falso).
Con questa sua "sterilità conoscitiva" paga inevitabilmente la sua certezza (se é accaduto che sia stato svolto in maniera logicamente corretta).

Anche la dubitabilità della memoria (riguardante, fra l' altro, non il "contenuto" -qualora siano stati svolti in modo logicamente corretto- ma il fatto, eventualmente conoscibile attraverso giudizi sintetici a posteriori, se veri, "che i G. A. a P. siano -e siano stati- di fatto svolti in modo logicamente corretto") é uno dei motivi dell' insuperabilità razionale (bensì solo attraverso un "minimo indispensabile" di "atti di fede") dello scetticismo.

Ed essere consapevoli di questi limiti insuperabili della ragione e della razionalità (umana) e di questi limiti insuperabili, di queste condizioni, di questo autentico, reale significato della (possibile) conoscenza (umana), significa essere più conseguentemente razionalisti che ignorarlo (coltivando pie illusioni in proposito).

Apeiron

Ci sono mappe inaccurate e mappe accurate. Ci sono mappe che dicono che Roma è al Polo Nord e mappe che dicono che Roma è nel Lazio. Chiaramente le prime sono completamente errate, le seconde invece riescono a farmi arrivare a destinazione. Questo è il criterio con cui si devono sviluppare le mappe. Una mappa è accurata se ti fa arrivare a destinazione, una teoria è giusta se concorda con l'esperienza.

Ma "Roma" scitta nella mappa accurata non è Roma Città, le predizioni teoriche non sono l'esperienza ecc.

Se mi "ritrovo" (ossia se penso, parlo, agisco, e mi comporto come...) nella descrizione dell'uomo "occidentale" allora posso definirmi "occidentale" ma questo in verità non mi definisce perchè il simbolo che rappresenta Roma non è Roma.


Motivo per cui in ultima analisi tutti i concetti non possono realmente definire la realtà come avevano compreso gli antichi quando problematizzavano ad esempio la possibilità di dare nomi alle cose. Il fatto di rendere le nostre mappe sempre più accurate non ci può portare a dire di essere a conoscenza della realtà così come il fatto di conoscere ogni centimetro quadrato di Roma non mi fa conoscere veramente Roma finché non la visito.

Questa "indefinibilità", questa certezza che in ultima analisi nessun concetto può definirmi, può confinarmi ecc a mio giudizio è "liberante". Noi siamo "oltre" ogni concetto che possiamo usare per descrivere noi stesssi. Se potessimo racchiudere la vita in concetti perderemmo a mio giudzio la libertà perchè l'essere liberi è anzitutto l'essere svincolati dalle gabbie concettuali (perfino la schiavitù ha origini concettuali più che "sociali": se A è schiavo di B significa che si crede che una proprietà di A è di appartenere a B... uno schiavo si libera prima di tutto quando capisce che lui non appartiene realmente ad A ma solo convenzionalmente...).
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

paul11

Le argomentazioni poste da Carlo P., a mio parere sono"forti", quelle poste da Korzybsk sono"deboli", al fine di una teoria della conoscenza.
Non significa che ciò che esprime K. sia sbagliato, semmai trovo che possono convivere.
In fondo K. mi dice che abbiamo dei limiti conoscitivi  che la mappa non corrisponde al territorio e abbiamo più livelli d astrazione.

Ai fini della conoscenza, non mi dice nulla di nuovo, perchè comunque anche se non conosco la realtà "vera" (ma di cui possiamo solo parlare compreso lui....), e nessuno nemmeno K. può dirmi quanto e come d "quella" realtà è conosciuto ,ma di fatto noi conosciamo, abbiamo costruito regole, metodiche ,proporozioni ,categorie, induzioni, deduzioni, sillogismi, ecc.

L'appercezione kantiana del "io penso", non è superata concettualmente . Quello che a mio parere di K. bisogna tenere presente sono le interazioni fra i livelli di astrazione, fare attenzione al condizionamento culturale e delle proprie credenze su come sono state costruite

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