Ultimamente nel forum spiritualità compare questa locuzione in maniera molto capillare : "la mappa non è il territorio" allora mi sono chiesto quanti di voi siano disposti ad accettarne il significato esteso. Il dictum di Korzybski infatti riguarda specialmente il verbo "essere" utilizzato per definire identità, che lo stesso K. riteneva essere principalmente una fallacia logica dove due termini di diverso livello di astrazione vengono fatti equivalere indebitamente. Come soluzione egli proponeva di utilizzare essere identificativo solo in forma negativa, di qui, la famosa frase.
Penso che in un momento storico dove il perno politico del mondo ha a che fare profondamente con l'identità, questo tipo di discussione sia quanto meno doveroso. Noi siamo occidentali o facciamo gli occidentali? Noi siamo materialisti o ci comportiamo da materialisti? Oppure dovremmo identificarci per negazione di ciò che non siamo? E' inutile dire che questa è tutt'altro che una querelle linguistica, perdere il verbo essere per definire identità significa perdere la maggior parte del vigore che determinati strumenti retorici possiedono, a scapito di una comodità che secondo K. è semplicemente contraddittoria. Definire identità per negazione, è non solo scomodo, ma anche tremendamente "impreciso", per definirci finiremmo a fare come si faceva nelle edda norrene dove il nome proprio era preceduto da uno stuolo di parenti. Io ho postato in filosofia ma in realtà gli sviluppi di questo tema sono pressochè illimitati ad ogni campo (per questo l'ho ricondotto al dilemma amletico), nel caso del determinismo linguistico ad esempio dovremmo aspettarci che con un po di pratica nell'evitare l'utilizzo improprio di essere, la nostra prospettiva del mondo cambierebbe drasticamente, chissà come.
Mah!...Non so se ho capito bene ma, a parer mio:
Se facciamo gli occidentali siamo occidentali.
Se facciamo i materialisti siamo materialisti.
Ossia , la pratica determina quello che sei. Posso infatti pensare, per esempio, di essere generoso ma non praticare la generosità. Se viceversa pratico la generosità, anche senza pensare di essre generoso, sono generoso.
"La mappa non è il territorio" ma senza territorio dov'è la mappa?
ciao Inverno,
sono saltati i termini che includevano delle definizioni proprio nel rapporto fra teoria e pratica. Perchè il mondo è cambiato.
Ma trovo che anche in filosofia non esiste un termine, ad esempio l"essere" che sia combaciante con altri autori.
Significa che è il contesto che definisce e ridefinisce il termine.
Politicamente oggi è difficile coniugare destra = reazionari conformisti ; sinistra= progressisti.
Penso che le teorie mutando abbiano ridefinito i termini e a loro volta i termini spesso siano in conflitto con la realtà fisica, sociale.
Il nome quindi non corrisponde con la definizione(o più definizioni), allora sono le definizioni che cercano nuovi termini.
Per Heidegger Occidente corrispondeva al mondo intero.
Il linguaggio è una forma relazionale che lega i domini dell'astratto e concreto; per dirla hegelianamente è il processo dialettico storico che ridefinisce le relazioni con i relativi nomi e definizioni.
Se si "perde" il nome ,che si porta dietro un suo sistema relazionale che lo definisce quindi anche linguisticamente, significa in qualche modo non avere quanto meno una chiara identità , per cui il linguaggio non informa più, non riesce a comunicare e soprattutto a socializzare. Ognuno interpreta a suo modo.
Quando tempo fa scrivevo che l'attuale contemporaneità è fortemente metafisica, contrariamente ai luoghi comuni del "materialismo" intendevo anche al fatto che le figure simboliche della metafisica, non sono mai morte, così come nel mito, semplicemente diventano più ambigue nel rapporto fra astrazione e concretezza reale.
Non c'è nulla di più metafisico del concetto di moneta, di Stato.............eppure sono così concrete e reali da condizionare esistenze di miliardi di umani.
...dimmi se sono dentro l'argomento che vuoi trattare, perchè anche a me pare molto vasto.
Citazione di: InVerno il 04 Settembre 2017, 08:46:35 AM
Ultimamente nel forum spiritualità compare questa locuzione in maniera molto capillare : "la mappa non è il territorio" allora mi sono chiesto quanti di voi siano disposti ad accettarne il significato esteso. Il dictum di Korzybski infatti riguarda specialmente il verbo "essere" utilizzato per definire identità, che lo stesso K. riteneva essere principalmente una fallacia logica dove due termini di diverso livello di astrazione vengono fatti equivalere indebitamente. Come soluzione egli proponeva di utilizzare essere identificativo solo in forma negativa, di qui, la famosa frase.
Penso che in un momento storico dove il perno politico del mondo ha a che fare profondamente con l'identità, questo tipo di discussione sia quanto meno doveroso. Noi siamo occidentali o facciamo gli occidentali? Noi siamo materialisti o ci comportiamo da materialisti? Oppure dovremmo identificarci per negazione di ciò che non siamo? E' inutile dire che questa è tutt'altro che una querelle linguistica, perdere il verbo essere per definire identità significa perdere la maggior parte del vigore che determinati strumenti retorici possiedono, a scapito di una comodità che secondo K. è semplicemente contraddittoria. Definire identità per negazione, è non solo scomodo, ma anche tremendamente "impreciso", per definirci finiremmo a fare come si faceva nelle edda norrene dove il nome proprio era preceduto da uno stuolo di parenti. Io ho postato in filosofia ma in realtà gli sviluppi di questo tema sono pressochè illimitati ad ogni campo (per questo l'ho ricondotto al dilemma amletico), nel caso del determinismo linguistico ad esempio dovremmo aspettarci che con un po di pratica nell'evitare l'utilizzo improprio di essere, la nostra prospettiva del mondo cambierebbe drasticamente, chissà come.
E come spiega, Korzybski, l'esistenza di "mappe" inadeguate, che non danno alcun contributo alla conoscenza, e "mappe" adeguate che, invece, possono produrre delle vere e proprie rivoluzioni conoscitive? Korzybski sostiene, cioè, che le nostre astrazioni, le nostre percezioni e la nostra lingua ci allontanano sempre e comunque dalla realtà; ma anche questa sua affermazione è una astrazione basata sulle sue percezioni ed espressa sul piano verbale. ...E allora perché essa dovrebbe corrispondere con la realtà? Perché, cioè, dovrei dargli credito? Tutte le astrazioni sono fuorvianti, tranne quelle di Korzybski ?Torniamo all'ineludibile auto-contraddittorietà di ogni concezione che neghi (o indebolisca) la possibilità della verità. Otto Apel esprime meglio di me questa aporia:
"Come scrive Karl Otto Apel, chi sostenesse che *noi* dobbiamo ammettere che *noi* non possiamo giungere a verità indubitabili, cadrebbe in una «autocontraddizione performativa», poiché nel primo *noi* afferma ciò che nega nel secondo. Analogamente, chi tentasse di negare argomentativamente l'esistenza e le regole della situazione argomentativa, cadrebbe anche lui in una autocontraddizione performativa, in quanto negherebbe nella parte proposizionale ciò che nell'atto argomentativo necessariamente ammette o presuppone. [...] Ma se la situazione argomentativa implica l'esistenza di verità «incontestabili» e di credenze «apodittiche», vuol dire che UNA FONDAZIONE ULTIMA RISULTA FILOSOFICAMENTE POSSIBILE. [...] La costruzione di una semiotica trascendentale si accompagna a una polemica incessante contro gli aspetti relativistici, scettici e nichilistici del pensiero contemporaneo e a un rifiuto delle odierne prospettive di indebolimento della ragione. Prospettive alle quali Apel ha inteso contrapporre una rinnovata «fondazione della razionalità nei suoi aspetti teoretici, etici ed epistemologici» (S.PETRUCCIANI: Etica dell'argomentazione. Ragione, scienza e prassi nel pensiero di Karl Otto Apel). Infatti, contro coloro per i quali non vi sono pretese di validità «ma solo narrazioni o conversazioni o qualcosa del genere», Apel sentenzia che «la pretesa di validità è per il filosofo, come aveva visto correttamente Hegel, una condanna inevitabile». Del resto, le stesse tesi antifondative «continuano ad essere sostenute come tesi che rientrano nel contesto argomentativo, vengono cioè sostenute con una pretesa universale di validità, esigenza che però dal punto di vista performativo è contraddittoria»". [N. ABBAGNANO: Storia della filosofia, vol.IX - pp.224/227]
Dico solo che ho perso 2 ore di lavoro sulla risposta..... >:(
per una volta che lavoravo on-line....grrrrrr
Provo a riscrivere ma le mie energie intellettuali sono al lumicino.
Spero di riassumere quanto andavo pensando.
1. le mie considerazioni personali.
per me la copula "è" ha un valore semplicemente insiemistico (e mi riferisco a Peirce che nella parola essere non ci vede il significato di esistenza).
Ma è una insiemistica del realismo perciò il co-dominio del soggetto sono sempre degi segni-oggetto e non dei segni puri come nel nominalismo di R. presumo tanto che egli crede che mappa e territorio siano avulsi l'uno con l'altro.
Mi par di capire che per R. i segni del soggetto sia avulsi dal segno del territorio sempre praticamente.
Io credo invece che il soggetto sia formato da segni-oggetto.
2. le 3 questioni della domanda "siamo quello che siamo, siamo quello che crediamo di essere o siamo quello che crediamo di essere e non essere?"
Per me richiama allo scontro tra analitici e continentali.
Per i primi la res generica, diventa sempre res extensa, così anche il pensiero diventa res extensa riducendo tutto ad una forma unica di vivente. (monismo riduzionista) Quindi ogni pensiero diventa ontologico.
Per i secondi è quello che pensiamo che decide di ciò che facciamo. Ed è la tradizione fenomenologica continentale.
La terza è la posizione metafisica classica, dove le due res extensa e pensata vengono mediate da Dio (dualismo classico moderno).
3 le mie risposte ad inverno
cit Penso che in un momento storico dove il perno politico del mondo ha a che fare profondamente con l'identità, questo tipo di discussione sia quanto meno doveroso.
Assolutamente d'accordo. Per questo credo sia questione fra le più complicate da affrontare.
cit "Noi siamo occidentali o facciamo gli occidentali? Noi siamo materialisti o ci comportiamo da materialisti? Oppure dovremmo identificarci per negazione di ciò che non siamo? "
Mi è piaciuta tanto la domanda che solleva molte domande a cascata.
Noi siamo occidentali perchè pensiamo che esista qualcosa come la Occidentalità.
Noi siamo materialisti perchp pensiamo che esista qualcosa come la Materilità.
cit " nel caso del determinismo linguistico ad esempio dovremmo aspettarci che con un po di pratica nell'evitare l'utilizzo improprio di essere, la nostra prospettiva del mondo cambierebbe drasticamente, chissà come."
Il punto focale è proprio quello che il modello analitico ha vinto (egemonia culturale) e perciò la gente crede che Occidentalità e Materialità non siano semplicemente il frutto di un sistema linguistico-culturale.
Ma cose se esistessero veramente come enti (che è poi il frutto della ontologizzazione del pensiero).
Al di là se questo sia un bene o un male (ossia il fare a meno della medizione divina) rimane interessante proprio il lato politico.
Poichè dalla religione tradizionale il potere decisionale spetta al mondo scientifico.
Come diceva Heidegger, è il pensiero stesso a essere in pericolo di non venir più pensato.
(dai soli 20 minuti...ok!saluti!)
gli altri post li comment domani nel caso
Citazione di: Sariputra il 04 Settembre 2017, 10:36:32 AM
Mah!...Non so se ho capito bene ma, a parer mio:
Se facciamo gli occidentali siamo occidentali.
Se facciamo i materialisti siamo materialisti.
Ossia , la pratica determina quello che sei. Posso infatti pensare, per esempio, di essere generoso ma non praticare la generosità. Se viceversa pratico la generosità, anche senza pensare di essre generoso, sono generoso.
"La mappa non è il territorio" ma senza territorio dov'è la mappa?
In realtà nelle retoriche difensive viene evidenziato spesso il contrario, ovvero che un azione non qualifica la persona (fare una cosa intelligente non significa essere intelligenti), e tante altre "fallacie logiche" derivate a cascata (la più famosa, indentificare un gruppo attraverso individui). Io però ho usato verbi che descrivono azioni ripetute (comportamento) e quindi tu puoi affermare che la ripetizione di un azione sia capace di tratteggiare una persona. Facciamo una cosa, prima di andare avanti cerchiamo di capire cosa dice K. e specifico (per Paul) che per ora, finchè la questione puramente linguistica non sarà meglio definita vorrei cercare di non allontanarmi troppo.
Il punto è che (secondo K.) nelle affermazione di identità il soggetto e l'oggetto appartengono a due livelli di astrazione (linguistica) differente, e perciò sono incompatibili e non possono essere considerati equivalenti (cioè non sono uno l'altro). Ci intendiamo riguardo al livello di astrazione? La mappa è un oggetto, e appartiene al dominio del reale, il territorio è un astrazione e appartiene al dominio verbale. Per dirla in maniera spicciola è come dire che 1kilo pane è 1 metro di farina, le due non solo non si equivalgono ma non interagiscono nemmeno tra loro. (e' un esempio fuorviante in realtà, perchè entrambe fanno parte dello stesso dominio e la diversità di dominio è rappresentata dalla diversità di unità di misura)
K. a questo punto suggerisce come soluzione "tenere a mente" che anche "mappa" nel caso della comunicazione entra nel dominio verbale, e perciò non è la mappa ma la "parola mappa" Secondo me invece, anche se si può "tenere a mente" la realtà è che le due parole continuano ad avere un ordine di astrazione diverso .
Immagina di fare un esperimento, e chiedere a mille persone di disegnare "una mappa", il risultato sarà vario entro un certo livello, perchè si tratta comunque di un oggetto con determinate caratteristiche ricorrenti e tangibile nella realtà. Ora immagina di chiedere di disegnare "un territorio" e vedrai la varietà interpretativa della parola è grandemente superiore. Questo deriva dal fatto che i due sostantivi appartengono a due livelli di astrazione linguistica diversa, e per questo motivo l'essere identità è improprio.
@Green Demetr, anche io sono al lumicino con il tempo, ti rispondo più avanti.
Non so se farei meglio ad iniziare una discussione apposita, ma mi sembra che ciò che scriverò qui di seguito rientri nel tema.
Ho visto sostenere diverse volte a sgiombo che i giudizi analitici apriori garantiscono certezza, al prezzo di non aumentare la conoscenza. Su Wikipedia c'è questa descrizione del giudizio analitico apriori in Kant:
I giudizi analitici a priori sono ovvi e non derivano dall'esperienza. Ad esempio: «I corpi sono estesi». Il predicato qui attribuito al soggetto corpi non dice nulla in più di ciò che già si sa, l'estensione è già implicita nella definizione di corpo e non occorre esperienza per formulare questa proposizione. Questo tipo di giudizio perciò non permette di progredire.
Ora, vorrei sottoporre a critica l'idea che tali giudizi garantiscano certezza, sulla base del riferimento al tempo e all'inaffidabilità della nostra mente.
Il giudizio analitico apriori appare come garanzia di certezza perché prescinde dall'esperienza, basandosi invece su definizioni stabilite dal soggetto, cioè da noi stessi. Viene a funzionare in questo modo, costituito da due momenti:
1) si stabilisce una definizione. Stabiliamo che per corpi s'intendono i corpi estesi. Siamo tutti d'accordo nello stabilire che con la parola corpi s'intendono i corpi estesi, nello stabilire che dire corpo e dire corpo esteso è la stessa cosa; tutt'al più, dire "corpo esteso" è una ridondanza, perché esplicita una qualità già inclusa nella definizione di corpo. È come dire fuoco acceso: se è fuoco non può non essere acceso. Oppure: H2O è il simbolo chimico dell'acqua.
2) si pronuncia un giudizio basato esclusivamente sulle informazioni già contenute nella definizione: i corpi sono estesi, il fuoco è acceso, H2O è il simbolo chimico dell'acqua. Questo giudizio viene a risultare giudizio analitico apriori e quindi inconfutabile, assolutamente certo, perché non fa che ripetere ciò che noi stessi abbiamo stabilito, concordato.
A questo punto mi sembra che ci sia qualcosa di criticabile quanto alla certezza. Il problema sta nel fatto che si tratta di due momenti, i quali, per poter essere posti in atto, hanno bisogno del tempo e della mente. Infatti, perché esista un giudizio analitico a priori, c'è bisogno di un prima e un dopo: prima bisogna stabilire una definizione; dopo bisogna formulare un giudizio che si basi esclusivamente su di essa. Questi due momenti devono essere posti in atto da una mente umana.
Supponiamo ora di trovarci nel secondo momento, quello del giudizio, successivo alla definizione. Chi mi garantisce che il giudizio "H2O è il simbolo chimico dell'acqua" rispecchi davvero la definizione concordata? Semplice, vado a controllare la definizione e vedo se dice le stesse cose espresse nel giudizio. Ma, mentre vado a controllare la definizione, chi mi dice che la mia mente stia ricordando fedelmente ciò che è stato espresso nel giudizio? E viceversa, quando tornerò a controllare il giudizio, chi mi garantisce che la mia mente stia ricordando fedelmente quanto previamente stabilito nella definizione? È il classico problema psicologico di chi torna in continuazione a controllare se ha chiuso bene la porta di casa, perché al ritorno ha il dubbio che forse, mentre effettuava il controllo, la mente si è distratta da altri pensieri e il controllo non è stato fatto a dovere. Questo problema, oltre che psicologico, è filosofico, nel senso che tutti i nostri ragionamenti, tutti gli atti della nostra mente si basano sul tempo, hanno un prima e un dopo. L'esserci di un prima e un dopo crea il problema insormontabile che tra il prima e il dopo non ci sia stata una comunicazione fedele, perfetta. Si potrebbe pensare come esempio anche a quando dobbiamo contare un gran numero di oggetti e alla fine ci rimane il dubbio se durante la conta la nostra mente si sia distratta e abbiamo sbagliato qualche numero. La conclusione è che, lì dove sono necessari tempo e mente umana, non risulta esserci affidabilità, perché tempo significa sfasamento tra essere ed essere.
Quest'affermazione non è una certezza, ma solo un presumere; se fosse una certezza sarebbe una conquista; ma nulla ci garantisce che anche in questo ragionamento non ci siano stati errori della nostra mente. Il fatto è che la mancanza di garanzie non equivale a certezza di garanzie opposte: la mancanza di garanzie di certezza sull'inaffidabilità non ci fornisce certezza dell'opposto, cioè che debba esistere qualcosa di affidabile: potrebbe esistere, potrebbe non esistere.
Ciò non è altro, mi sembra, che l'intuizione di Heidegger, contenuta già nel titolo stesso della sua opera "Essere e tempo": a noi umani non risultano finora possibilità di pensare l'essere senza inquinare tale pensiero con i dubbi provocati dal tempo in cui la nostra mente è costretta a muoversi. Tengo a sottolineare il "non risultano finora": non ho scritto "non esistono, non sono possibili", altrimenti avremmo conquistato una certezza. Diciamo solo: a quanto pare, forse, non sono possibili certezze. E già queste stesse parole dobbiamo dirle con umiltà e modestia, perché non siamo neanche certi (forse) di sapere cosa significano.
Da ciò non segue che sia impossibile ragionare, impossibile dire o pensare alcunché. Possiamo dire e pensare tutto, ma il nostro essere nel tempo sembrerebbe dirci che sia necessario farlo con umiltà.
Tutto ciò può essere reso in termini ancora più acuti, osservando che in realtà va a finire che non solo non possiamo pronunciare giudizi analitici a priori, ma non possiamo neanche limitarci alla sola definizione. Infatti, anche il solo fermarsi al momento 1, cioè il momento della definizione, sarebbe pur sempre un porre in atto un gesto che comunque richiede la sua misura di tempo, con tutte le infedeltà che il tempo ci costringe a sospettare. Insomma, non possiamo neanche essere certi che 1=1, oppure che l'essere è, perché nulla ci garantisce che, già nel pensare la semplice idea di essere o di 1, non si siano verificate infedeltà, incoerenze, inganni nella nostra mente.
Il presente del tempo non riesce a darci alcuna garanzia sul prima, né sul dopo, né ci risulta possibile rivoltare il calzino e pensare di aver guadagnato, con questo tipo di critiche, alcuna certezza.
Citazione di: InVerno il 04 Settembre 2017, 14:38:00 PM
Il punto è che (secondo K.) nelle affermazione di identità il soggetto e l'oggetto appartengono a due livelli di astrazione (linguistica) differente, e perciò sono incompatibili e non possono essere considerati equivalenti (cioè non sono uno l'altro). Ci intendiamo riguardo al livello di astrazione? La mappa è un oggetto, e appartiene al dominio del reale, il territorio è un astrazione e appartiene al dominio verbale. Per dirla in maniera spicciola è come dire che 1kilo pane è 1 metro di farina, le due non solo non si equivalgono ma non interagiscono nemmeno tra loro.
E dove sta scritto che esiste una incommensurabilità fondamentale tra soggetto e oggetto del discorso? Se così fosse, tutto quello che hai scritto tu (e K) sarebbe a sua volta incommensurabile con la realtà epistemologica che tenti di descrivere. Se invece vuoi che qualcuno prenda in considerazione ciò che dici, devi pre-supporre la possibilità che il tuo linguaggio (soggettivo), la tua mappa, possa rispecchiare fedelmente l'oggetto.Ma allora, se la logica stessa del linguaggio ti obbliga a presupporre la possibilità della verità (pena l'auto-contraddizione), non sarà che la nostra idea di linguaggio, inteso come un'invenzione arbitraria e convenzionale dell'uomo, che nulla avrebbe a che vedere col mondo, è un'idea sballata e che esso, alla stregua di tutti gli altri simboli (il linguaggio è simbolo), faccia invece parte della Natura (nel senso pagano di materia+spirito) e che emerga da essa come potenziale immagine speculare della Natura stessa? Non sarà proprio questo il senso dell'intuizione religiosa secondo cui "in principio era il Verbo, per mezzo del quale tutto è stato fatto"?. E non sarà proprio questo il senso anche dell'idea leibniziana che vede una "armonia praestabilita" (almeno potenziale) tra linguaggio e cosa, tra soggetto e oggetto? ...Oppure dell'idea platonica secondo la quale ogni ente sensibile discende da un corrispondente "modello celeste" (l'archetipo), fatto della stessa sostanza delle idee (cioè del Verbo)? ...Oppure il senso delle credenze, diffuse in tutto l'arco spazio-temporale della nostra tradizione mitico-religiosa, secondo le quali..."Il mondo che ci circonda, civilizzato dalla mano dell'uomo, ha, come unica validità, quella dovuta al prototipo extraterrestre che gli è servito di modello. L'uomo costruisce secondo un archetipo; non soltanto la sua città o il suo tempio hanno modelli celesti, ma anche tutta la regione che abita, con i fiumi che la bagnano, i campi che gli dànno il nutrimento, ecc.". [M. ELIADE: Il mito dell'eterno ritorno - pg.23] "Una Gerusalemme celeste è stata creata da Dio prima che la città di Gerusalemme fosse costruita dalla mano dell'uomo: a quella si riferisce il profeta nell'Apocalisse Siriaca di Baruch, 2,42, 2-7: « Credi che sia là la città di cui ho detto: "Nella palma delle mie mani ti ho fondata" ?»". [M. ELIADE: Il mito dell'eterno ritorno - pg.21]"Secondo le credenze mesopotamiche, il Tigri ha il suo modello nella stella Anunit, e l'Eufrate nella stella della Rondine. Un testo sumerico parla della «dimora delle forme degli dèi », in cui si trovano «[gli dèi] dei greggi e quelle dei cereali». Anche per i popoli altaici le montagne hanno un prototipo ideale nel cielo. I nomi dei luoghi e dei nomi egiziani erano dati secondo i «campi celesti»: si cominciava con il conoscere i «campi celesti », poi li si identifìcava nella geografia terrestre. Nella cosmologia iranica di tradizione zervanita «ogni fenomeno terrestre, astratto o concreto, corrisponde a un termine celeste, trascendente, invisibile, a un"' idea" nel senso platonico. Ogni cosa, ogni nozione si presenta sotto un duplice aspetto: quello di mênôk e quello di gêtîk. Vi è un cielo visibile: vi è quindi anche un cielo mênôk che è invisibile (Bundahishn, c. 1). La nostra terra corrisponae a una terra celeste. Ogni virtù praticata quaggiù, nel gêtâh, possiede una controparte celeste che rappresenta la vera realtà". [M. ELIADE: Il mito dell'eterno ritorno - pg.19]"Il tempio - come luogo sacro per eccellenza - aveva un prototipo celeste. Sul monte Sinai, Jahvè mostra a Mosè Ia «forma» deI santuario che dovrà costruirgli: «Costruirete il tabernacolo con tutti gli arredi, esattamente secondo il modello che ti mostrerò» (Es. 25,8-9). «Guarda e costruisci tutti questi oggetti secondo il modello che ti ho mostrato sulla montagna» (25,40]. E quando Davide dà a suo fìglio Salomone la pianta delle fondamenta dei tempio, del tabernacolo e di tutti gli arredi lo assicura che «tutto ciò... si trova esposto in uno scritto opera della mano dell'Eterno, che me ne ha dato la comprensione» (Cron. 1,28,19). Di conseguenza ha visto il modello celeste". [M. ELIADE: Il mito dell'eterno ritorno - pg.20]"Il palazzo-fortezza di Sîhagiri, a Ceylon, è costruito sul modello della città celeste Alakamanda, ed è «di difficile accesso per gli esseri umani» (Mahâvastu, 39,2). Anche la città ideale di Platone ha un archetipo celeste (Rep. 592b, cfr. ibid., 500e). Le «forme» platoniche non sono astrali, ma la loro regione mitica si situa tuttavla su piani sopra-terreni (Fedro, 247,250)". [M. ELIADE: Il mito dell'eterno ritorno - pg.22]In definitiva, perché dovrebbe essere giusta la mappa di Korzybski (che nega verità a qualunque mappa) piuttosto che la mappa intuita e affermata dal consensus gentium? Questa è una domanda vera, non una domanda retorica. Chi ha la risposta?L'angolo musicale:
SWEET: Love is like oxigen
https://youtu.be/tXJ4TZSXtzc SUPERTRAMP: The logical song
https://youtu.be/LrLvrPnyt48
Citazione di: InVerno il 04 Settembre 2017, 14:38:00 PM
K. a questo punto suggerisce come soluzione "tenere a mente" che anche "mappa" nel caso della comunicazione entra nel dominio verbale, e perciò non è la mappa ma la "parola mappa" Secondo me invece, anche se si può "tenere a mente" la realtà è che le due parole continuano ad avere un ordine di astrazione diverso
Concordo, anche secondo me è tutta una questione di livelli di astrazione:
-
mondo fisico non-linguistico (prendiamolo per buono ;) )
-
territorio (concetto che struttura cognitivamente l'astrazione del mondo fisico); si entra nel linguaggio ponendo l'identità astratta "territorio";
-
mappa (oggetto, ma anche meta-concetto in quanto astrae alcune caratteristiche del concetto-territorio; ad esempio mappa politica, mappa delle strade, mappa dei musei...). Oggetto (la mappa) che "parla" di un'astrazione linguistica (il territorio);
-
discorso sulla mappa (meta-discorso: discorso sulla precedente "comunicazione" dell'oggetto-mappa). Korzybski ci suggerisce di "tenere a mente" che anche la mappa-oggetto può essere a sua volta oggetto di un discorso;
-
meta-discorso sulla mappa (discorso sul meta-discorso della mappa). Le nostre considerazioni su K. che parla della mappa, che parla del territorio, che parla del mondo che... per fortuna almeno lui sta zitto (e neanche ;D )!
@CarloConsiderare la differenza fra verità assoluta (
ab-solutus, sciolta da ogni contesto semantico-spazio-temporale) e quella relativa (
re-latus, riferita a un preciso contesto semantico-spazio-temporale) risolve la famigerata auto-contraddittorietà di cui parli, e non solo quella del buon K. (che, come ricordato da InVerno, ci mette lui stesso in guardia del non confondere i livelli di astrazione...).
Che nel relativismo (o nel pluralismo a esso collegabile) non ci sia gerarchia, quindi "una posizione
vale l'altra", non è affato scontato, ma non voglio deviare il discorso off topic.
@AngeloConcordo, la temporalità provoca uno scarto/ritardo inevitabile in ogni rappresentazione
permanente (non dinamica), anche nel caso di mappa/territorio: quanto più la mappa cerca di essere esatta, tanto più appena finisco di tracciare la mappa, qualcosa nel territorio può essere cambiato... se rappresento il pianeta terra con un puntino, quella mappa sarà tanto vaga quanto perfetta, magari per milioni di anni; se voglio invece un mappa più dettagliata, ad esempio che rappresenti anche le auto, sarà impossibile (come ci suggerisce Zenone ;D ) ritrarre
in tempo reale il "movimento aggiornato" di ogni vettura (le riprese satellitari sono in questo l'evoluzione della mappa cartacea, in quanto non ritraggono, ma filmano in tempo reale).
Citazione di: Phil il 04 Settembre 2017, 17:54:26 PMConsiderare la differenza fra verità assoluta (ab-solutus, sciolta da ogni contesto semantico-spazio-temporale) e quella relativa (re-latus, riferita a un preciso contesto semantico-spazio-temporale) risolve la famigerata auto-contraddittorietà di cui parli, e non solo quella del buon K. (che, come ricordato da InVerno, ci mette lui stesso in guardia del non confondere i livelli di astrazione...).
Sono queste astrazioni fatte solo di parole e prive di riscontri con il reale che ti (vi) portano fuori strada (ordo et connexio
rerum idem est ac ordo et connexio
idearum).
Quando ci troviamo in contesti semantici caratterizzati dall'
univocità dei riferimenti segno-oggetto, siamo
già sciolti da ogni condizione di tipo semantico spazio-temporale che potrebbe confutare la nostra verità.
Tanto per rimanere negli esempi di verità assoluta già elencati, se io affermo che "la Terra gira intorno al Sole", non esprimo alcuna ambiguità semantica, quindi la sua assolutezza si riferisce
anche all'indipendenza da possibili altre interpretazioni semantiche che potrebbero confutarla.
Prima di formulare una affermazione astratta,
si deve sapere
da cosa si ab-strae, altrimenti non si fa filosofia, ma vuoti giochi di parole, mistificazione della verità.
L'angolo musicale:
TEMPTATIONS: My girl
https://youtu.be/C_CSjcm-z1w GEORGE SYMONETTE: Don't touch me tomato
https://youtu.be/5zbkkVVSh3U
Citazione di: Carlo Pierini il 04 Settembre 2017, 21:06:40 PM
Sono queste astrazioni fatte solo di parole e prive di riscontri con il reale che ti (vi) portano fuori strada (ordo et connexio rerum idem est ac ordo et connexio idearum).
Tali "
ordo et connexio" andrebbero tuttavia
dimostrati epistemologicamente, non solo "affermati" dogmaticamente ("affermare" non è "interpretare" che non è "dimostrare"), e proprio riflettendo su ciò la filosofia del linguaggio si pone problemi critici come quello di K. o come l'affine questione dell'isomorfismo linguaggio/mondo in Wittgenstein (problemi che ognuno può reputare più o meno rilevanti, ovviamente...).
Citazione di: Carlo Pierini il 04 Settembre 2017, 21:06:40 PM
Quando ci troviamo in contesti semantici caratterizzati dall'univocità dei riferimenti segno-oggetto, siamo già sciolti da ogni condizione di tipo semantico spazio-temporale che potrebbe confutare la nostra verità.
Tanto per rimanere negli esempi di verità assoluta già elencati, se io affermo che "la Terra gira intorno al Sole"
Anche questa è una verità dipendente dal suo contesto semantico-spazio-temporale: nella fattispecie, è una verità
relativa a
questo tempo (un domani la terra potrebbe anche fermarsi o avere un moto diverso rispetto al sole), quindi temporalmente non è una verità assoluta (semmai ve ne possano essere di tal tipo senza essere dogmatiche, come si legge anche fra le righe di quanto scritto da Angelo, se ho ben capito).
Comunque, la questione sul relativismo la lascerei a margine, per restare (con)centrati sul topic :)
Citazione di: Phil il 04 Settembre 2017, 22:13:45 PM
Citazione di: Carlo Pierini il 04 Settembre 2017, 21:06:40 PM
Sono queste astrazioni fatte solo di parole e prive di riscontri con il reale che ti (vi) portano fuori strada (ordo et connexio rerum idem est ac ordo et connexio idearum).
Tali "ordo et connexio" andrebbero tuttavia dimostrati epistemologicamente, non solo "affermati" dogmaticamente ("affermare" non è "interpretare" che non è "dimostrare"), e proprio riflettendo su ciò la filosofia del linguaggio si pone problemi critici come quello di K. o come l'affine questione dell'isomorfismo linguaggio/mondo in Wittgenstein (problemi che ognuno può reputare più o meno rilevanti, ovviamente...).
Perché non l'hai chiesta anche a Korzybski la medesima dimostrazione? Sarà, forse, perché il suo
è davvero un dogma che, come tale, non può portare nessuna osservazione reale a suo supporto? Il paradigma di Spinoza, al contrario, è supportato da una verifica che nessun altro criterio epistemologico può sognarsi di ottenere: l'applicazione dell'ordo et connexio numerorum (la matematica) al modo fisico e l'applicazione dell'ordo et connexio astrorum (il modello eliocentrico) ai moti del Sistema Solare hanno dato origine al più grande salto evolutivo della conoscenza che l'umanità abbia mai conosciuto dopo la sua comparsa sulla terra: quello prodotto dalla Scienza. ...Ma, come ho già detto più volte, le comode superstizioni ideologiche non si schiodano nemmeno di fronte alle evidenze più sfacciate!! Complimenti per la vostra "profondità filosofica"!Citazione di: Carlo Pierini il 04 Settembre 2017, 21:06:40 PM
Quando ci troviamo in contesti semantici caratterizzati dall'univocità dei riferimenti segno-oggetto, siamo già sciolti da ogni condizione di tipo semantico spazio-temporale che potrebbe confutare la nostra verità.
Tanto per rimanere negli esempi di verità assoluta già elencati, se io affermo che "la Terra gira intorno al Sole"
PHILAnche questa è una verità dipendente dal suo contesto semantico-spazio-temporale: nella fattispecie, è una verità relativa a questo tempo (un domani la terra potrebbe anche fermarsi o avere un moto diverso rispetto al sole), CARLO
Questa è un'altra esibizione della superficialità pressappochista del relativismo. La verità è la concordanza tra
ciò che si dice e
ciò che è; e io ho detto che "la Terra
gira intorno al Sole" non che "la Terra
girerà in eterno intorno al Sole"; ho usato il verbo al presente, e se non ti basta, posso anche aggiungere nell'enunciato la data e l'ora in cui l'ho detto, in modo tale che, se fra dieci minuti ci investe una stella vagante, ciò che ho scritto sarà comunque una verità eterna.
Prima di formulare una affermazione astratta, si deve sapere da cosa si ab-strae, altrimenti non si fa filosofia, ma vuoti giochi di parole, mistificazione della verità. >:( L'angolo musicale:
AFTER THE FIRE: Der kommissar
https://youtu.be/t6CH9Tt-aSs
MEN AT WORK: Who can it be now?
https://youtu.be/SECVGN4Bsgg
Citazione di: Angelo Cannata il 04 Settembre 2017, 15:38:55 PM
Ho visto sostenere diverse volte a sgiombo che i giudizi analitici apriori garantiscono certezza, al prezzo di non aumentare la conoscenza. Su Wikipedia c'è questa descrizione del giudizio analitico apriori in Kant:
I giudizi analitici a priori sono ovvi e non derivano dall'esperienza. Ad esempio: «I corpi sono estesi». Il predicato qui attribuito al soggetto corpi non dice nulla in più di ciò che già si sa, l'estensione è già implicita nella definizione di corpo e non occorre esperienza per formulare questa proposizione. Questo tipo di giudizio perciò non permette di progredire.
Ora, vorrei sottoporre a critica l'idea che tali giudizi garantiscano certezza, sulla base del riferimento al tempo e all'inaffidabilità della nostra mente.
Il giudizio analitico apriori appare come garanzia di certezza perché prescinde dall'esperienza, basandosi invece su definizioni stabilite dal soggetto, cioè da noi stessi. Viene a funzionare in questo modo, costituito da due momenti:
1) si stabilisce una definizione. Stabiliamo che per corpi s'intendono i corpi estesi. Siamo tutti d'accordo nello stabilire che con la parola corpi s'intendono i corpi estesi, nello stabilire che dire corpo e dire corpo esteso è la stessa cosa; tutt'al più, dire "corpo esteso" è una ridondanza, perché esplicita una qualità già inclusa nella definizione di corpo. È come dire fuoco acceso: se è fuoco non può non essere acceso. Oppure: H2O è il simbolo chimico dell'acqua.
2) si pronuncia un giudizio basato esclusivamente sulle informazioni già contenute nella definizione: i corpi sono estesi, il fuoco è acceso, H2O è il simbolo chimico dell'acqua. Questo giudizio viene a risultare giudizio analitico apriori e quindi inconfutabile, assolutamente certo, perché non fa che ripetere ciò che noi stessi abbiamo stabilito, concordato.
A questo punto mi sembra che ci sia qualcosa di criticabile quanto alla certezza. Il problema sta nel fatto che si tratta di due momenti, i quali, per poter essere posti in atto, hanno bisogno del tempo e della mente. Infatti, perché esista un giudizio analitico a priori, c'è bisogno di un prima e un dopo: prima bisogna stabilire una definizione; dopo bisogna formulare un giudizio che si basi esclusivamente su di essa. Questi due momenti devono essere posti in atto da una mente umana.
Supponiamo ora di trovarci nel secondo momento, quello del giudizio, successivo alla definizione. Chi mi garantisce che il giudizio "H2O è il simbolo chimico dell'acqua" rispecchi davvero la definizione concordata? Semplice, vado a controllare la definizione e vedo se dice le stesse cose espresse nel giudizio. Ma, mentre vado a controllare la definizione, chi mi dice che la mia mente stia ricordando fedelmente ciò che è stato espresso nel giudizio? E viceversa, quando tornerò a controllare il giudizio, chi mi garantisce che la mia mente stia ricordando fedelmente quanto previamente stabilito nella definizione? È il classico problema psicologico di chi torna in continuazione a controllare se ha chiuso bene la porta di casa, perché al ritorno ha il dubbio che forse, mentre effettuava il controllo, la mente si è distratta da altri pensieri e il controllo non è stato fatto a dovere. Questo problema, oltre che psicologico, è filosofico, nel senso che tutti i nostri ragionamenti, tutti gli atti della nostra mente si basano sul tempo, hanno un prima e un dopo. L'esserci di un prima e un dopo crea il problema insormontabile che tra il prima e il dopo non ci sia stata una comunicazione fedele, perfetta. Si potrebbe pensare come esempio anche a quando dobbiamo contare un gran numero di oggetti e alla fine ci rimane il dubbio se durante la conta la nostra mente si sia distratta e abbiamo sbagliato qualche numero. La conclusione è che, lì dove sono necessari tempo e mente umana, non risulta esserci affidabilità, perché tempo significa sfasamento tra essere ed essere.
Quest'affermazione non è una certezza, ma solo un presumere; se fosse una certezza sarebbe una conquista; ma nulla ci garantisce che anche in questo ragionamento non ci siano stati errori della nostra mente. Il fatto è che la mancanza di garanzie non equivale a certezza di garanzie opposte: la mancanza di garanzie di certezza sull'inaffidabilità non ci fornisce certezza dell'opposto, cioè che debba esistere qualcosa di affidabile: potrebbe esistere, potrebbe non esistere.
CitazioneConcordo e sottoscrivo le considerazioni circa (la non superabilità de-) il dubbio (scettico) circa (ciò che ci dice) la memoria: nulla ci garantisce né ci può garantire che ciò che ci ricordiamo sia vero, che ciò che secondo la memoria del passato, anche dell' immediato passato, é (stato) reale, che sia realmente accaduto.
Faccio tuttavia notare che la memoria riguarda i giudizi sintetici a posteriori -termine del tutto evidentemente non casuale!- (circa i dati di fatto: eventuali -se veri- conoscenze di come é -stata, nella fattispecie- la realtà) e non i giudizi analitici a priori.
Posso dubitare di stare eseguendo correttamente un giudizio analitico a priori, poiché le premesse dalle quali mi ricordo di essere partito allorché sto tirando le conclusioni potrebbero non essere quelle da cui effettivamente (realmente) sono partito; ma questo giudizio degno di dubbio ("sto eseguendo correttamente un giudizio analitico a priori") é un giudizio sintetico a posteriori, un' affermazione che può esser vera circa ciò che realmente accade, che può essere una reale "conoscenza" (un giudizio "gnoseologicamente fertile"), ma che inevitabilmente paga la sua "fertilità gnoseologica" con la sua inevitabile incertezza.
Il giudizio analitico a priori (anche quello ipotetico oggetto di questo evento reale ipotizzato; di cui -cioé dell' evento reale: che sia in "in corso", e poi che stato svolto- non possiamo avere certezza), se é stato di fatto condotto in modo da essere) logicamente corretto -credo salvo casi "eccezionali" previsti dai teoremi di Goedel; e qui chiederei chiarimenti a Epicurus- allora é certo (ma "sterile circa qualsiasi conoscenza della realtà, di cui non dice nulla, né di vero né di falso).
Con questa sua "sterilità conoscitiva" paga inevitabilmente la sua certezza (se é accaduto che sia stato svolto in maniera logicamente corretta).
Anche la dubitabilità della memoria (riguardante, fra l' altro, non il "contenuto" -qualora siano stati svolti in modo logicamente corretto- ma il fatto, eventualmente conoscibile attraverso giudizi sintetici a posteriori, se veri, "che i G. A. a P. siano -e siano stati- di fatto svolti in modo logicamente corretto") é uno dei motivi dell' insuperabilità razionale (bensì solo attraverso un "minimo indispensabile" di "atti di fede") dello scetticismo.
Ed essere consapevoli di questi limiti insuperabili della ragione e della razionalità (umana) e di questi limiti insuperabili, di queste condizioni, di questo autentico, reale significato della (possibile) conoscenza (umana), significa essere più conseguentemente razionalisti che ignorarlo (coltivando pie illusioni in proposito).
Ci sono mappe inaccurate e mappe accurate. Ci sono mappe che dicono che Roma è al Polo Nord e mappe che dicono che Roma è nel Lazio. Chiaramente le prime sono completamente errate, le seconde invece riescono a farmi arrivare a destinazione. Questo è il criterio con cui si devono sviluppare le mappe. Una mappa è accurata se ti fa arrivare a destinazione, una teoria è giusta se concorda con l'esperienza.
Ma "Roma" scitta nella mappa accurata non è Roma Città, le predizioni teoriche non sono l'esperienza ecc.
Se mi "ritrovo" (ossia se penso, parlo, agisco, e mi comporto come...) nella descrizione dell'uomo "occidentale" allora posso definirmi "occidentale" ma questo in verità non mi definisce perchè il simbolo che rappresenta Roma non è Roma.
Motivo per cui in ultima analisi tutti i concetti non possono realmente definire la realtà come avevano compreso gli antichi quando problematizzavano ad esempio la possibilità di dare nomi alle cose. Il fatto di rendere le nostre mappe sempre più accurate non ci può portare a dire di essere a conoscenza della realtà così come il fatto di conoscere ogni centimetro quadrato di Roma non mi fa conoscere veramente Roma finché non la visito.
Questa "indefinibilità", questa certezza che in ultima analisi nessun concetto può definirmi, può confinarmi ecc a mio giudizio è "liberante". Noi siamo "oltre" ogni concetto che possiamo usare per descrivere noi stesssi. Se potessimo racchiudere la vita in concetti perderemmo a mio giudzio la libertà perchè l'essere liberi è anzitutto l'essere svincolati dalle gabbie concettuali (perfino la schiavitù ha origini concettuali più che "sociali": se A è schiavo di B significa che si crede che una proprietà di A è di appartenere a B... uno schiavo si libera prima di tutto quando capisce che lui non appartiene realmente ad A ma solo convenzionalmente...).
Le argomentazioni poste da Carlo P., a mio parere sono"forti", quelle poste da Korzybsk sono"deboli", al fine di una teoria della conoscenza.
Non significa che ciò che esprime K. sia sbagliato, semmai trovo che possono convivere.
In fondo K. mi dice che abbiamo dei limiti conoscitivi che la mappa non corrisponde al territorio e abbiamo più livelli d astrazione.
Ai fini della conoscenza, non mi dice nulla di nuovo, perchè comunque anche se non conosco la realtà "vera" (ma di cui possiamo solo parlare compreso lui....), e nessuno nemmeno K. può dirmi quanto e come d "quella" realtà è conosciuto ,ma di fatto noi conosciamo, abbiamo costruito regole, metodiche ,proporozioni ,categorie, induzioni, deduzioni, sillogismi, ecc.
L'appercezione kantiana del "io penso", non è superata concettualmente . Quello che a mio parere di K. bisogna tenere presente sono le interazioni fra i livelli di astrazione, fare attenzione al condizionamento culturale e delle proprie credenze su come sono state costruite
Il rapporto tra mappa e territorio potrebbe essere descritto nei termini seguenti.
Supponiamo di esistere (capisco che si tratta di una supposizione alquanto azzardata, ma osiamo!). Una volta che esistiamo, ci consideriamo soggetti, in quanto tali distinti da oggetti. A questo punto, mi sembra fondamentale osservare che per noi, come soggetti, l'unica possibilità di appurare l'esistenza di oggetti consiste nella possibilità che tali oggetti riescano a produrre modificazioni, reazioni. Se di un oggetto non riesco ad individuare alcun effetto da esso prodotto su alcunché, non ho alcuna possibilità di accertare l'esistenza di tale oggetto. In questo senso, la mappa non è altro che un resoconto di certe modifiche, reazioni, effetti che l'oggetto è in grado di suscitare. Questa mappa di reazioni include il concetto stesso di essere, poiché esso non è altro che un modo di sintetizzare un insieme di reazioni.
Distinguere tra mappa e oggetto è solo uno degli aspetti della problematica; tra di essi ci sarebbe da tenere in conto anche la questione tempo, a cui mi sono riferito nel mio messaggio precedente, la questione meta- (mappa della mappa, e così all'infinito) a cui ha fatto riferimento Phil, le questioni linguistiche. In altre parole, l'uso del verbo essere è solo una convenzione di comodo per indicare, in maniera semplificata, oggetti a cui intendiamo riferirci. Il problema è che, dopo un certo tempo, la semplificazione ci induce a dimenticare tutte le complessità a cui essa si è riferita. Ciò corrisponde all'operazione, compiuta da alcuni in questa discussione, nel sostituire Korzybski con K. Non ci sarebbe molto da meravigliarsi se dopo un certo tempo, a forza di usare K., non solo non ricordiamo più il vero nome, ma ci persuadiamo che il vero nome completo sia K. Allo stesso modo, ci persuadiamo che dire "essere" significhi dire l'essenza dell'oggetto, fino al punto di non farci troppo scrupolo di identificare il nostro concetto con l'oggetto, cioè la mappa con il territorio.
Trattandosi, come ho detto, di questioni molto più vaste e complesse, che non si riducono solo alla necessità di distinguere la mappa dal territorio, sarebbe sufficiente usare il verbo essere con umiltà, sapendo che esso non ha diritto di ritenersi contenitore perfetto del riferimento all'essenza, e che ogni tanto può essere bene riesaminare le varie questioni implicate nella parola essere, come ha fatto Korzybski e come hanno fatto i filosofi in generale.
Il problema è anche che la natura ci impedisce di essere umili. Un fattore che ce lo impedisce è la smemoratezza, proprio riguardo alla molteplicità di questioni sull'essere: infatti l'abbreviazione K. viene ideata proprio per diminuire il lavoro da fare col cervello o con la tastiera, col risultato di favorire la smemoratezza. È facile rendersi conto che la smemoratezza è amica della presunzione, l'opposto dell'umiltà.
Oltre alla smemoratezza, ci sono altre condizioni del nostro essere che ci costringono a non essere umili. A volte mi sono chiesto come potrebbe essere possibile fare sesso con umiltà: lo trovo davvero un accostamento ai limiti del grottesco e del comico; se poi pensiamo che la nostra nascita viene causata proprio da un atto sessuale, che per sua natura non può essere vissuto con modestia e umiltà, potremmo giungere a dire che siamo tutti figli dell'autoaffermazione, dell'auto esibizione. Si può estendere il campo di quest'osservazione notando che un altro gesto che fa a pugni con modestia e umiltà è il mangiare, poiché il cibo, per sua natura, contiene una capacità attrattiva, deve produrre appetito, ma appetito non è una cosa che si armonizzi tanto pacificamente con umiltà e modestia. Insomma, la nostra esistenza è anche piacere, il piacere va a braccetto con smemoratezza, autoaffermazione, autoesibizione, tutte situazioni esistenziali che militano contro il ricordarci di distinguere tra mappa e territorio. Un pavone che fa la ruota sta cercando di convincere che lui è territorio, un ottimo territorio e non una modesta, umile mappa.
Non potendo tenere tutto a memoria, siamo costretti a percorrere queste o quelle complicazioni, a periodi, a epoche, e così si formano le epoche culturali.
Quanto vale oggi distinguere tra mappa e territorio? Quanto vale oggi il richiamo ad essere umili? Giustamente il discorso è stato collegato alla politica e alla storia. Penso che Diego Fusaro direbbe che dobbiamo creare mappe che evidenzino che il territorio può essere modificato, mappe che s'incarichino non semplicemente di rispecchiare con fedeltà il territorio, ma di suggerire progetti di modifica di esso. Affinché ciò avvenga deve trattarsi di mappe evidenziatrici, selettive, come certe mappe che evidenziano la distribuzione nel mondo della fame o di altri disagi o inganni. Una mappa che pretenda di essere oggettiva, nella visione di Fusaro, è una mappa ingannatrice, subdola, perché con lo splendore della sua fedelissima somiglianza al territorio ci fa innamorare della bellezza di rispecchiare il territorio, adeguarci ad esso, sottometterci ad esso, piuttosto che renderci conto che esso può e deve essere modificato.
In questo senso non ci sono da perseguire mappe fedeli o mappe che non si confondano con il territorio, ma mappe che indichino come rendere il territorio più umano. Ci potrebbe essere chi dica che solo con una mappa fedele si può capire come stanno le cose e dove bisogna intervenire, ma una mappa solo matematica della fame nel mondo non ti dice di smuoverti e fare qualcosa. La matematica, anche quella delle statistiche sulla fame o sui disagi, non ha capacità di spinta all'azione. Ci vogliono mappe che siano opere d'arte, non foto neutrali.
In questo senso, lo sforzo di distinguere mappe da territori, piuttosto che condurre all'umiltà delle mappe, potrebbe anche condurre all'ambizione di fare mappe più precise per dominare meglio non tanto il territorio, ma soprattutto le menti che vi abitano. Alla fine potremmo dire che nel nostro mondo di umanità non esistono territori, ma solo mappe, e ciò che fa la differenza non è la loro fedeltà al territorio o la loro distinzione da esso, ma lo scopo e il modo per cui e con cui le usiamo.
Citazione di: Angelo Cannata il 04 Settembre 2017, 15:38:55 PM
Insomma, non possiamo neanche essere certi che 1=1, oppure che l'essere è, perché nulla ci garantisce che, già nel pensare la semplice idea di essere o di 1, non si siano verificate infedeltà, incoerenze, inganni nella nostra mente.
...E tu sei certo che <<...
non possiamo neanche essere certi che 1=1, oppure che l'essere è >>?1 - Se ne sei certo, vuol dire che qualche certezza al mondo esiste: la tua. E se esiste la tua, possono esisterne anche molte altre.2 - Se invece non ne sei certo, vuol dire allora che esiste la possibilità di << essere certi che 1=1, oppure che l'essere è>> e quindi la possibilità di essere certi di molte altre verità.Questo voler mettere in dubbio solo la verità altrui, senza guardarsi allo specchio, è la smodata presunzione del relativismo. Il relativista, cioè, crede di poter essere al di sopra dei problemi e delle miserie epistemiche che egli attribuisce agli altri : ogni affermazione è fallace, tranne la sua! Se credi davvero che ogni filosofia sia fallace devi includere anche la tua. E allora, invece di star qui a pontificare, abbandona la filosofia e dedicati a qualcosa di utile: questa sarebbe coerenza con ciò che predichi! ...Altrimenti non credo a una parola di quello che dici.L'angolo musicale:G. RUSSO: La Sua figura
https://youtu.be/NVKFl2tL2qw
M. CAVALLO: E aspetterò la stella
https://youtu.be/MdLqSqMz-LQ
Vorrei introdurre il concetto di "ragionevolezza"...non è filosofico ma "sapienziale", vabbè!... :)
Se lo scetticismo appare razionalmente insuperabile, come afferma secondo me coerentemente Sgiombo, la ragionevolezza ( non la razionalità pura e astratta) ci induce a mitigare questo scetticismo totale iniettando un certo grado di certezza dovuto alla continuità del ripetersi dell'esperienza. Se , come afferma Popper, la razionalità ci dice che, se anche verifichiamo che una data cosa avviene sempre allo stesso modo, nulla ci dà la certezza che non possa avvenire in un altro, la ragionevolezza ci induce a ritenere che non succederà "nella realtà" ( non vedremo mai, per esempio, un uomo mettersi a volare come un uccello anche se la razionalità non lo può negare in assoluto...). Questa ragionevolezza è quella iniezione , secondo me necessaria, di "fede" o fiducia che dir si voglia della quale mi sembra parli Sgiombo ( se ho ben compreso...). Quindi, se lo scetticismo è insuperabile sul piano della pura speculazione astratta, esiste una dimensione attingibile dall'esperienza percettiva, che ho definito, forse in maniera approssimativa, come "sapienza" che ci rimette sul piano di un'interagire fruttuoso con la "realtà vera".
Spero di essermi spiegato ( non sono un filosofo...) :)
Citazione di: Carlo Pierini il 05 Settembre 2017, 09:54:43 AM...E tu sei certo che <<...non possiamo neanche essere certi che 1=1, oppure che l'essere è >>?
1 - Se ne sei certo, vuol dire che qualche certezza al mondo esiste: la tua. E se esiste la tua, possono esisterne anche molte altre.
2 - Se invece non ne sei certo, vuol dire allora che esiste la possibilità di << essere certi che 1=1, oppure che l'essere è>> e quindi la possibilità di essere certi di molte altre verità.
Questo voler mettere in dubbio solo la verità altrui, senza guardarsi allo specchio, è la smodata presunzione del relativismo. Il relativista, cioè, crede di poter essere al di sopra dei problemi e delle miserie epistemiche che egli attribuisce agli altri : ogni affermazione è fallace, tranne la sua!
Se credi davvero che ogni filosofia sia fallace devi includere anche la tua. E allora, invece di star qui a pontificare, abbandona la filosofia e dedicati a qualcosa di utile: questa sarebbe coerenza con ciò che predichi! ...Altrimenti non credo a una parola di quello che dici.
Sembra che tu abbia letto il mio post con molta superficialità: in esso non c'è nulla di cui pensi di poterlo accusare. Basta leggerlo.
Oltre alla superficialità esprimi anche nervosismo: mi accusi di pontificare, la tua rivendicazione di non credere a ciò che dico sembra una seria minaccia, ma non risulta tanto seria se si osserva che nel mio messaggio non si parla di nulla a cui credere.
Tutto il mio messaggio si potrebbe riassumere in una sola parola: "forse". Ora prova a rileggere la tua risposta e vedi che impressione fa come risposta ad un semplice forse.
Pensi che l'animosità che manifesti favorisca la tua comprensione delle questioni?
Citazione di: Sariputra il 05 Settembre 2017, 10:44:15 AMVorrei introdurre il concetto di "ragionevolezza"...non è filosofico ma "sapienziale"
Mi sembra che tu abbia toccato un argomento importante, cioè il rapporto fra teoria e pratica.
A me sembra che in filosofia, col passare dei secoli, ci si vada rendendo conto che la teoria, da sola, rivela due gravi difetti: 1) non regge, cioè non è solida, non è in grado di resistere in maniera convincente alle critiche: i dibattiti mai finiti, che durano fino ad oggi, da secoli, ne sono una chiara dimostrazione; 2) anche quando mostra coerenze, appare sterile, lontana dal vissuto, dai concreti problemi umani.
A causa di ciò, si tende ad orientare di più la filosofia verso il pratico, il concreto, per arrivare fino alla politica e ai problemi dettagliati della gente; il mio orientamento verso la spiritualità corrisponde a questa tendenza, che mi sembra di poter individuare.
Tutto ciò è giustificabile, ma vi vedo un rischio: quello di dimenticare l'importanza della teoria in quanto critica.
La tua proposta di andare ad una ragionevolezza sapienziale, pratica, è giusta; il problema è che, seguendo questa via, è facile esporsi all'universalizzazione del particolarismo, cioè per ognuno di noi illudersi che la ragionevolezza pratica e vera è la propria. Per me la ragionevolezza autentica e concreta è la mia; per te la tua; per gli occidentali quella della mentalità occidentale. È qui che il non buttare la teoria nella spazzatura è prezioso: perché la teoria mi mette a nudo e in questione i miei particolarismi.
L'errore della teoria è stato quello di risolvere il problema dei particolarismi optando per l'opposto, cioè gli universalismi, le idee assolute. Questo è ciò che ha creato i due gravi difetti che ho detto sopra.
Allora io vedo questa via: è necessario procedere per ragionevolezze sapienziali, come tu hai detto, ma esse hanno bisogno di mantenere un confronto con la critica teorica; questo confronto deve servire a non cadere nell'elevazione delle nostre idee di ragionevolezza a valori universali, ma piuttosto valorizzarle proprio in quanto idee particolaristiche.
In altre parole, mi sembra che oggi ciò che vale non sia ciò che si presenta come idea universale, ma ciò che è opinione. Invece, secoli di filosofia ci hanno convinti del contrario: l'opinione non vale niente, ciò che conta è il teorema, la legge, la dimostrazione universale.
Dunque, mi sento in dovere di interessarmi della tua idea di ragionevolezza sapienzale, perché ogni ragionevolezza universale mi ha deluso, ha deluso secondo me il mondo intero; a patto di non percepire in te tentativi di trasformare di soppiatto la ragionevolezza sapienziale in universale: saremmo punto e a capo.
Citazione di: paul11 il 05 Settembre 2017, 09:28:40 AM
Le argomentazioni poste da Carlo P., a mio parere sono"forti", quelle poste da Korzybsk sono"deboli", al fine di una teoria della conoscenza.
Non significa che ciò che esprime K. sia sbagliato, semmai trovo che possono convivere.
In fondo K. mi dice che abbiamo dei limiti conoscitivi che la mappa non corrisponde al territorio e abbiamo più livelli d astrazione.
Ammettere l'esistenza di verità assolute su cui fondare e costruire nel tempo una conoscenza solida in grado di crescere e di evolversi non significa né affermare l'
onniscienza del sapere umano, né che
ogni teoria scientifica sia una verità assoluta e indubitabile. Significa solo affermare che una fondazione del sapere su nozioni, leggi e principi certi è una meta possibile, dal momento che, in una sia pur piccola misura, sta già avvenendo. Mentre il relativismo, cieco di fronte alle conquiste
reali della Conoscenza,
ignorante della sua vera natura epistemica, inconsapevole del fatto che la tecnologia non si basa su nozioni opinabili, ma su una somma di tante piccole verità assolute (se non lo fossero, sarebbe impossibile inviare una sonda su una cometa o far funzionare la lavastoviglie di casa), ...monta in cattedra e, facendo di tutta l'erba un fascio, dichiara discutibile ogni sapere, mette sullo stesso piano fede e conoscenza, superstizione e scienza, sentenziando così l'impossibilità di qualunque fondamento metafisico, non solo nell'ambito della conoscenza, ma nell'intero ambito della cultura!Questa non è filosofia, ma un virus mortale della filosofia e dell'intelletto, di cui dobbiamo liberarci quanto prima.
Citazione di: Angelo Cannata il 05 Settembre 2017, 12:02:20 PM
Citazione di: Carlo Pierini il 05 Settembre 2017, 09:54:43 AM...E tu sei certo che <<...non possiamo neanche essere certi che 1=1, oppure che l'essere è >>?
1 - Se ne sei certo, vuol dire che qualche certezza al mondo esiste: la tua. E se esiste la tua, possono esisterne anche molte altre.
2 - Se invece non ne sei certo, vuol dire allora che esiste la possibilità di << essere certi che 1=1, oppure che l'essere è>> e quindi la possibilità di essere certi di molte altre verità.
Questo voler mettere in dubbio solo la verità altrui, senza guardarsi allo specchio, è la smodata presunzione del relativismo. Il relativista, cioè, crede di poter essere al di sopra dei problemi e delle miserie epistemiche che egli attribuisce agli altri : ogni affermazione è fallace, tranne la sua!
Se credi davvero che ogni filosofia sia fallace devi includere anche la tua. E allora, invece di star qui a pontificare, abbandona la filosofia e dedicati a qualcosa di utile: questa sarebbe coerenza con ciò che predichi! ...Altrimenti non credo a una parola di quello che dici.
Sembra che tu abbia letto il mio post con molta superficialità: in esso non c'è nulla di cui pensi di poterlo accusare. Basta leggerlo.
Oltre alla superficialità esprimi anche nervosismo: mi accusi di pontificare, la tua rivendicazione di non credere a ciò che dico sembra una seria minaccia, ma non risulta tanto seria se si osserva che nel mio messaggio non si parla di nulla a cui credere.
Tutto il mio messaggio si potrebbe riassumere in una sola parola: "forse". Ora prova a rileggere la tua risposta e vedi che impressione fa come risposta ad un semplice forse.
Il problema è che tu questo "forse" lo metti dappertutto, anche dove
non puoi metterlo; e questa non è umiltà, ma arroganza, pre-sunzione. Chi non crede in Dio, abbandona la religione; e chi non crede nella verità abbandona la filosofia. Perché, se in "virtù" di
un assoluto e onnipresente "forse", si predica l'impossibilità di distinguere il vero dal falso, la filosofia diventa un rumore molesto, non uno strumento di comprensione di sé e del mondo.
Dallo Zingarelli:
filosofia
Attività del pensiero che nei secoli, ininterrottamente dalla Grecia antica fino a oggi, ha avuto come oggetto i fondamenti della realtà, i princìpi e le cause prime delle cose, i modi della conoscenza, i problemi e i valori connessi all'agire umano.
Attività che ha avuto come oggetto: filosofia non è credere a qualcosa, non è condividere qualcosa, è attività. Se c'è attività su quegli oggetti citati, allora c'è filosofia. Lo dice il vocabolario.
Naturalmente il vocabolario può essere criticato, si può essere in disaccordo, ma bisogna dirlo, è questione di onestà intellettuale. Io lo faccio con la spiritualità: ne propongo mie definizioni, in diversi modi relazionate con quello che ne dicono vocabolari ed enciclopedie, ma lo dico: è un mio lavoro sulla definizione.
Al contrario, non è intellettualmente onesto svisare il significato della parola filosofia, non dirlo, e poi in base a questo travisamento pontificare (questo sì che risulta un pontificare) su chi dovrebbe fare filosofia e chi no.
Vuoi mettere in questione il significato della parola filosofia? Ottimo, sono interessato.
Ma se prima non fai questo, non è onesto far finta che il significato della parola filosofia sia quello che tu presupponi.
Citazione di: Angelo Cannata il 05 Settembre 2017, 13:38:33 PM
Dallo Zingarelli:
filosofia
Attività del pensiero che nei secoli, ininterrottamente dalla Grecia antica fino a oggi, ha avuto come oggetto i fondamenti della realtà, i princìpi e le cause prime delle cose, i modi della conoscenza, i problemi e i valori connessi all'agire umano.
Attività che ha avuto come oggetto: filosofia non è credere a qualcosa, non è condividere qualcosa, è attività. Se c'è attività su quegli oggetti citati, allora c'è filosofia. Lo dice il vocabolario.
Naturalmente il vocabolario può essere criticato, si può essere in disaccordo, ma bisogna dirlo, è questione di onestà intellettuale. Io lo faccio con la spiritualità: ne propongo mie definizioni, in diversi modi relazionate con quello che ne dicono vocabolari ed enciclopedie, ma lo dico: è un mio lavoro sulla definizione.
Al contrario, non è intellettualmente onesto svisare il significato della parola filosofia, non dirlo, e poi in base a questo travisamento pontificare (questo sì che risulta un pontificare) su chi dovrebbe fare filosofia e chi no.
Vuoi mettere in questione il significato della parola filosofia? Ottimo, sono interessato.
Ma se prima non fai questo, non è onesto far finta che il significato della parola filosofia sia quello che tu presupponi.
La filosofia è
anche una attività del pensiero. Ma il suo
fine è la ricerca della verità delle cose (conoscenza) e dei criteri generali da seguire per questo scopo. "Filo-sofia" significa "amore per la sapienza", non amore per l'attività del pensiero fine a se stessa. E "sapienza" è la conoscenza della verità sul mondo e su noi stessi.
Citazione di: Carlo Pierini il 04 Settembre 2017, 23:13:25 PM
Perché non l'hai chiesta anche a Korzybski la medesima dimostrazione? Sarà, forse, perché il suo è davvero un dogma che, come tale, non può portare nessuna osservazione reale a suo supporto?
Davvero chiedi "un'osservazione reale" a "supporto" del fatto che "la mappa non è il territorio"? Guarda una mappa dell'Italia e poi alza lo sguardo intorno a te ;)
Fuor di metafora, vuoi una prova "reale" del fatto che "il dire non è il detto"? Prova ad aprire una porta usando la
parola "chiave" ;D
Citazione di: Carlo Pierini il 04 Settembre 2017, 23:13:25 PM
La verità è la concordanza tra ciò che si dice e ciò che è; e io ho detto che "la Terra gira intorno al Sole" non che "la Terra girerà in eterno intorno al Sole"; ho usato il verbo al presente, e se non ti basta, posso anche aggiungere nell'enunciato la data e l'ora in cui l'ho detto
Se mettiamo alla presunta "verità assoluta" postille e note del tipo: "fino ad ora", "qui", "in questo senso", "in tal contesto", "fino a prova contraria", etc. che fine fa la sedicente "assolutezza"? Che differenza c'è allora fra una verità e una verità
assoluta?
Come Apeiron (credo) fece notare, "assolutezza" e "certezza" non vanno confuse: una verità certa ("la terra gira intorno al sole") non è una verità assoluta, proprio perché non è "sciolta" dal contesto di conoscenze/osservazioni che la verifica. Nel momento in cui dici "qui ed ora", ti precludi di poter usare
filosoficamente la parola "assoluto".
La parola "assoluto" in filosofia appartiene infatti al linguaggio metafisico-dogmatico, la parola "certezza" appartiene invece, oggi, all'epistemologia; se le confondiamo, "assoluto" diventa ridondante rispetto a "vero" (e ogni verità diventa allora "assoluta", con le dovute precisazioni: "fino ad oggi", "stando ai dati", etc.).
Questo tipo di "
assolutezza relativa al presente" (!?) è sterile, e lo dimostra il fatto che può essere cancellata senza cambiare il "valore" della verità a cui si riferisce.
Citazione di: Carlo Pierini il 05 Settembre 2017, 14:12:16 PMLa filosofia è anche una attività del pensiero. Ma il suo fine è la ricerca della verità delle cose (conoscenza) e dei criteri generali da seguire per questo scopo. "Filo-sofia" significa "amore per la sapienza", non amore per l'attività del pensiero fine a se stessa. E "sapienza" è la conoscenza della verità sul mondo e su noi stessi.
Il fine della filosofia non è quello che stabilisci tu o io. Se vuoi individuare un fine che sia valido per chiunque, allora devi fare riferimento a qualche fonte e chiarire la tua posizione in merito alla fonte. Questa è onestà intellettuale. Altrimenti siamo alle solite: stabilisci aribitrariamente definizioni, fini e quant'altro e poi accusi le persone di arroganza perché non corrispondono a definizioni e fini che ti sei inventato.
L'etimologia di un termine non ha alcun valore per stabilire il significato di una parola; può essere utile a discuterlo (cosa che tu non fai), ma non a stabilirlo. Chi lo stabilisce sono vocabolari ed enciclopedie, sui quali possiamo poi anche discutere. Ma tu non ti confronti con vocabolari ed enciclopedie, stabilisci e basta. E poi accusi gli altri di pontificare e di usare arroganza.
Citazione di: Angelo Cannata il 05 Settembre 2017, 09:47:44 AMinfatti l'abbreviazione K. viene ideata proprio per diminuire il lavoro da fare col cervello o con la tastiera, col risultato di favorire la smemoratezza. È facile rendersi conto che la smemoratezza è amica della presunzione, l'opposto dell'umiltà.
Ti sbagli, l'ho "inventata" proprio per fare un meta-esperimento, o meglio fare un meta-scherzo, volevo vedere se avrebbe attechito nella discussione e vedere in quali contesti sarebbe stata usata una o l'altra forma. Volevo anche esclamare "K. non è Korzybski" ma l'hai fatto prima tu, e mi hai bruciato la battuta! Cerca di essere meno perspicace per favore.
CitazioneE dove sta scritto che esiste una incommensurabilità fondamentale tra soggetto e oggetto del discorso? Se così fosse, tutto quello che hai scritto tu (e K) sarebbe a sua volta incommensurabile con la realtà epistemologica che tenti di descrivere. Se invece vuoi che qualcuno prenda in considerazione ciò che dici, devi pre-supporre la possibilità che il tuo linguaggio (soggettivo), la tua mappa, possa rispecchiare fedelmente l'oggetto.
Ma allora, se la logica stessa del linguaggio ti obbliga a presupporre la possibilità della verità (pena l'auto-contraddizione), non sarà che la nostra idea di linguaggio, inteso come un'invenzione arbitraria e convenzionale dell'uomo, che nulla avrebbe a che vedere col mondo, è un'idea sballata e che esso, alla stregua di tutti gli altri simboli (il linguaggio è simbolo), faccia invece parte della Natura (nel senso pagano di materia+spirito) e che emerga da essa come potenziale immagine speculare della Natura stessa? Non sarà proprio questo il senso dell'intuizione religiosa secondo cui "in principio era il Verbo, per mezzo del quale tutto è stato fatto"?. E non sarà proprio questo il senso anche dell'idea leibniziana che vede una "armonia praestabilita" (almeno potenziale) tra linguaggio e cosa, tra soggetto e oggetto? ...Oppure dell'idea platonica secondo la quale ogni ente sensibile discende da un corrispondente "modello celeste" (l'archetipo), fatto della stessa sostanza delle idee (cioè del Verbo)? ...Oppure il senso delle credenze, diffuse in tutto l'arco spazio-temporale della nostra tradizione mitico-religiosa, secondo le quali...
Per quanto ne so io di linguistica è una questione estremamente attuale e divisiva, non solo l'origine storica del linguaggio ma l'origine in ogni singolo individuo, siamo abituati e magari ci spazientiamo se il bambino "ancora non parla" ma la realtà è che è di fronte all'ostacolo più grande, quello che nella natura conosciuta nessun altro supera. Proprio per questo ho difficoltà di credere che faccia parte di quello che generalmente consideriamo il dominio naturale, perchè il linguaggio è il mattone con cui si costruisce tutto ciò che normalmente non è considerato naturale ma artificiale (ma tutto questo potrebbe essere una semplice incomprensione riguardo alla parola natura, a cui peraltro io non attribuisco la maiuscola a differenza tua, e quindi ho il forte sospetto che sia così). Però tu prendi il linguaggio come una specie di corpus conoscitivo calato dall'alto (o di riflesso) tuttavia il suo sviluppo non sembra esattamente cosi lineare da poter far supporre ciò. Per esempio, prima del "soma" greco non esisteva una parola per definire "corpo" (corpse in inglese ancora ancora significa "cadavere" a memoria del fatto che importarono la parola senza avere il concetto sotteso), come mai alcune lingue ancora per dire "corpo" sono costrette ad elencare i propri arti ed amenicoli? Non sono stati baciati dalla natura? Eppure è una parola piuttosto importante. In russo generalmente "essere" si omette, non dico che non ci sia, è sottinteso, ma sistematicamente viene omesso in quanto "ovvio", se dici "sono a Mosca" i moscoviti capiranno subito che non sei uno dei loro. Come mai il riflesso del "Verbo" (che è logos) è cosi ondivago? Per non parlare di strutture linguistiche estremamente diversificate che hanno poco o niente della lingua "moderna". Se la risposta è che la linguistica è una convenzione, allora sei sulla mia stessa barca, ma allora la (N)atura non c'entra niente con le convenzioni, senza perciò negare che vi sia un "quid" innato che predispone l'uomo alla vocalizzazione e all'astrazione. Un esempio diverso è che tutto il mondo conta base dieci, da qualche anno un simpatico gruppo di matematici ha proposto di passare a base dodici, perchè dodici è multiplo di più numeri e molte più frazione di esso evitano i "fastidiosi" decimali. Purtroppo abbiamo dieci dita, e almeno ai bambini (almeno fino a qualche anno fa) fanno comodo per contare. Immagina due universi paralleli, uno dove si conta in base dieci e uno in base dodici, io ti chiedo, quale dei due è riflesso del "Verbo" e quale "semplice convenzione"? Tu dirai quello base dieci, dieci sono le dita, dieci è la natura. Io poi ti farò notare che le quattro dita lunghe hanno dodici spezzoni, è che base dodici era usato anche nel tuo universo (unità di misura non metriche) e che anche l'universo base dodici era nato per per riflesso della natura. Ho paura che non ne usciremo vivi :) Peraltro, non per infierire, ma visto che citi il il palazzo di Ceylon, l'idea di inizio novecento che l'architettura sacrale fosse cosi costituita per riflettere o comunicare un messaggio ontologico, è davvero bislacca, visto che la ricorrenza più comune è la forma fallica, dovremmo trarre per deduzione che la sacralità è una forma di sessualità repressa, quindi al posto di Jung dovremmo cominciare a citare Freud e a Jung non piacerebbe ;)
Citazione di: Carlo Pierini il 05 Settembre 2017, 14:12:16 PMLa filosofia è anche una attività del pensiero
...
E "sapienza" è la conoscenza della verità sul mondo e su noi stessi.
L'esordio potrebbe essere preso per una discussione critica su ciò che dice il vocabolario, ma viene a risultare del tutto infondato.
Visto che scrivi che, rispetto a ciò che dice il vocabolario, filosofia non è solo, ma anche un'attività del pensiero, sarebbe interessante se tu riuscissi ad indicare qualche tipo di filosofia che non è attività del pensiero.
Che sapienza sia "la conoscenza della verità sul mondo e su noi stessi" corrisponde alla solita pretesa di pontificare definizioni senza curarsi di consultare alcuna enciclopedia o vocabolario.
Citazione di: Angelo Cannata il 05 Settembre 2017, 17:25:53 PM
Citazione di: Carlo Pierini il 05 Settembre 2017, 14:12:16 PMLa filosofia è anche una attività del pensiero
...
E "sapienza" è la conoscenza della verità sul mondo e su noi stessi.
L'esordio potrebbe essere preso per una discussione critica su ciò che dice il vocabolario, ma viene a risultare del tutto infondato.
Visto che scrivi che, rispetto a ciò che dice il vocabolario, filosofia non è solo, ma anche un'attività del pensiero, sarebbe interessante se tu riuscissi ad indicare qualche tipo di filosofia che non è attività del pensiero.
Tutte le filosofie sono
anche attività di pensiero. Attività che però non è fine a sé stessa, ma è finalizzata alla ricerca della verità.
ANGELOChe sapienza sia "la conoscenza della verità sul mondo e su noi stessi" corrisponde alla solita pretesa di pontificare definizioni senza curarsi di consultare alcuna enciclopedia o vocabolario.CARLOI vocabolari non sono stati scritti dal dito di Dio, ma da uomini come me. Infatti, se prendi un dizionario filosofico puoi leggere:"Per Platone la Filosofia implica: 1 - l'acquisizione della conoscenza più valida e più estesa possibile; 2 - l'uso di questa conoscenza a vantaggio dell'uomo. ...Per Cartesio la F. è finalizzata ad una perfetta conoscenza di tutte le cose che l'uomo può conoscere. Per Kant è la scienza delle relazioni tra le diverse forme di conoscenza. ...Per Aristotele è la scienza della verità. ...Per Fichte è la scienza di tutte le scienze. ...Per Dilthey è lo studio della fondazione del sapere. ...Per Locke è lo sforzo per liberare l'uomo dall'ignoranza. ...Per Sartre è la totalizzazione del sapere". ...E altre centinaia che mettono comunque in stretta relazione la F. con la conoscenza.
Citazione di: Sariputra il 05 Settembre 2017, 10:44:15 AM
Vorrei introdurre il concetto di "ragionevolezza"...non è filosofico ma "sapienziale", vabbè!... :)
Se lo scetticismo appare razionalmente insuperabile, come afferma secondo me coerentemente Sgiombo, la ragionevolezza ( non la razionalità pura e astratta) ci induce a mitigare questo scetticismo totale iniettando un certo grado di certezza dovuto alla continuità del ripetersi dell'esperienza. Se , come afferma Popper, la razionalità ci dice che, se anche verifichiamo che una data cosa avviene sempre allo stesso modo, nulla ci dà la certezza che non possa avvenire in un altro, la ragionevolezza ci induce a ritenere che non succederà "nella realtà" ( non vedremo mai, per esempio, un uomo mettersi a volare come un uccello anche se la razionalità non lo può negare in assoluto...). Questa ragionevolezza è quella iniezione , secondo me necessaria, di "fede" o fiducia che dir si voglia della quale mi sembra parli Sgiombo ( se ho ben compreso...). Quindi, se lo scetticismo è insuperabile sul piano della pura speculazione astratta, esiste una dimensione attingibile dall'esperienza percettiva, che ho definito, forse in maniera approssimativa, come "sapienza" che ci rimette sul piano di un'interagire fruttuoso con la "realtà vera".
Spero di essermi spiegato ( non sono un filosofo...) :)
CitazioneSono proprio d' accordo: voler essere razionalisti del tutto conseguentemente, "fino in fondo" condanna inevitabilmente alla passività pratica: se non posso essere certo di nulla non posso agire a ragion veduta, ma solo del tutto a casaccio.
Invece una "ragionevolezza" (e non una razionalità del tutto conseguente), che ammette un minimo di credenze indimostrabili permette (per mal che vada, per lo meno l' illusione di) agire più o meno efficacemente per i fini che sentiamo di perseguire.
Citazione di: InVerno il 05 Settembre 2017, 17:23:54 PM
CitazioneMa allora, se la logica stessa del linguaggio ti obbliga a presupporre la possibilità della verità (pena l'auto-contraddizione), non sarà che la nostra idea di linguaggio, inteso come un'invenzione arbitraria e convenzionale dell'uomo, che nulla avrebbe a che vedere col mondo, è un'idea sballata e che esso, alla stregua di tutti gli altri simboli (il linguaggio è simbolo), faccia invece parte della Natura (nel senso pagano di materia+spirito) e che emerga da essa come potenziale immagine speculare della Natura stessa? Non sarà proprio questo il senso dell'intuizione religiosa secondo cui "in principio era il Verbo, per mezzo del quale tutto è stato fatto"?. E non sarà proprio questo il senso anche dell'idea leibniziana che vede una "armonia praestabilita" (almeno potenziale) tra linguaggio e cosa, tra soggetto e oggetto? ...Oppure dell'idea platonica secondo la quale ogni ente sensibile discende da un corrispondente "modello celeste" (l'archetipo), fatto della stessa sostanza delle idee (cioè del Verbo)? ...Oppure il senso delle credenze, diffuse in tutto l'arco spazio-temporale della nostra tradizione mitico-religiosa, secondo le quali...
tu prendi il linguaggio come una specie di corpus conoscitivo calato dall'alto (o di riflesso) tuttavia il suo sviluppo non sembra esattamente cosi lineare da poter far supporre ciò.
"Calato dall'alto" nel senso di "ispirato". Ma si tratta di una ispirazione inserita in un processo storico evolutivo millenario (anzi, centi-millenario) e, come tale, non lineare. In ogni angolo del globo e in ogni epoca (tranne la nostra) domina l'idea del linguaggio come "dono degli dèi": oltre al cristiano "...in principio era il Verbo", il Dizionario dei Simboli scrive:
"<<Al principio era Brahma>>, dicono i testi vedici, <<con lui era
Vàk, la Parola>>. Nell'Islam il Verbo è chiamato
Kalimat Allah, Parola di Dio o parola instauratrice, che produsse ogni cosa e ogni oggetto. (...) Nel
Samyutta nikaya (2:221) si dice che
Kashyapa è <<il filgio naturale del Beato,, nato dalla sua bocca, nato dal
Dhamma>>. Il
Dhamma riconduce al linguaggio primordiale di Manu. (...) Per i Dogon la parola fu data all'uomo dallo Spirito Primo
Amma, precedente la creazione. (...) Per i Bambara,
Uno, l'unicità prima, è la cifra del Signore della Parola e della Parola stessa. (...) Per gli indios Guarany del Paraguay, Dio ha creato il fondamento del linguaggio prima della creazione. (...) La scienza delle lettere alfabetiche - molto sviluppata nella tradizione islamica come nella Cabala, è fondata sul loro valore simbolico. Per gli Hurufi, il nome non è altro che l'essenza stessa della cosa nominata. L'universo intero è il prodotto di queste lettere, ma è nell'uomo che esse si manifestano; per essi, le 32 lettere dell'alfabeto arabo persiano sono le manifestazioni del V
erbo in sé, gli attributi inseparabili della sua essenza <<indistruttibili come la Verità Suprema >>. (...) In India, Sarasvati, dea della parola è designata anche come dea alfabeto (lipidevi) e le lettere si identificano con le parti del corpo". [J. CHEVALIER & A. GEERBRANT: Dizionario dei simboli]Questi sono solo pochi esempi tra i numerosissimi possibili. Si tratta, naturalmente, di immagini concettuali di carattere simbolico; ma resta comunque da spiegare questa generale convergenza verso l'idea di un'origine trans-personale del linguaggio.INVERNO
Per esempio, prima del "soma" greco non esisteva una parola per definire "corpo" (corpse in inglese ancora ancora significa "cadavere" a memoria del fatto che importarono la parola senza avere il concetto sotteso), come mai alcune lingue ancora per dire "corpo" sono costrette ad elencare i propri arti ed amenicoli? Non sono stati baciati dalla natura? Eppure è una parola piuttosto importante. In russo generalmente "essere" si omette, non dico che non ci sia, è sottinteso, ma sistematicamente viene omesso in quanto "ovvio", se dici "sono a Mosca" i moscoviti capiranno subito che non sei uno dei loro. Come mai il riflesso del "Verbo" (che è logos) è cosi ondivago? Per non parlare di strutture linguistiche estremamente diversificate che hanno poco o niente della lingua "moderna". Se la risposta è che la linguistica è una convenzione, allora sei sulla mia stessa barca, ma allora la (N)atura non c'entra niente con le convenzioni, senza perciò negare che vi sia un "quid" innato che predispone l'uomo alla vocalizzazione e all'astrazione. Un esempio diverso è che tutto il mondo conta base dieci, da qualche anno un simpatico gruppo di matematici ha proposto di passare a base dodici, perchè dodici è multiplo di più numeri e molte più frazione di esso evitano i "fastidiosi" decimali. Purtroppo abbiamo dieci dita, e almeno ai bambini (almeno fino a qualche anno fa) fanno comodo per contare. Immagina due universi paralleli, uno dove si conta in base dieci e uno in base dodici, io ti chiedo, quale dei due è riflesso del "Verbo" e quale "semplice convenzione"? CARLONon si può affrontare in modo così "analitico-meccanicistico" l'argomento della produzione del simbolo. L'ispirazione non è una trascrizione integrale dell'archetipo nel linguaggio umano, ma il prodotto di una dialettica tra il "modello originario" e la cultura che lo esprime. Si tratta cioè di una influenza, di un influsso sulla cultura; influenza che è riconoscibile solo attraverso l'osservazione comparata tra simbolismi o espressioni culturali diversi e reciprocamente non-comunicanti.INVERNO Peraltro, non per infierire, ma visto che citi il il palazzo di Ceylon, l'idea di inizio novecento che l'architettura sacrale fosse cosi costituita per riflettere o comunicare un messaggio ontologico, è davvero bislacca, visto che la ricorrenza più comune è la forma fallica, dovremmo trarre per deduzione che la sacralità è una forma di sessualità repressa, quindi al posto di Jung dovremmo cominciare a citare Freud e a Jung non piacerebbe ;)
CARLO
Beh, ormai lo sanno anche i bambini che il
lingam indù è uno degli infiniti simboli del Principio creatore originario, al di là delle eresie interpretative di Freud.
L'angolo musicale:
GIANMARIA TESTA: Un aeroplano a vela
https://youtu.be/q88X1hZsKoY
PAOLO CONTE: Sant'America (tenore Savino Schiavo)
https://youtu.be/1s1susFokno
TESTO (Sant'America)
Là dove 'o raggiunamiento
nun se quaglia, nun sape arrivà
manduline co' grazia e turmento
chille, sì, chille sanno parlà...
Comodamente assettate
se mettettere calmi a sunà
prufessure guardanne a nuttata,
suspettanne na divinità...
surda, facennose viento,
Sant'America stava a guardà...
Chiare, cchiù chiare d'a luna,
'sti pparole scabbruse 'e spiegà..
chille vengono 'e 'nate treatre
sprufunnato dint' antichità..
Chesta è 'na recitazione
sopraffina a chi sape ascultà,
chesta è 'na interpretazione
esclusiva a chi tira a' ccampà...
Citazione di: Phil il 05 Settembre 2017, 16:06:09 PM
Citazione di: Carlo Pierini il 04 Settembre 2017, 23:13:25 PM
Perché non l'hai chiesta anche a Korzybski la medesima dimostrazione? Sarà, forse, perché il suo è davvero un dogma che, come tale, non può portare nessuna osservazione reale a suo supporto?
Davvero chiedi "un'osservazione reale" a "supporto" del fatto che "la mappa non è il territorio"? Guarda una mappa dell'Italia e poi alza lo sguardo intorno a te ;)
Fuor di metafora, vuoi una prova "reale" del fatto che "il dire non è il detto"? Prova ad aprire una porta usando la parola "chiave" ;D
Se per giustificare la "mappa" di K. mi tiri in ballo la sua concordanza con il territorio (la parola "chiave" non apre una porta), vuol dire che allora ci credi che
la mappa può rispecchiare il territorio.
...E comunque, io non ho mai parlato di identità mappa-territorio (identità della parola "chiave" con la chiave reale), ma sempre di concordanza-complementarità tra mappa e territorio (ordo et connexio idearum ac ordo et connexio rerum). Per cui il tuo esempio è sballato.In altre parole, so benissimo che la mappa non è il territorio, ma ciò non impedisce necessariamente la conquista di verità definitive e indubitabili.
Citazione di: Phil il 05 Settembre 2017, 16:06:09 PM
Citazione di: Carlo Pierini il 04 Settembre 2017, 23:13:25 PM
La verità è la concordanza tra ciò che si dice e ciò che è; e io ho detto che "la Terra gira intorno al Sole" non che "la Terra girerà in eterno intorno al Sole"; ho usato il verbo al presente, e se non ti basta, posso anche aggiungere nell'enunciato la data e l'ora in cui l'ho detto
Se mettiamo alla presunta "verità assoluta" postille e note del tipo: "fino ad ora", "qui", "in questo senso", "in tal contesto", "fino a prova contraria", etc. che fine fa la sedicente "assolutezza"?
Ancora non hai capito che una verità è "assoluta" non quando esprime l'onniscienza sui termini che la esprimono, ma solo quando è "sciolta da" ogni condizione che possa invalidarla? E' proprio per questo gonfiamento smodato e indebito del significato del termine "assoluto" che i relativisti rifiutano il concetto di "verità assoluta". Ari-ri-ri-ritorno per l'ennesima e ultima volta sul noto emblema di verità assoluta: <<la Terra gira intorno al Sole e non viceversa>>. Affinché questo enunciato sia una verità assoluta, non è necessario snocciolare tutte le verità possibili riguardo ai termini Terra" e "Sole", altrimenti, non potremmo mai affermare nulla di nulla; ma è sufficiente una concordanza rigorosa tra l'idea della Terra che gira intorno al Sole (non viceversa) e la realtà oggettiva. Punto. Quando giuri davanti a un giudice di "...dire la verità, tutta la verità e nient'altro che la verità", ti impegni forse a raccontare tutta la tua vita, giorno per giorno, da quando sei nato fino al momento dell'evento criminoso che si vuole chiarire e giudicare con una sentenza? Oppure ti limiti a raccontare solo i fatti necessari ai fini del chiarimento della verità processuale? La risposta è banalmente evidente! E se il tuo racconto concorda rigorosamente con quei fatti, tu hai detto "la verità, tutta la verità e nient'altro che la verità", cioè, la tua è una verità definitiva e non confutabile, ossia, una verità assoluta. Questo si chiama "buon senso", non la pretesa che io ti racconti la storia dell'intero Universo per non essere accusato di falsità se ti dico semplicemente che "ieri sera son andato al cinema"....E' possibile che proprio in un NG di filosofi (o presunti tali) io debba perdere tutto questo tempo per spiegare delle minchiate come questa, che capirebbe al volo anche un bambino dell'asilo? Intendi ora perché dico che il relativismo è un virus che colpisce l'intelletto e lo fa regredire fino allo stadio pre-scolastico?Ogni volta io mi presento in un NG per proporre delle idee nuove e interessanti, e ogni volta mi ritrovo impelagato in discussioni senza fine su questioni da 1a o 2a elementare: se la terra gira o non gira intorno al sole, se il cuore pompa o non pompa il sangue, che la neve è bianca solo se la neve è bianca, se i corvi sono o non sono tutti neri, ecc., insomma, roba da minorati mentali; col risultato che nessuno apre bocca sulle idee che ho proposto. La censura più totale! ...Che vita ingrata quella dei geni come me! :-)L'angolo musicale:PLATTERS: The great pretender
https://youtu.be/FyM8NVl4yBY
ELVIS PRESLEY: No more
https://youtu.be/gYoK-VSuvL0
Citazione"Filo-sofia" significa "amore per la sapienza", non amore per l'attività del pensiero fine a se stessa.
Pienamente d'accordo !!
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La terra gira intorno al sole....vero!
in questo preciso momento sto scrivendo attraverso una tastiera...credo sia vero anche questo ;D
Quindi credo sia legittimo dire che ci siano cose "vere"...
Ma affermare qualcosa di "vero" può corrispondere alLA Verità?
Secondo me no perché la Verità gia non e' "qualcosa" (nel vero senso del termine) ed inoltre perché la Verità e' una ed assoluta..e negli esempi sopra sono gia due :) .. ed anzi essendo appunto assoluta non sarebbe nemmeno corretto dire una, poiche gli darei gia una de-finizione, quindi un limite che entrerebbe in contraddizione con l'assoluto
la Verità quindi e' "al di la" di tutto... cio che può esser (parzialmente) vero
Citazione di: Apeiron il 05 Settembre 2017, 09:18:23 AMIl fatto di rendere le nostre mappe sempre più accurate non ci può portare a dire di essere a conoscenza della realtà così come il fatto di conoscere ogni centimetro quadrato di Roma non mi fa conoscere veramente Roma finché non la visito.
Ripeto ancora che la mappa della conoscenza non è una mappa, ma la somma di milioni di mappe che descrivono lo stesso oggetto da milioni di punti di vista diversi. Infatti, di Roma non esiste solo la mappa geografica, ma anche quella dei musei, dei monumenti, Google street view, le poesie di Trilussa e di Gioachino Belli, le migliaia di film girati a Roma dalle origini del cinema fino ai giorni nostri, l'immensa mappa della storia di Roma e dell'Impero Romano, milioni di guide-mappe della basilica di S. Pietro, ecc., ...che sommate insieme ti danno un'idea di Roma incommensurabilmente più completa di quella che avresti se ti limitassi a visitare la città di persona, da ignorantello e senza nessuna di queste mappe.Quindi, invece di rimanere ipnotizzati di fronte ai labirinti mentali astratti, infantili e privi di riferimenti reali di un Kearney qualunque, o di un Kant tutto-chiacchiere-e-niente-fatti, o di un inutile Popper, ci si deve abituare a cercare nella realtà concreta l'origine di ciò che si teorizza, di ciò che si ab-strae, invece di illuderci di spiegare (o di non spiegare) il mondo dal chiuso di idee tanto più anguste, contorte e velleitarie quanto più prive di riscontri reali che ne confermino la validità. Questo ci ha insegnato la scienza: che le chiacchiere sono solo chiacchiere fuorvianti se non sono corroborate dall'osservazione dei fatti della nostra esperienza. E la filosofia dovrebbe prendere la scienza come esempio del corretto filosofare, invece di montare in cattedra e dichiarare che l'osservazione empirica non garantisce alcuna verità. Se l'osservazione empirica non garantisce alcuna verità, figuriamoci quanto può essere garantita la verità di elucubrazioni della minchia che ignorano persino i fatti più elementari della conoscenza, che vogliono, cioè, pontificare sulla Conoscenza senza nemmeno sapere cosa sia, solo sulla base di una mappa personale fondata sull'ignoranza.Il pensiero (il Verbo) è nato per sposarsi con il mondo e fecondarlo, non per rimanere chiuso all'interno della "scatola cranica" per praticare uno sterile onanismo intellettuale."...E vidi la nuova Gerusalemme scendere dal cielo vestita come una sposa ornata per il suo amato. "Ecco, la tenda del Signore è col genere umano ed Egli risiederà con loro, ed essi saranno suoi popoli. E Dio stesso sarà con loro ed asciugherà ogni lacrima dai loro occhi". (Apocalisse, 21:1- 6):
Scusate ragazzi. ieri su note a parte ho risposto a parecchie questioni, che suppongo siano rimaste in sospeso.
Ero arrivato alla risposta 21.
Domani leggo il resto. Risposte ad Angelo, Paul, Carlo, Paul e Philip.
Ciao Angelo
Il problema temporale non vedo bene cosa c'entri con il nostro topic. ;)
Comunque non è che Kant non abbia ragionato sul tempo e sullo spazio.
Vi sono diverse teorie, quello che ritengono che il tempo sia il risultato di una spazializzazione.
E quelli che ritengono che sia la spazio una temporalizzazione.
Mi fido del mio amico Kantista, e dico che per Kant il tempo è una intuizione e perciò un apriori, su cui si apre la dimensione spaziale delle conoscenze.
In generale non riesco a capire l'importanza di spiegare quello che conosciamo, da bravo Hegeliano per me i dati che abbiamo sono semplicemente sensori, tutto il resto è una invenzione linguistica sia il tempo, che lo spazio.
Non è che noi conosciamo cosa sia il tempo. ;D
Detto questo, il problema che affronti mi sembra quello che piace anche a Sgiombo, ossia l'argomento humiano, della non certezza delle rappresentazioni o sensazioni che si voglia.
A me paiono sciocchezze. Io so benissimo cosa percepisco (il vero problema è come relaziono quello che conosco). ;D
Per quanto riguarda il breve accenno ad Heidegger, l'uomo confonde il suo esistente temporale, con quello dell'essere assoluto.
Per Heidegger comunque vi è la certezza dell'esistenza dell'Essere, per via della domanda stessa su Dio. (a mio modo di vedere riprendendo l'argomento di Anselmo). La domanda per Heidegger comunque testimonia del Pensiero non di Dio.
E' la domanda sull'origine che invece apre la strada a Dio.
In questo senso l'aporia che i linguisti gli rimproverano, è la stessa che H. rimprovera ai linguisti, che non capiscono di essere dentro al pensiero, e non fuori, come l'ennesimo deus ex machina, ossia la fantasia di potere dell'uomo linguista in generale.
x Paul
cit "Non c'è nulla di più metafisico del concetto di moneta, di Stato.............eppure sono così concrete e reali da condizionare esistenze di miliardi di umani."
Ma proprio per questo R. fa notare che la mappa è del tutto irrelata con il territorio. (non conosco R. mi baso su quello che ne stiamo dicendo)
x Carlo
Certamente incorriamo in una contraddittorietà performativa, se fossimo realisti (persino monisti intendo).
Ma se fossimo nominalisti come sono quelli del PNL allora il contenuto della rappresentazione sarebbe esclusivamente mentale.
Dunque non esistono mappe che aderiscono al territorio, perchè il territorio è quello che viene deciso dalla mappa.
CIT
"E dove sta scritto che esiste una incommensurabilità fondamentale tra soggetto e oggetto del discorso? Se così fosse, tutto quello che hai scritto tu (e K) sarebbe a sua volta incommensurabile con la realtà epistemologica che tenti di descrivere. Se invece vuoi che qualcuno prenda in considerazione ciò che dici, devi pre-supporre la possibilità che il tuo linguaggio (soggettivo), la tua mappa, possa rispecchiare fedelmente l'oggetto."
Mi immischio nella discussione.
Sì se l'oggetto che rispecchia è frutto della nostra mappatura linguisitica.
D'altronde il successo del PNL, che a mio parere è solo agli inizi della sua presa di potere, è che effettivamente sfruttando quelli che in psicanalisi post-lacaniana si chiama fantasma, è in grado di trasformare radicalmente l'esperienza di una persona.
Dati di laboratorio alla mano è già così.
Non si intende con questo se Roma sia nel Lazio o al Polo Nord.
Ma piuttosto sul fatto che si lavoro per uno piuttosto che per l'altro. Che si ami uno piuttosto che un altro.
E' una questione politica, che forse non intendi nemmeno. :(
cit
"Non sarà proprio questo il senso dell'intuizione religiosa secondo cui "in principio era il Verbo, per mezzo del quale tutto è stato fatto"?."
Carlo la penso come te! :D Anche a mio parere Verbo, non si intende la "parola del signore", ma qualcosa di radicalmente più abissale, e che ritroviamo nelle forme dei canti rituali in ogni parte del mondo.
Qualcosa che emerge dall'abisso e che impatta con il Pensiero. (o l'"Anima" nel tuo caso)
L'isolazione della grammatica dalla sua semantica archetipica o come dico io originaria, fa tutti i danni di questo mondo, perchè in effetti anche io penso che il linguaggio, il simbolo, il suono sono precedenti a qualsiasi idea di soggetto. >:(
Sono altresì inorridito alle ricerche su un linguaggio formale originario intrapreso dalla scuola di Cacciari a Milano negli ultimi anni.
Queste isolazioni dal Pensiero, sono l'effetto dell'oblio del Pensiero, ancor prima che dell'oblio dell'Essere. (Heidegger inutilmente ci avvisò, anche se ammetto che è un concetto di difficile lettura). :(
Per quanto riguarda Mircela Eliade non approvo che l'idealità sia effettivamente combaciante con l'originarietà, in quanto è per me una "semplice" ispirazione.
Le fissazioni psichiche della religione hanno sempre portato danni in forme ossessive e psicotiche, sarebbe ora di renderle più morbide. ::)
Rimane il punto che rispetto al PNL siamo di fronte ad una relazione Orige-Lingua, piuttosto che Lingua-Oggetto.
Ossia il PNL fa parte del processo riduzionista del mondo scientifico.
x Phil e Paul
cit Paul
"L'appercezione kantiana del "io penso", non è superata concettualmente . Quello che a mio parere di K. bisogna tenere presente sono le interazioni fra i livelli di astrazione, fare attenzione al condizionamento culturale e delle proprie credenze su come sono state costruite"
cit Phil
"Concordo, anche secondo me è tutta una questione di livelli di astrazione:
-mondo fisico non-linguistico (prendiamolo per buono ;) )
-territorio (concetto che struttura cognitivamente l'astrazione del mondo fisico); si entra nel linguaggio ponendo l'identità astratta "territorio";
-mappa (oggetto, ma anche meta-concetto in quanto astrae alcune caratteristiche del concetto-territorio; ad esempio mappa politica, mappa delle strade, mappa dei musei...). Oggetto (la mappa) che "parla" di un'astrazione linguistica (il territorio);
- discorso sulla mappa (meta-discorso: discorso sulla precedente "comunicazione" dell'oggetto-mappa). Korzybski ci suggerisce di "tenere a mente" che anche la mappa-oggetto può essere a sua volta oggetto di un discorso;
- meta-discorso sulla mappa (discorso sul meta-discorso della mappa). Le nostre considerazioni su K. che parla della mappa, che parla del territorio, che parla del mondo che... per fortuna almeno lui sta zitto (e neanche ;D )!"
Sono d'accordo con la tabella di Phil.
Epperò siamo così sicuri che l'interazione tra i diversi livelli sia così tranquilla?
Veramente ogni livello della tabella accetta tranquillamente quello precedente?
La tabella si legge dal basso vero l'alto o viceversa?
E sopratutto dove sta il soggetto? a quale livello?
Se rileggete i miei pezzi indietro, capirete che per la problematica è vasta e seria.
Citazione di: green demetr il 06 Settembre 2017, 11:27:18 AM
Dunque non esistono mappe che aderiscono al territorio, perchè il territorio è quello che viene deciso dalla mappa.
Ogni affermazione sulla realtà è una mappa. E questa tua affermazione-mappa: <<
non esistono mappe che aderiscono al territorio>>) aderisce al territorio? Oppure hai arbitrariamente deciso tu qual è il territorio? Tutte le mappe sono arbitrarie, tranne la tua?Non sono domande retoriche; gradirei una risposta logica.
Citazione di: Apeiron il 05 Settembre 2017, 09:18:23 AM
Ci sono mappe inaccurate e mappe accurate. Ci sono mappe che dicono che Roma è al Polo Nord e mappe che dicono che Roma è nel Lazio. Chiaramente le prime sono completamente errate, le seconde invece riescono a farmi arrivare a destinazione.
A patto che ci sia una mappa che dica dove è il Polo Nord e dove è il Lazio e non è detto poi che a sua volta questa mappa sia giusta e ci vorrebbe quindi un'altra mappa ... (con conseguente regressione all'infinito).
C'è sicuramente un problema linguistico, un problema che nasce da un'illusione di identità tra la cosa e il nome della cosa che in realtà non la denota, ma si limita sempre fondamentalmente a connotarla, perché, come già ebbi a dire a Sgiombo, se c'è il nome la cosa non c'è, il nome originariamente evoca una presenza nell'assenza e le mappe (ogni mappa, anche quella che sto abbozzando con queste parole) evocano il territorio nell'assenza del territorio. Le parole non sono etichette frutto di mere convenzioni e questo equivale a dire che ogni discorso sul territorio (anche questo discorso) evoca la realtà attraverso la verità del suo dire che, per quanto preciso ed esatto, è sempre sfalsato rispetto alla realtà che tenta di dire,
proprio perché la è venuta a dire.
Non c'è alcuna mappa che restituisca il territorio (giustamente, Inverno si riferisce a un diverso ordine, che non è però a mio avviso solo un ordine di categorie linguistiche, ma un vero e proprio ordine ontologico, poiché anche le mappe fanno parte del territorio, ne sono il risultato, non sono convenzioni se rappresentano qualcosa), ma ci sono mappe più vere e mappe meno vere nei contesti che rendono possibile il venire a farsi presente di ciò che non c'è, la cosa che non ha nome. Ci sono quindi discorsi che evocano e discorsi che falliscono l'evocazione, ma non in virtù di una loro capacità intrinseca, ma piuttosto relazionale in virtù della quale l'evocazione a volte può accadere che riesca e, quando riesce, la mappa attraverso la quale è riuscita è diventata inutile, è superata, proprio perché ha funzionato essa si è compiuta.
Questo non significa naufragare perennemente in una sorta di relativismo assoluto (contraddittorio proprio in termini relativi), ma mantenersi nell'ambito ben diverso di un prospettivismo e di un'ermeneutica che riconosce e accetta i limiti insuperabili di ogni prospettiva affinché qualcosa (senza sapere di cosa si tratta, se non quando è accaduta) può essere detta con verità, in prospettiva di un poter tornare a essere di ciò che, con le parole che lo nominano, si chiama e si richiama a venire a manifestarsi.
Citazione di: Carlo Pierini il 06 Settembre 2017, 00:09:57 AM
allora ci credi che la mappa può rispecchiare il territorio.
Certo, "rispecchiare", non "essere"; ovvero la mappa non è un'opera d'arte astratta improvvisata (si spera!), ma nemmeno il territorio in quanto tale. Credo che nessuno qui (e nemmeno K.) abbia messo in dubbio questo legame...
Non so se hai avuto tempo di leggere la parte finale del mio ultimo post:
Citazione di: Phil il 05 Settembre 2017, 16:06:09 PM
Come Apeiron (credo) fece notare, "assolutezza" e "certezza" non vanno confuse: una verità certa ("la terra gira intorno al sole") non è una verità assoluta, proprio perché non è "sciolta" dal contesto di conoscenze/osservazioni che la verifica. Nel momento in cui dici "qui ed ora", ti precludi di poter usare filosoficamente la parola "assoluto".
La parola "assoluto" in filosofia appartiene infatti al linguaggio metafisico-dogmatico, la parola "certezza" appartiene invece, oggi, all'epistemologia; se le confondiamo, "assoluto" diventa ridondante rispetto a "vero" (e ogni verità diventa allora "assoluta", con le dovute precisazioni: "fino ad oggi", "stando ai dati", etc.).
Questo tipo di "assolutezza relativa al presente" (!?) è sterile, e lo dimostra il fatto che può essere cancellata senza cambiare il "valore" della verità a cui si riferisce.
Questa osservazione è riassumibile nella domanda (che pare scontata, ma forse non lo è affatto per il Pierinesimo ;D )
Citazione di: Phil il 05 Settembre 2017, 16:06:09 PM
Che differenza c'è allora fra una verità e una verità assoluta?
Se, come affermi, è "assoluta" una verità "sciolta da ogni condizione che possa invalidarla"(cit.), tranne la condizione del tempo (e magari altre...
ad libitum ;) ), può esserci dunque una verità non assoluta che non è sciolta da condizioni che possano invalidarla?
Con qualche esempio capirei meglio come classifichi (o escludi) le condizioni legittimamente invalidanti o meno...
Lo chiedo per capire meglio il Pierinesimo (non per riscrivere il "vocabolario" della filosofia ;D ); almeno non potrai più crucciarti perché
Citazione di: Carlo Pierini il 06 Settembre 2017, 00:09:57 AM
nessuno apre bocca sulle idee che ho proposto. La censura più totale!
:)
Spero che questi pochi spunti ti abbiano aiutato a capire come mai
Citazione di: Carlo Pierini il 06 Settembre 2017, 00:09:57 AM
...E' possibile che proprio in un NG di filosofi (o presunti tali) io debba perdere tutto questo tempo per spiegare delle minchiate come questa, che capirebbe al volo anche un bambino dell'asilo
fermo restando che non è certo un crimine usare "assoluto" come sinonimo di "certo", o come altisonante rafforzativo retorico della parola "verità" (tuttavia, se qualche filosofo non ti capisce, non prendertela con lui, in fondo, usa solo una mappa diversa... peggiore o migliore? Non saprei; lo chiediamo al territorio e all'esperienza? ;) ).
@green demetrAbbozzo risposte sintetiche, ma su ognuna si potrebbe fare una tesi di laurea ;D
Citazione di: green demetr il 06 Settembre 2017, 11:27:18 AM
Epperò siamo così sicuri che l'interazione tra i diversi livelli sia così tranquilla?
Veramente ogni livello della tabella accetta tranquillamente quello precedente?
Nessuna tranquillità: ogni livello aggiunge complessità, possibili errori (logici o contenutistici) e deve rendere conto sempre di più fattori sottostanti... il livello sottostante sollecità il sovrastante, ponendo questioni che il sovrastante deve tentare di risolvere senza schiacciare il sottostante e senza sostituirsi ad esso... se l'architettura teoretica non è solida, si può arrivare al punto in cui tutto va distrutto e si deve ricominciare dal piano terra (ma possono anche essere calamità
esterne a far crollare il palazzo ;) ).
Chiaramente, il punto critico (in tutti i sensi) è proprio il passaggio da un livello all'altro.
Citazione di: green demetr il 06 Settembre 2017, 11:27:18 AM
La tabella si legge dal basso vero l'alto o viceversa?
Dal basso "testuale" (meta-discorso) verso l'alto della prima riga ("mondo fisico") per controllare la fondatezza e la coerenza dell'ingegneria metodologica; dall'alto verso il basso, per controllare la comunicazione fra i piani e la completezza. Per verificarla nel suo complesso, invece... bisogna fare su e giù con l'ascensore! ;D
Citazione di: green demetr il 06 Settembre 2017, 11:27:18 AM
E sopratutto dove sta il soggetto? a quale livello?
Il soggetto è trasversale, o meglio, è la colonna portante che attraversa e raccorda tutti i livelli: dal mondo fisico (da non sottovalutare, come ci spiega la linguistica cognitiva) a quello più meta-concettuale interpretativo.
Mi trovo d'accordo con Phil e Maral.
Voglio solo aggiungere unbreve spunto (ahimé non ho proprio il tempo materiale per cercare di mettere giù le cose bene)...
Una mappa può rispecchiare il territorio (mappa come "ritratto" del territorio) ma può anche solo modellare il territorio (magari a fini evolutivi, per questioni di sopravvivenza ecc). Nel primo caso in effetti si può pensare ad una mappa isomorfa al territorio, nel secondo invece ovviamente no (ma questo non significa che sia inutile, anzi cose come la fluidodinamica, lo studio dei solidi ecc si basano proprio su quest'idea...).
NON sono un relativista perchè (1) ritengo che il territorio esista, (2) ritengo che sia possibile una mente infallibile che riesca a creare una mappa isomorfa al territorio (ma non posso ovviamente dimostrarne l'esistenza). Ma questo non riesce a portarmi a dire che la mia mente possa essere infallibile ERGO non mi è possibile distingere se la mia mappa è un ritratto del territorio o una modellazione/rappresentazione di esso. Questo perchè la mia mente è condizionata dai mutamenti continui nel tempo, dalla finitezza della mia memoria, della mia intelligenza... non cado inoltre nel relativismo assoluto perchè fortunatamente le previsioni della scienza (per esempio) sono osservabili da chiunque e possiamo testarle per vedere se rispettano l'esperienza. Solo una mente infallibile può eventualmente dirmi come riuscire a fare la "mappa perfetta". Ritengo che la mia posizione non sia relativista, semplicemente è una confessione di "saper di non sapere", di umiltà intellettuale. D'altronde non so nemmeno come la mia mente possa produrre "le mappe" ma anche qui forse ci vuole una mente "infallibile"... E in ogni caso la nostra esperienza è già una rappresentazione della realtà, tutto ciò che vediamo, sentiamo (sia in senso uditivo che tattile), odoriamo, gustiamo ecc è già una mappa. Quindi facciamo anche la mappa della mappa per essere davvero pignoli... Chi mi dà del "relativista" non ha capito la filosofia che espongo...
Come anche diceva San Paolo noi vediamo come in uno specchio, in modo confuso...
Citazione di: Phil il 06 Settembre 2017, 16:32:58 PM
Citazione di: Carlo Pierini il 06 Settembre 2017, 00:09:57 AM
allora ci credi che la mappa può rispecchiare il territorio.
Certo, "rispecchiare", non "essere"; ovvero la mappa non è un'opera d'arte astratta improvvisata (si spera!), ma nemmeno il territorio in quanto tale. Credo che nessuno qui (e nemmeno K.) abbia messo in dubbio questo legame...
Intendo "rispecchiare
fedelmente". Se mi hai mostrato uno spicchio di territorio (la parola "chiave" non è la chiave)
per dare valore di verità alla mappa di K., vuol dire che presupponi due cose: 1 - che la mappa può esprimere una verità; 2 - che è proprio la concordanza col territorio che sancisce questo valore di verità. Cioè, hai negato la teoria di K. secondo cui una mappa non può mai esprimere verità sul territorio.E torniamo alla solita conclusione: chi nega la verità, nega anche la propria filosofia, cioè, spara solo cazzate al vento (come diciamo noi filosofi di alta classe).
PHIL
Non so se hai avuto tempo di leggere la parte finale del mio ultimo post:Citazione di: Phil il 05 Settembre 2017, 16:06:09 PM
Come Apeiron (credo) fece notare, "assolutezza" e "certezza" non vanno confuse: una verità certa ("la terra gira intorno al sole") non è una verità assoluta, proprio perché non è "sciolta" dal contesto di conoscenze/osservazioni che la verifica. Nel momento in cui dici "qui ed ora", ti precludi di poter usare filosoficamente la parola "assoluto".
CARLOLa tua, infatti, è la versione distorta e mistificatoria del significato di "assoluto". Secondo questa tua versione, <<sono andato a ballare>> sarebbe una verità assoluta, mentre <<il 10 di agosto alle 21 sono andato a ballare>> non sarebbe una verità assoluta. Mentre è vero l'esatto contrario, perché la prima affermazione è vera solo per una sera (la sera del ballo) ed è falsa per tutte le altre sere, mentre la seconda resta vera per sempre....Tu questa cosa non puoi capirla perché sei un filosofo, ma mio nipote di 10 anni la capisce al volo!PHILQuesta osservazione è riassumibile nella domanda (che pare scontata, ma forse non lo è affatto per il Pierinesimo ;D
)Citazione di: Phil il 05 Settembre 2017, 16:06:09 PMChe differenza c'è allora fra una verità e una verità assoluta?
Se, come affermi, è "assoluta" una verità "sciolta da ogni condizione che possa invalidarla"(cit.), tranne la condizione del tempo (e magari altre... ad libitum;)
), può esserci dunque una verità non assoluta che non è sciolta da condizioni che possano invalidarla? CARLO
"Verità assoluta" è una ridondanza. Una verità, o è assoluta, o non è una verità. In gergo comune possiamo anche dire che <<di sera sono andato a ballare>> è una mezza verità perché è valida almeno per una sera, ma, a rigore, se una verità si lascia contraddire anche sotto un solo aspetto, non è una verità. Noblesse oblige.
Citazione di: Carlo Pierini il 06 Settembre 2017, 00:09:57 AMnessuno apre bocca sulle idee che ho proposto. La censura più totale!
Spero che questi pochi spunti ti abbiano aiutato a capire come maiCARLO
Il "come mai" l'ho capito da 15 anni: con i relativisti si può discutere solo di parole, perché per loro la conoscenza non ha nessun valore, è solo qualcosa da sminuire, da attaccare, da contraddire, da ...decostruire!
L'angolo musicale:
ROD STEWART: This
https://youtu.be/tBqNNLO3vi0SAMUELE BERSANI: Giudizi universali
https://youtu.be/cT8rS1CktTw
Nonostante il tuo sprezzante biasimo, un po' di "maieutica forumistica" l'hai "subita" (ma tranquillo, non è necessario ammetterlo ;) )!
Dopo che ho scritto questo:
Citazione di: Phil il 05 Settembre 2017, 16:06:09 PM
La parola "assoluto" in filosofia appartiene infatti al linguaggio metafisico-dogmatico, la parola "certezza" appartiene invece, oggi, all'epistemologia; se le confondiamo, "assoluto" diventa ridondante rispetto a "vero" (e ogni verità diventa allora "assoluta", con le dovute precisazioni
[corsivo mio]
sei passato da questo:
Citazione di: Carlo Pierini il 30 Agosto 2017, 23:35:47 PM
due cose essenziali, senza le quali non si tira fuori un ragno dal buco:
1 - la definizione di "verità assoluta" e di "verità relativa";
2 - ...
a questo:
Citazione di: Carlo Pierini il 06 Settembre 2017, 21:28:29 PM
"Verità assoluta" è una ridondanza. Una verità, o è assoluta, o non è una verità.
[corsivo mio]
La ridondanza del concetto di ridondanza è piuttosto eloquente ;)
Ci sarebbero anche altri casi, il tuo inconscio te li mostrerà simbolicamente a tempo debito...
P.s.
Per i tuoi fraintendimenti sulla mia posizione (e non solo riguardo K.), sono sicuro che il tuo nipote di 10 anni farà un ottimo lavoro, quindi gli passo volentieri la parola... spazio ai giovani! ;D
P.p.s.
Prima mi avevi rivelato la mia "
fede" da "monista-materialista-riduzionista", ora pare che mi definisci "relativista"... se la mia ambizione è il "conosci te stesso", non mi stai dando certo una mano con queste definizioni
contraddittorie!
Il p.d.n.c verrà in mio soccorso? ;)
Se l'Essere ( maiuscolo) è, esiste, vive ...dove lo possiamo trovare? Beh...io ho il sospetto che si trovi nascosto in una conchiglia. Perché in una conchiglia?...La conchiglia ha un guscio duro, come dura, spietata è la vita, ma all'interno nasconde una perla di gran valore. Sentimentalismo? No...attenzione...non è la perla la cosa più importante, è...cioè.... prendi questa conchiglia svuotata, fai spazio al suo interno e la porti all'orecchio e cosa senti?...L'Abisso...il suono degli abissi marini. E' un richiamo dell'abisso dove abita l'essere, che è l'abisso stesso dove abita il Nulla, il non essere che noi siamo. Ma l'Essere è l'abisso? Per me il vero abisso è il male, il non essere, il nulla. Ma è quello che desideriamo , no? In fondo in fondo forse desideriamo proprio non essere, nasconderci in un nulla invincibile, fatto di concetti e mappe e territori. Si potrebbe quasi dire: il miracoloso, il prodigioso, lo straordinario è l'essere; il mistero, nel suo significato di oscurità almeno, è il nulla, il non essere. E' perché siamo esseri astuti che abbracciamo il non essere per conoscere, ma non per conoscere l'essere, quello lo lasciamo nascosto nella conchiglia pestata sul bagnasciuga, ma per nasconderci alla sua vista.
Siccome desideriamo distruggere ogni gioia e ogni bene...forse sarebbe più giusto dire che odiamo in cuor nostro l'Incanto, allora diamo inizio ad un altro incanto, quello distruttore, devastatore di ogni gioia: la Conoscenza, la distruzione dell'incanto cosmico. Proprio così, contro all'appena intravista gioia di esistere, di essere ( anche se di un'esistenza che non sarà mai un essere, però sempre affascinata e attratta dalla "volontà d'essere"), contro questa si para insidioso il serpe della Conoscenza, del tradimento dell'incanto.
Simboli? Reminiscenze cristiane? Non so. Però il serpe si insinua dappertutto, anche nelle più sottili crepe del muro , e sta in agguato...diventa questa conoscenza che si fa tecnica, che si fa involucro di plastica corrosiva, che corrode l'essere, che corrode tutta la vita, la vita stessa degli abissi marini. Plastica simbolica di un mondo che ci priva della gioia e del bene dell'incanto, che ci pone sul viso una maschera sorridente, che in realtà è un ghigno.
Citazione di: Phil il 06 Settembre 2017, 17:25:36 PM
@green demetr
Abbozzo risposte sintetiche, ma su ognuna si potrebbe fare una tesi di laurea ;D
Citazione di: green demetr il 06 Settembre 2017, 11:27:18 AM
Epperò siamo così sicuri che l'interazione tra i diversi livelli sia così tranquilla?
Veramente ogni livello della tabella accetta tranquillamente quello precedente?
Nessuna tranquillità: ogni livello aggiunge complessità, possibili errori (logici o contenutistici) e deve rendere conto sempre di più fattori sottostanti... il livello sottostante sollecità il sovrastante, ponendo questioni che il sovrastante deve tentare di risolvere senza schiacciare il sottostante e senza sostituirsi ad esso... se l'architettura teoretica non è solida, si può arrivare al punto in cui tutto va distrutto e si deve ricominciare dal piano terra (ma possono anche essere calamità esterne a far crollare il palazzo ;) ).
Chiaramente, il punto critico (in tutti i sensi) è proprio il passaggio da un livello all'altro.
Citazione di: green demetr il 06 Settembre 2017, 11:27:18 AM
La tabella si legge dal basso vero l'alto o viceversa?
Dal basso "testuale" (meta-discorso) verso l'alto della prima riga ("mondo fisico") per controllare la fondatezza e la coerenza dell'ingegneria metodologica; dall'alto verso il basso, per controllare la comunicazione fra i piani e la completezza. Per verificarla nel suo complesso, invece... bisogna fare su e giù con l'ascensore! ;D
Citazione di: green demetr il 06 Settembre 2017, 11:27:18 AM
E sopratutto dove sta il soggetto? a quale livello?
Il soggetto è trasversale, o meglio, è la colonna portante che attraversa e raccorda tutti i livelli: dal mondo fisico (da non sottovalutare, come ci spiega la linguistica cognitiva) a quello più meta-concettuale interpretativo.
esatto Phil ed è strano che Carlo P. non capisca .......e mi spiego.
L'Essere è un concetto statico e non a caso nella nostra lingua è il tempo infinito del verbo essere.
L'esistenza è un concetto dinamico.
Carlo P: se l'archetipo è l'eco originario che si mostra ,ma subito si nasconde per fare apparire il simbolo, ,quell'archetipo è il movimento dell'essere. Puoi fare il movimento dialettico a discendere utilizzando i sillogismi nel movimento astratto a discendere dal più altro livello a quello più basso.Quando il simbolo diventa segno nella storia e nella forma del mito il livello man mano discende fino alla concretezza della realtà fisica da cui riparte il movimento dinamico sillogistico induttivo.
I due movimenti a scendere (deduttivo) dall'astratto al concreto, dall'Uno (o essere) al molteplice dei particolari deve collegare razionalmente da una parte la forma linguistica nella correttezza azionale e con sè porta le sostanze del mondo sensibile, la fisicità delle cose del mondo .I nostri concetti sono l'incontro fra la forma e la sostanza, fra il linguaggio e la realtà sensibile percettiva. ciò che ci "convince" o "non ci convince" sono la riflessione del pensiero che inserisce un concetto nel doppio movimento del conoscere.Il processo è dialettico quanto la complementarietà, come la dualità, perchè è la sintesi che diventa concetto fra l'analisi della relazione astratto e concreto.Se noi lasciamo solo l'astratto o il concreto, il pensiero si blocca all'"in sè e per sè" come fosse un semplice inventario di idee e pensieri come di cose e fatti del mondo che non producono significati e senso e allora non comprendiamo quel pensiero o quella cosa fisica o fenomeno, perchè non è contemplato, nel senso di relazionato "catturato" dentro il processo razionale della costruzione concettuale.
Citazione di: Phil il 06 Settembre 2017, 23:27:53 PM
Nonostante il tuo sprezzante biasimo, un po' di "maieutica forumistica" l'hai "subita" (ma tranquillo, non è necessario ammetterlo ;) )!
Dopo che ho scritto questo:
Citazione di: Phil il 05 Settembre 2017, 16:06:09 PM
La parola "assoluto" in filosofia appartiene infatti al linguaggio metafisico-dogmatico, la parola "certezza" appartiene invece, oggi, all'epistemologia; se le confondiamo, "assoluto" diventa ridondante rispetto a "vero" (e ogni verità diventa allora "assoluta", con le dovute precisazioni
[corsivo mio]
sei passato da questo:
Citazione di: Carlo Pierini il 30 Agosto 2017, 23:35:47 PM
due cose essenziali, senza le quali non si tira fuori un ragno dal buco:
1 - la definizione di "verità assoluta" e di "verità relativa";
2 - ...
a questo:
Citazione di: Carlo Pierini il 06 Settembre 2017, 21:28:29 PM
"Verità assoluta" è una ridondanza. Una verità, o è assoluta, o non è una verità.
[corsivo mio]
La ridondanza del concetto di ridondanza è piuttosto eloquente ;)
Ci sarebbero anche altri casi, il tuo inconscio te li mostrerà simbolicamente a tempo debito...
Se "verità assoluta" è ridondante", "verità relativa" è una mistificazione, proprio per la ragione appena detta. E allora, quando si contrappone alla "verità" la "verità relativa", la ridondanza diventa necessaria. E' una questione di simmetria di opposti (contraddittori).
PHIL
Prima mi avevi rivelato la mia "fede" da "monista-materialista-riduzionista", ora pare che mi definisci "relativista"... se la mia ambizione è il "conosci te stesso", non mi stai dando certo una mano con queste definizioni contraddittorie! CARLO
...Invece tu cosa sei? Riconosci forse alla dimensione psico-spirituale una sovranità ontologica non inferiore a quella della dimensione materiale? Riconosci forse l'esistenza di verità assolute?
L'angolo musicale:
DONIZETTI: Barcaruola a 2 voci, op. Elisir d'Amorehttps://youtu.be/IR-wKIQo560?t=54MOZART: Madamina il catalogo è questo, op. Don Giovanni
https://youtu.be/LQxs8TYgakI?t=17
Citazione di: paul11 il 07 Settembre 2017, 00:12:27 AMè strano che Carlo P. non capisca .......e mi spiego.
Se l'archetipo è l'eco originario che si mostra, ma subito si nasconde per fare apparire il simbolo, ,quell'archetipo è il movimento dell'essere. Puoi fare il movimento dialettico a discendere utilizzando i sillogismi nel movimento astratto a discendere dal più altro livello a quello più basso.Quando il simbolo diventa segno nella storia e nella forma del mito il livello man mano discende fino alla concretezza della realtà fisica da cui riparte il movimento dinamico sillogistico induttivo.
I due movimenti a scendere (deduttivo) dall'astratto al concreto, dall'Uno (o essere) al molteplice dei particolari deve collegare razionalmente da una parte la forma linguistica nella correttezza azionale e con sè porta le sostanze del mondo sensibile, la fisicità delle cose del mondo .I nostri concetti sono l'incontro fra la forma e la sostanza, fra il linguaggio e la realtà sensibile percettiva. ciò che ci "convince" o "non ci convince" sono la riflessione del pensiero che inserisce un concetto nel doppio movimento del conoscere.Il processo è dialettico quanto la complementarietà, come la dualità, perchè è la sintesi che diventa concetto fra l'analisi della relazione astratto e concreto.Se noi lasciamo solo l'astratto o il concreto, il pensiero si blocca all'"in sè e per sè" come fosse un semplice inventario di idee e pensieri come di cose e fatti del mondo che non producono significati e senso e allora non comprendiamo quel pensiero o quella cosa fisica o fenomeno, perchè non è contemplato, nel senso di relazionato "catturato" dentro il processo razionale della costruzione concettuale.
Scusa Paul11, ma faccio molta fatica a capirti. ...E alla fine dello sforzo non ho capito cos'è che dovrei capire. :) Prova a partire da ciò che sostengo io e poi contrapponi la tua critica, altrimenti ...no entiendo!
Il metafisico o il relativo hanno poco senso come separazione filosofica, perchè la ver arazionalità unisce nel pensiero delle forme le sostanze, tende ad unire l'Essere come concetto astratto ed eterno e il divenire.
A mio parere personale tu hai capito bene l'archetipo attraverso Jung ( in forza del tuo vissuto, de ltu osogno), che è "un residuo arcaico", l'origine".Quello che hai compiuto dopo il tuo sogno, è capire se era solo un sogno a sè "in sè e per sè" ,oppure fosse relazionato a qualcosa.Hai studiato e hai capito che l'archetipo è l'origine che si manifesta nel simbolo e appartiene tout court a tutta la'umanità.
A mio parere questo è vero.
Il procedimento mentale del pensiero che dal tuo sogno ha costruito delle relazioni razionali ha proceduto per sillogismi,
Quest'ultimo si applica nel movimento sia deduttivo che induttivo.
Quando ad esempio dall'archè, dall'origine, dall'Uno ,da Dio noi "scendiamo" dai livelli astratti del pensiero(che sono più livelli) fino alle cose fisiche materiali che troviamo nell'esistenza, non facciamo altro che continuare a confrontare il pensiero astratto e il fenomeno materiale.
Il movimento induttivo è rovesciato rispetto a quello deduttivo, si muove dal particolare del mondo fisico dell'esistenza e sale fino al principio "unico" all'archè, ecc. Quindi dalle semplici percezioni sensoriali dentro il dominio del sensibile, passa al dominio dell'astratto e questo è possible grazie a l linguaggio e alle regole sintattiche e semantiche (questo è il motivo per cui ritengo identità, terzo escluso, principio di non contraddizione, per dire solo delle regole aristoteliche della predicazione, regole della forma relazionale e non sostanza del pensiero).
Il linguaggio ha questa straordinaria prerogativa, di collegare il percepito sensoriale dentro la forma del pensiero e a sua volta il pensiero di potersi "ri-pensare" e in quanto tale di elevare il pensiero a più livelli di "astrazione".
La problematicità che emerge in molte discussioni, è che ciò che percepiamo è comune e quindi facilmente comunicabile e confrontabile. Se parliamo di un sasso, saranno sfumature a non trovarci d'accordo.
Ma se parliamo di Dio, dell'archetipo ,di metafisica, quì il livello del pensiero è diventato astratto rispetto al sasso e quindi iniziano i problemi di "dimostrazione", "giustificazione" che non possono essere scienza fisica/percettiva sensoriale, del vedere con gli occhi,
ma del vedere con il pensiero, con l'anima.
Quindi sono pienamente d'accordo con Phil che il procedimento razionale si muove a doppio movimento dall'uno al molteplice e dal molteplice all'uno e sono complementari, aggiungo io. Quanto più c isi allontana dal dominio fisico naturale e il pensiero si astrae e tanto più il livello di astrazione superiore deve essere relazionato ai livelli inferiori
Altro aspetto ancora è la relazione fra domini.
Quando Carlo, dici che "il principio di complementarietà" ancora ti sfugge nella fisica, è perchè cerchi di dimostrare che questo principio è "universale". Un "assoluto" è un principio universale che relaziona forma e sostanza ,ma ancora relaziona i domini diversi ,Il linguaggio non è il mattone, ma il cemento la malta che tiene insieme i mattoni.
Quindi ciò che esprime Korzybski è la manifestazione linguistica, non è il mattone.
Se lui tratta il termine "essere" come semplice verbo ausiliario e sappiamo che i logici ne fanno problematicità fra la forma copulativa, fra il "nominativo", fra i l"predicativo" ,fra il"genitivo", ecc., porta il pensiero nel dominio della relazione linguistica, della semplice parola, perdendo il segno relazionato al significato, il simbolo.
Citazione di: Carlo Pierini il 06 Settembre 2017, 13:00:02 PM
Citazione di: green demetr il 06 Settembre 2017, 11:27:18 AM
Dunque non esistono mappe che aderiscono al territorio, perchè il territorio è quello che viene deciso dalla mappa.
Ogni affermazione sulla realtà è una mappa. E questa tua affermazione-mappa: <<non esistono mappe che aderiscono al territorio>>) aderisce al territorio? Oppure hai arbitrariamente deciso tu qual è il territorio?
Tutte le mappe sono arbitrarie, tranne la tua?
Non sono domande retoriche; gradirei una risposta logica.
;D Guarda che quella è la posizione del PNL non la mia! per me esistono mappe ed esiste il territorio, ci mancherebbe! ;)
Citazione di: Phil il 06 Settembre 2017, 17:25:36 PM
@green demetr
Abbozzo risposte sintetiche, ma su ognuna si potrebbe fare una tesi di laurea ;D
Citazione di: green demetr il 06 Settembre 2017, 11:27:18 AM
Epperò siamo così sicuri che l'interazione tra i diversi livelli sia così tranquilla?
Veramente ogni livello della tabella accetta tranquillamente quello precedente?
Nessuna tranquillità: ogni livello aggiunge complessità, possibili errori (logici o contenutistici) e deve rendere conto sempre di più fattori sottostanti... il livello sottostante sollecità il sovrastante, ponendo questioni che il sovrastante deve tentare di risolvere senza schiacciare il sottostante e senza sostituirsi ad esso... se l'architettura teoretica non è solida, si può arrivare al punto in cui tutto va distrutto e si deve ricominciare dal piano terra (ma possono anche essere calamità esterne a far crollare il palazzo ;) ).
Chiaramente, il punto critico (in tutti i sensi) è proprio il passaggio da un livello all'altro.
Citazione di: green demetr il 06 Settembre 2017, 11:27:18 AM
La tabella si legge dal basso vero l'alto o viceversa?
Dal basso "testuale" (meta-discorso) verso l'alto della prima riga ("mondo fisico") per controllare la fondatezza e la coerenza dell'ingegneria metodologica; dall'alto verso il basso, per controllare la comunicazione fra i piani e la completezza. Per verificarla nel suo complesso, invece... bisogna fare su e giù con l'ascensore! ;D
Citazione di: green demetr il 06 Settembre 2017, 11:27:18 AM
E sopratutto dove sta il soggetto? a quale livello?
Il soggetto è trasversale, o meglio, è la colonna portante che attraversa e raccorda tutti i livelli: dal mondo fisico (da non sottovalutare, come ci spiega la linguistica cognitiva) a quello più meta-concettuale interpretativo.
Concordo assolutamente con la prospettiva che hai indicato.
Anzi mi complimento per la succinta ma intensa descrizione che ne hai fatto.
Anche nella mia prospettiva il meta-discorso sta all'inizio della tabella.
Rimane aperto il mio Topic sulla necessità di una non gerarchia, in effetti la soluzione che ne davo, e cioè che bastava rispettarne l'assunto, non torna a livello logico, per via di un paradosso che non conoscevo, che spezza anche la logica dei Vero - Falso.
A questo punto direi proprio che la logica salta.
Rimane dunque sempre e solo il soggetto che si fa carico di tutti i piani della tabella.
Forse hai esagerato, perché sennò salta la distinzione mappa-territorio.
In effetti è un cruccio dei nostri tempi la questione gnoseologica e la questione percettiva.
Da bravo Hegeliano mi sembra una gran perdita di tempo comunque. Percepisco dunque conosco, per dirla in breve.
Mi sembra che il soggetto non possa fare altro, anche volendo non può sostituirsi al territorio (fisica quantistica etc.).
Diversa cosa per le mappe, là veramente è in atto una guerra, che coinvolge il potere invisibile come dice Sini, ossia le tendenze storiche.
Ossia la mappa della Doxa sostituisce le mappe singole, in una inversione della questione antica della Verità.
La verità non soggiace alla onticità della cosa, ma al suo uso (e consumo).
Questo proprio perchè la Doxa è il meta-discorso, che indirizza e segnala l'intera tabella, sociale.
E' solo a questo punto che si apre il discorso ideologico o utopico.
Quello ideologico completamente schiavo della Doxa e quello utopico sovrastato dal fantasma di controllo mimetico della stessa ideologia.
Perciò ha ragione Fusaro a parlare di pensiero unico.
Dove a questo punto risiede la libertà di essere o non essere?
Anzitutto andrebbe rifondata la parola libertà sulla scorta del meta-discorso.
La libertà non è la naturalità della scelta fra bene e male come insegna Nietzche.
E' invece un discorso che si impegna nella costruzione di un soggetto che tende a esplorare la potenza del Pensiero.
Uno sperimentare le possibilità relazionali, al netto del peso della Storia (e del suo DIO).
Possibilità relazionali, culturali, scientifiche, in realtà c'è molto di più.
La liberazione è quindi e concordo con te, nel fare attenzione a rispettare la mappature e ancor di più le mappature altrui.
Cosa difficile, per chi come me sente al collo lo spirito ansante della scienza, l'ultimo genita del mostro cristiano. (colpa-espiazione-salvezza).
Sopratutto perchè l'espiazione è l'estinzione del Pensiero.
Giusto per aggiungere qualcosa alla famosa tesi di laurea ;)
cit Paul
Altro aspetto ancora è la relazione fra domini.
Quando Carlo, dici che "il principio di complementarietà" ancora ti sfugge nella fisica, è perchè cerchi di dimostrare che questo principio è "universale". Un "assoluto" è un principio universale che relaziona forma e sostanza ,ma ancora relaziona i domini diversi ,Il linguaggio non è il mattone, ma il cemento la malta che tiene insieme i mattoni.
Ciao Paul, scusa se mi intrometto, ma questo periodo non l'ho capito io :P
Premesso che devo leggere ancora il topic di Carlo sulla complementarità fisica.
Premesso che anch'io sono d'accordo che L'Archetipo ha funzione dall'alto verso il basso.
E che il basso è il lavoro che ritorna all'alto, che ri-funziona verso il basso etc..
E infine premesso che a mio parere è questione psichica extra-soggettiva, e non fisica.
Ma accettando che esista questa unione fisico-spirituale.
ORa La domanda (che rispetto alle premesse forse è un pò secca, ma testimonia solo che per il resto ti ho seguito, e concordo in linea generale). ;)
La assolutezza è dunque un principio: ma NON ho capito se è un principio FISICO o come presumo visto lo svolgimento è un principio LINGUISTICO?
Citazione di: maral il 06 Settembre 2017, 16:15:31 PM
Citazione di: Apeiron il 05 Settembre 2017, 09:18:23 AM
Ci sono mappe inaccurate e mappe accurate. Ci sono mappe che dicono che Roma è al Polo Nord e mappe che dicono che Roma è nel Lazio. Chiaramente le prime sono completamente errate, le seconde invece riescono a farmi arrivare a destinazione.
A patto che ci sia una mappa che dica dove è il Polo Nord e dove è il Lazio e non è detto poi che a sua volta questa mappa sia giusta e ci vorrebbe quindi un'altra mappa ... (con conseguente regressione all'infinito).
C'è sicuramente un problema linguistico, un problema che nasce da un'illusione di identità tra la cosa e il nome della cosa che in realtà non la denota, ma si limita sempre fondamentalmente a connotarla, perché, come già ebbi a dire a Sgiombo, se c'è il nome la cosa non c'è, il nome originariamente evoca una presenza nell'assenza e le mappe (ogni mappa, anche quella che sto abbozzando con queste parole) evocano il territorio nell'assenza del territorio. Le parole non sono etichette frutto di mere convenzioni e questo equivale a dire che ogni discorso sul territorio (anche questo discorso) evoca la realtà attraverso la verità del suo dire che, per quanto preciso ed esatto, è sempre sfalsato rispetto alla realtà che tenta di dire, proprio perché la è venuta a dire.
Non c'è alcuna mappa che restituisca il territorio (giustamente, Inverno si riferisce a un diverso ordine, che non è però a mio avviso solo un ordine di categorie linguistiche, ma un vero e proprio ordine ontologico, poiché anche le mappe fanno parte del territorio, ne sono il risultato, non sono convenzioni se rappresentano qualcosa), ma ci sono mappe più vere e mappe meno vere nei contesti che rendono possibile il venire a farsi presente di ciò che non c'è, la cosa che non ha nome. Ci sono quindi discorsi che evocano e discorsi che falliscono l'evocazione, ma non in virtù di una loro capacità intrinseca, ma piuttosto relazionale in virtù della quale l'evocazione a volte può accadere che riesca e, quando riesce, la mappa attraverso la quale è riuscita è diventata inutile, è superata, proprio perché ha funzionato essa si è compiuta.
Questo non significa naufragare perennemente in una sorta di relativismo assoluto (contraddittorio proprio in termini relativi), ma mantenersi nell'ambito ben diverso di un prospettivismo e di un'ermeneutica che riconosce e accetta i limiti insuperabili di ogni prospettiva affinché qualcosa (senza sapere di cosa si tratta, se non quando è accaduta) può essere detta con verità, in prospettiva di un poter tornare a essere di ciò che, con le parole che lo nominano, si chiama e si richiama a venire a manifestarsi.
Certamente.
Manca però forse il discorso a partire dal quale il prospettivismo non deve sfociare nel relativismo.
Ossia l'attenzione al territorio.
Certamente la mappa fa parte degli enti, ma il territorio cosa sarebbe in un mondo di enti che rimandano gli uni agli altri?
E' un problema che detesto, me l'ha fatto tornare un mente Angelo nel suo Topic quando parla della insensatezza dell'a-priori.
Ha fatto bene ad aprirlo a parte, ma in qualche maniera, effettivamente ritorna in questo topic.
Il territorio non è forse l'a-priori?
Senza a-priori, regnerebbe un relativismo totale, a quel punto non si riuscirebbero a tenere le redini razionali di qualsiasi prospettivismo.
Citazione di: Sariputra il 06 Settembre 2017, 23:39:11 PM
Siccome desideriamo distruggere ogni gioia e ogni bene...forse sarebbe più giusto dire che odiamo in cuor nostro l'Incanto, allora diamo inizio ad un altro incanto, quello distruttore, devastatore di ogni gioia: la Conoscenza, la distruzione dell'incanto cosmico. Proprio così, contro all'appena intravista gioia di esistere, di essere ( anche se di un'esistenza che non sarà mai un essere, però sempre affascinata e attratta dalla "volontà d'essere"), contro questa si para insidioso il serpe della Conoscenza, del tradimento dell'incanto.
Non hai mai pensato che ciò che distrugge l'Incanto non sia la Conoscenza, ma una conoscenza primitiva, grossolana, distorta o inadeguata?
Per quale ragione la facoltà del conoscere - che è un dono, al pari della facoltà di amare - dovrebbe distruggere l'Incanto?
Non ti sembra strano che, nel mito cristiano, "il serpe della conoscenza" si trovi proprio nel centro del Paradiso terrestre, cioè, nel centro di ciò che il mito universale
sempre identifica simbolicamente come la dimora terrena del Divino?...E come dovremmo intendere il concetto di "Sapientia Dèi"? Come la "distruzione divina dell'Incanto"?
E' un grosso limite guardare alla spiritualità con gli occhi di una sola tradizione, e buttare a mare tutte le altre. La Fonte dell'Illuminazione è una per tutti gli uomini, indipendentemente dalla loro razza e cultura.
Citazione di: green demetr il 07 Settembre 2017, 10:43:16 AM
cit Paul
Altro aspetto ancora è la relazione fra domini.
Quando Carlo, dici che "il principio di complementarietà" ancora ti sfugge nella fisica, è perchè cerchi di dimostrare che questo principio è "universale". Un "assoluto" è un principio universale che relaziona forma e sostanza ,ma ancora relaziona i domini diversi ,Il linguaggio non è il mattone, ma il cemento la malta che tiene insieme i mattoni.
Ciao Paul, scusa se mi intrometto, ma questo periodo non l'ho capito io :P
Premesso che devo leggere ancora il topic di Carlo sulla complementarità fisica.
Premesso che anch'io sono d'accordo che L'Archetipo ha funzione dall'alto verso il basso.
E che il basso è il lavoro che ritorna all'alto, che ri-funziona verso il basso etc..
E infine premesso che a mio parere è questione psichica extra-soggettiva, e non fisica.
Ma accettando che esista questa unione fisico-spirituale.
ORa La domanda (che rispetto alle premesse forse è un pò secca, ma testimonia solo che per il resto ti ho seguito, e concordo in linea generale). ;)
La assolutezza è dunque un principio: ma NON ho capito se è un principio FISICO o come presumo visto lo svolgimento è un principio LINGUISTICO?
E' un principio cosiddetto metafisico, è il livello più alto dell'astrazione e presuppone per forza che l'uomo abbia "un apriori", poichè diversamente ,nulla potremmo dire nè del pensiero e di tutto ciò che ne comporta: dalla matematica alle regole logiche.
vale a dire, non possiamo negare ciò che altrettanto si mostra evidente quanto un sasso fisicamente , la capacità linguistica umana la capacità di pensiero.
Un conto è dire: stiamo attenti a come costruiamo l'idea di Dio", di "uno", di"essere", e l'altro conto è "pensare di non pensare" che quindi è lo stesso pensiero che costruisce relazioni fra il concreto(il mondo fenomenico) e l'astratto(il pensiero che "cattura" il fenomeno e lo organizza mentalmente e razionalmente)
Citazione di: paul11 il 07 Settembre 2017, 09:29:51 AM
La problematicità che emerge in molte discussioni, è che ciò che percepiamo è comune e quindi facilmente comunicabile e confrontabile. Se parliamo di un sasso, saranno sfumature a non trovarci d'accordo.
Ma se parliamo di Dio, dell'archetipo ,di metafisica, quì il livello del pensiero è diventato astratto rispetto al sasso e quindi iniziano i problemi di "dimostrazione", "giustificazione" che non possono essere scienza fisica/percettiva sensoriale, del vedere con gli occhi,
ma del vedere con il pensiero, con l'anima.
Questi problemi sono superabili se ci atteniamo alle osservazioni che hanno portato gli studiosi alla formulazione della teoria degli archetipi. Per Jung, Eliade, Alleau, ecc., l'esistenza degli archetipi non è un postulato (come lo sono i postulati di E
uclide sulla geometria) sulle cui basi costruire la teoria omonima, ma è l'esatto contrario: la teoria è una conclusione logicamente necessaria, cioè una sintesi che si impone dall'osservazione analitica e metodica di due ordini complementari di fenomeni: psicologici-individuali e simbolici-collettivi. Quindi il problema di cui parli non nasce dal fatto che gli oggetti fisici sono oggettivi mentre i pensieri sono soggettivi, ma dalla difficoltà di trasformare dei fenomeni soggettivi in oggetti del pensiero. E dico "difficoltà", non "impossibilità", perché gli archetipi, pur essendo degli inosservabili, pur appartenendo ad una fenomenologia squisitamente soggettiva, possono essere oggettivizzati, come abbiamo visto, dalle loro innumerevoli espressioni simboliche presenti nel passato e nel presente della tradizione umana.PAUL11
Quindi sono pienamente d'accordo con Phil che il procedimento razionale si muove a doppio movimento dall'uno al molteplice e dal molteplice all'uno e sono complementari, aggiungo io. Quanto più ci si allontana dal dominio fisico naturale e il pensiero si astrae e tanto più il livello di astrazione superiore deve essere relazionato ai livelli inferioriCARLO
Il problema è che che Phil vede solo realtà oggettiva e pensiero e quindi concepisce ogni possibile astrazione come il frutto di questa sola dialettica, ignorando quel "terzo regno" a cui alludeva Frege, il regno degli archetipi, cioè il regno dell'astrazione massima e ultima, che esiste in sé e che non è il prodotto dell'elucubrazione del pensiero, ma al contrario, è il pensiero che, nelle sue astrazioni più adeguate ed efficaci è il prodotto del suddetto "terzo regno".
Torniamo cioè, alla necessità di una
trinità ontologica verticale "oggetto-soggetto-archetipo", cioè, "materia-mente-Dio", altrimenti, ogni discussione sulla conoscenza sarà mutilata e inconcludente.
PAUL11
Altro aspetto ancora è la relazione fra domini. Quando Carlo, dici che "il principio di complementarietà" ancora ti sfugge nella fisica, è perchè cerchi di dimostrare che questo principio è "universale". Un "assoluto" è un principio universale che relaziona forma e sostanza ,ma ancora relaziona i domini diversi.CARLO
Un principio universale è l'archetipo massimo,
l'astrazione ultima, il modello originario di tutte le cose. E' trinitario proprio perché è principio di relazione tra archetipi, principio di relazione tra idee umane e principio di relazione tra enti fisici. Ma è Uno perché è unica la forma metafisica per tutti e tre i livelli: la forma della Complementarità degli opposti Ecco, a me manca di dimostrare quest'ultimo aspetto, quello fisico.PAUL11
Il linguaggio non è il mattone, ma il cemento la malta che tiene insieme i mattoni.Quindi ciò che esprime Korzybski è la manifestazione linguistica, non è il mattone.Se lui tratta il termine "essere" come semplice verbo ausiliario e sappiamo che i logici ne fanno problematicità fra la forma copulativa, fra il "nominativo", fra i l"predicativo" ,fra il"genitivo", ecc., porta il pensiero nel dominio della relazione linguistica, della semplice parola, perdendo il segno relazionato al significato, il simbolo.CARLO
Questo non l'ho capito. Se
Korzybski vuole eliminare l'essere, può cominciare a farlo eliminandolo dai suoi scritti e mostrarci come tutto diventi molto più comprensibile. Quando lo farà prenderò in considerazione la sua teoria, altrimenti la considero solo come una delle tante inutili eccentricità intellettuali buone solo a vendere libri ai relativisti che amano il ...decostruzionismo.L'angolo musicale:
G. KUZMINAC: Ehi, ci stai?
https://youtu.be/_OFTCjZlMUo MARCELLOS FERIAL: Cuando calienta el sol
https://youtu.be/6iy3i-3DFXw
Carlo P.,
premetto che quello che pensi non è così tanto distante da come la penso io.
Certo che il problema è fra i domini, fra ciò che fu denominato empirico e metafisico.
Ciò che inizialmente fu scienza era metafisica ,il metodo razionale passò dal dominio metafisco a quello empirico con l'umanesimo e divenne scienza moderna. Così si è diamettralmente spostato il concetto di verità, che inizialmente era nel "soprasensibile", oggi è più sul "sensibile".
L'errore di coloro che pensano di non essere metafisici, è di utilizzare le forme e le figure della metafisica anche inconsapevolemente nel mondo dell'esistenza, della fisicità.
L'errore del metafisico è non relazionare i domini della natura e del pensiero.
Come tu saprai Jung arriva all'archetipo per osservazione dell sue analisi su pazienti.
Trovò che i simboli espressi dai sogni di alcuni suoi pazienti non corrispondevano al dominio della esperienza del loro vissuto, quindi erano come degli "apriori" psichici atavici, arcaici e fortemente originari , ma soprattutto comuni ad ogni umano e lo scoprì vedendo la coincidenza dei simboli sognati dai pazienti, con i simboli arcaici, atavici, ancestrali delle culture originarie antiche.
L'archetipo junghiano si può criticare dal punto di vista interpretativo che lui stesso dà sulle culture storiche, ma non sul fatto che esista.
Ed è quì la sua forza razionale, è innegabile l'evidenza, così come il sole appare ogni giorno ad Est.
Chi nega ciò si pone nello scetticismo ingenuo, di chi vive e non sa se respira, di chi nega anche ciò che lui stesso fa, come il pensare. quindi vive la sua stessa contraddizione negando ciò che il suo stesso pensiero nega.
Ricapitolando ,la forza del pensiero dell'archetipo junghiano poggia sul fatto che i simboli sognati non appartenevano al dominio dell'esperienza, del divenire ,del vissuto, ma erano "prima", erano premessa stessa della conoscenza, vale adire un sapere trasmesso prima ancora di conoscere. Ed è per questo che Jung ne rimane "ammaliato" come te, c'è qualcosa di abissale e profondo nell'uomo che appartiene ad un origine. Solo dopo Jung collegherà quei simboli alle culture antiche e alla modernità.
Il problema è quindi su cosa poggia l'astrazione, su quale esperienza, vissuto, cultura, simboli, segni.
E' qui che sta la dimostrazione, che non è più "percettiva fisica", ma è ormai divenuta mentale ed è quì che comporta il ragionamento logico, che non è contrapposizione di cose, ad esempio di Dio o di un sasso, ma di come si arriva a pensare Dio, di come si arriva a pensare all'archetipo, di come a sua volta l'archetipo viene recepito dalle culture.E' il ragionamento che deve "filare".
Tu contrapponi figure metafisiche,ontologiche ma se non mostri come il tuo ragionamento vi è arrivato, rischi di contrapporti in continuazione e smetti di comunicare. Il tuo ,a mio modesto parere, è un errore comunicativo di metodo prima ancora che di contenuto.
Ad esempio "l'Uno", il principio fra unità e molteplicità.
Metaforicamente io immagino che il piano della nostra conoscenza sia come il serpente che si avvolge al bastone nel caduceo: dal livello più basso del sensibile si passa via via ai livelli sempre più astratti fino all'unità originaria e di nuovo si verifica il proprio ragionamento dall' unità alla molteplicità.
Personalmente ritengo che debba essere "sostenibile"razionalmente il processo che relaziona l'Essere all'Esistenza, perchè ad un certo punto dei livelli il pensiero si astrae completamente ed è proprio quì che nasce il problema fra il metafisico e la cultura contemporanea.
Si esce dalle prassi ,dalle pragmatiche e si entra nella pura teoretica e se quest'ultima non risponde alle istanze che l'esistenza gli pone rischia di essere avulsa, sterile .
Non entrare " a gamba tesa" su tutto ciò che non è contemplato dalla nostre personali menti , non arroghiamoci mai un diritto di verità che sta sopra le teste dei nostri simili. L'ascolto, anche sforzarci di capire autori diversi da come la pensiamo ,possono nascondere a lor volta verità inaspettate, qualcosa per cui valga la pena riflettere .Il dialogo è in sè dialettica .
Korzybski dice anche cose interessanti fra cui quella di non "ingessare" il pensiero, costruire rigidità linguistiche può a sua volta influire sulla rigidità di come noi pensiamo e osserviamo il mondo.
Citazione di: Carlo Pierini il 07 Settembre 2017, 12:02:02 PMNon hai mai pensato che ciò che distrugge l'Incanto non sia la Conoscenza, ma una conoscenza primitiva, grossolana, distorta o inadeguata? Per quale ragione la facoltà del conoscere - che è un dono, al pari della facoltà di amare - dovrebbe distruggere l'Incanto? Non ti sembra strano che, nel mito cristiano, "il serpe della conoscenza" si trovi proprio nel centro del Paradiso terrestre, cioè, nel centro di ciò che il mito universale sempreidentifica simbolicamente come la dimora terrena del Divino? ...E come dovremmo intendere il concetto di "Sapientia Dèi"? Come la "distruzione divina dell'Incanto"? E' un grosso limite guardare alla spiritualità con gli occhi di una sola tradizione, e buttare a mare tutte le altre. La Fonte dell'Illuminazione è una per tutti gli uomini, indipendentemente dalla loro razza e cultura.
Ti ringrazio per il commento
Vorrei tranquillizzarti sul fatto che , di solito, non butto a mare nessuna tradizione. Anzi, proprio in questi giorni mi sto rileggendo "
Il dramma è Dio" di D.M.Turoldo, telogo, filosofo e poeta che apprezzo molto e che mi fornisce sempre stimoli di riflessione. Il fatto di non condividere alcune posizioni di fede non mi impedisce certo di apprezzare le persone che dimostrano intelligenza , cultura e umanità.
E' di gran lunga preferibile l'amicizia o la lettura di un cristiano intelligente a quella di un buddhista stupido ( e purtroppo la quasi totalità del Western Buddhism rientra in questa categoria...). :)
Nella visione biblica della Genesi la conoscenza distrugge l'incanto perché allontana da Dio. Prima di mangiare dell'albero, Dio passeggiava nel giardino dell'uomo. Trovo molto importante , e assai scarsamente evidenziato, questo fatto, questa amicizia che porta Dio e l'uomo a passeggiare insieme, e proprio questo "stare insieme con Dio" è l'Incanto. Dopo aver mangiato, l'uomo si nasconde. E' la separazione, il tradimento dell'amicizia e infatti Dio chiede:" Perché ti nascondi?". La conoscenza ci porta alla separazione e al nascondimento, all'opposizione e al rifiuto di questa amicizia, che viveva nella totale nudità dell'essere. Infatti conoscere è separare, distinguere.
Cosa fa il serpente nel giardino? E' necessario alla libertà del'uomo...
Se Dio ha creato l'uomo libero non può privarlo della possibilità di fare il male, altrimenti non sarebbe veramente libero. La radice del male sta in un certo uso di questa libertà. Chi determina la libertà? A determinare la libertà non può essere Dio: se lo facesse non saremmo più liberi. E, di fatto, non lo fa, essendo lui stesso libertà. Proprio della libertà è determinare se stessa, diversamente non sarebbe più libertà. In un altro modo, secondo la visione biblica, non sarebbe stato un uomo. Non sarebbe stato una coscienza capace di scegliere e di decidere di se stessa.
Citazione di: paul11 il 07 Settembre 2017, 14:52:53 PM
Carlo P.,
premetto che quello che pensi non è così tanto distante da come la penso io.
Certo che il problema è fra i domini, fra ciò che fu denominato empirico e metafisico.
Ciò che inizialmente fu scienza era metafisica ,il metodo razionale passò dal dominio metafisco a quello empirico con l'umanesimo e divenne scienza moderna. Così si è diamettralmente spostato il concetto di verità, che inizialmente era nel "soprasensibile", oggi è più sul "sensibile".
L'errore di coloro che pensano di non essere metafisici, è di utilizzare le forme e le figure della metafisica anche inconsapevolemente nel mondo dell'esistenza, della fisicità.
L'errore del metafisico è non relazionare i domini della natura e del pensiero.
Come tu saprai Jung arriva all'archetipo per osservazione dell sue analisi su pazienti.
Trovò che i simboli espressi dai sogni di alcuni suoi pazienti non corrispondevano al dominio della esperienza del loro vissuto, quindi erano come degli "apriori" psichici atavici, arcaici e fortemente originari , ma soprattutto comuni ad ogni umano e lo scoprì vedendo la coincidenza dei simboli sognati dai pazienti, con i simboli arcaici, atavici, ancestrali delle culture originarie antiche.
L'archetipo junghiano si può criticare dal punto di vista interpretativo che lui stesso dà sulle culture storiche, ma non sul fatto che esista.
Ed è quì la sua forza razionale, è innegabile l'evidenza, così come il sole appare ogni giorno ad Est.
Chi nega ciò si pone nello scetticismo ingenuo, di chi vive e non sa se respira, di chi nega anche ciò che lui stesso fa, come il pensare. quindi vive la sua stessa contraddizione negando ciò che il suo stesso pensiero nega.
Ricapitolando, la forza del pensiero dell'archetipo junghiano poggia sul fatto che i simboli sognati non appartenevano al dominio dell'esperienza, del divenire ,del vissuto, ma erano "prima", erano premessa stessa della conoscenza, vale adire un sapere trasmesso prima ancora di conoscere. Ed è per questo che Jung ne rimane "ammaliato" come te, c'è qualcosa di abissale e profondo nell'uomo che appartiene ad un origine. Solo dopo Jung collegherà quei simboli alle culture antiche e alla modernità.
I
neccepibile! Hai sintetizzato il pensiero di Jung e il concetto di archetipo meglio di quanto avrei potuto fare io. :) PAUL11Il problema è quindi su cosa poggia l'astrazione, su quale esperienza, vissuto, cultura, simboli, segni.
E' qui che sta la dimostrazione, che non è più "percettiva fisica", ma è ormai divenuta mentale ed è quì che comporta il ragionamento logico, che non è contrapposizione di cose, ad esempio di Dio o di un sasso, ma di come si arriva a pensare Dio, di come si arriva a pensare all'archetipo, di come a sua volta l'archetipo viene recepito dalle culture. E' il ragionamento che deve "filare".
Tu contrapponi figure metafisiche,ontologiche ma se non mostri come il tuo ragionamento vi è arrivato, rischi di contrapporti in continuazione e smetti di comunicare. Il tuo, a mio modesto parere, è un errore comunicativo di metodo prima ancora che di contenuto.
CARLOBeh, questo è il punto più complicato di tutti. E' come se un incallito "geocentrista tolemaico" mi chiedesse di mostrare qual'è, in dettaglio, il ragionamento che ha portato all'idea eliocentrica. Io non potrei fare altro che invitarlo a leggere l'Astronomia nova di Keplero e poi i Principia Mathematica di Newton; perché è impossibile riassumere in mezza pagina in modo convincente l'enorme mole di osservazioni che dimostrano la validità dell'eliocentrismo al di là di ogni ragionevole dubbio. Per la teoria degli archetipi vale lo stesso identico discorso: chi vuole le prove della validità delle conclusioni dei vari Jung-Eliade-Guénon-Evola-ecc., deve andare a studiare e a riflettere sull'enorme mole di dati che convergono verso il loro paradigma. Io stesso, da ateo qual ero, per convincermene ho passato almeno quattro intensissimi anni su quelle letture-riflessioni. Quello che invece si può fare in un NG l'ho fatto e lo sto tutt'ora facendo: raccontare le mie esperienze e mostrare che esse possono essere correttamente spiegate solo ed esclusivamente nel quadro del paradigma junghiano. Poi, se a qualcuno interessa capire come stanno realmente le cose, può approfondire per proprio conto l'argomento, approfittando anche delle continue mie citazioni dei molti studiosi che si occupano di questo tema.Ma, dopo una frequentazione ventennale di Forum di discussione, seppure sporadica, ormai mi sono reso conto che, tranne poche eccezioni, non è la passione per la conoscenza che motiva queste discussioni, ma soprattutto il bisogno di esibirsi. Ricordo che quando, cinque o sei anni dopo l'inizio della mia ricerca, avevo raccolto un sufficiente numero di indizi "forti" sulla valenza universale della Complementarità, pensai che se l'avessi comunicato a qualche circolo di filosofi, sarei stato accolto con grande interesse e magari avrei trovato anche qualcuno disposto ad affiancarmi e a darmi una mano, visto che si tratta di una argomento di portata colossale e che perciò supera di gran lunga le possibilità di una sola persona. Ma, con grande stupore, dopo poche settimane di commenti derisori e spesso insultanti nei confronti di ciò che scrivevo, mi resi conto della condizione di degrado e di scetticismo in cui è caduta la filosofia moderna, impegnata ormai quasi esclusivamente a distruggere sé stessa e qualsiasi conquista della conoscenza. E così decisi che avrei comunicato comunque le mie scoperte e le idee nuove che a mano a mano venivano formandosi, ma solo come provocazione, come sfida, e quindi come palestra per perfezionarle di fronte agli attacchi frontali che mi venivano da ogni parte. E così è stato. E chissà che non mi sia stata più di aiuto la critica feroce di tanti anni, piuttosto che una eventuale accoglienza calorosa.PAUL11
Ad esempio "l'Uno", il principio fra unità e molteplicità.
Metaforicamente io immagino che il piano della nostra conoscenza sia come il serpente che si avvolge al bastone nel caduceo: dal livello più basso del sensibile si passa via via ai livelli sempre più astratti fino all'unità originaria e di nuovo si verifica il proprio ragionamento dall' unità alla molteplicità.
Personalmente ritengo che debba essere "sostenibile"razionalmente il processo che relaziona l'Essere all'Esistenza, perchè ad un certo punto dei livelli il pensiero si astrae completamente ed è proprio quì che nasce il problema fra il metafisico e la cultura contemporanea.
Si esce dalle prassi ,dalle pragmatiche e si entra nella pura teoretica e se quest'ultima non risponde alle istanze che l'esistenza gli pone rischia di essere avulsa, sterile .
CARLOE' proprio così! Le regole del principio le ho desunte dall'osservazione dei fatti e dagli squilibri dialettici che si generano ogni volta che queste regole vengono violate. Ma poi, molti altri casi si risolvono, invece, applicando ad essi il Principio, cioè, sdoppiandoli nelle loro componenti "duali" che non sempre sono immediatamente "visibili" e poi mettendo a confronto le opposizioni seguendo le regole del Principio (deduzione/induzione).L'angolo musicale:LOUIS PRIMA: I'm just a gigolo
https://youtu.be/MMpXdCkvKZA ROBERT JOHN: The lion sleeps tonight
https://youtu.be/tg2P4Ojot-Q
Citazione di: Sariputra il 07 Settembre 2017, 16:46:28 PM
Citazione di: Carlo Pierini il 07 Settembre 2017, 12:02:02 PMNon hai mai pensato che ciò che distrugge l'Incanto non sia la Conoscenza, ma una conoscenza primitiva, grossolana, distorta o inadeguata? Per quale ragione la facoltà del conoscere - che è un dono, al pari della facoltà di amare - dovrebbe distruggere l'Incanto? Non ti sembra strano che, nel mito cristiano, "il serpe della conoscenza" si trovi proprio nel centro del Paradiso terrestre, cioè, nel centro di ciò che il mito universale sempreidentifica simbolicamente come la dimora terrena del Divino? ...E come dovremmo intendere il concetto di "Sapientia Dèi"? Come la "distruzione divina dell'Incanto"? E' un grosso limite guardare alla spiritualità con gli occhi di una sola tradizione, e buttare a mare tutte le altre. La Fonte dell'Illuminazione è una per tutti gli uomini, indipendentemente dalla loro razza e cultura.
Ti ringrazio per il commento
Vorrei tranquillizzarti sul fatto che , di solito, non butto a mare nessuna tradizione. Anzi, proprio in questi giorni mi sto rileggendo "Il dramma è Dio" di D.M.Turoldo, telogo, filosofo e poeta che apprezzo molto e che mi fornisce sempre stimoli di riflessione. Il fatto di non condividere alcune posizioni di fede non mi impedisce certo di apprezzare le persone che dimostrano intelligenza , cultura e umanità.
...David Maria Turoldo... di Bergamo...! Io l'ho conosciuto di persona ben 40 fa; era amico di famiglia della mia fidanzata di allora. Grande personalità. Ha ancora la sua brava impostazione da partigiano? :)
SARIPUTRA
E' di gran lunga preferibile l'amicizia o la lettura di un cristiano intelligente a quella di un buddhista stupido ( e purtroppo la quasi totalità del Western Buddhism rientra in questa categoria...). :)
Nella visione biblica della Genesi la conoscenza distrugge l'incanto perché allontana da Dio. Prima di mangiare dell'albero, Dio passeggiava nel giardino dell'uomo. Trovo molto importante , e assai scarsamente evidenziato, questo fatto, questa amicizia che porta Dio e l'uomo a passeggiare insieme, e proprio questo "stare insieme con Dio" è l'Incanto. Dopo aver mangiato, l'uomo si nasconde. E' la separazione, il tradimento dell'amicizia e infatti Dio chiede:" Perché ti nascondi?". La conoscenza ci porta alla separazione e al nascondimento, all'opposizione e al rifiuto di questa amicizia, che viveva nella totale nudità dell'essere. Infatti conoscere è separare, distinguere. Cosa fa il serpente nel giardino? E' necessario alla libertà del'uomo...Se Dio ha creato l'uomo libero non può privarlo della possibilità di fare il male, altrimenti non sarebbe veramente libero. La radice del male sta in un certo uso di questa libertà. Chi determina la libertà? A determinare la libertà non può essere Dio: se lo facesse non saremmo più liberi. E, di fatto, non lo fa, essendo lui stesso libertà. Proprio della libertà è determinare se stessa, diversamente non sarebbe più libertà. In un altro modo, secondo la visione biblica, non sarebbe stato un uomo. Non sarebbe stato una coscienza capace di scegliere e di decidere di se stessa.CARLOChe la scienza abbia allontanato l'uomo da Dio è sotto gli occhi di tutti. Ma è proprio per questo che ti chiedevo: <<Non hai mai pensato che ciò che distrugge l'Incanto non sia la Conoscenza, ma una conoscenza primitiva, grossolana, distorta o inadeguata?>>. L'hai letto il mio topic "Il Principio e il mito biblico dell'Eden"? (nella sezione "Tematiche spirituali"). Prova a leggerlo e, se ti va, fammi sapere cosa ne pensi.
Citazione di: InVerno il 04 Settembre 2017, 08:46:35 AM"la mappa non è il territorio"
Mi sembra che si potrebbe fare anche un accostamento a Platone: la mappa è il mondo delle idee, il territorio è il mondo materiale. Sulla base del criticare la separazione tra materia e idee in Platone, si può osservare che non è neanche possibile distinguere in maniera netta mappe da territori.
Citazione di: Carlo Pierini il 07 Settembre 2017, 22:40:26 PM
...David Maria Turoldo... di Bergamo...! Io l'ho conosciuto di persona ben 40 fa; era amico di famiglia della mia fidanzata di allora. Grande personalità. Ha ancora la sua brava impostazione da partigiano? :)
CitazioneL' ho conosciuto (purtroppo non di persona) e lo apprezzo anch' io.
Purtroppo é morto da un bel po' di anni.
La discussione è andata un po fuori dai binari che avevo tracciato, mea culpa, avendo pochissimo tempo in questi giorni avrei dovuto aprirla quando potevo seguirla. Pierini tendi a monopolizzare un po i topic con la tua questione archetipica, sicuramente interessante, ma in contesto linguistico più adeguata ad una discussione riguardante l'origine del linguaggio (sia storico che individuale). In ogni caso ti manca da spiegare come in 175 lingue su 385 ad oggi catalogate, il verbo "essere" manchi, evidentemente a dimostrare come a questo livello di astrazione, la linguistica sia già convenzione e ben distante da quell'afflato "naturale" su cui tuttivia concordo perlomeno a livello basico. Per intraprendere un discorso come quello da te proposto dovremmo evitare di menzionare verbo essere e trattarlo su base logico-linguistica, ovvero come funzione, perchè una volta che si manifesta come "verbo" compiuto la questione diventa molto più complessa di un origine archetipica (basta pensare ai tempi nella sola lingua italiana, come l'imperfetto ipotetico che non assicura la certezza dell'evento, e la differenza con i tempi delle altre lingue, per cadere in un ginepraio di una complessità tale che richiederebbe certamente un linguista di professione). Tuttavia mi permetto di suggerirti di approfondire le tue conoscenze riguardo alla lingua protoindoeuropea ricostruita, che forse per il suo livello di rudimentalità ben si presta alle tue intuizioni archetipiche.
Se è di interesse continuare il topic, proporrei una svolta verso la seconda parte del mio incipit, ovvero essere come identificazione e le problematiche che scaturiscono da esso. Ogni volta che vado in aeroporto mi viene chiesta la carta d'identità, io vorrei obbiettare "di identificazione" ma so che l'ufficiale non capirebbe. Capiva invece Bertrand Russel, che in prigione scrisse "E' una disgrazia per il genere umano che si sia usato "è" per due idee completamente differenti". E' davvero una disgrazia?
Più che una disgrazia mi sembra una necessità,
come ho accennato in precedenza. La disgrazia consiste nel dimenticare che si tratta di una convenzione di comodo per lavorare con le relazioni.
Mi viene in mente una critica, forse bizzarra, che potrei fare alla matematica: dire 1=1 è sbagliato, perché identità, uguaglianza, dovrebbe significare essere lo stesso oggetto. Un atomo non è uguale a un altro atomo, per il semplice fatto che non occupano le stesse coordinate dello spazio: se un atomo è a destra e uno è a sinistra, essi non sono uguali e la differenza è stata appena detta: uno è a destra, l'altro a sinistra. Se 1=1 significa che 1 è uguale a se stesso, ne consegue che 1+1=2 è sbagliato, perché se io prendo una mela e la sommo a se stessa non ottengo due mele, ma sempre una. Allora che vuol dire 1=1? Si risponderà che sono uguali in merito alla quantità numerica, ma non identificano lo stesso oggetto. Così prendiamo coscienza che il segno = in matematica non indica uguaglianza totale, perfetta, di identità, ma solo in merito ad una qualità, che è la quantità. A questo punto continuerebbe ancora ad esserci qualche problema: se va bene che 1+1=2, considerando che si tratta di due 1 diversi, come la mettiamo con la sottrazione? Affinché 1-1=0 sia vero, è necessario invece che 1=1 si riferisca a identità di oggetto: infatti, se io ho una mela, per ottenere il risultato di zero devo togliere quella precisa mela, non posso toglierne un'altra diversa da quella che c'è. Ne consegue una contraddizione matematica:
- affinché 1+1=2 sia vero, è necessario che nell'equazione 1=1 i due 1 indichino due oggetti diversi;
- affinché 1-1=0 sia vero è necessario che nell'equazione 1=1 i due numeri 1 indichino lo stesso oggetto.
Allora cosa significa 1=1? Si tratta di un oggetto che è uguale a se stesso o di due oggetti che sono uguali nella quantità? In entrambi i casi si va incontro ad una contraddizione.
Non so se sto perdendo di vista qualcosa, ma mi sembra una contraddizione abbastanza curiosa e intrigante.
Problemi simili valgono per ogni uso del verbo essere: esso non esprime mai identità totale, ma sempre comunanza di qualche particolare qualità. Ad esempio, tra una mela e la definizione di mela c'è in comune il fatto che entrambe, se presentate ad una persona, suscitano nella sua mente l'idea di mela. In questo modo però capiamo subito che suscitare la stessa idea non significa essere la stessa cosa, tanto più che l'idea suscitata non è proprio identica, altrimenti la persona non sarebbe in grado di distinguere tra una mela e la sua definizione, col rischio di addentare una pagina del vocabolario.
Mi sembra che allora il verbo essere sia solo un contraddittorio strumento da usare con molta distanza, uno strumento molto utile per semplificare il linguaggio, purché ci si ricordi che aver semplificato il linguaggio non significa aver reso tutto più semplice.
Citazione di: InVerno il 09 Settembre 2017, 11:51:22 AM
La discussione è andata un po fuori dai binari che avevo tracciato, mea culpa, avendo pochissimo tempo in questi giorni avrei dovuto aprirla quando potevo seguirla. Pierini tendi a monopolizzare un po i topic con la tua questione archetipica, sicuramente interessante, ma in contesto linguistico più adeguata ad una discussione riguardante l'origine del linguaggio (sia storico che individuale). In ogni caso ti manca da spiegare come in 175 lingue su 385 ad oggi catalogate, il verbo "essere" manchi, evidentemente a dimostrare come a questo livello di astrazione, la linguistica sia già convenzione e ben distante da quell'afflato "naturale" su cui tuttivia concordo perlomeno a livello basico. Per intraprendere un discorso come quello da te proposto dovremmo evitare di menzionare verbo essere e trattarlo su base logico-linguistica, ovvero come funzione, perchè una volta che si manifesta come "verbo" compiuto la questione diventa molto più complessa di un origine archetipica (basta pensare ai tempi nella sola lingua italiana, come l'imperfetto ipotetico che non assicura la certezza dell'evento, e la differenza con i tempi delle altre lingue, per cadere in un ginepraio di una complessità tale che richiederebbe certamente un linguista di professione). Tuttavia mi permetto di suggerirti di approfondire le tue conoscenze riguardo alla lingua protoindoeuropea ricostruita, che forse per il suo livello di rudimentalità ben si presta alle tue intuizioni archetipiche.
Se è di interesse continuare il topic, proporrei una svolta verso la seconda parte del mio incipit, ovvero essere come identificazione e le problematiche che scaturiscono da esso. Ogni volta che vado in aeroporto mi viene chiesta la carta d'identità, io vorrei obbiettare "di identificazione" ma so che l'ufficiale non capirebbe. Capiva invece Bertrand Russel, che in prigione scrisse "E' una disgrazia per il genere umano che si sia usato "è" per due idee completamente differenti". E' davvero una disgrazia?
Se la forma più evoluta di conoscenza che l'uomo abbia mai prodotto (per quanto fortemente squilibrata a scapito della polarità spirituale dello scibile) è nata in paesi nella cui lingua è presente il verbo essere, ho l'impressione che quella di Korzybski sia solo una caccia alle streghe, una lotta contro i mulini a vento.
Citazione di: InVerno il 09 Settembre 2017, 11:51:22 AM
Se è di interesse continuare il topic, proporrei una svolta verso la seconda parte del mio incipit, ovvero essere come identificazione e le problematiche che scaturiscono da esso. Ogni volta che vado in aeroporto mi viene chiesta la carta d'identità, io vorrei obbiettare "di identificazione" ma so che l'ufficiale non capirebbe. Capiva invece Bertrand Russel, che in prigione scrisse "E' una disgrazia per il genere umano che si sia usato "è" per due idee completamente differenti". E' davvero una disgrazia?
CitazioneGrande, vecchio Bertrand, anche stavolta avevi ragione!
Bisognerebbe distinguere "essere" come copula (" andare inteso come" o "in quanto") da "essere"come predicato verbale (intransitivo = esistere/accadere realmente).
Ben diverso é il caso di "un' ippogrifo é un cavallo alato" da quello di "un cavallo da corsa (reale) é nella scuderia qui davanti a me".
E' sempre stato un mio cavallo di battaglia (non alato, e reale, per quanto metaforico) quello della "fondamentalissima" distinzione fra "esistere-accadere realmente" ed "essere inteso, pensato come"