"L’essere è, e il non essere non è"

Aperto da Eutidemo, 02 Marzo 2020, 16:08:23 PM

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Eutidemo

Si tratta di una questione molto antica, che, di solito, si fa risalire al duplice postulato di Parmenide, per il quale "L'essere è, e il non essere non è"; con il conseguente corollario "Non si potrà mai fare che siano le cose che non sono", e viceversa "Non si potrà mai fare che non siano le cose che sono", (passi da me  tratti, un po' liberamente dal suo "Poema della natura").
Concezione a cui, da alcuni, si imputa la scaturigine del "Principio di non contraddizione" di matrice "occidentale".
Sebbene, in effetti, una concezione del genere appare anche nella "BHAGAVAD GITA" HINDU, laddove, in SANSCRITO, si trova scritto: "Ciò che non è  non può venire all'essere, mentre dell'essere non può mai esservi cessazione!" (BHAGAVAD GITA CANTO.2 SLOKA.16)

***
Quando, al Liceo, ascoltai per la prima volta il Professore di Filosofia enunciare la frase di Parmenide sopra citata, non potei fare a meno di sorridere: ed infatti, dentro di me, dissi "Bella scoperta!"
Non immaginavo, allora, quanti filosofi si sarebbero affannati a discutere di tale affermazione; che a me, invece, sembrava così ovvia.

***
Poi, ragionandoci sopra, mi resi conto che la faccenda non era poi così banale come sembrava a prima vista; almeno sotto il profilo linguistico.
Ed infatti, finita la scuola, dovetti prendere atto di <<NON essere>> più uno scolaro, bensì di <<essere>> ormai uno studente universitario; così come, adesso, guardandomi allo specchio, mi accorgo di <<NON essere>> più un giovanotto, bensì di <<essere>> un vecchio.
Ragionando in questi termini, l'<<essere>> ed il <<NON essere>> sono intrinsecamente legati da un rapporto reciproco di <<divenire>>; giacchè ogni cosa cessa di <<essere>> quello che era prima (precipitando nel <<NON essere>>), per cominciare ad  <<essere>> un'altra cosa...una cosa diversa!
Cioè, appunto, <<diviene>>.

***
Ragionandoci ancora meglio, però, mi resi conto che si tratta comunque di un ragionamento un po' ambiguo, perchè è valido solo "in senso relativo"; cioè, al fatto di "essere una cosa o un'altra", cioè all'<<esistere>>ma non all'<<essere>> o al <<NON essere>>  in senso assoluto.
Ed invero, un conto è l''<<essere>>, ed un altro conto è la "modalità" con la quale si <<è>> in un determinato momento e in un determinato luogo!

***
A mio parere, infatti, l'<<essere una cosa o un'altra>> riguarda le varie manifestazioni <<esistenziali>> di un essere, che, però, continua ad <<essere>> , in quanto tale, sempre lo stesso (almeno per un certo periodo di tempo).
Ad esempio, anche se il mio <<essere>> giovane è ormai divenuto un <<NON essere>>  più giovane, ma è diventato un <<essere>> vecchio, tuttavia il mio "codice fiscale", che definisce il mio <<essere>> in termini "civilisticamente" "assoluti" (cioè non condizionato e "sciolto" dal mio divenire contingente ed <<esistenziale>>) , non è cambiato di una virgola.
Ovviamente si tratta soltanto di un esempio, in quanto  anche il mio corpo è transeunte; prima che io nascessi, era nel mondo del "<<NON essere>> (o meglio, come meglio preciserò dopo, del <<NON esistere>>), laddove tornerà dopo che io sarò morto.
O meglio,  tornerà nel <<NON esistere>> quella particolare "forma" che si era "esistenzialmente" organizzata con il mio nome e cognome; ma la sua <<realtà>>, sia pure ormai "disorganizzata" rispetto a quella specifica forma individuale, sopravviverà imperitura a durare come <<essere>>.
Quantomeno come <<essere>>."atomi" (ma non solo)!

***
A questo punto, credo sia opportuno disambiguizzare ancor meglio il significato del termine "essere", che, finora, per farmi capire meglio, io ho usato spesso distinguendolo con gli aggettivi "assoluto" e "relativo"; mentre invece, più correttamente, solo il primo andrebbe definito <<essere>>, mentre il secondo, più semplicemente,  <<esistere>> (dal lat. exsĭstĕre, da "ex"- "fuori da" e "sistĕre" "stare").
Al riguardo, se non rammento male, Friedrich Schelling distinse l'<<essenza>>, che riguarda l'Essere da un punto di vista puramente logico-formale, dall'<<esistenza>>, che attiene invece all'aspetto storico e concreto del singolo essere individuale; cioè, più o meno, è quasi la stessa differenza che c'è tra l'<<atman>> ed il <<jiva>> nei Vedanta.
Ma, al riguardo, mi fermo qui, perchè non vorrei allontanarmi troppo dal tema principale del mio TOPIC.

***
Beninteso, l'<<essere>> ed il <<non essere>> dei fenomeni <<esistenti>, non si alternano solo temporalmente in relazione ad uno stesso fenomeno (il fiore che diventa frutto), ma anche in relazione a fenomeni diversi; per "genere prossimo" e "differenza specifica".
Ad esempio, un gatto ha l'<<essere>> di un gatto, e, "relativamente", il <<non essere>> di una tigre; per cui, dialogicamente, diciamo che un gatto <<non è una tigre>>.
Però, comunque, il gatto in senso assoluto <<è>>, avendo in comune con la Tigre (ed anche con una pentola) il minimo comun denominatore dell'<<essere>>.
Ogni cosa che "esiste", in "termini assoluti"  ha il requisito dell'<<essere>>, e MAI quello del <<NON essere>>; perchè il <<NON essere>> non è!

***
Portando il discorso all'estremo, con riguardo al "Dio Apofatico cristiano" di San Dionigi l'Aeropagita (che, sostanzialmente, equivale al "Brahmam Nirguna hindu"), alcuni mistici dicono che Esso è <<NULLA>>; ma non nel senso che non esiste, bensì che non è <<niente>> di tutte le altre cose e di qualsiasi attributo.
Ma questo è un altro discorso, che non c'entra molto col tema in esame; per cui eviterò di approfondirlo.

***
In sintesi, tutto ciò che vediamo (dai monti alle valli, dalle stelle ai pianeti, fino al vicino di casa), ed anche tutto ciò che "non vediamo", è come la PLASTILINA; un materiale polimorfico che assume i più diversi aspetti "esistenziali", molto diversi gli uni dagli altri, restando, però, sempre lo stesso.
L'<<essere>>!

***
E il <<NON essere>>?
Come diceva giustamente Parmenide (e la Gita), il <<NON essere>> non è!

***
Al riguardo, invero, entrando più specificamente in tema, occorre fugare alcuni equivoci riguardo alla differenza tra il <<VUOTO>> ed il <<NIENTE>>:

1)
Il <<NON essere>>, ovvero il <<NIENTE>>, non ha niente a che vedere con il <<VUOTO>>.
Ed infatti, se diciamo che <<NIENTE>> separa una cosa dall'altra, non vuol dire che in mezzo a loro ci sia uno spazio vuoto, bensì, al contrario, che sono attaccate l'una all'altra; o meglio, che sono "la stessa acqua", come quella del mare adriatico e del  mare Jonio.
Come, infatti, diceva Aristotele: "Se due cose si toccano, allora vuol dire che <<NIENTE>>  c'è in mezzo;  se, invece, due cose non si toccano ci deve essere per forza <<QUALCOSA>> a separarle"

2)
All'interno del nostro universo non è possibile ottenere il <<VUOTO ASSOLUTO>>; ad esempio nello spazio cosmico c'è uno stato di vuoto, ma non  c'è il nulla.

3)
Il <<VUOTO>> e' uno spazio senza materia ed energia, mentre  il <<NULLA>> è l'assenza di spazio; che è una cosa diversa.

4)
Nello "spazio cosiddetto vuoto", peraltro, esiste comunque lo spazio-tempo, altrimenti arriveremmo in un lampo su Sirio".

5)
Ed invero, il cosiddetto "vuoto cosmico" non è poi affatto così vuoto; per esempio, può alterare le caratteristiche di un raggio di luce che lo attraversi, comportandosi più o meno come un "prisma".
E' quella che i fisici chiamano "birifrangenza del vuoto", un fenomeno previsto ottant'anni fa ma mai osservato sperimentalmente; adesso, invece, sì.
Ed infatti, un team di ricercatori ha studiato lo spazio vuoto intorno alla stella di neutroni RX J1856.5-3754, rilevando questo fenomeno quantistico;  tale scoperta, descritta in un articolo pubblicato dal Monthly Notices of the Royal Astronomical Society, aiuta a far luce sulle proprietà quantistiche del vuoto e a capire a un livello più profondo le leggi fondamentali della fisica.
Il «nulla» pertanto, a mio modesto avviso, si circoscrive alla filosofia, mentre il «vuoto» alla fisica; per la fisica delle particelle elementari, infatti, il 'vuoto' quantistico è sede di una miriade di processi 'spontanei' e casuali di creazione e annichilazione di particelle, che in nessun caso può equivalere al  «nulla» filosofico.

***
Chiarite le differenze tra il <<VUOTO>> ed il <<NIENTE>>, questo ci aiuta anche a capire che "prima" del <<BIG BANG>> c'era il <<VUOTO>>,  ma, di sicuro, non c'era il <<NIENTE>>; e, se non ci fosse stato un "prima" (come alcuni sostengono), non ci sarebbe potuto essere neanche un "dopo", che, invece, è sotto i nostri occhi.
Al riguardo:

1)
Il <<BIG BANG>>, sebbene sia ancora un processo in buona parte misterioso, ha dato il via a questo <<UNIVERSO>>, ma non certo alla <<REALTA'>> dell'<<ESSERE>>; che, ovviamente, già c'era prima, altrimenti il <<BIG BANG>> non avrebbe potuto in alcun modo essere <<ESSERE>>...per la contraddizione che nol consente ("ex nihilo nihil")!

2)
Nella fisica contemporanea, infatti, ormai si è affermata la teoria della nascita dell'Universo dal <<vuoto>> per mezzo del "Principio di Indeterminazione" di Heisenberg, e comunque 'per caso' tramite il processo chiamato, appunto,  Big Bang; ma, anche se lo avesse creato Dio, le cose non cambierebbero poi di molto.

3)
Questo <<vuoto>> originario da cui sarebbe nato l'Universo,  infatti, non potrebbe essere stato in nessun caso il <<nulla>>; ed  infatti il dire "prima esisteva solo il nulla"  sarebbe  quanto meno una contraddizione in termini in quanto il <<nulla>> dotato della caratteristica dell'esistenza non è più se stesso,  ma è già <<qualcosa>>.

4)
E, in ogni caso, il <<nulla>>  non può essere nè "prima", nè "durante", nè "dopo", essendo "atemporale"; o meglio, "non essendo nulla" per postulato.

5)
Perciò potremmo dire che, secondo i  sostenitori della teoria del Big Bang, all'inizio esisteva un 'qualcosa' che si potrebbe chiamare 'vuoto primordiale', un 'quid' (forse, ma non necessariamente) privo di materia ed energia ma dotato come minimo della proprietà dell'esistenza; se no di esso non si potrebbe neanche parlare.
Il Big Bang, infatti, fu una "esplosione" con relativa "espansione", che si può sicuramente verificare nel "vuoto", ma non certo nel "nulla"; perchè non ci sarebbe "nulla" in cui espandersi:
Cioè:
- si sarebbe espansa all'infinito sin dall'istante iniziale, perchè NIENTE l'avrebbe limitata.
- e, se è vero che "fu", lo fu necessariamente nel tempo (che, quindi, già c'era).

6)
Per la fisica delle particelle elementari, infatti, come detto, il 'vuoto' quantistico è sede di una miriade di processi 'spontanei' e casuali di creazione e annichilazione di particelle che "sembrano" provenire dal 'nulla' e che "sembrano" sparire nel 'nulla', mentre, invece, vengono semplicemente dal vuoto.

7)
Il nostro Universo, dopo il <<BIG BANG>>, si espande nel <<vuoto>>, ma non certo nel <<nulla>>; ed infatti, se a limitarlo fosse il <<nulla>>, sarebbe, ovviamente, INFINITO.
Mentre, invece, non lo è, in quanto è circondato dal <<vuoto>>!

***
Una volta esaurita la disamina circa la differenza tra il <<vuoto>> e il <<nulla>>, (anche con riferimento al <<BIG BANG>>), che è questione di carattere eminentemente "fisico", resta però da esaminare la famosa <<APORIA, DEL NULLA>>, che è una questione di carattere eminentemente "filosofico"; la quale consiste nel fatto che, nel dire o pensare che il nulla non è, lo si investirebbe di una realtà che gli si nega.
Al riguardo, osservo quanto segue:

1)
Il fatto di pensare ad un cosa, non significa conferirgli alcuna realtà, che non sia di carattere meramente "immaginativo"; ed infatti, se io penso ad un unicorno, nella mia mente si configura effettivamente l'immagine di un unicorno, ma la cosa finisce lì.

2)
Alcune cose, invece, così come un "cerchio quadrato", si possono, sì, "enunciarle" verbalmente, ma, di sicuro, non si possono nè "pensare" nè "immaginare"; per cui, a mio parere, anche il <<nulla>> può essere enunciato (come stiamo facendo qui), ma, certamente non può essere "pensato" da nessuno.
Al massimo, ammesso che ci si riesca, si può cercare di immaginare il <<vuoto>>; ma, come sopra detto, è una cosa del tutto diversa dal <<nulla>>.

3)
A ben vedere, peraltro, affermare, come giustamente fa Parmenide, che "il nulla non è", significa escluderlo dalla totalità di ciò che è in quanto non essere; cioè  significa l'esclusione della possibilità stessa che il nulla rientri nel campo del reale, dell'oggettivo, dello scibile, e dell'intelligibile.

4)
Il nulla non è, e quindi è impredicabile; è "una semplice parola", ovvero, come diceva Bergson, è "una pseudo-idea".

5)
Sempre restando a Bergson, è solo un problema di linguaggio, in quanto il nulla è un concetto "autocontraddittorio" ed "auto-distruttivo".

6)
Ed invero, in analisi logica:
- formalmente il concetto di <<nulla>> esiste, in quanto viene affermato ed enunciato a livello linguistico;
- però, dal punto di vista oggettivo e fisico, nulla corrisponde a questo essere puramente formale.
Come se dicessi "BIBBO"!

7)
Il nulla è:
- l'assoluta negatività, l'impensabile, l'assolutamente niente che non può essere il predicato di nulla;
-il minimo semantico, il grado zero del concetto, la privazione di ogni realtà determinata;
- qualcosa che toglie se stesso nel momento stesso in cui è posto.

***
A questo punto, dovrei esaminare e controbattere, ad una ad una, tutte le varie "concezioni filosofiche" contrarie alla mia; cioè, a parte quella di Parmenide e, più recentemente, quella di Emanuele Severino, praticamente quasi tutte.
Compito, questo, superiore alle mie forze ed anche, ad essere onesto, alle mie limitate (o quantomeno "insufficienti") conoscenze filosofiche.
Per cui, qui, accennerò solo a:

1)
ERACLITO

Il quale, giustamente, affermava: "Non si può entrare due volte nello stesso fiume".
O meglio, più esattamente "Non si può discendere due volte nel medesimo fiume e non si può toccare due volte una <<sostanza mortale nel medesimo stato>>, ma a causa dell'impetuosità e della velocità del mutamento essa si disperde e si raccoglie, viene e se ne va."( frammento 91 D.-K. del trattato Sulla natura).
Sul che sono perfettamente d'accordo, così come mi sono dilungato a spiegare in premessa; però, ciò che lui dice, non c'entra niente con l'<<essere>> noumenico, bensì con l'<<esistere>> fenomenico.
Ed invero, lui stesso parla del transenunte stato di "sostanza mortale", ma non dell'<<essere>> che ne costituisce il sostrato "reale".

2)
HEGEL

Hegel all'inizio della sua Scienza della logica, scrive: "Il puro essere e il puro nulla son dunque lo stesso. Il vero non è né l'essere né il nulla, ma che l'essere, – non passa, – ma è passato, nel nulla, e il nulla nell'essere".
Nel dire questo, con tutto il rispetto, secondo me Hegel confonde anche lui:
- l'<<esistere>> fenomenico che passa dal <<non essere vaso>> (la terracotta prima del vaso) all'<<essere vaso>> (la terracotta assemblata nel vaso);
- con l'<<essere terracotta>> che rimane sostanzialmente invariato.
Ovviamente, per l'<<essere terracotta>> del mio esempio, intendo  l'<<essere assoluto>> (cioè, "sciolto" da "specifici predicati", come "l'essere gatto" ecc.); che costituisce il comun denominatore di tutte le cose "esistenti", a prescindere dai loro mutamenti e dalle loro specifiche differenze.
Il fraintendimento di Hegel, almeno secondo il mio sommesso parere, sta nel considerare <<essere>> e <<nulla>>, due totali astrazioni, pura indeterminatezza e puro vuoto, poichè, nel momento in cui vengono pensate sono già dissolte ciascuna nel proprio opposto; il che è verissimo riguardo all'<<esistente>> perchè ogni momento presente viene dissolto nel nulla dal momento successivo, che, sostituendolo, lo "sopprime".
"Jedes in seinem Gegenteil verschwindet!"
Però non vero per l'<<essere>>, che permane sempre eguale a se stesso (se è senza predicati), sebbene le sue "manifestazioni" si dissolvano l'una nell'altra; ed infatti, solo riguardo alle quali ultime, a mio parere, ha senso la sua "dialettica degli opposti".

***

Jacopus

La continuità dell'essere nel suo divenire irrefrenabile è semplicemente la conseguenza di un principio organico.
Mentre le cellule dell'occhio o del fegato o del dito mignolo muoiono e si rigenerano migliaia di  volte nel corso di una vita umana, le cellule del nostro sistema nervoso possono soltanto morire, ma ne conserviamo comunque a sufficienza anche di quelle che avevamo in dotazione appena nati. Questo ci permette di rappresentarci come un singolo individuo, per quanto sottoposto alle tensioni inevitabili del divenire. Solo la malattia mentale e/o quelle degenerative della terza età possono spezzare il senso di unità dell'individuo.
Capisco che si tratta di un discorso poco filosofico, ma la filosofia dovrebbe confrontarsi anche con queste semplici constatazioni organiche.
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

viator

Salve Jacopus. Quindi vedi bene che "io sono ciò che RESTA di me dopo che mi sia separato da tutto ciò che è separabile da me".

Quindi io - ma anche tutto il resto - sono un'ANIMA intesa come FORMA di me (o di qualsiasi altra cosa) che resta tale - nei propri ingredienti e nella propria struttura generale, MA SOPRATTUTTO NELLA PROPRIA FUNZIONE - indipendentemente dal togliersi o dall'aggiungersi di qualsiasi suo contenuto. Saluti.
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

bobmax

Secondo la teoria del Big Bang l'universo non si espande nel "vuoto", in quanto crea esso stesso lo spazio. E non è limitato, ma illimitato, pur non essendo infinito. Difatti l'universo è finito e illimitato.

Con il Big Bang nasce lo spazio e nasce il tempo.

Lo spazio si espande, così come il tempo.
Ma non si espande in qualcos'altro...
Non vi è uno spazio che contiene il nostro spazio, o un tempo che contiene il nostro tempo.
Il supporlo può solo servire per sfuggire all'orrore del Nulla, ma non risolve la questione.

Dove si trova il centro dell'universo? Dove sei.
Può sembrare paradossale, ma tu sei proprio nel centro dell'universo!

E poiché il tempo ha un inizio... (Non è un qualcosa che inizia, ma il tempo!) Ebbene tu sei ancora lì, in quell'istante iniziale.

Il vuoto non è altro che l'assenza di materia. E la materia non è nient'altro che l'assenza di vuoto.
Non vi è nessun vuoto di per sé, e neppure nessuna materia di per sé.
Donano senso uno all'altra in un gioco senza fine. Ma di per se stessi... non esistono!

Eraclito e Parmenide non erano in contrapposizione, dicevano la stessa cosa. Negavano cioè l'oggettività in sé.
Eraclito attraverso il divenire, Parmenide tramite l'essere, ma il loro scopo è il medesimo: nessuna cosa è in se stessa.
Non è il divenire ad essere negato da Parmenide e neppure l'essere da Eraclito, ma la cosa in sé!

Severino si era fissato sull'essere, e così ha tirato fuori gli immutabili. Combatteva l'erronea fede nel divenire perché origine del nichilismo.
Ma, come ho avuto più volte modo di contestargli direttamente, pure la fede nell'essere molteplice alimenta il nichilismo.
Perché per noi "essere" altro non è che ciò che resiste al divenire e il "divenire" l'annichilimento di questo essere.
Ma entrambi necessitano uno dell'altro, in un gioco senza fine.
Di per se stessi infatti non sussistono. L'essere ha senso solo in confronto al divenire: se nulla divenisse non vi sarebbe alcun essere.
E il divenire ha significato solo ipotizzando un essere: senza essere sarebbe divenire di che?

Se viceversa vogliamo intendere con Essere l'Uno, allora non è più questione del gioco "essere" – "divenire". L'Uno infatti coincide con il Nulla.

Considerazioni queste, tra le tante possibili, che dovrebbero, a mio parere, far insinuare il dubbio che Essere e Nulla siano il medesimo.
Ma tant'é...
Tardi ti ho amata, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amata. Tu eri con me, mentre io ero lontano da te.

paul11

#4
ciao Eutidemo,


La tua iniziale disamina sull'essere è corretta. Molti identificano, sbagliando, l'essere  come esistenza.
Infatti filosoficamente prima vi è la regola (preferisco non chiamarli principi perché la logica non esaurisce la filosofia, la logica regola semmai il pensiero, per cui è corretto semmai dichiarali principi ,ma all' interno della logica) d'identità, poi quella della contraddizione che crea antinomie.
Altrettanto corretta è la disamina che viene eseguita come concetto temporale .Ed è per questo che è famoso Parmenide, poiché nega il divenire, o meglio il divenire diventa contraddittorio rispetto all'essere che non è diveniente.
Diventa ovvio che sia per Parmenide che non accettando la contraddizione, nega il divenire entrando in una aporia evidente empirica, per cui il problema diventerebbe: ma la logica sa descrivere la realtà naturale o essendo due domini diversi autoreferenziandosi costruiscono
relazioni antinomiche? Severino accetta la contraddizione e simile, ma non uguale a Hegel, costruisce una dialettica para-logica.


Su Eraclito ed Hegel avrei invece delle delucidazioni.
Eraclito è ben più complesso dello stereotipato  filosofo del divenire .
Eraclito ritiene che il Logos detti i legami che uniscono la natura e lo definisce cosmico.
Sostiene che l'universo non è il prodotto di dei o umani, bensì un ordine unico ed eterno.




Per quanto riguarda Hegel alcune aggiunte tratte sempre da "Scienza della logica"


Nulla, il puro nulla. E' semplice simiglianza con sé,completa vuotezza, assenza di determinazione
e di contenuto; indistinzione in se stesso. - Per quanto si può qui parlare di un intuire o di un pensare,si considera come differente,che s'intuisca o si pensi qualcosa oppur nulla. Intuire o
pensare nulla ha dunque un significato. I due si distinguono; dunque il nulla è (esiste) nel nostro intuire o pensare, o piuttosto è lo stesso vuoto intuire e pensare, quel medesimo vuoto intuire e pensare,ch'era il puro essere.- Il nulla è così la stessa determinazione o meglio assenza di determinazione,epperò in generale lo stesso, che il puro essere.


Unità di essere e nulla.

.......(è il proseguimento del testo da te riportato)
In pari tempo però il vero non è la loro indifferenza, la loro indistinzione, ma anzi ch'essi non son
lo stesso, ch'essi sono assolutamente diversi, ma insieme anche inseparati e inseparabili e che immediatamente ciascuno di essi sparisce nel suo opposto. La verità dell'essere e del nulla è
pertanto questo movimento consistente nell'immediato sparire nell'uno di essi nell'altro;
il divenire; movimento in cui l'essere e il nulla sono differenti, ma di una differenza che si è in pari tempo risoluta.



Nota (di Hegel)
.....Quando si volesse riguardar come più esatto di contrapporre all'essere il non essere,invece che il nulla, non vi sarebbe niente da dire in contrario, quanto al risultato, poiché nel non essere è contenuto il riferimento all'essere; il non essere è tutti e due, l'essere e la sua negazione, espressi in uno, il nulla, com'è nel divenire.


Eutidemo

Citazione di: Jacopus il 02 Marzo 2020, 16:34:23 PM
La continuità dell'essere nel suo divenire irrefrenabile è semplicemente la conseguenza di un principio organico.
Mentre le cellule dell'occhio o del fegato o del dito mignolo muoiono e si rigenerano migliaia di  volte nel corso di una vita umana, le cellule del nostro sistema nervoso possono soltanto morire, ma ne conserviamo comunque a sufficienza anche di quelle che avevamo in dotazione appena nati. Questo ci permette di rappresentarci come un singolo individuo, per quanto sottoposto alle tensioni inevitabili del divenire. Solo la malattia mentale e/o quelle degenerative della terza età possono spezzare il senso di unità dell'individuo.
Capisco che si tratta di un discorso poco filosofico, ma la filosofia dovrebbe confrontarsi anche con queste semplici constatazioni organiche.

E' vero: solo la malattia mentale e/o quelle degenerative della terza età possono spezzare il senso di unità dell'individuo...cosa che, purtroppo, accade sempre più di frequente.
Però io credo che l'individuo sia solo un attore che, in genere inconsapevolmente, recita una parte non sua; dietro la sua maschera teatrale, c'è un Altro!

Eutidemo

Ciao Bob
Non condivido nessuna delle tue tre iniziali premesse.
Ed infatti:

1)
Dire che l'universo non si espande nel "vuoto", in quanto crea esso stesso lo "spazio", non ha molto senso; ed infatti anche quello "vuoto" è indubbiamente anch'esso uno "spazio".

2)
Dire che l'universo l'universo è "finito", e, nello stesso tempo, "illimitato", nello stesso tempo è:
- falso, perchè "sembra" che questo universo abbia un limite perimetrale 4,6508 × 10^10 anni luce, per cui non è affatto "illimitato";
- contraddittorio, perchè, ovviamente, se davvero esso fosse "illimitato" sarebbe anche "infinito".

3)
Dire che con il Big Bang "nasce" il "tempo", è anch'esso un controsenso; ed infatti, se il tempo avesse avuto un "inizio" con il Big Bang , è ovvio che il tempo sarebbe dovuto necessariamente esistere sin da "prima" di tale inizio.
In caso contrario, non sarebbe potuto certo "cominciare" in un determinato istante di 13,7 miliardi di anni fa, alle ore 14,15 di pomeriggio!

***
Le altre tue conseguenti considerazioni perdono di validità logica, in quanto fondate su premesse che, almeno a mio parere, sono fallaci.

***
In ogni caso, talvolta tu trai delle conseguenze che sono in contrasto anche con le tue premesse; ed infatti noi saremmo  nel centro di questo universo, solo se esso fosse "infinito", mentre invece tu parti dal presupposto che esso sia "finito", sebbene "illimitato".
In ogni caso, a prescindere da questo aspetto, ne potremmo essere al "centro" solo se esso fosse "rotondo"; cosa non contemplata dalle tue premesse (anche se pare che sia così, sebbene la cosa sia ancora alquanto controversa).

***
Sono invece d'accordo con te, come già avevo scritto, sul fatto che Eraclito e Parmenide, in fondo, non erano in contrapposizione; in quanto Eraclito guardava il divenire, Parmenide l'essere.
Per usare una metafora, il primo rivolgeva la sua attenzione al "fenomeno" (le scene convulse proiettate su uno schermo cinematografico), mentre il secondo rivolgeva la sua attenzione al "noumeno" (l'immobile schermo su cui scorrono le scene cinematografiche).

***
Quanto al fatto che l'Uno coincida con il Nulla, ed al dubbio che Essere e Nulla siano il medesimo, non è mia intenzione riprendere la nostra futile discussione, essendo per me evidente che "L'essere è, e il non essere non è".


***

Un saluto!




Severino si era fissato sull'essere, e così ha tirato fuori gli immutabili. Combatteva l'erronea fede nel divenire perché origine del nichilismo.
Ma, come ho avuto più volte modo di contestargli direttamente, pure la fede nell'essere molteplice alimenta il nichilismo.
Perché per noi "essere" altro non è che ciò che resiste al divenire e il "divenire" l'annichilimento di questo essere.
Ma entrambi necessitano uno dell'altro, in un gioco senza fine.
Di per se stessi infatti non sussistono. L'essere ha senso solo in confronto al divenire: se nulla divenisse non vi sarebbe alcun essere.
E il divenire ha significato solo ipotizzando un essere: senza essere sarebbe divenire di che?

Se viceversa vogliamo intendere con Essere l'Uno, allora non è più questione del gioco "essere" – "divenire". L'Uno infatti coincide con il Nulla.

Considerazioni queste, tra le tante possibili, che dovrebbero, a mio parere, far insinuare il dubbio che Essere e Nulla siano il medesimo.
Ma tant'é...

bobmax

Sono intervenuto su questo argomento al solo scopo di evitare che un eventuale lettore ne fosse fuorviato.

In effetti, temo che difficilmente possa qui giungere un lettore animato da autentica ricerca, ma non si sa mai.

Solo una precisazione, rivolta all'ipotetico improbabile lettore:

Che il vuoto non sia nulla dovrebbe essere di tutta evidenza. Essendo il pieno e il vuoto la modalità con cui lo spazio appare.
Semmai, potrebbe essere l'assenza dello spazio una considerazione interessante riguardo al nulla.
Tardi ti ho amata, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amata. Tu eri con me, mentre io ero lontano da te.

Eutidemo

Ciao Paul 11
Salto i punti su cui dici che siamo d'accordo; essendo, peraltro, molto confortato dal tuo consenso su di essi.

***
Quanto ad Eraclito ed Hegel, invece, ammetto di essere stato un po' troppo semplicistico e sommario; anche perchè ormai mi stava bollendo un po' il cervello.

Al riguardo:

1)
Non senza motivo Eraclito era detto l'"OSCURO", perchè, in effetti, molte sue affermazioni suonano alquanto "criptiche"; come anche alcune affermazioni di Parmenide, a dire il vero.
Al riguardo, ho il sospetto che in entrambi i casi, l'"ermeticità" fosse un espediente "iniziatico" per indurre chi li leggeva ad "intuire" da sè il senso delle loro parole; questo, però solo una volta che avesse raggiunta una sufficiente consapevolezza interiore.
Ciò premesso, poichè lui stesso precisa che il "divenire" riguarda le "sostanze mortali", ma non l' "essere" che ne costituisce il sostrato "reale", penso che per "sostanze mortali" egli intendesse le "sostanze accidentali", così come denominate da "Pier Giovanni Fabbri nel suo "Desiderio d'infinito"; e, cioè, il "fenomeni"; mentre Parmenide, invece, contempla l'immutabilità dell'"essere".
Secondo me, quindi, il suo contrasto con Parmenide era solo apparente!
Ed infatti il primo rivolgeva la sua attenzione al "fenomeno" (le scene convulse proiettate sullo schermo), mentre il secondo rivolgeva la sua attenzione al "noumeno" (l'immobile schermo su cui scorrono le scene cinematografiche).

2)
Quanto ad Hegel, in molti casi, era più criptico lui di Parmenide e di Eraclito messi insieme;  però non credo che lo facesse per motivi "iniziatici", ma solo perchè era un Professore tedesco!

***
In ogni caso, ammesso (e non concesso) che io abbia capito sul serio quello che vuole dire, non lo condivido affatto; ed invero, secondo me "pensare nulla" non ha alcun  significato.
A mio avviso, "pensare nulla"  significa non "pensare affatto", in quanto ci si trova sotto anestesia!
Si può, sì, <<dire>> a voce "penso il nulla", però non lo si può <<fare>>; provateci, se ne siete capaci!
Chi lo afferma, secondo me, mente per la gola!

***
Ha invece un senso, sebbene ingannevole, dire, come Hegel, che: "I due si distinguono; dunque il nulla è (esiste)"
In questo caso, se non mi sbaglio, lui si rifà, sebbene in questa ipotesi impropriamente, alla nota ""Teoria della definizione" di Aristotile, in base alla quale ogni cosa è definibile per "genere prossimo" e per "distinzione specifica".
Cioè:
a)
Il "genere" cui dobbiamo far riferimento per produrre una buona definizione è il genere prossimo, cioè quello più vicino possibile al termine da definire e quindi meno generale e generico. Ad esempio, dovendo dare una definizione del termine "uomo", il genere che indicheremo sarà quello prossimo di "animale" e non quello troppo ampio di "vivente".
b)
La "distinzione specifica", ossia le caratteristiche che distinguono la specie del termine definito da altre specie dello stesso genere. Cioè, ad esempio, per dare un'appropriata definizione di "uomo", oltre al genere prossimo (animale), dovremo indicare la differenza principale in ragione della quale la specie "uomo" si distingue dagli altri animali, per cui la più comune, per quanto opinabile, definizione di uomo sarà "animale" (genere prossimo) "razionale" (differenza specifica)".

Il che evidenzia subito come il ragionamento di Hegel sia fallace, in quanto:
-  dire che "I due si distinguono" a causa della "ragione" va bene per l'uomo e l'animale;
-  ma dire che "I due si distinguono" non ha invece alcun senso per l'"essere" ed in "non essere", perchè il secondo non è certo il "genere prossimo" del primo; ed infatti, non si può certo dire che la definizione di "essere" sarà dunque "non essere" senza il "non" davanti (e viceversa).
°°°
Solo un Professore tedesco può sostenere una cosa del genere!
°°°

***
In realtà l'"essere" non è definibile per "distinzione" da niente altro, perchè non è una "cosa", bensì è il sostrato, ovvero il "minimo comun denominatore" di "tutte" le cose; quindi non ha alcun senso contrapporlo al "non essere", allo stesso modo di come si può contrapporre il "giorno" alla "notte", che sono due cose.

***
Al riguardo, invero, in NOTA Hegel scrive: "Quando si volesse riguardar come più esatto di contrapporre all'essere il non essere, invece che il nulla, non vi sarebbe niente da dire in contrario, quanto al risultato, poiché nel non essere è contenuto il riferimento all'essere; il non essere è tutti e due, l'essere e la sua negazione, espressi in uno, il nulla, com'è nel divenire."
Ammetto che si tratta di un ragionamento molto "sottile", che, però, non mi convince per niente.
Ed invero, a mio avviso (a parte che "con le chiacchiere"), non si può in alcun modo contrapporre "razionalmente"  il "non essere" all'"essere"; e, questo,  per il semplice fatto che il "non essere" -per definizione- <<NON E'>>; e, quindi, ciò che <<NON E'>> non "è" contrapponibile a niente, proprio perchè non sta da nessuna parte!

***
Quanto al fatto che:"Il non essere è tutti e due, l'essere e la sua negazione, espressi in uno", anche in questo caso, secondo me, si è sempre in presenza di un mero artifizio verbale; perchè il "non" azzera ciò che segue nel resto della proposizione.
Sarebbe come dire che :"Il non essere vivo, è tutti e due, l'essere vivo e la sua negazione, espressi in uno"; cioè, "essere vivo ed essere morto allo stesso tempo!".
Il che, a mio avviso, costituisce palesemente un controsenso.

***
In conclusione, in questo caso, secondo me la "dialettica degli opposti" di Hegel non funziona, perchè, in via di principio, essa presuppone l'"essere" in entrambi gli "opposti" (in atto o, quantomeno, in potenza); se uno dei due,invece, è radicalmente privo di '"essere", non può essere opposto a nient'altro, per il semplice fatto che non c'è.

***
Un saluto!








Eutidemo

Ciao Bob
Questa volta condivido pienamente tutte le tue osservazioni!

***
Ed infatti anche secondo me, che il "vuoto" non sia il "nulla" dovrebbe essere di tutta evidenza; ed infatti, come giustamente scrivi tu, il "pieno" e il "vuoto" sono solo le modalità con cui lo "spazio" ci appare.

***
Sono anche d'accordo con te che, semmai, potrebbe essere l'"assenza dello spazio" una considerazione interessante riguardo al "nulla".
Però, al riguardo non mi pronuncio, perchè è un tema su cui non ho mai riflettuto.
L'unica cosa che potrei azzardare, a botta calda, è che non è possibile raffigurarsi mentalmente nè l'"assenza dello spazio" nè il "nulla"; il che, forse, potrebbe lasciar pensare che si tratti sostanzialmente della stessa (non) cosa.
Che ne pensi?

***
Un saluto!

viator

Salve Eutidemo. Poichè spazio e tempo sono unicamente dimensioni immateriali legate alla loro "percezione psichica=concepimento" da parte di un soggetto......impossibile per una qualsiasi psiche (quindi poi, mente concettuale) immaginarne l'inesistenza.

E' questa la ragione per la quale scienza e fisica risultano dei sistemi (delle visioni del mondo) al cui interno DEVONO esistere lo spazio ed il tempo (cioè il soggettivo) destinati ad entrare in relazione con materia ed energia (che sono le due dimensioni oggettive ed extraumane del mondo).

Alla fine il problema resta sempre il medesimo : l'impossibilità - da parte di chiunque - di riuscire a concepire un mondo privo di un sè stessi. Saluti.
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

green demetr

#11
Bello scritto Eutidemo.


Sì un tema molto complesso, ne parlo tramite la mia prospettiva.


Certamente come da proposto il tema sembra essere formale, facendo un sali e scendi rispetto all'esperienza, intendo anche scientifica.


Per la formalità dell'essere e del non-essere, ha poco senso. Ha senso invece quella problematica all'interno del vissuto quotidiano.


Certamente secondo la tutologia del principio del terzo escluso, ogni cosa è sempre ogni cosa.
Sono clamorosamente d'accordo con Bobmax sul fatto che la moltiplicazione degli enti non salva dal nichilismo anzi....
Il punto è che per Severino il nichilismo è il passaggio destinale affinchè l'uomo smetta di pensarsi come soggetto.


Infatti quello che manca di nuovo nel 3d, è la conoscenza di Kant, non è un caso, è un sintomo dei tempi.


Il pensiero (dell'essere e del non-essere) è sempre di un soggetto.


Legato al soggetto troviamo il fenomeno che a lui si presenta, come essere e non essere.


E' rispetto a questo legame, a questa relazione soggetto-fenomeno che si instaura la questione essere- non essere.


Ho trovato veramente molto ben chiarificato la questione, che si sposa allo spazio certo. Sono molto d'accordo con tutte le distinzioni fatte fra vuoto e nulla.
Molto soddisfatto di come è stata trattata la questione dello spazio, che è valida per il big-bang è valida anche per le infinite teorie che circolano note e meno note, sulla cosmologia.


Nel mio caso, però è la tematica del tempo quella che mi sta a cuore.


Certo la sussistenza dell'identità, è un fatto del pensiero, che sia suffragata da un documento (tesi del neo-realismo, vedi sopratutto Ferraris), meglio auto-suffrata, o che sia la presunzione di essere lo stesso soggetto biologico.


Il che è evidentemente falso, il me giovane non ha alcun legame biologico con il me vecchio.


Ciò che mi fa dire che io sono io, è per necessità di cose, che esista un anima.


Che l'anima sia la grande rimozione della modernità è di una evidenza scioccante, in quanto la sua idea permane accanto ai nostri tempi, come se fosse qualcosa legato alla religione.


In questo senso la tematica spazio-temporale, risolta da Parmenide-Severino, come sussistenza dell'essere in QUANTO esistenza però, sennò non capiamo la tematica della destinalità sia in Parmenide sia sopratutto in Severino.
E' a due livelli, il primo quello del soggetto, che continua a illudersi di essere identità. persona, codice fiscale. (io sono il mio codice fiscale, suona così nel mondo robotico, mimetizzato sotto io sono un avvocato, un magistrato, un panettiere etc...).
Il secondo che invece riguarda il reale e non il fantasma, che riguarda l'anima.


Non si capisce Eraclito o Hegel senza capire che la grande filosofia passa sopra le storie personali dell'identità, si riferisce direttamente all'anima e al suo dramma esistenziale.


In questo senso è vero che ESSERE e NON ESSERE sembrano astrazioni formali.


Ma NON DEL SOGGETTO!!!! è questo il tema mancante degli ottimi EUTIDEMO e PAUL.


Sono astrazioni del mondo animico, il mondo mediano, tra soggetto-fenomeno, ed ESSERE, ESSERE che è DIO. (è ovvio).


E' proprio nella medianità che risiede il destino NEGATIVO della coppia HEGEL-PARMENIDE.


Di contro la negazione di qualsiasi medianità della coppia ERACLITO-SEVERINO.


Pur tutti e 4 avendo capito (Insieme a EUTIDEMO PAUL e ME) che l'ESSERE è una astrazione formale.


Ma questa formalità, non è l'in sè della filosofia analitica americana.


Non esiste un mondo di soli aggettivi. Io sono "X".


Il fatto è che io mi dico "X" in quanto il fenomeno che mi APPARE, mi determina come funzione tale che f(Y)=x dove y è il fenomeno e x sono io.


Ma è la funzione che conta. La medianità che la permette.


Nel mondo di Parmenide questa medianità è introdotta da NULLA.


Il Nulla non è l'astrazione di ciò è l'ESISTEZA dell'ESSERE.


Possiamo bene dire che è un DIO che si scontra con un altro DIO, quello dell'ESSERE.


In Parmenide questo scontro divino si risolve nella tragedia umana. Ovvero vive nell'uomo.


E' l'uomo il medium della funzione di scontro tra gli opposti.


Il principio del terzo escluso che la psicanalisi bacchetta ad ogni piè sospinto è già lì da venire.


Parmenide è il maestro delle filosofie occulte di Platone e Aristotele.


Uno scontro tra DEI. Così nella BHAGAVAD GITA.


E' sempre uno scontro tra DEI.


Questa fantasmagoria non fa parte del soggetto, che infatti la etichetta come tale, e passa oltre al suo prossimo codice fiscale da inserire nel banco dati di androide memoria.


Fa parte dell'anima. E si chiama destinalità. Mortalità fuor di mimesi.


Così in Hegel l'anima appare già come la determinazione che si impone a partire dall'inderminazione, che il niente relativo, il nihil latino, è infatti l'essere, l'essere formale, che qualcosa è e non può essere altro.

Per Hegel il movimento NEGATIVO viene ancora prima, in quello che lui chiama lo SPIRITO.


E' lo SPIRITO CHE DA INIZIO ALLA NEMESI DELL'ANIMA.


E lo fa dandogli una forma. E questa forma a sua volta decide del soggetto intenzionale.


Perciò ESSERE E NON ESSERE, fanno parte dello stesso movimento NEGATIVO.


Non possiamo intendere insomma il non essere del soggetto, come il non essere del NEGATIVO.


Se vogliamo questa forma negativa dell'essere, E' il nichilismo positivo a cui allude Nietzche.


Se il nichilismo del soggetto è la storia della dominazione dell'uno sull'altro, il nichilismo del destino è la liberazione dell'anima in seno allo SPIRITO che alberga gravemente sull'anima.


Per SEVERINO come per ERACLITO, invece questa negatività, è la follia che abita il sottosuolo della (grande) filosofia.


Il mondo di Eraclito e di Severino è già compreso di questo destino di annientamento.


In questione è ovviamente il fenomeno, il fenomeno è l'apparire di ciò che non può essere.


OSSIA DEL SUSSISTERE DI QUALCOSA COME SE QUESTO QUALCOSA VENISSE DAL NIENTE.


Entrambi capiscono che le filosofie di PARMENIDE ed HEGEL (o meglio ancora NIETZCHE) sono frutto di un errore che dimentica la tautologia.


Per essi dunque è il tempo ad essere illusione ESATTAMENTE ma per strade completamente opposte, a quelle orientali.


In Parmenide in Hegel in Nietzche il TEMPO esiste, e il tempo è il NEMICO dell'anima.


Entrambi questi 3 (e ci aggiungerei Heidegger) VOGLIONO il superamento di questa destinazione.


Lo vogliono talmente tanto che il tempo come valore fantasmatico, come tema paranoico, sparisce di fronte al loro filosofare.
Essi vanno oltre le tematiche della storia del soggetto, se ne fregano dell'individuo, non vedono codici fiscali.


Sono i filosofi che più ammiro, il loro scontro è titanico, come è giusto che sia lo scontro con gli DEI.


E'uno scontro destinale che gli stessi DEI caldeggiano. (è ovvio).


In Eraclito e in Severino questo scontro viene letto come destino della tecnica, del soppruso dell'uono sull'altro.


Heidegger rimane sospeso tra questi due mondi, rimanendo congelasto nella gellassen, nel guardare il mondo da lontano.


Capisce insieme lo sforzo necessario di andare contro il TEMPO, e nello stesso tempo, di come questo sforzo faccia parte di un DESTINO inevitabile di distruzione.


A mio parere questi autori temono la morte, non capiscono che la morte è una fantasmastica, che nessuna tautologia può impedire ad essa di produrre paralisi.


Naturalmente stiamo parlando di cose altissime. Semplicemente vi sono 2 destini completamente diversi.


Ecco si perde tutto questo che ho raccontato DIMENTICANDOSI che l'uomo non è un robot, è un SOGGETTO!!!
Vai avanti tu che mi vien da ridere

paul11

#12
ciao Eutidemo
Tutti i filosofi fino a Platone compreso sono oscuri ed ermetici, oltre al fatto che più ci si addentra nella storia antica e meno sono emersi scritti. Ma fu una loro scelta l'ermetismo, temevano che le conoscenze date, soprattutto per iscritto, fossero travisate dagli ignoranti in materia, o addirittura per scopi poco nobili. Già nell'introduzione dell' Opera omnia di Platone, il filosofo Giovanni Reale dice chiaramente che il "vero" pensiero di Platone purtroppo è  nascosto e per sua scelta, nonostante vi siano scritti,Perchè lo scritto non ha più l'autore per difenderlo, una volta letto e interpretato.
Lo scritto rimane e l'autore...svanisce.
E questo fa pensare.....
Su Eraclito posso dire che le interpretazioni sono alquanto ballerine a volte e questo per la polisemantica dei termini, per questo Severino voleva che gli studenti conoscessero profondamente il greco. TO ON è l'essere. Il Logos è un termine polisemantico (famoso il Logos di apertura del Vangelo di S.Giovanni), tradotto in Verbum in latino. Ma non è proprio così.  Il Logos, può essere l'archè, può essere il discorso, può essere il "legame", quindi la relazione diremmo oggi.
Parmenide, per quello che ci è dato di sapere, non accetta proprio il divenire, si blocca sull'identità : l'essere è e non può anche non essere. Questo affermazione fa eco in tutta la storia, perché è inconfutabile dal punto di vista logico. Eraclito accetta il divenire e l'unisce ad un Logos originario.


Ammetto di avere impiegato almeno un anno a studiare "Fenomenologia dello spirito" di Hegel, e non so quanti lo hanno fatto e quanti filosofi lo abbiano capito.


Ci sono sostanzialmente due modi per fare filosofia dell'Essere : non accettare la metafisica come ad es. fa Schopenhauer che è anti-hegeliano. Non accetta l'essere e la necessità e sceglie il dato empirico come causazione(a parer mio contraddicendosi poiché la causazione è comunque un modo mentale di leggere il fenomeno) Questo è il percorso scelto dalla modernità ,con il naturalismo con l'umanesimo. L' altro sistema,e sono le  eccezioni moderne sono Hegel e Severino e scelgono una strada paralogica con la cosiddetta logica dialettica negativa. Accettano la contraddizione.
Se leggi attentamente ciò che ti ho postato riferito allo scritto di Hegel, dice che l'essere e il non-essere sono unite dal referente, ma il non-essere comprende l'essere e il nulla. Questa triade :essere, niente, non essere, permette nella logica hegeliana di unire i concetti intellettivi della coscienza umana con la matericità naturale fisica attraverso la mediazione della coscienza. Il nulla è nel divenire delle apparenze, per cui ciò che vediamo è ciò che solo appare e scompare ai sensi, nel sensibile. La coscienza è la mediatrice fra il dato sensibile ,che è contraddittorio in quanto ciò che è non può anche non essere  e quest'ultimo si esplica in ciò che appare dal nulla e scompare nel nulla.
Per farla breve, la triade permette da una parte di unire il concetto intellettivo di verità dell'essere e dall'altra di relazionarla all'esistenza umana e naturale che è contraddittoria rispetto all'essere e l'insieme di tutto ciò è il movimento della conoscenza dentro la nostra coscienza: la fenomenologia che secondo Hegel si conclude nel concetto dell'intelletto finale, lo spirito.


Il fatto che esista il termine "nulla" e lo utilizziamo magari paradossisticamente, magari contraddittoriamente, magari irrazionalmente, ha comunque un significato che se fosse anche solo linguistico evoca  a sua volta un' immagine relazionata ad un concetto mentale o ad una realtà fisica. Il nulla permette alla contraddizione dell'essere, il non-essere di divenire e di poter spiegare l'esistenza, anche se negativo dal punto di vista logico. E' una via di uscita logica al fermo "l'essere è" che non spiega l'esistenza nel divenire. Quindi ontologicamente il nulla è la contraddizione che permette di dire che gli essenti, qualunque cosa che esiste nell'universo, non può venire dal nulla e scomparire nel nulla poiché "ciò che è, non può anche non-essere".


Veniamo alla vita dal nulla e moriamo sparendo nel nulla?


Trovo, almeno sino ad ora, che dal punto di vista logico la dialettica negativa sia al più alto livello per unire  spiegare l'eterno e il divenire: ciò che è ,è (eterno), ciò che è diviene altro da sè(contraddizione diveniente). Negare l'identita del "ciò che è", significa negare all'uomo la possiblità di una verità, con tutte le conseguenze culturali(e forse è questo che si capisce ancor meno),; poiché accettare solo la negazione"ciò che è può anche non essere" e quindi divne altro da sé, significa vivere nel nascondimento e nel disvelamento per altre vie che non sono logiche, sono estetiche, quindi intuitive più che concettuali E la via estetica non ha costituito cultura, perché il livello è contraddittorio. La necessità di dichiarare che cosa è la giustizia, che cosa è bene o male, che cosa è bello o brutto, costituisce un canone, un codice al livello superiore della contraddizione. Noi possiamo costruire con le parole concetti, sensi, significati che non sono contraddittori, ma scegliamo invece un sistema contraddittorio vivente. E' come dire che nella contraddizione cerco di essere non contraddittorio: questo è aporia filosofica ed è quello che poi dichiara Severino. Quando dice che l 'aporia del fondamento, fu già nella Grecia antica, quando scelsero la contraddizione del divenire e non l'essere come eterno, significa scegliere una cultura determinata
A mio parere è possibile unire il tutto.

Eutidemo

Citazione di: viator il 03 Marzo 2020, 12:52:06 PM
Salve Eutidemo. Poichè spazio e tempo sono unicamente dimensioni immateriali legate alla loro "percezione psichica=concepimento" da parte di un soggetto......impossibile per una qualsiasi psiche (quindi poi, mente concettuale) immaginarne l'inesistenza.

E' questa la ragione per la quale scienza e fisica risultano dei sistemi (delle visioni del mondo) al cui interno DEVONO esistere lo spazio ed il tempo (cioè il soggettivo) destinati ad entrare in relazione con materia ed energia (che sono le due dimensioni oggettive ed extraumane del mondo).

Alla fine il problema resta sempre il medesimo : l'impossibilità - da parte di chiunque - di riuscire a concepire un mondo privo di un sè stessi. Saluti.

Non a caso quando Kant parla di "intuizioni sensibili", per essere sicuro che siano "pure", cioè universali e necessarie, ne trova soltanto due: quelle del tempo e dello spazio.
Ed infatti, a lui non interessava tanto esaminare il fenomeno in sé, quanto, piuttosto, definire le forme astratte e oggettive in cui esso può essere conosciuto.

iano

#14
@Eutidemo.
Che bomba di argomento , altro che ovvietà, tanto che confesso di non essere riuscito ad andare in fondo alla lettura.
Vorrei dire comunque la mia innocua opinione.
Se l'essere diviene , come facciamo a percepirlo , non avendo una forma definita , se non istantaneamente , ed essendo la percezione non istantanea?
Parmenide dunque attribuisce leggi a qualcosa che non si sa' bene cosa sia.
Queste leggi sono in effetti un tentativo di definire cosa sia l'essere.
La fisica può assumere le stesse ipotesi , ma non ci dimostra la loro validità.
Non sapremo mai se il big bang nasce dal vuoto o dal nulla , e ciò fa' il paio col mistero di come a noi si presenta l'essere.
Questo essere che a noi si presenta , può perciò essere manipolato ed indagato , mostrando però il suo carattere sempre sfuggente.
Quindi noi diciamo che l'essere diviene , pur permanendo la sua esistenza , ma in effetti ciò che diviene è la nostra percezione dell'essere in relazione al modo in cui ci poniamo di fronte ad esso.
Ciò il cui apparire è sfuggente , sembra divenire , ma non necessariamente diviene.
Ma qui mi fermo , perché non saprei trarre conseguenze da ciò senza dovermi sorbire un potente mal di testa.😊
Mi sentirei solo di azzardare che "esistono" di sicuro solo le nostre percezioni ed una ipotetica causa che le genera , per cui tutti gli attributi dell'essere sono in effetti da riferire alle nostre modalità percettive , e se la natura dell'essere sembra contenere paradossi , è solo perché la percezione li ammette , non ostando essi ai suoi scopi , evidentemente .
Là mia esposizione è come sempre naïf .
Però vorrei davvero capire dove risiede l'attualità del pensiero di Parmenide, cosa che mi sfugge.
Le sue pesanti ipotesi sull'essere mi appaiono del tutto arbitrarie.
Non è vietato abbracciarle , ma non direi che c'è un buon motivo per farlo , quanto per non farlo.
Non rimane che indagare le conseguenze di queste ipotesi per una eventuale adesione più convinta ad essa.
Però nel caos pur molto proficuo e produttivo della fisica attuale non vedo lumi a tal proposito.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

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