"L’essere è, e il non essere non è"

Aperto da Eutidemo, 02 Marzo 2020, 16:08:23 PM

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Eutidemo

Ciao Green.
Innanzitutto ti ringrazio per il complimento, che ricambio sentitamente, perchè, in tutta sincerità, il tuo scritto non ha nulla da invidiare al mio.
Semmai, viceversa! ;)

***
Quanto alla tematica del "tempo", in effetti, nel mio TOPIC l'ho solo sfiorata;  però affascina molto anche me.

***
Rammento che il problema mi colpì per la prima volta leggendo il famoso passo delle "Confessioni", in cui Agostino si chiede che cosa sia il tempo e così si risponde: «Se nessuno me lo chiede, lo so; se, invece, cerco di spiegarlo a chi me lo chiede, non lo so».
Però, poi, argomenta: "...senza nulla che passi, non esisterebbe un tempo passato; senza nulla che venga, non esisterebbe un tempo futuro; senza nulla che esista, non esisterebbe un tempo presente".
Ragionamento che, quando lo lessi, non mi convinse molto, in parte per le stesse ragioni da lui esposte subito dopo, laddove egli stesso lo mette in dubbio, in quanto, in effetti:
- come farebbero ad esistere il passato e il futuro "dal momento che il primo non è più, il secondo non è ancora?"
- ed anche lo stesso presente,  se fosse sempre presente, senza tradursi in passato, non sarebbe più tempo, ma eternità
E ne conclude: "Se dunque il presente, per essere tempo, deve tradursi in passato, come possiamo dire anche di esso che esiste, se la ragione per cui esiste è che non esisterà? Quindi non possiamo parlare con verità di esistenza del tempo, se non in quanto tende a non esistere".

***
A mio avviso, invece, i casi sono due:
a)
O il tempo è un "continuum", che esiste contestualmente in tutti i suoi istanti, ed è solo la nostra coscienza che ci corre sopra a senso unico, come un treno su binari senza fine...ma sempre in avanti.
b)
Oppure il tempo è solo una "illusione", perchè, come dice giustamente Agostino, se non è un "continuum", allora, allora il futuro ed il passato non esistono, in quanto privi del requisito dell'"essere"; a mio avviso, però, in tal caso non esisterebbe neanche il presente, in quanto pura astrazione, poichè l'istante è come il punto...non ha dimensioni.
Poi ci si mette di mezzo pure Einstein...per cui, sinceramente, non saprei più davvero che pesci prendere al riguardo!:(

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Quanto al fatto che il me giovane non ha alcun legame biologico con il me vecchio, invece, non sono molto d'accordo; ed infatti, nave di Teseo" a parte, il mio complesso biologico neuronale mantiene la sua memoria identitaria almeno a partire dai tre anni.
Il che, ovviamente, non significa affatto che io non abbia  un anima; ma a ricordarsi qualcosa prima dei tre anni non ce la fa neanche lei!

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Incidentalmente, comunque, io credo all'anima, come in un rapporto "bilivellare" Jiva-Atman; il che, almeno stando a San Paolo, non è  poi molto differente dalla concezione cristiana.

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Ed infatti credo che, forse, almeno in parte, le nostre due concezioni possano collimare, in quanto, dal mio punto di vista:
- il primo livello (fenomenico) è quello del soggetto idividuale (jiva), che continua a illudersi di essere identità unica ed assoluta, identificata da ruoli contingenti più o meno fittizi (io sono il mio codice fiscale, io sono un avvocato, un magistrato, un panettiere etc...).
- il secondo livello (noumenico), invece, è quello che riguarda il "SE'" reale, cioè l'uomo interiore il cui spirito, come dice San Paolo, è destinato a scoprirsi UNO con Dio.

***
Quanto al "SOGGETTO", infatti, come diceva Shakespeare, gli uomini sono "vermi che strisciano tra la terra ed il cielo", poichè occorre distinguere:
- tra un soggetto-fenomeno (che esiste)
- ed un soggetto-noumeno (che è)
Oppure, si può dire benissimo, come fai tu: ESSERE, ESSERE che è DIO. (è ovvio).

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Quando al mondo dei soli aggettivi, io preferisco dire dei soli predicati; ma non credo che ci sia molta differenza.

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Quanto al fatto che l'uomo sia il medium della funzione di scontro tra gli opposti, in realtà, secondo me, NON ESISTONO OPPOSTI, NE' SCONTRI REALI, PERCHE' SIAMO TUTTI UNO.
Quello della BHAGAVAD GITA, infatti, come Krisna spiega ad Arjuna, è un FINTO scontro, di un unico DIO (non di tanti dei), che frantumandosi nel molteplice, inscena una battaglia priva di realtà sostanziale.

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Quanto ad Hegel, di cui tu riporti molto appropriatamente alcuni passi, sinceramente io non lo capisco molto; lui costruisce molte argomentazioni che, per me, sono prive di senso compiuto.

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Ed infatti, che vuol dire che il movimento NEGATIVO viene ancora prima, in quello che lui chiama lo SPIRITO?
Per me è solo nei fenomeni che c'è movimento (che non conta nulla), non nel noumeno.

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Da qui in poi, sebbene non sia colpa tua, ma di Hegel, non riesco più a seguire il filo del discorso.

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Condivido, invece, la tua critica della eccessiva preponderanza della tecnica, sulla scorta di Severino.

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Un saluto!


Eutidemo

#16
Ciao Paul11
Trovo molto interessante il tuo discorso sui filosofi fino a Platone; il quale, però (salvo qualche eccezione), non lo trovo poi così "ermetico", ma, anzi, mi sembra desideroso di farsi capire "lippis et tonsoribus".
Non a caso, il suo maestro Socrate propugnava l'arte "maieutica"  (che Platone spiega nel Teeteto); la quale, a mio avviso, ha una finalità molto più "essoterica" che non "esoterica".

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Interessante è anche quanto dici sul Logos, che può essere:
- l'archè,
- il discorso,
- il legame,
e, quindi la "relazione", come diremmo oggi.
Non ne avevo mai sentito parlare in tal modo; hai da indicarmi qualche libro o link al riguardo?
Grazie :)

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Quanto a Parmenide, per la sua affermazione: "L'essere è, e il non essere non è!", io gli conferirei l'OSCAR PER LA CHIAREZZA; virtù così rara nei filosofi, i quali, per lo più (a cominciare da Hegel), si attengono strettamente al suggerimento di Trilussa: "Se voi il rispetto de l'amichi, nun faje mai capì quello che dichi!"
Però anche Parmenide, qualche frasetta "criptica", ogni tanto la tira fuori pure lui.

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I più chiari di tutti sono i filosofi inglesi:  Locke, Hume, Berkeley...e, soprattutto, Bertrand Russel!
Ma anche alcuni filosofi tedeschi come Nietzsche e Schopenaeur!

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Quanto a leggere la "Fenomenologia dello spirito" di Hegel, ammetto di averci provato varie volte, ma poi ci ho sempre rinunciato... finendo per scagliare il libro contro il muro (con invettive irrepetibili).
Un tempo pensavo di essere io a non capire; poi, invece, alla fine ho capito che io non capivo perchè non c'era NIENTE da capire; ed infatti, facendo un'accurata analisi logica e grammaticale del testo (anche in tedesco), mi sono reso conto che certe proposizioni erano "intrinsecamente" prive di senso compiuto.
Tu mi dirai che è il discorso della volpe e dell'uva!
E' sicuramente possibile; ma allora come mai che Kant (per quanto anche lui molto complesso), invece, l'ho sempre letto e capito benissimo, sin dal Liceo?
Il fatto è che Kant  segue una logica sintattica che comprendo, mentre Hegel, molto spesso, NO!
Praticando un po' lo ZEN, forse adesso qualche passo di Hegel riesco ad apprezzarlo come se fosse un KOAN; ed invero, in questo, Hegel è davvero un Maestro.

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Quanto a Schopenhauer, mi è sempre piaciuto moltissimo, non solo perchè è anti-hegeliano, ma, soprattutto, perchè la sua filosofia, almeno per certi aspetti, e molto simile a quella indiana, che io apprezzo moltissimo; e poi, viva la faccia, almeno si capisce quello che dice!

***
Ho letto attentamente ciò che mi hai postato, riferito allo scritto di Hegel, il quale sostiene  che l'essere e il non-essere sono uniti dal referente, e che il non-essere comprende l'essere e il nulla.

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Questo lo avevo compreso, però, come già ti avevo ampiamente argomentato, la considero una castroneria da "Guiness dei Primati"; ed infatti, penso che anche Gorgia da Leontini si sarebbe vergognato di un sofisma come: "Il non-essere comprende l'essere e il nulla (cioè, appunto, il non-essere)".
Sarebbe come dire che la locuzione: "Il <<non-cane>> comprende sia il <<cane>> che il <<non-cane>>", perchè entrambe le cose vengono enunciate assieme.
Ma che Hegel mi facesse il piacere!
https://www.youtube.com/watch?v=fa3a50pLmu8

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Quanto alla TRIADE "essere, niente, non essere" secondo me è un'UNIADE, perchè  il "niente" ed il "non essere", per definizione, mancano all'appello.
A parte il fatto che non mi è chiara  neanche la differenza tra "niente e non essere"; ammesso che abbia senso distinguere due cose che non ci sono.

***
Quanto al fatto che il "nulla" è nel divenire delle apparenze, questo l'avevo detto anche io, sin dal principio; ed infatti è una cosa ovvia e sotto gli occhi di tutti!
Però si tratta del  "nulla"  relativo, cioè il "non essere" più fiore, per "essere" diventato frutto, non certo il "nulla"  assoluto, che implicherebbe in entrambi la mancanza dell'"essere privo di predicati".
Ed invero:
- un conto è non essere questo ed essere quello, ovvero essere quello e non essere questo;
- un altro conto, invece, è avere il requisito dell'essere o non avercelo...a prescindere da questo o da quello.
Non riesco a capire come si possano confondere le due cose!

***
Quanto al fatto che la coscienza è la mediatrice fra il dato sensibile, che è "contraddittorio" in quanto ciò che è non può anche non essere, secondo me, tale presunta contraddizione scaturisce proprio dall'errore logico di cui sopra, poichè:
- indubbiamente ciò che è non può anche non essere;
- però, altrettanto indubbiamente, possono benissimo alternarsi tra di loro differenti "manifestazioni" (o "modalità esistenziali") dell'essere, così come il fiore che cessa di esistere come fiore per diventare frutto...senza che per questo  l'essere cessi di essere <<ESSERE>>!
In questo, il dato sensibile non risulta affatto "contraddittorio", in quanto l'<<essere>> "noumenico" permane inalterato in quanto <<essere>>; ciò che muta è solo l'apparenza "fenomenica" delle sue diverse manifestazioni".

***
Ciò che appare dal nulla e scompare nel nulla, è solo l'esistente, cioè l'ombra dell'essere, proiettata sul fondo della caverna!

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Quanto al fatto che esista il termine "nulla" e noi lo utilizziamo magari paradossisticamente, magari contraddittoriamente, magari irrazionalmente, ma che ha comunque un significato che se fosse anche solo linguistico evoca  a sua volta "un' immagine relazionata ad un concetto mentale o ad una realtà fisica", non sono affatto d'accordo; ed infatti, benchè indubbiamente esista anche il termine "cerchio quadrato" e noi lo utilizziamo magari paradossisticamente, magari contraddittoriamente, magari irrazionalmente, ciò però non ci consente in alcun caso di evocare "un' immagine relazionata ad un concetto mentale o ad una realtà fisica di cerchio quadrato".
E' impossibile immaginare un cerchio quadrato, così come è impossibile immaginare il nulla!

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Quanto al fatto che "l'essere è" sia in contrasto con il "divenire", questo non è affatto vero, se si considera che a "divenire" è solo l'apparenza dell'essere, ma non l'essere in sè.
Sarebbe come considerare contraddittoria la circostanza che su uno schermo cinematografico si alternino vari eventi, ed oggetti che mutano in continuazione, mentre, invece, in realtà, tutto avviene su uno sfondo  immobile che rimane sempre eguale a se stesso!
Ed infatti, ci sono diversi livelli di REALTA' (persino a livello fenomenico); ed il contrasto può ipotizzarsi  solo nell'ambito di uno stesso livello di REALTA', non tra diversi livelli .
Sarebbe come se il Rieti volesse scendere in campo contro la Juve :D

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Un saluto!

paul11

ciao Eutidemo,
Bisogna stare attenti a Platone e i dialoghi socratici, non tutti sono originari, e molto è stato scritto da discepoli dell'accademia di Platone. Platone ha scritto, certo, malvolentieri, ma soprattutto non ha dato soluzione ad alcune importanti fondamenti che rimangono in sospeso
Gli studiosi sono propensi a pensare che solo oralmente dicesse ai propri discepoli quello che manca negli scritti. Socrate non ha scritto nulla di suo pugno.


Ho visto velocemente che Treccani già dà dei significati polisemantici a logos; vale a dire è un termine che  prende un determinato   significato in relazione al  il contesto in cui lo colloca quasi ogni singolo filosofo. Consiglierei di cercarlo in siti seri di filosofia.


Questo è un esempio di collocazione del logos in un dato contesto e sarà strano che lo compia Eraclito che  non è solo filosofo del divenire: è più profondo.

"Per quanto tu possa camminare, e neppure percorrendo intera la via, tu potresti mai trovare i confini dell'anima: così profondo è il suo lógos". (Eraclito, fr. 45 Diels-Kranz)




Aristotele definisce Parmenide "terribile".Il fondatore della logica predicativa, Aristotele, vede la difficoltà logica di come affrontare l'eterno e il divenire, il "ciò che è, è e non può non essere"


"Fenomenologia dello spirito" di Hegel, mi imposi di studiarlo. E' scritto male ed Hegel a posteriori lo disse. Lo scrisse in breve tempo, poiché il suo editore gli aveva dato dei tempi stretti, ed Hegel viveva in ristrettezze economiche e protetto, se non ricordo male, da Goethe.


I testi più difficili da leggere, sembrano fisica quantistica, sono proprio il cercare di capire la logica dialettica, quindi Hegel e poi Severino. Quando poi tirano fuori la negazione della negazione.......
Quindi capisco.


Il problema è che dopo la fine dei razionalisti moderni : Cartesio, Spinoza, nessuno o pochissimi ,sono andati a discutere del "noumeno", ovvero di metafisica.
Si trattava di operare non più come i greci antichi la metafisica, ma di poterla spiegare in termini logici. Gli altri filosofi, dall'empirismo a noi, riducono la conoscenza filosofica alla percezione e al mentale, viene esaltata la gnoseologia (o  moderna epistemologia scientifica) e perde in ontologia.
Dell'essere antico, del logos antico, ci si accorge che non solo mutano gli scenari, ma spariscono le parole chiave antiche. La finalizzazione era riuscire a costruire una "filosofia scientifica" e in un certo modo si muoverà la linguistica, la filosofia analitica da Frege, Cantor, Russell, Wittgenstein ,passando per Quine, Searle, .
La relazione moderna diventa correttezza sintattica e semantica fra soggettività e oggettività, dentro il dominio sensibile, naturale, materico. Galileo e Newton hanno avuto un enorme influenza così come poi Darwin.  Intanto la psicanalisi di Freud, la psicologia analitica di Jung, il comportamentismo alla fine è divenuto cognitivismo che insieme alle neuroscienze formano l'attuale filosofia della mente. Il mentale umano è oggi il focus con tutte le sue diramazioni e applicazioni. Rispetto a più di duemila anni fa si è capovolta la filosofia.
Quella antica era povera di conoscenze naturali e fisiche, ma sapeva trattare di universali.
Oggi siamo al tempo dei sincotroni, dei multiverso, dei quanti, ma siamo confusi se vi sia o meno una verità e non essendoci principi universali che uniscano , ognuno si fa forte dei propri principi.
Essendo in tempo di accelerazioni e trasformazioni,ciò che si credeva ieri, oggi è già messo in discussione. Siamo forse in un tempo di transizione culturale.


Schopenhauer non l'ho mai approfondito, di primo acchito non mi piaceva, preferivo Kierkegaard.
Ma adatto che ho aperto una discussione su Nietzsche (il Sileno), mi accorgo che il primo Nietzsche amava l'arte e nello specifico la musica e fu influenzato dal primo Schopenhauer.
Quindi mi appresterò a studiarmi i due volumi di "Il mondo come volontà e rappresentazione"
La "nientità" è il nulla iniziale e finale delle apparenze nel divenire.
Quando viene detto che ciò che appare viene dal nulla e sparisce nel nulla,
Se vita e morte fossero l'essenza l'uomo diventa solo strumento.
Vita e morte si riproducono continuamente, ma la singola identità umana viene una volta sola e sparisce.
Penso che l'identità nell'essere umano sia superiore a quella mentale. Noi mutiamo, in fondo anche noi fioriamo e fruttifichiamo, non è la memoria l'identità, si può anche perderla e riprenderla e non è che noi fossimo altro da noi quando eravamo smarriti. L'essere è un immutabile e corrisponde allo spirito per me, che ci accompagna nel divenire dell'esistenza in un corpo fisico.
Allora si capisce che l'essere è immutabile dentro un corpo fisico mutabile. Viviamo la contraddizione fra essere e non essere: questa è la mia tesi.




Tutti filosofi, in modalità a volte diversissime cercano la cura, cercando prima di capire le cause della malattia:ognuno a suo modo.
Onestamente non basta la logica, non basta un solo attributo, un solo strumento, c'è chi cerca per vie intuitive ed artistiche, chi per vie mistiche, chi per vie logiche. Forse bisognerebbe essere tutte queste serie di attributi, come dire che la totalità dell'universo è concepibile solo per via di una totalità umana.


Un saluto anche a te.

Eutidemo

Ciao Paul
Hai ragione circa i dialoghi platonico-socratici; ma io, nel dire che, essi, in genere, mi sembrano più "essoterici" che "esoterici", mi basavo, ovviamente sui testi scritti comunemente attribuiti a Platone.
Quanto, invece, a quello che Socrate e Platone, poi, dicevano oralmente ai propri discepoli, in effetti, nessuno è in grado di saperlo.

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Grazie per i suggerimenti riguardo al "LOGOS", circa il quale sto pensando di aprire un apposito TOPIC; però, prima, mi devo informare meglio al riguardo, e poi devo riflettere un po' sulle informazioni assunte.

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Grazie anche per il passo di Eraclito, che è bellissimo!
"Per quanto tu possa camminare, e neppure percorrendo intera la via, tu potresti mai trovare i confini dell'anima: così profondo è il suo lógos". (Eraclito, fr. 45 Diels-Kranz)
E' un passo che fa riflettere!
Se mi è consentito azzardarne qui  una mia interpretazione personale, sarei propenso a pensare che, secondo Eraclito:
- il "lógos" dell'anima non va cercato in senso "orizzontale", peregrinando dialetticamente in ogni dove;
- il "lógos" dell'anima va invece cercato in senso "verticale", scavando semplicemente entro se stessi.
Ed infatti, come diceva Agostino d'Ippona: "Noli foras ire, in te ipsum redi, in interiore homine habitat veritas" (De vera religione, XXXIX, 72).
Quanto al "lógos dell'anima", di cui parla Eraclito, "forse" potrebbe essere identificato con il "fundus animae" ("Grund der Seele") dei mistici, laddove Dio e l'anima sono una cosa sola.


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Quanto a Parmenide, a me sembra che a definirlo "venerando e terribile" fu Platone, e non Aristotele; anche se non posso escludere che anche quest'ultimo lo abbia definito così.

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Se è vero, come tu dici, che lo stesso Hegel, a posteriori, ammise che la "Fenomenologia dello spirito" era stata "scritta male", allora, solo per tale ammissione (di cui ero all'oscuro) Hegel riacquista gran parte della mia stima.
Per emendarmi, perciò, qui ammetterò di essere stato forse un po' troppo aspro nelle mie critiche verso di lui; anche considerando che, probabilmente, io ho scritte moltissime cose "molto più male" di lui!

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Quanto a spiegare la metafisica in termini "logici", in effetti, non è una cosa tanto facile (ammesso che sia possibile); forse non può essere spiegata, ma solo compresa in termini "mistici".

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Quanto al fatto che, dall'empirismo a noi, in genere i filosofi tendono a ridurre la conoscenza filosofica alla percezione ed al mentale, esaltando la gnoseologia (o  moderna epistemologia scientifica) a scapito dell'ontologia, tutto questo è indubbiamente vero.
Però è anche vero che uno dei massimo empiristi inglesi, Berkeley, arrivò a sostenere che l'intero mondo è un "sogno di Dio"; assunto, questo, che non può non ricordarci il "misticismo" indiano (e non solo quello).
Ed infatti, a ben vedere, il "misticismo" non è altro che una forma estrema di "empirismo" interiore!

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E' anche vero che la "relazione" moderna diventa correttezza sintattica e semantica fra soggettività e oggettività, dentro il dominio sensibile, naturale, materico; ma non direi che questo sia sempre un male, se non si esagera.
Galileo, Newton e Darwin, infatti, avevano, ed hanno, fondamentalmente ragione; sebbene ci sia ancora qualche "ignorantiota" che contesta quest'ultimo. Ovviamente, la teoria di Darwin ha subito varie correzioni, ma la sua sostanza è ormai fuori discussione.

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Quanto alla psicanalisi di Freud, la psicologia analitica di Jung, ecc. non dobbiamo dimenticare che esse nascono fondamentalmente con "finalità terapeutiche"; per cui risultano valide o meno, solo nella misura in cui riescono effettivamente a curare i pazienti (circostanza oggi rilevabile anche a livello statistico).

***
Quanto alla tua affermazione per la quale: "...non essendoci principi universali che uniscano , ognuno si fa forte dei propri principi", essendo io un "Freigeist", la cosa non mi dispiace poi troppo.
Ed infatti, poichè nessuno ha mai potuto leggere scolpiti in cielo detti "principi universali", in genere essi sono stati "universalmente" condivisi dagli uomini, solo grazie ai roghi, alle ghigliottine, e, più modernamente, grazie al lavaggio mentale della propaganda totalitaria.
Secondo me, invece, è molto meglio che ognuno si faccia forte dei propri principi; senza però diventare tanto forte da pretendere di imporli anche agli altri, come se solo quelli in cui crede lui siano universali.

***
Per cui io direi che, "...essendo in tempo di accelerazioni e di trasformazioni", nonchè di libertà di opinione e di ricerca, ciò che si credeva ieri, oggi PER FORTUNA è già messo in discussione.
Altrimenti saremmo ancora oggi costretti "per legge" a credere al dogma della terra ferma al centro dell'Universo!
In realtà, secondo me, siamo SEMPRE in un tempo di transizione culturale; salvo che qualcuno voglia impedire con la forza il cambiamento!

***
Io ho letto (un po') sia Schopenhauer che Kierkegaard, e mi sono piaciuti molto entrambi; sia pure, ovviamente, per diversi motivi.
Nietzsche l'ho letto di meno, e mi è piaciuto solo in parte; sebbene alcune sue affermazioni siano strepitose ed anche molto attuali.
Ad esempio : "L'uomo di partito è necessariamente un impostore!" ("L'anticristo")
Ovviamente, non si riferiva solo ai partiti politici...ma anche a loro.

***
Quanto al fatto che la "nientità" è il nulla iniziale e finale delle apparenze del "divenire", e, quindi, non dell'"essere", sono perfettamente d'accordo con te.
Ed infatti sono anche d'accordo con te che la singola identità umana viene una volta sola e poi sparisce; come scriveva Catullo "Soles occidere et redire possunt; nobis cum semel occidit brevis lux, nox est perpetua una dormienda." (Il sole può tramontare e poi risorgere; noi, invece, quando si spegnerà la nostra flebile fiammella, dovremo dormire per un'unica notte eterna.)
Ma l'"essere" che è in noi, non nasce e non muore.

***
Quanto al fatto che l'identità "individuale" nell'essere umano permanga senza memoria, e, soprattutto, senza coscienza (ad esempio, nel coma o sotto anestesia), ho fortissimi dubbi; non c'è più nessuno, se il suo encefalogramma è diventato "piatto".

***
Sono perfettamente d'accordo con te sul fatto che l'<<essere>> (che possiamo anche chiamare "spirito") sia un "immutabile"  che ci accompagna nel divenire dell'<<esistenza>> in un corpo fisico; cioè che l'essere è immutabile dentro un corpo fisico mutabile.
Non sono invece d'accordo con te quando scrivi che noi viviamo la contraddizione fra essere e non essere: ed infatti, trattandosi di due diversi livelli di realtà, secondo me non c'è contraddizione tra l'<<essere invariabile>> ed il <<mutevole esistere>>.
Un conto è l'attore ed un altro conto è la maschera.

***
Un saluto

Sariputra


Mi sembra insensato postulare un 'essere' senza ciò che appartiene all'essere. Un essere senza alcuna determinazione  non è immaginabile.  Non possiamo  affermare l'"essere" di un cane senza le caratteristiche del cane. Se leviamo , ad una ad una, tutte le caratteristiche del cane, leviamo anche l'essere del cane. Come potrebbe esistere uno 'spirito' privo di ciò che gli appartiene?L'essere si manifesta quindi attraverso i fenomeni, ossia le caratteristiche apparenti. Se l'essere è lo 'sfondo' su cui appaiono i fenomeni non può esserci 'separazione' fra sfondo e ciò che vi appare. Senza fenomeni apparenti infatti lo sfondo non è uno sfondo, perde la sua 'qualità' di "essere" sfondo.  Privato dei 'gunas' il purusha non si manifesta. Il Brahman non è privo di 'qualità', cioè di ciò che gli appartiene. Infatti si dice che è 'satchitananda': oceano d'esistenza, conoscenza e beatitudine. L'esistenza sono i fenomeni apparenti, la conoscenza è la consapevolezza di essi, la beatitudine  è la "gioia terribile" ( e quindi anche l'orrore spirituale,la consapevolezza della propria vacuità, che lo fa 'ritrarre'...) che l' "essere" prova  osservandosi nei fenomeni...
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

bobmax

Citazione di: Sariputra il 04 Marzo 2020, 10:40:50 AM

Mi sembra insensato postulare un 'essere' senza ciò che appartiene all'essere. Un essere senza alcuna determinazione  non è immaginabile.  Non possiamo  affermare l'"essere" di un cane senza le caratteristiche del cane. Se leviamo , ad una ad una, tutte le caratteristiche del cane, leviamo anche l'essere del cane. Come potrebbe esistere uno 'spirito' privo di ciò che gli appartiene?L'essere si manifesta quindi attraverso i fenomeni, ossia le caratteristiche apparenti. Se l'essere è lo 'sfondo' su cui appaiono i fenomeni non può esserci 'separazione' fra sfondo e ciò che vi appare. Senza fenomeni apparenti infatti lo sfondo non è uno sfondo, perde la sua 'qualità' di "essere" sfondo.  Privato dei 'gunas' il purusha non si manifesta. Il Brahman non è privo di 'qualità', cioè di ciò che gli appartiene. Infatti si dice che è 'satchitananda': oceano d'esistenza, conoscenza e beatitudine. L'esistenza sono i fenomeni apparenti, la conoscenza è la consapevolezza di essi, la beatitudine  è la "gioia terribile" ( e quindi anche l'orrore spirituale,la consapevolezza della propria vacuità, che lo fa 'ritrarre'...) che l' "essere" prova  osservandosi nei fenomeni...

Infatti, è proprio per questo che Essere e Nulla sono il medesimo.

Per superare l'orrore, vi è solo una strada: la fede nel Bene.
Tardi ti ho amata, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amata. Tu eri con me, mentre io ero lontano da te.

Eutidemo

Ciao Sariputra
Tu dimentichi che oltre al "Brahman  Saguna", e, cioè, "con attributi", c'è il "Brahman  Nirguna", cioè privo di attributi ("gunas"); è il "Brahman Supremo" indicato da Sankara che è impersonale, come il Dio Apofatico di San Dionigi l'Aeropagita...ovvero l'ESSERE assoluto!
L' ESSERE senza alcuna determinazione, infatti,  è il minimo comun denominatore di tutte le cose; in quanto, se avesse una sua determinazione, non potrebbe ovviamente essere il minimo comun denominatore di tutte le cose.
Quello che dici tu, invece, è valido per le singole cose (rectius, "fenomeni"), in quanto, ovviamente, non possiamo  affermare l'"essere" di un cane senza le caratteristiche del cane; ed infatti, le singole cose "esistenti" si identificano per "genere prossimo" e differenza "specifica".
L'ESSERE, invece, ovviamente no, altrimenti non potrebbe essere il fondamento univoco del TUTTO.

***
Se l'"essere" è lo 'schermo' su cui appaiono i fenomeni, in effetti sembra davvero che non ci sia 'separazione' fra schermo e ciò che vi appare sopra, in quanto è su tale schermo immobile che si svolgono le manifestazioni fenomeniche.
Ma è solo una illusione "ottica", o meglio, restando all'analogia, "cinematografica"!
Ed infatti, anche senza fenomeni sopra lo schermo resta lì dov'è,  nè perde la sua 'qualità' di "essere" schermo solo per il fatto che, in quel momento, sopra non ci si agitano immagini.
Non hai mai visto uno schermo cinematrografico prima che cominci il film (o dopo) ?

***
Quanto al "Purusha",  corrisponde all'essenza astratta del Sé, che è eterno, indistruttibile e senza forma;  è vero che, privato dei 'gunas', il purusha non si manifesta, ma non è mica il suo solo modo d'ESSERE!

***
Quanto al Brahman, come ho scritto in premessa, tu dimentichi che oltre al "Brahman  Saguna", e, cioè, con attributi, c'è il "Brahman  Nirguna", cioè privo di attributi ("gunas") e, quindi, privo di 'qualità'.
Secondo Sankara (o Shankara) che è il massimo filosofo dell'Advaita Vedanta, il Brahman Nirguna è totalmente impersonale, mentre la forma di divinità personale o Brahman Saguna (con Guna o attributi) si manifesta soltanto attraverso l'associazione con la Maya.
Ovviamente, un po' come per la nostra TRINITA', Saguna e Nirguna non sono però due distinte DIVINITA', ma sono lo stesso Nirguna che appare come Saguna per la devozione dei fedeli; cioè, si tratta della stessa Realtà osservata da due punti di vista differenti:
- Nirguna Brahman è il Brahman Supremo, dal punto di vista trascendente del PURO ESSERE (Paramarthika);
- Saguna Brahman, invece, è il Brahman non-supremo, ovvero dal punto di vista del relativo (Vyavaharika).

***
Quanto al termine "Satchitananda" è una parola sanscrita che può essere tradotta con diverse sfumature interpretative:
a)
SAT

Il termine "sat" letteralmente, vorrebbe dire "seduto" ; come, in effetti suona un po' in tutte le lingue indoeuropee (Sitzung, Sitten ecc.), di cui il sanscrito è un "archetipo"; ed infatti, forse, in origine, si riferiva alla postura del Dio negli idoli, ma, in seguito, è stato reso nei modi più diversi:
"essente"
"esistente",
"vivente" "
"duraturo"
"reale"
"vero"
ecc.
Nel vedanta attuale, che io sappia, si interpreta come "ESSERE ASSOLUTO, cioè "solutum" dalle sue manifestazioni esistenziali e fenomeniche.
b)
CIT

Che, letteralmente, significa "percepire, fissare la mente su", "per capire e comprendere", "per farsi un'idea nella mente, essere consapevoli di, pensare, riflettere ecc." Loctefeld e la maggioranza degli attuali studiosi lo traducono come "COSCIENZA" (o consapevolezza)
c)
ANANDA

Che, letteralmente, significa "beatitudine, felicità, gioia, godimento, piacere dei sensi".
Si tratta dei tre attributi del "Brahman  Saguna", mentre l'ESSERE non è tecnicamente un attributo, ma il modo di essere (appunto) del "Brahman  Nirguna".

***
Un saluto

niko

  E' perché il nulla non è che ogni cosa, secondo l'ordine del tempo e la distanza nello spazio, degenera eventualmente nell'altro da sé e nel suo opposto... ma non sparisce mai nel nulla. Il fatto che non ci sia il nulla, significa che non c'è un termine ultimo ne un inizio delle cose, che non c'è alcun "posto" o "momento" spazialmente, concettualmente e temporalmente separato da cui le cose possano iniziare, o andare a finire quando non sono più.
Questa constatazione, che sembra ovvia, è importante in filosofia, perchè implica una conseguenza più sottile e meno ovvia: se il nulla non è, allora la molteplicità, l'opposizione e le differenza tra gli enti è reale almeno quanto gli enti stessi, perchè in assenza del nulla l'essere è realmente, e non illusivamente o metaforicamente, limitato e negato da altro essere, ovvero da altre parti di se stesso.


Se non c'è nulla a limitare l'essere, la differenza tra enti,  tra parti costitutive dell'essere (banalmente possiamo dire per esempio, tra acqua e fuoco), è interna all'essere stesso e ha la stessa inviolabilità, unità, eternità e necessità dell'essere in quanto totalità escludente il nulla.
L'essere non esprime solo la collezione degli enti, ma la realtà della loro differenza; e se questa differenza è reale, anche il pensiero, che la pone e sostanzialmente si esaurisce in essa, è reale: come esseri pensanti non pensiamo direttamente ne noi stessi ne il mondo, pensiamo la differenza, tra noi stessi e il mondo. Il pensiero è limitato dall'impossibilità del totale autoriferimento e del totale eteroriferimento e si muove tra questi due estremi, come pensiero delle differenza, innanzitutto della differenza da se stesso, della distanza del singolo pensiero attuale (che non è il pensiero, ma un pensiero) dal polo del totale autoriferimento.




E' questa una delle chiavi per comprendere Eraclito: se neghi il nulla e affermi l'essere, hai necessariamente la danza degli opposti, perché ecco che il nulla dell'uno, non essendo più se stesso, è diventato l'essere dell'altro: il nulla dell'acqua è il fuoco, il nulla del ferro il legno, il nulla del tavolo è il non tavolo, il nulla del nulla è l'essere. La molteplicità non si è dissolta, si è aperta al flusso del pensiero, si è legata causalmente. Il dissidio è reale, perché ovunque un essere-altro ha preso il posto dell'impossibile nulla. La funzione astrattamente tolta del nulla è ancora esercitata, ma da altro, dall'altro. La vita, nel suo divenire e nelle sue contraddizioni, è sopravvissuta al vago pensiero di un monismo dell'essere. La contrapposizione tra essenti (tra due essenti qualsiasi) è reale, proprio perché la contrapposizione tra essere e nulla NON è reale: a essente si contrappone sempre altro essente, non mai mancanza o nulla. E' la legge della guerra, nulla è incontrastato o irresistito, nulla è assoluto, proprio perché non c'è nessun nulla-assoluto.


Si dice spesso: "accetto tranquillamente il nulla nel senso che una cosa non è un altra, ma non accetto il nulla assoluto".


Non si comprende che questo dissidio non è reale, che questa bisemia non è reale, perché il nulla assoluto è già, un caso quasi come gli altri di nulla relativo in cui si afferma che una cosa non è un'altra e non si afferma a ben vedere nulla di più di questo: il nulla del nulla è l'essere, sotto la spinta della contraddizione il nulla non si auto annulla, semmai si auto esserifica, passa nell'altro da se. Si può togliere il nulla e avere la danza degli opposti -la coppia conseguentemente sorgente di opposti- anche e soprattutto nel caso del nulla assoluto, della riflessione sul nulla assoluto. Ciò che è nulla non può eccedere il significato letterale e semantico di nulla relativo, il significato blando di nulla per cui semplicemente una cosa non è un'altra: per eccederlo, dovrebbe essere qualcosa, quando invece nel dire la parola "nulla", proprio come parola, si sta dicendo solo che: "la cosa che non è non è, quindi > tutte le altre cose sono". Come referente esterno, ci si sta riferendo ad altro. La parola stessa, vuole indicare altro. Tolta, l'opposizione tra essere e nulla, resta, l'opposizione tra sè ed altro. Essere e nulla si identificano, questo è l'unico caso in cui il conflitto, il dissidio implicito nel parlare e nel pensare, è illusorio, perché non è interno all'essere, ma è il conflitto sorgivo dell'essere, il confitto da cui l'essere sorge per esclusione; ma per esclusione-di-nulla, quindi come totalità.


Quindi non immagino il nulla come qualcosa di privo di conseguenze o di separato, il nulla genera l'opposizione nell'essere, perchè se è nulla, la sua funzione limitante e libertaria, la sua funzione imprevedibile (come di jolly) , è usurpata, è sostituita dall'essere. Il jolly sta davvero nel mazzo dell'essere, e, a scorrerlo tutto, rima o poi esce.


L'assenza del vuoto ha come conseguenza la contiguità di ogni cosa: se anche il vuoto è cosa > allora tutte le cose sono contigue, e sono limitate l'una dall'altra. Le cose apparentemente non limitate da nulla (le cose fluttuanti), sono limitate dall'aria, dal vuoto-cosa, dal vuoto assurto a cosa.  Così la definizione logica, secondo cui una cosa non è l'altra, ha un immediato corrispettivo nella disposizione spaziale delle cose, secondo cui una cosa è limitata da un'altra contigua. Di nuovo, non c'è il nulla a contrapporsi alle cose, ma l'alterità extra liminare secondo cui una cosa non è un'altra, e nella pienezza che ne consegue, non rimane spazio per il nulla, per cui si può dire che il nulla sia l'assenza di spazio.


Ma la conseguenza più incredibile del nulla è l'infinito. Se non c'è nulla a limitare l'essere, siamo autorizzati a fare congetture sulla struttura spaziale e temporale dell'essere, e a trovarla infinita.

Dove mai dovrebbe finire l'essere?


Se anche il limite dell'essere appartiene all'essere, ogni limitazione dell'essere è anche una cumulazione, un accumulo di molteplicità nella stessa sostanza.


Anche il mondo sferico, il modo quadrato, il mondo delle sfere concentriche, il mondo piatto, il mondo a forma di banana, qualunque mondo con una forma definita, è espresso dall'opposizione tra sé e altro e non da quella tra sé e nulla, ovvero la sua forma, qualunque essa sia, si può sempre immaginare iscritta, contenuta, in una forma più grande.


Parmenide aveva metaforizzato e proposto di immaginare l'essere come una sfera, perché la sfera era il simbolo dell'autolimitato, del finito ma illimitato, di ciò che aveva confine in sé stesso. Il confine curvo è il confine perfetto, che non ha irregolarità come facce o spigoli, che è uguale a sé stesso, ha le stessa caratteristiche, in ogni punto. La sfera è anche simbolo di immobilità, perché rimane uguale a sé stessa anche se ruota, muovendosi su se stessa in qualunque direzione e per qualunque tipo e durata del movimento, alla fine del movimento stesso non manifesta mai variazioni visibili. Ma si poteva obbiettare che anche una sfera ha spazio fuori di sé, ad esempio la si può immaginare perfettamente contenuta in un cubo, ed è ovvio che, a parità di massima estensione, il cubo ha molto più volume. Se l'essere è la sfera, Il volume residuale, del cubo ma non della sfera, è il nulla, che si voleva escludere.
Melisso attribuì all'essere parmenideo l'infinità di spazio e di tempo, abbandonando la sfera (e l'istantaneità) anche come metafora, e immaginando come spazio e tempo dell'essere (spazio e tempo in cui si desse l'essere come evento e come sostanza) uno spazio e un tempo immutabili e infiniti, quindi indefiniti anche come forma. Dalla sfera all'abisso, all'immenso spazio aperto, una metafora dell'essere meno geometrica, ma più efficace. L'essere è il contenuto mimino del tempo e dello spazio, ed è facile concordare con questo, anche al di là dell'estremizzazione antisensista e controintuitiva eleatica, per cui ne è il contenuto unico. Lo spazio e il tempo non possono finire, perché non possono esaurire il loro contenuto minimo, minimo per definizione. C'è sempre continuità nell'evento dell'essere, e c'è sempre "sostanza" nello spazio, quantomeno lo spazio stesso. L'abisso non ha nulla che lo limiti, neanche potenzialmente.
L'infinito è ciò che non ha confini, che ha come confine il nulla. Con-fine, questa è una parola strana: dove finisce l'uno, finisce l'altro (fine insieme) e insieme dove finisce l'uno, comincia l'altro (fine-con, fine nel con, conseguente all'avvento del con, destino di incompatibilità). Applicata ad essere e nulla, significa che l'essere non finisce mai, e dunque anche il nulla non finisce mai, di non essere, di essere sé stesso non essendo. Confina con l'essere, ma nel senso di sovrapporsi invisibilmente: la differenza non emerge. Dove finisse l'uno, comincerebbe definitivamente l'altro, e questo è sommamente impossibile. L'infinito, così pensato come abisso di spazio e di tempo implica l'unità: se ne esistesse un altro, si limiterebbero a vicenda e nessuno dei due sarebbe infinito. Ma non c'è un tempo e luogo dell'essere separato da un tempo e luogo del nulla. Non a caso anche al dio delle principali religioni monoteistiche, nelle riflessioni teologiche mature, influenzate dalla filosofia greca, saranno attribuite insieme sia l'infinità che l'unità. L'una non avrebbe senso senza l'altra.




Ci hanno detto che potevamo scegliere tra la pace e il climatizzatore, non abbiamo ottenuto nessuno dei due.

Lou

#23
Citazione di: Eutidemo il 03 Marzo 2020, 12:18:03 PM

Al riguardo, invero, in NOTA Hegel scrive: "Quando si volesse riguardar come più esatto di contrapporre all'essere il non essere, invece che il nulla, non vi sarebbe niente da dire in contrario, quanto al risultato, poiché nel non essere è contenuto il riferimento all'essere; il non essere è tutti e due, l'essere e la sua negazione, espressi in uno, il nulla, com'è nel divenire."
Ammetto che si tratta di un ragionamento molto "sottile", che, però, non mi convince per niente.
Ed invero, a mio avviso (a parte che "con le chiacchiere"), non si può in alcun modo contrapporre "razionalmente"  il "non essere" all'"essere"; e, questo,  per il semplice fatto che il "non essere" -per definizione- <<NON E'>>; e, quindi, ciò che <<NON E'>> non "è" contrapponibile a niente, proprio perchè non sta da nessuna parte!

***
Quanto al fatto che:"Il non essere è tutti e due, l'essere e la sua negazione, espressi in uno", anche in questo caso, secondo me, si è sempre in presenza di un mero artifizio verbale; perchè il "non" azzera ciò che segue nel resto della proposizione.
Sarebbe come dire che :"Il non essere vivo, è tutti e due, l'essere vivo e la sua negazione, espressi in uno"; cioè, "essere vivo ed essere morto allo stesso tempo!".
Il che, a mio avviso, costituisce palesemente un controsenso.

secondo me non è un mero artifizio, in Hegel: il non essere è essere ciò che non è più. Mi pare che in prospettiva diveniente (come in Hegel e già Parmenide aveva avvertito che se l'essere divenisse diventerebbe non essere ) è logico che siano entrambi espressi in uno.
"La verità è brutta. Noi abbiamo l'arte per non perire a causa della verità." F. Nietzsche

paul11

  Ciao Eutidemo

Eraclito è molto di più del solo "filosofo del divenire"


Il  venerando e terribile Parmenide, hai ragione ho confuso io, è nel dialogo socratico intitolato a lui che ho riletto solo qualche mese fa. Un dialogo assai difficile, tra l'altro.

Se è vero che Berkeley passa fra gli empiristi, lui che era un vescovo anglicano, sono più famosi Hume soprattutto e  poi Locke.


Fenomenologia dello spirito di Hegel edizioni Rusconi del 1995 a cura di Vincenzo Cicero.
Nella lunga introduzione viene specificato quanto ho scritto.


Su Darwin sorvolo, fu influenzato dall'allora cultura britannica che ha a sua volta influenzato l'attuale statunitense. Darwin+ A.Smith  =evoluzionismo e liberismo  e aggiungerei + empiristi+Malthus =?  Diciamo che è stato anche strumentalizzato ideologicamente.
Purtroppo spesso il passato viene reinterpretato strumentalmente per fini giustificativi ideologici  per rappresentare il presente a scapito di una giustizia culturale.


Cosa vuol dire curare la psiche? Quale è la normalità psichica? Quale è il sistema di misura della psiche? La medicina ufficiale come saprai non vide mai di buon occhio la psicanalisi. Oggi i reparti dei nosocomi si dicono neurologia e curano con farmaci. Anche il prete nel confessionale esercita un' attività psicanalitica .


La conseguenza per cui ognuno è presumibilmente libero di porsi dei suoi principi è umano, ma se la coltre culturale lo giustifica siamo all'individualismo più bieco e meschino. Da sempre ognuno intimamente ha un suo pensiero, come la madre degli imbecilli è sempre incinta,arriva da Eva o poco giù. Ci sono sempre stati problemi, ma la cultura o tenta di unire costruendo limiti e identità sociali,  o siamo allo sbraco.


La velocità del progresso tecnologico non è pari alla velocità della maturazione culturale  umana.
Significa che oggi un "cretino" può avere una bomba atomica per le mani, non arco e freccia.
L'uomo è cresciuto nelle tecniche soprattutto fisico-naturali, non nel campo "umano".


Se per identità intendi il mentale potresti avere ragione, visto che il mentale è comunque correlato alla parte fisica che è il cervello: ma l'identità è soggettiva o oggettiva? Anche per perdita di memoria per il mondo, per la società e istituzioni siamo sempre noi.

La relazione fra essere e non essere sta nel fatto che noi viviamo nel non essere, nel divenire mutevole delle apparenze, in ciò che non è già più ieri e che non è ancora domani.


Un saluto

Eutidemo

Citazione di: niko il 04 Marzo 2020, 15:12:05 PM
  E' perché il nulla non è che ogni cosa, secondo l'ordine del tempo e la distanza nello spazio, degenera eventualmente nell'altro da sé e nel suo opposto... ma non sparisce mai nel nulla. Il fatto che non ci sia il nulla, significa che non c'è un termine ultimo ne un inizio delle cose, che non c'è alcun "posto" o "momento" spazialmente, concettualmente e temporalmente separato da cui le cose possano iniziare, o andare a finire quando non sono più.
Questa constatazione, che sembra ovvia, è importante in filosofia, perchè implica una conseguenza più sottile e meno ovvia: se il nulla non è, allora la molteplicità, l'opposizione e le differenza tra gli enti è reale almeno quanto gli enti stessi, perchè in assenza del nulla l'essere è realmente, e non illusivamente o metaforicamente, limitato e negato da altro essere, ovvero da altre parti di se stesso.


Se non c'è nulla a limitare l'essere, la differenza tra enti,  tra parti costitutive dell'essere (banalmente possiamo dire per esempio, tra acqua e fuoco), è interna all'essere stesso e ha la stessa inviolabilità, unità, eternità e necessità dell'essere in quanto totalità escludente il nulla.
L'essere non esprime solo la collezione degli enti, ma la realtà della loro differenza; e se questa differenza è reale, anche il pensiero, che la pone e sostanzialmente si esaurisce in essa, è reale: come esseri pensanti non pensiamo direttamente ne noi stessi ne il mondo, pensiamo la differenza, tra noi stessi e il mondo. Il pensiero è limitato dall'impossibilità del totale autoriferimento e del totale eteroriferimento e si muove tra questi due estremi, come pensiero delle differenza, innanzitutto della differenza da se stesso, della distanza del singolo pensiero attuale (che non è il pensiero, ma un pensiero) dal polo del totale autoriferimento.




E' questa una delle chiavi per comprendere Eraclito: se neghi il nulla e affermi l'essere, hai necessariamente la danza degli opposti, perché ecco che il nulla dell'uno, non essendo più se stesso, è diventato l'essere dell'altro: il nulla dell'acqua è il fuoco, il nulla del ferro il legno, il nulla del tavolo è il non tavolo, il nulla del nulla è l'essere. La molteplicità non si è dissolta, si è aperta al flusso del pensiero, si è legata causalmente. Il dissidio è reale, perché ovunque un essere-altro ha preso il posto dell'impossibile nulla. La funzione astrattamente tolta del nulla è ancora esercitata, ma da altro, dall'altro. La vita, nel suo divenire e nelle sue contraddizioni, è sopravvissuta al vago pensiero di un monismo dell'essere. La contrapposizione tra essenti (tra due essenti qualsiasi) è reale, proprio perché la contrapposizione tra essere e nulla NON è reale: a essente si contrappone sempre altro essente, non mai mancanza o nulla. E' la legge della guerra, nulla è incontrastato o irresistito, nulla è assoluto, proprio perché non c'è nessun nulla-assoluto.


Si dice spesso: "accetto tranquillamente il nulla nel senso che una cosa non è un altra, ma non accetto il nulla assoluto".


Non si comprende che questo dissidio non è reale, che questa bisemia non è reale, perché il nulla assoluto è già, un caso quasi come gli altri di nulla relativo in cui si afferma che una cosa non è un'altra e non si afferma a ben vedere nulla di più di questo: il nulla del nulla è l'essere, sotto la spinta della contraddizione il nulla non si auto annulla, semmai si auto esserifica, passa nell'altro da se. Si può togliere il nulla e avere la danza degli opposti -la coppia conseguentemente sorgente di opposti- anche e soprattutto nel caso del nulla assoluto, della riflessione sul nulla assoluto. Ciò che è nulla non può eccedere il significato letterale e semantico di nulla relativo, il significato blando di nulla per cui semplicemente una cosa non è un'altra: per eccederlo, dovrebbe essere qualcosa, quando invece nel dire la parola "nulla", proprio come parola, si sta dicendo solo che: "la cosa che non è non è, quindi > tutte le altre cose sono". Come referente esterno, ci si sta riferendo ad altro. La parola stessa, vuole indicare altro. Tolta, l'opposizione tra essere e nulla, resta, l'opposizione tra sè ed altro. Essere e nulla si identificano, questo è l'unico caso in cui il conflitto, il dissidio implicito nel parlare e nel pensare, è illusorio, perché non è interno all'essere, ma è il conflitto sorgivo dell'essere, il confitto da cui l'essere sorge per esclusione; ma per esclusione-di-nulla, quindi come totalità.


Quindi non immagino il nulla come qualcosa di privo di conseguenze o di separato, il nulla genera l'opposizione nell'essere, perchè se è nulla, la sua funzione limitante e libertaria, la sua funzione imprevedibile (come di jolly) , è usurpata, è sostituita dall'essere. Il jolly sta davvero nel mazzo dell'essere, e, a scorrerlo tutto, rima o poi esce.


L'assenza del vuoto ha come conseguenza la contiguità di ogni cosa: se anche il vuoto è cosa > allora tutte le cose sono contigue, e sono limitate l'una dall'altra. Le cose apparentemente non limitate da nulla (le cose fluttuanti), sono limitate dall'aria, dal vuoto-cosa, dal vuoto assurto a cosa.  Così la definizione logica, secondo cui una cosa non è l'altra, ha un immediato corrispettivo nella disposizione spaziale delle cose, secondo cui una cosa è limitata da un'altra contigua. Di nuovo, non c'è il nulla a contrapporsi alle cose, ma l'alterità extra liminare secondo cui una cosa non è un'altra, e nella pienezza che ne consegue, non rimane spazio per il nulla, per cui si può dire che il nulla sia l'assenza di spazio.


Ma la conseguenza più incredibile del nulla è l'infinito. Se non c'è nulla a limitare l'essere, siamo autorizzati a fare congetture sulla struttura spaziale e temporale dell'essere, e a trovarla infinita.

Dove mai dovrebbe finire l'essere?


Se anche il limite dell'essere appartiene all'essere, ogni limitazione dell'essere è anche una cumulazione, un accumulo di molteplicità nella stessa sostanza.


Anche il mondo sferico, il modo quadrato, il mondo delle sfere concentriche, il mondo piatto, il mondo a forma di banana, qualunque mondo con una forma definita, è espresso dall'opposizione tra sé e altro e non da quella tra sé e nulla, ovvero la sua forma, qualunque essa sia, si può sempre immaginare iscritta, contenuta, in una forma più grande.


Parmenide aveva metaforizzato e proposto di immaginare l'essere come una sfera, perché la sfera era il simbolo dell'autolimitato, del finito ma illimitato, di ciò che aveva confine in sé stesso. Il confine curvo è il confine perfetto, che non ha irregolarità come facce o spigoli, che è uguale a sé stesso, ha le stessa caratteristiche, in ogni punto. La sfera è anche simbolo di immobilità, perché rimane uguale a sé stessa anche se ruota, muovendosi su se stessa in qualunque direzione e per qualunque tipo e durata del movimento, alla fine del movimento stesso non manifesta mai variazioni visibili. Ma si poteva obbiettare che anche una sfera ha spazio fuori di sé, ad esempio la si può immaginare perfettamente contenuta in un cubo, ed è ovvio che, a parità di massima estensione, il cubo ha molto più volume. Se l'essere è la sfera, Il volume residuale, del cubo ma non della sfera, è il nulla, che si voleva escludere.
Melisso attribuì all'essere parmenideo l'infinità di spazio e di tempo, abbandonando la sfera (e l'istantaneità) anche come metafora, e immaginando come spazio e tempo dell'essere (spazio e tempo in cui si desse l'essere come evento e come sostanza) uno spazio e un tempo immutabili e infiniti, quindi indefiniti anche come forma. Dalla sfera all'abisso, all'immenso spazio aperto, una metafora dell'essere meno geometrica, ma più efficace. L'essere è il contenuto mimino del tempo e dello spazio, ed è facile concordare con questo, anche al di là dell'estremizzazione antisensista e controintuitiva eleatica, per cui ne è il contenuto unico. Lo spazio e il tempo non possono finire, perché non possono esaurire il loro contenuto minimo, minimo per definizione. C'è sempre continuità nell'evento dell'essere, e c'è sempre "sostanza" nello spazio, quantomeno lo spazio stesso. L'abisso non ha nulla che lo limiti, neanche potenzialmente.
L'infinito è ciò che non ha confini, che ha come confine il nulla. Con-fine, questa è una parola strana: dove finisce l'uno, finisce l'altro (fine insieme) e insieme dove finisce l'uno, comincia l'altro (fine-con, fine nel con, conseguente all'avvento del con, destino di incompatibilità). Applicata ad essere e nulla, significa che l'essere non finisce mai, e dunque anche il nulla non finisce mai, di non essere, di essere sé stesso non essendo. Confina con l'essere, ma nel senso di sovrapporsi invisibilmente: la differenza non emerge. Dove finisse l'uno, comincerebbe definitivamente l'altro, e questo è sommamente impossibile. L'infinito, così pensato come abisso di spazio e di tempo implica l'unità: se ne esistesse un altro, si limiterebbero a vicenda e nessuno dei due sarebbe infinito. Ma non c'è un tempo e luogo dell'essere separato da un tempo e luogo del nulla. Non a caso anche al dio delle principali religioni monoteistiche, nelle riflessioni teologiche mature, influenzate dalla filosofia greca, saranno attribuite insieme sia l'infinità che l'unità. L'una non avrebbe senso senza l'altra.

Il tuo è un discorso molto interessante, che, per alcuni aspetti (non tutti), mi ricorda molto l'esposizione di  Emanuele Severino che sto vedendo adesso su YOUTUBE:
https://www.youtube.com/watch?v=TE91WYazpPc
Complimenti!

Eutidemo

Ciao Lou.
Secondo me, invece, dire che : "il non essere è essere ciò che non è più", equivale semplicemente a dire che "il non essere non è"; ed infatti,  "essere ciò che non è più", equivale semplicemente a "non essere", in quanto quel "più" non cambia niente.
A parte questo, come già ho scritto, è vero che se l'<<essere>> "divenisse" diventerebbe <<non essere>>; ed infatti questo non può accadere e non accade.
Ciò che "diviene" a mio parere, non è l'<<essere assoluto>> (cioè il minimo comun denominatore di tutte le cose), bensì le sue <<manifestazioni>> fenomeniche...cioè l'<<esistere relativo>> delle singole cose.
L'essere dello schermo, non cambia col mutare delle immagini proiettate su di esso...che prima sono una e poi un'altra.
L'autoreferenzialità nel linguaggio e valida solo laddove non si scada in sofismi di tipo nominalistico, che confondano la semantica con l'"ontologia".
Un saluto!

Ipazia

Citazione di: Eutidemo il 05 Marzo 2020, 07:14:21 AM
Ciò che "diviene" a mio parere, non è l'<<essere assoluto>> (cioè il minimo comun denominatore di tutte le cose), bensì le sue <<manifestazioni>> fenomeniche...cioè l'<<esistere relativo>> delle singole cose.
L'essere dello schermo, non cambia col mutare delle immagini proiettate su di esso...che prima sono una e poi un'altra.

L'essere dello schermo qual'è ? Tela, tubo catodico, cristalli liquidi, plasma, ...? E il minimo comune denominatore di tutte le cose ? La particella di Dio ? L'Universo, che per somma sfiga dell'Essere diviene anche lui ? E forse diverrebbe anche Dio, se esistesse davvero.

Temo che l'Essere continui ad essere, aldilà dei sotterfugi logici, una questione ontologica e se ne venga fuori metafisicamente (e fisicamente) con un perentorio: L'Essere non è  :)
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

Lou

#28
Citazione di: Eutidemo il 05 Marzo 2020, 07:14:21 AM
Ciao Lou.
Secondo me, invece, dire che : "il non essere è essere ciò che non è più", equivale semplicemente a dire che "il non essere non è"; ed infatti,  "essere ciò che non è più", equivale semplicemente a "non essere", in quanto quel "più" non cambia niente.
A parte questo, come già ho scritto, è vero che se l'<<essere>> "divenisse" diventerebbe <<non essere>>; ed infatti questo non può accadere e non accade.
Ciò che "diviene" a mio parere, non è l'<<essere assoluto>> (cioè il minimo comun denominatore di tutte le cose), bensì le sue <<manifestazioni>> fenomeniche...cioè l'<<esistere relativo>> delle singole cose.
L'essere dello schermo, non cambia col mutare delle immagini proiettate su di esso...che prima sono una e poi un'altra.
L'autoreferenzialità nel linguaggio e valida solo laddove non si scada in sofismi di tipo nominalistico, che confondano la semantica con l'"ontologia".
Un saluto!
(grassettato mio.)
Tutto ciò che appare (che si manifesta) sicuramente è, ma se l'apparire è tutto, l'essere è niente. Mettiamola così.
"La verità è brutta. Noi abbiamo l'arte per non perire a causa della verità." F. Nietzsche

paul11

ciao Eutidemo e forumisti,


In ciò che scrive Niko n effetti vi  sono dei richiami severiniani, , anche se, mi pare, svolti al contrario.
L'ex nihlo Severino lo imputò alla Chiesa e gli costò la scomunica e l'abbandono dall università Cattolica di Milano. Perchè viene accettato che Dio venga dal niente.
Se il niente è allora tutto finisce in niente e ciò nega l'essere.
L'essere non potendo anche non essere necessariamente è eterno e non c'è storia, non c'è linearità, perché non c'è inizio e neppure fine.
L'aporia del fondamento consiste nel credere al divenire, la negazione dell'essere; per cui tutto ciò che viene dal niente e sparisce nel niente (la nientità) è un falso.
La risposta di Severino invece è che ogni essente, ogni attimo, è un eterno: nulla è perso perché nulla diviene altro-da-sè.  Per uscire dall'impasse della negazione dell'essere, il non essere che diviene, si formula la doppia negazione il non del non-essere.
Ma qui si entra nel campo della vera e propria logica dialettica: è parecchio complesso, soprattutto da spiegare.




Lou ha ragione dal punto di vista logico.
Ciò che tu esponi e che Lou ha posto in grassetto,fu proprio la mediazione dei filosofi greci, quella che appunto Severino definisce l'aporia del fondamento. O l'Essere non si nega o se si nega diventa altro-da-sè, vale a dire il non-essere. Dal punto di vista logico Severino si pone come Parmenide. ma accetta la negazione del divenire come luogo del non-essere.ma come sopra spiegato c'è una differenza importante, che tutto ciò che si manifesta nel divenire è negazione ,ma eterna.Ogni fotogramma temporale  e spaziale, rimanendo fermo il concetto che l'essere non può anche non-essere, in realtà è eterno, per cui la moltitudine degli essenti non svanisce nell'apparenza,non può venire dal nulla e sparire del nulla, per cui, se seguiamo la sua logica, vi sono infiniti eterni quel famoso legno che non può diventare cenere perchè il legno è e non può diventare cenere e la cenere è.

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