Essere, esistenza, realtà

Aperto da Donalduck, 30 Marzo 2018, 11:16:43 AM

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sgiombo

#30
Citazione di: iano il 03 Aprile 2018, 10:10:09 AM


Suggerisco che non c'è sostanziale differenza fra reale e ideale e arrivò a ciò abbracciando il punto di vista di Donald che l'essere è ciò che nasce d all'interazione fra soggetto e oggetto.
Quindi L'essere non è né' ideale ne' reale.
Allora tu potresti obiettare , ma se ciò che conosci non è ideale ne' reale , allora come fai a parlare di ideale e di reale?
Si tratta di due modalità estreme del modo in cui percepiamo l'essere nel senso sopra detto , alla Donald per intenderci.
Ideale e reale , uomo e donna , e altri presunti opposti , nascono solo da semplificazioni esplicativi e sono solo gli estremi di una continua gamma di situazioni intermedie.
Quando questa semplificazione , non sempre fatta in modo cosciente , diventa carne della nostra carne , in seguito all'uso , allora  , permettimi il gioco di parole , il,reale diventa reale.
Noi non abbiamo accesso diretto alla realtà oggettiva , che può essere solo ipotizzata quindi , e che a me piace ipotizzare. Noi abbiamo solo a che fare con le nostre diverse percezioni che possiamo suddividere convenzionalmente in diverse categorie , è una di queste è la categoria del reale , dalla quale deriva poi la plausibile ipotesi dell'esistenza di una realtà oggettiva.
Ma qual'e ' l'origine della diversità in queste percezioni?
La percezione è un processo , non necessariamente cosciente, che ha un inizio , una elaborazione , e alla fine un risultato.
Quando questo processo è completo lci porta a percepire ciò che mettiamo nella categoria del reale.
Quando è incompleto lo mettiamo nella categoria dell'ideale.
È una risposta semplice ad una questione complicata ,ma è una risposta che ha un senso, fosse anche una risposta semplicistica.
Io più ci penso e più mi piace e per questo la ribadisco.😊
A difesa di questo quadro mentale invito a valutate re il suo opposto.
Una moltiplicazione incontrollata di esistenti, ognuno con la sua propria sostanza.
Tuttavia le mie interpretazioni non sono cose che io devo difendere a spada tratta , perché non sono carne della mia carne e non ne va' della mia vita , e posso difenderle,prendendo parte , ma solo per gioco.
Ecco perché mi dico immune alle critiche che sono sempre le benvenute.
Senza di quelle finisce il gioco.
Se vorrai rispondermi , come spero , per via dei limiti miei di cui parlavo , isola la parte del mio discorso che ti sembra più significativ , che vuoi sottoporre a critica , e io ti rispondo di conseguenza .😊

Innanzitutto credo si debba disambiguare il concetto di "essere", soprattutto per evitare la confusione fatale (secondo me) ai fini della correttezza e verità del ragionamenti, fra "essere pensato (che inoltre si esista-accada anche realmente, pure a prescindere dall' essere inoltre pensato, o meno)" ed "essere reale (che inoltre si sia anche pensato o meno)".
Cioè secondo me l' essere può essere "reale" oppure essere "ideale", ma si tratta di due modi di "essere", due accezioni, due concetti di "essere" completamente diversi (anche se possono pure eventualmente darsi dei medesimi anti o eventi), confondere i quali é esiziale ai fini del corretto ragionare e del verace pensare.
Inoltre ribadisco che (invece) secondo me ciò che nasce d all'interazione fra soggetto e oggetto é la conoscenza del reale, e non il reale, il quale per definizione é tale anche indipendentemente da qualsiasi eventuale relazione con soggetti di conoscenza o meno.
Per me fra reale e concettuale tertium non datur (come anche fra maschio e femmina nell' ambito delle specie animali più affini al' uomo, salvo patologie come la castrazione o l' ermafroditismo: vado sempre e comunque molto fiero di essere politicamente scorrettissimo!).

"Percepire" é un altro concetto ancora, quello di un caso particolare nell' ambito generale dell' "essere reale", allorché la percezione accade realmente, o di un caso particolare nell' ambito generale dell' "essere pensato", allorché la percezione accade come oggetto o "contenuto" di pensiero, come concetto pensato, immaginato, ecc., e non come fatto reale.
Gli unici eventi reali di cui può aversi certezza (allorché, se e quando accadono) sono le percezioni fenomeniche, reali unicamente in quanto tali (insiemi-successioni di sensazioni -materiali o mentali- reali unicamente nel loro reale accadere, ovvero soltanto quando e fintato che realmente accadono).
Se é-accade qualcos' altro di reale, tale da far sì che ogni volta che riapro gli occhi rivedo puntualmente le percezioni costituenti lo schermo del computer e la tastiera qui davanti a me, le quali mentre avevo gli occhi chiusi non esistevano-accadevano realmente affatto, allora onde evitare di cadere platealmente in contraddizione, bisogna pensare che questo "qualcosa" sia di altra natura delle percezioni costituenti tali pezzi del computer, che non sia apparente (dal greco e a là Kant "fenomeno"), bensì congetturabile (dal greco e a là Kant "noumeno").
Di tale natura (congetturabile e non invece percepibile, non apparente ai sensi -esterni o materiali e interno o mentale- non possono che essere, se sono (cosa indimostrabile né tantomeno -per definizione!- empiricamente mostrabile) il soggetto delle sensazioni materiali e riflessivamente soggetto-oggetto delle sensazioni mentali (l' "io") e gli oggetti di esse dal soggetto diversi, tutti persistenti anche allorché le sensazioni fenomeniche non accadono realmente, anche indipendentemente da esse.
Concordo che alla realtà in sé, oggettiva (noumeno; se pure esiste) non abbiamo accesso diretto, ma abbiamo accesso cosciente unicamente ai fenomeni (sensazioni materiali e mentali) circoscritti nell' ambito di (facenti parte di; essendo reali unicamente in quanto componenti di) ciascuna esperienza cosciente stessa.
Pur non potendolo dimostrare, credo per fede (anche) che, contrariamente a quelle mentali o di pensiero, le sensazioni materiali (salvo casi particolari in linea di principio "riconoscibili" come tali: sogni e allucinazioni), sebbene non oggettive, sono comunque intersoggettive, cioè corrispondenti "punto per punto" fra le esperienze fenomeniche coscienti dei vari soggetti (noumenici) di esse, di modo che, purchè si collochi "nella giusta posizione" e "osservi nella giusta maniera", chiunque accede a realtà sensoriali-fenomeniche descrivibili negli stessi termini (parlare di eventuale "eguaglianza" o meno o di maggiore o minore "similitudine" fra i contenuti fenomenici delle diverse esperienze coscienti non avendo senso, contrariamente al caso dei contenuti di ciascuna esperienza cosciente, che possono essere fra loro confrontati).
Per me la percezione (materiale-"esterna" o mentale-"interna") é necessariamente cosciente per definizione (é un evento fenomenico ovvero di coscienza).
Ciò che distingue le sensazioni materiali intersoggettive (non allucinatorie od oniriche) da quelle puramente soggettive (mentali oppure materiali oniriche – allucinatorie) non é per me il "grado" di coscienza (che é unico: o accade qualcosa di fenomenico-cosciente, più o meno "intenso" che sia, oppure non accade) ma invece é, per l' appunto, il fatto che possano essere constatate o verificate da chiunque in linea di principio, purchè osservate "nel giusto modo".
Ciò significa che si può ipotizzare (e credere, ma non dimostrare né tantomeno mostrare) che ad esse, realmente accadenti nelle esperienze fenomeniche di ciascun soggetto corrispondano gli stessi oggettivi enti od eventi in sé o noumenici realmente accadenti.
Ritengo inoltre che sia molto ragionevole ipotizzare (e fideisticamente credo) che lo stesso insieme-successione di enti-eventi in sé o noumenici che sono "io" si manifesti fenomenicamente a se stesso (a me) come la componente mentale o "di pensiero (res cogitans)" della sua propria (la mia) esperienza fenomenica cosciente e ad altri analoghi ma da se stesso diversi insiemi-successioni di enti-eventi in sé o noumenici come determinati eventi nell' ambito del mio cervello, facente parte della componente materiale intersoggettiva delle rispettive esperienze fenomeniche coscienti.
Di modo che -per esempio- allorché tu, nell' ambito della tua esperienza fenomenica cosciente (almeno potenzialmente: attualmente solo se compissi le opportune osservazioni, dirette o più probabilmente -e auspicabilmente da parte mia!- indirette, per il tramite dell' imaging neurologico funzionale) percepisci certi determinati eventi neurofisiologici accadenti nel mio cervello e non altri, allora nell' ambito della mia esperienza fenomenica cosciente accadono certi determinati eventi (sensazioni materiali o mentali) e non altri e viceversa: gli stessi enti-eventi in sé o noumenici corrispondono biunivocamente a certi determinati eventi fenomenici coscienti (e solo a quelli) nella mia esperienza cosciente e a certi determinati eventi fenomenici accadenti nel mio cervello "osservato" nell' ambito di certe altre esperienze coscienti, proprie di miei "osservatori" (potenzialmente o attualmente, direttamente o indirettamente a seconda dei casi) e solo a quelli (per esempio nell' ambito della tua); e viceversa.

Grazie per l' attenzione.

davintro

#31
Essendo il linguaggio una convenzione, non esistono definizioni in assoluto "appropriate" o "inappropriate", quindi, ammettendo come lecita l'accezione del concetto di "esistenza" come definente quella sfera di enti che sono reali indipendentemente dalla volontà e dal pensiero di un Io, allora abbiamo a disposizione un criterio  per distinguere semanticamente il concetto di "esistenza" da quello di diverse categorie ontologiche, come ad esempio quello di "essere", per il fatto che distinte categorie convivono all'interno dei singoli vissuti di coscienza. Ogni determinazione di relazione coscienziale soggetto-oggetto, ogni datità fenomenica del mondo alla nostra coscienza si presenta ordinariamente come "sintesi" (la stessa "percezione", nella sua solo apparente immediatezza e semplicità, è a tutti gli effetti un atto sintetico e complesso, l'effetto di un'unità elaborata dall'Io che si viene a formare sintetizzando la molteplicità dei lati con cui l'oggetto si presenta di diversi momenti temporali), e dunque in ogni punto di vista sul mondo, nella sua inadeguatezza dovuta alla finitezza dei nostri strumenti conoscitivi, è sempre una sintesi, un complesso di elementi che solo parzialmente rispecchiano l'esistenza delle cose. Ad esempio il sogno, quantomeno nel modo in cui viene tematizzato nella psicoanalisi, è il prodotto di una elaborata sintesi unificatrice di molteplici elementi psichici (Freud parlava di "condensazione" a quanto ricordo), che però rivela in uno sguardo analitico, le distinzioni tra dei momenti di verità, cioè di rappresentazione dell' "esistente", ed altri di illusioni, di fenomeno meramente coscienziale senza alcuna attinenza con la sfera dell'esistente. Riconosco che l'esplosione in casa mia sognata qualche notte fa è solo (fortunatamente) è solo un'apparenza non corrispondente ad un evento esistente, ma esistenti sono le tendenze psichiche inconsce, che hanno generato quelle immagini oniriche. Nella misura in cui avvertiamo che quelle tendenze sono eventi reali della nostra psiche, indipendentemente dalle opinioni che sulla psiche si può avere, è possibile in sede di analisi, cioè di scomposizione della sintesi utilizzare legittimamente il criterio di esistenza differenziando ciò che esiste da ciò che non esiste. Dunque, dal riconoscere la problematicità di differenziare all'interno delle sintesi fenomeniche che costituiscono le diverse modalità di coscienza del mondo gli elementi rispecchianti l'esistenza oggettiva da quelli restano puramente interni all'apparire soggettivo, problematicità che è un carattere costante di ogni nostra conoscenza, non deriva la non validità della categoria di "esistenza" utilizzato per comprendere una determinata specie di enti. E non ne deriva, ad esempio la non-validità di una possibile distinzione semantica con l' "essere": perché se possiamo definire "esistenza" tutto ciò che è tale al di là della sua pensabilità o meno, l' "essere" può considerarsi come categoria più ampia, in quanto è quell'idea universale che necessariamente utilizziamo per giudicare qualunque cosa, anche non reale, a cui però attribuiamo un determinato senso, in base a cui quell'ente diviene soggetto a cui attribuire predicati, cioè oggetto, appunto, di giudizio. L'essere è la forma trascendentale che consente ogni concettualizzazione e definizione delle cose, di fatto ogni pensabilità, in quanto per pensare qualcosa, occorre attribuire a quel qualcosa, una qualunque qualità, che la renda distinta da un "nulla", un puro non-essere, di fatto l'impensabile. Babbo Natale non esiste fattualmente, ma nella misura in cui è oggetto di pensiero, immaginazione, giudizio, è un "non-nulla", dunque rientra nell' Essere. Per quanto riguarda il cerchio quadrato le cose si complicano, qui saremmo di fronte non a una semplice mancanza di esistenza fattuale, ma di una interna contraddittorietà, che rende il suo concetto assurdo, impensabile, al di là di ogni intuizione. La sua mancanza di senso lo avvicina alla condizione del concetto di "nulla", il cui significato è respingente quello di "essere", che lo renderebbe intuibile. Ecco perché i concetti autocontradditori hanno forse a più spartire con l' ambito del nulla" che con l' "essere", ed ecco perché forse è limitante concepire "essere" e "nulla" come dimensioni nitidamente distinti da un ben definito e discreto confine in base a cui collocare chiaramente i diversi concetti in una sfera o nell'altra, ma è più valido piuttosto vederli come delle "polarità" opposte che delineano una tensione che contraddistingue ogni ente, che partecipa a una delle due sfere in modo maggiore o inferiore, ed allora avrebbe senso dire che qualcosa "è" più di un altra che ci sono diversi gradi di partecipazione delle cose all' Essere, rivalutando un certo modo di intendere l'ontologia, come ad esempio quello tomista, che prevede appunto diversi livelli, superiori e inferiori, di adesione degli enti all'essere.

sgiombo

Citazione 
X Davintro (e chiunque altro sia interessato, ovviamente)
 
Malgrado l' impiego da parte tua di termini e concetti che trovo un po' "ostici", a me poco familiari (sono forse termini "tecnici", stabiliti per significare concetti precisamente definiti nell' ambito della filosofia fenomenologica?), mi sembra di convenire per lo meno con gran parte con quanto scrivi.
 
Al fine di un' auspicabile chiarimento delle rispettive convinzioni e reciproco aiuto a capire, cerco di considerare criticamente i punti del tuo pensiero che non mi convincono.
 
 
"Ogni determinazione di relazione coscienziale soggetto-oggetto, ogni datità fenomenica del mondo alla nostra coscienza si presenta ordinariamente come "sintesi" (la stessa "percezione", nella sua solo apparente immediatezza e semplicità, è a tutti gli effetti un atto sintetico e complesso, l'effetto di un'unità elaborata dall'Io che si viene a formare sintetizzando la molteplicità dei lati con cui l'oggetto si presenta di diversi momenti temporali), e dunque in ogni punto di vista sul mondo, nella sua inadeguatezza dovuta alla finitezza dei nostri strumenti conoscitivi, è sempre una sintesi, un complesso di elementi che solo parzialmente rispecchiano l'esistenza delle cose".
Qui a me sembra che si tocchino due diverse questioni.
Una é quella della relatività, limitatezza o parzialità di ogni conoscenza (umanamente) possibile: gli "oggetti" (cose, enti e/o eventi) che conosciamo (inevitabilmente fenomenici) sono frutto di una sintesi* fra "frammenti" incompleti di insiemi e/o successioni d sensazioni fenomeniche cui abbiamo accesso cosciente inevitabilmente limitato, parziale.
E su questo concordo pienamente.
L' altro é quello del carattere non assolutamente, non integralmente oggettivo, ma in parte inevitabilmente soggettivo di ogni possibile conoscenza della realtà (e non, come qualche altro interlocutore ha affermato in questa stessa discussione, di ogni possibile aspetto della realtà): conosciamo fenomeni o insiemi e successioni di sensazioni, le quali a tutti gli effetti fanno parte unicamente dell' esperienza cosciente ciascun soggetto di sensazioni (di ciascuno di noi) e non sono "cose in sé" reali anche indipendentemente dall' eventuale accadere delle sensazioni fenomeniche coscienti stesse: quando chiudo gli occhi lo schermo e la tastiera qui davanti, che non sono altro che insiemi e successioni di sensazioni nell' ambito della mia coscienza, ovviamente non esistono (sarebbe una plateale contraddizione pretenderlo!); e se (come non può essere dimostrato né tantomeno -per definizione!- mostrato, constatato empiricamente, ma solo ipotizzato ed eventualmente creduto arbitrariamente per fede) anche quando ho gli occhi chiusi continua ad esistere qualcosa che spieghi come mai nonappena li riapro riappaiono (= ricominciano ad esistere, ad essere reali come fenomeni) schermo e tastiera, allora tale "qualcosa" non é un insieme o successione di sensazioni, non é qualcosa di apparente alla coscienza (fenomeno) ma invece é qualcosa di meramente congetturabile (noumeno).
Dunque tutto ciò che é conoscibile come fenomeno (nell' ambito dell' esperienza cosciente di un "soggetto") non é oggetto in sé (noumeno) ma una sorta di sintesi** fra soggetto ed oggetto (entrambi in sé o noumeno; ovviamente nel caso indimostrabile né mostrabile cose in sé o noumeno esistano realmente; caso nel quale, a proposito di essi, si avrebbe una conoscenza "eccezionalmente" eccedente i fenomeni: la conoscenza, della realtà -sia pure del tutto "oscura", non immaginabile, non sensibile- del noumeno stesso, e in particolare nel suo ambito del soggetto e degli oggetti di sensazione fenomenica).
Qui andrebbe affrontato il caso della sensazione fenomenica cosciente "riflessiva" del soggetto in quanto -anche- oggetto da parte di se stesso in quanto -anche- soggetto; ma me ne astengo avendone già parlato in precedenti interventi, anche recentissimi.
 
 
Sulla psicoanalisi il mio dissenso é totale e starei per dire "assoluto", dato ciò che ne penso, e dunque tralascio completamente la questione (che peraltro mi pare marginale rispetto all' argomento in discussione).
Credo che nell' ambito di ciascuna esperienza fenomenica cosciente si possano distinguere due componenti (due diversi "tipi" di insiemi-successioni di sensazioni), comunque entrambe parimenti reali: una intersoggettiva (cioè che é possibile ipotizzare -ed eventualmente credere- che possa accadere-apparire in qualsiasi esperienza cosciente purché il suo soggetto compia "le opportune osservazioni", "si comporti nelle dovute maniere"), e l' altra meramente soggettiva (cioè accessibile-apparente-reale unicamente in ciascuna esperienza cosciente in cui accada e in nessun altra).
La prima é costituita dalle sensazioni materiali "corrette" o "autentiche" (non allucinatorie od oniriche: l' autentica "res extensa"), reali nell' ambito di qualsiasi esperienza cosciente in cui accadano, alle quali si può ipotizzare (ed eventualmente credere) biunivocamente corrispondano-coesistano-coaccadano nella realtà in sé o noumeno gli stessi -i medesimi per ciascuna esperienza cosciente- "enti e/o eventi" non sensibili ma congetturabili, "in sé".
La seconda é costituita dalle sensazioni materiali "inautentiche" (oniriche o allucinatorie) e dalle sensazioni mentali o di pensiero (compresi sentimenti, ricordi, ecc: la res cogitans), del tutto ugualmente reali in ciascuna esperienza fenomenica in cui accadano, ma senza che sia pensabile che ad esse biunivocamente corrispondano-coesistano-coaccadano nella realtà in sé o noumeno gli stessi -i medesimi per ciascuna di esse- "enti e/o eventi" non sensibili ma congetturabili, "in sé"; ma invece "enti e/o eventi in sé" reciprocamente diversi, altri fra l' una e l' altra esperienza fenomenica cosciente considerata.
Al sogno dell' esplosione in casa tua (nella tua esperienza cosciente) corrisponde biunivocamente nella realtà in sé qualcosa di meramente soggettivo (qualche determinato evento nell' ambito di "te", del soggetto in sé della tua esperienza cosciente), che non corrisponde biunivocamente anche ad alcunché in alcun altra esperienza cosciente***, esattamente come ai tuoi pensieri, ricordi, immaginazioni, sentimenti, ecc.; mentre invece alle percezioni sensibili della tua casa realmente indenne da incendi si può ammettere corrispondano biunivocamente i medesimi "enti e/o eventi in sé" che parimenti corrisponderebbero (e di fatto corrispondono, se e quando si danno le circostanze "appropriate") ad analoghe sensazioni coscienti in qualsiasi altra esperienza fenomenica purché il soggetto di essa si venga a trovare con tali "cose in sé o noumeniche" "in rapporti analoghi a-" -i tuoi.
Dunque può essere e per lo meno talora di fatto é problematico differenziare all'interno delle sintesi fenomeniche che costituiscono le diverse modalità di coscienza del mondo gli elementi rispecchianti l'esistenza oggettiva [l' intersoggettiva percezione fenomenica dei medesimi oggetti in sé] da quelli che restano puramente interni all'apparire soggettivo [riflessivamente soggetto-oggetto di esse in questi casi].
Ma credo che, se quanto (apparentemente per lo meno) ci dicono gli altri uomini con cui parliamo é realmente discorso significante e non casuale sequenza di sensazioni fenomeniche solo casualmente simulanti, per una stranissima coincidenza fortuita, le sequenze sensate di simboli verbali significanti che noi stessi usiamo (cosa a rigore indimostrabile, come d' altra parte la stessa veridicità della memoria), e se inoltre gli altri parlanti (comunemente) non ci ingannano (e comunque quandanche lo facessero sarebbe in linea di principio possibile smascherarli), allora lo si possa fare attraverso il confronto dialogico fra le descrizioni delle sensazioni materiali di ciascuno.
Concordo dunque che "non [ne] deriva la non validità della categoria di "esistenza" utilizzato per comprendere una determinata specie di enti. E non ne deriva, ad esempio la non-validità di una possibile distinzione semantica con l' "essere": perché se possiamo definire "esistenza" tutto ciò che è tale al di là della sua pensabilità o meno, l' "essere" può considerarsi come categoria più ampia, in quanto è quell'idea universale che necessariamente utilizziamo per giudicare qualunque cosa, anche non reale, a cui però attribuiamo un determinato senso, in base a cui quell'ente diviene soggetto a cui attribuire predicati, cioè oggetto, appunto, di giudizio", e che "L'essere è la forma trascendentale [?] che consente ogni concettualizzazione e definizione delle cose, di fatto ogni pensabilità, in quanto per pensare qualcosa, occorre attribuire a quel qualcosa, una qualunque qualità, che la renda distinta da un "nulla", un puro non-essere, di fatto l'impensabile
Concordo anche sugli esempi di Babbo Natale e di del preteso cerchio-quadrato.
Non su quello del "nulla", che a mio parere, contrariamente al cerchio quadrato, ha un senso logicamente corretto, non contraddittorio, anche se (analogamente al noumeno) non possiamo immaginarlo (raffigurarcelo fenomenicamente nella mente, con la fantasia); ma lo possiamo comunque pensare e ne possiamo comunque parlare sensatamente.
 
 
Non ho capito le considerazioni finali sulla "polarità fra essere (concettuale) e non essere".
Che comunque mi sembra siano pertinenti l' "essere (concettuale)" e non la realtà (l' "essere reale"); mentre questa mi pare -per quel poco che ne so per sentito dire- sia invece ciò cui attribuisce diverse gradazioni di "essere (reale: dunque di realtà)" Tommaso d' Aquino.
 
 
*** Per la verità credo (indimostrabilmente come al solito) che almeno potenzialmente e indirettamente vi corrispondano biunivocamente certi determinati eventi neurofisiologici nell' ambito del tuo cervello.

Donalduck

Sgiombo ha scritto:
CitazioneComunque la mia risposta é che lo scetticismo (il dubbio sulla verità di qualsiasi conoscenza circa la realtà) non é razionalmente superabile
C'è un equivoco. Siamo in una regione piuttosto eterea e non è facile intendersi. La tua risposta presuppone che si dia per scontato il significato di reale, mentra la mia domanda lo esclude, o meglio interroga proprio su questo.
Se ho dubbi "sulla verità di qualsiasi conoscenza circa la realtà" devo aver chiaro cosa significa "verità" e cosa significa "realtà". Mettendo per ora da parte il concetto di "verità" e concentrandoci su quello di "realtà", la domanda è: cosa significa reale e cosa irreale? Qual è il contenuto semantico di questi termini? Rispondendo a questa domanda si arriva a rispondere anche a: cosa distingue il reale dall'irreale? Che implicitamente fornisce i mezzi per effettuare una distinzione operativa, pragmatica. Ma senza tutto questo si finisce col fluttuare in un ipospazio in cui ognuno sa quello che lui intende (nella migliore delle ipotesi) ma ignora ciò che gli altri intendono con quei termini.

sgiombo

Citazione di: Donalduck il 08 Aprile 2018, 16:42:44 PM
Sgiombo ha scritto:
CitazioneComunque la mia risposta é che lo scetticismo (il dubbio sulla verità di qualsiasi conoscenza circa la realtà) non é razionalmente superabile
C'è un equivoco. Siamo in una regione piuttosto eterea e non è facile intendersi. La tua risposta presuppone che si dia per scontato il significato di reale, mentra la mia domanda lo esclude, o meglio interroga proprio su questo.
Se ho dubbi "sulla verità di qualsiasi conoscenza circa la realtà" devo aver chiaro cosa significa "verità" e cosa significa "realtà". Mettendo per ora da parte il concetto di "verità" e concentrandoci su quello di "realtà", la domanda è: cosa significa reale e cosa irreale? Qual è il contenuto semantico di questi termini? Rispondendo a questa domanda si arriva a rispondere anche a: cosa distingue il reale dall'irreale? Che implicitamente fornisce i mezzi per effettuare una distinzione operativa, pragmatica. Ma senza tutto questo si finisce col fluttuare in un ipospazio in cui ognuno sa quello che lui intende (nella migliore delle ipotesi) ma ignora ciò che gli altri intendono con quei termini.
CitazioneOgni concetto, compresi quelli di "realtà" e di "verità", si definiscono mettendo in relazione altri concetti.

Quello di "realtà" (eventualmente pensabile) si distingue da quello di "oggetto non reale di pensiero" per il fatto che é tale anche qualora non la si pensi (sia che la si pensi, sia che non la si pensi), mentre un "oggetto non reale di pensiero" (di pensiero reale se il pensiero accade realmente), é solo qualcosa che indipendentemente dall' essere pensato non accade realmente in alcun (altro) modo.
E quello di "conoscenza vera" esprime la caratteristica di un pensiero (predicato o giudizio) che afferma essere/accadere realmente qualcosa che (indipendentemente da tale pensiero) é/accade realmente, oppure che afferma non essere/non accadere realmente qualcosa che non é/non accede realmente.
I tre concetti di "realtà", "oggetto di pensiero" e "predicazione vera" si definiscono reciprocamente, oltre che relativamente ai rispettivi contrari, in ossequio alla regola che ogni e qualsiasi concetto si definisce mettendo in determinate  relazioni determinati altri concetti.

Donalduck

bobmax ha scritto:
CitazioneO non sarà invece che la Verità è già ovunque?
E che perciò la comunicazione non consiste affatto nel tramettere verità da un posto all'altro, ma semplicemente nel "risvegliare" la medesima verità là dove è stata, in un certo qual modo, dimenticata.
Il lavorio della comunicazione ha come obiettivo finale la Verità, che l'esistenza non conosce, ma in cui ha "fede".
Quello che non capisco è che bisogno ci sia di quasta "Verità" o di un'esistenza che trascende soggetto e oggetto. Si direbbe che cerchi qualcosa che non sai cos'è ma che pensi per qualche inespresso motivo, o magari per qualche indefinibile sensazione, che ci sia.

A me sembra chiaro che, dal punto di vista razionale, non può esserci nessuna verità a sé stante, ma solo una "realtà" (o come la vogliamo chiamare) che risulta appunto dall'interazione soggetto-oggetto. Arriverei a dire che non può esistere nulla di "a sé stante" (e non sento neppure l'esigenza di ipotizzarlo), dato che l'esistenza (o realtà) non può rinunciare né al soggetto che rileva questa esistenza né all'oggetto che il soggetto considera esistente.
Il fatto evidente che esista una realtà intersoggettiva, ossia condivisa tra diversi soggetti, non significa che questa realtà sia a sé stante: semplicemente risulta da un intreccio di relazioni tra soggettività (molteplice, e quindi anche relazioni tra soggetti) e oggettività. E, come già rilevato, soggettività e oggettività non sono indipendenti, ma si definiscono a vicenda.
Il risultato finale continua a non essere soddisfacente per la razionalità perché comunque siamo ai limiti dello spazio semantico a nostra disposizione, e i termini non possono fare altro che richiamarsi a vicenda.

In generale, soprattutto affrontando temi così astratti, ritengo che ci si debba sempre chiedere qual è il significato, il referente dei termini che utilizziamo. Un referente che deve essere individuabile nell'ambito della nostra coscienza, della nostra esperienza, dei dati a cui possiamo accedere. Se questo referente è reperibile solo nel dominio delle sensazioni, delle intuizioni extrarazionali - che possono avere ugualmente un valore pur non essendo razionali - non potrà essere identificato e valutato razionalmente.
La mia impressione è questa: che ti riferisca a qualche stato di coscienza (che conosci o di cui hai sentito parlare o di cui senti la mancanza) in cui quella che chiami Verità si presenti come inesprimibile esperienza, pur restando inaccessibile a speculazioni razionali.

Donalduck

bobmax ha scritto:
CitazioneEcco, secondo me si dovrebbe invece iniziare con l'io. Perché il termine "soggettività" implica di aver già fatto un passo avanti. Con la soggettività abbiamo infatti già compiuto una generalizzazione, che in realtà è solo una scommessa. La scommessa  di non essere il solo soggetto.
Direi di più, prima ancora dell'autocoscienza dell'io, vi è l'indeterminato. Cioè io vivo, ma l'altro non mi appare ancora pienamente nella sua oggettività, e di conseguenza non vi sono neppure io.
Mi sembra che la seconda frase sia la risposta, o meglio l'invalidazione della prima. Quello che chiami "l'indeterminato" ovviamente non lo ricordiamo e possiamo solo farcene un'idea. Mi pare che in fin dei conti corrisponda a quella che io chiamo soggettività, che prescinde totalmente dalla "sensazione dell'io". La soggettività è la coscienza stessa che nello "scenario della coscienza" vede comparire l'oggettività, il "qualcosa". Senza di questo nulla è.
In altre parole, non arriviamo alla soggettività per astrazione, ma dalla soggettività arriviamo all'io per la necessità di un'autoreferenza. L'io fa parte dell'oggettività della coscienza, ma prende facilmente il posto della coscienza stessa generando il famoso "io illusorio" di cui parlano molti pensatori di diverse tendenze.

CitazioneFiniamo in questo modo col considerare lo stesso molteplice la realtà originaria.
Qui torna il tema di questo qualcosa di indefinibile che chiami "Verità" o "realtà originaria", sulla quale ho già risposto.

Donalduck

sgiombo ha scritto:
CitazioneOgni concetto, compresi quelli di "realtà" e di "verità", si definiscono mettendo in relazione altri concetti.
Quello di "realtà" (eventualmente pensabile) si distingue da quello di "oggetto non reale di pensiero" per il fatto che é tale anche qualora non la si pensi (sia che la si pensi, sia che non la si pensi), mentre un "oggetto non reale di pensiero" (di pensiero reale se il pensiero accade realmente), é solo qualcosa che indipendentemente dall' essere pensato non accade realmente in alcun (altro) modo.
E quello di "conoscenza vera" esprime la caratteristica di un pensiero (predicato o giudizio) che afferma essere/accadere realmente qualcosa che (indipendentemente da tale pensiero) é/accade realmente, oppure che afferma non essere/non accadere realmente qualcosa che non é/non accede realmente.
I tre concetti di "realtà", "oggetto di pensiero" e "predicazione vera" si definiscono reciprocamente, oltre che relativamente ai rispettivi contrari, in ossequio alla regola che ogni e qualsiasi concetto si definisce mettendo in determinate  relazioni determinati altri concetti.
Qui le cose si complicano perché metti in gioco il "pensiero", altro termine assai problematico e meno fondamentale di "esistenza" o "realtà". Si direbbe che poni il pensiero alla base della realtà stessa. Ma quello che chiamiamo "percezione" lo consideri pensiero? E la percezione di un pensiero? Qualunque sia la risposta, la domanda evidenzia come introdurre questo concetto apra un nuovo difficile ambito di discussione.

E anche il tentativo di definire reale e irreale per mezzo del pensiero (a cui però finisce col gravare tutto il peso di definire la realtà), inciampa su sé stesso:
Citazioneun "oggetto non reale di pensiero" (di pensiero reale se il pensiero accade realmente), é solo qualcosa che indipendentemente dall' essere pensato non accade realmente in alcun (altro) modo.
A me pare che un pensiero non possa "accadere" se non in quanto pensiero. Se penso al mio amico Tizio e poi lo incontro, trovo certo una relazione tra il mio pensiero e la mia percezione sensoriale di Tizio, ma si tratta solo di una relazione tra un oggetto esistente in quanto pensiero (appartenente al sistema rappresentativo che chiamo "realtà interna") e un oggetto esistente in quanto appartenente al sistema rappresentativo che chiamo "realtà esterna". Il pensiero per me è solo un oggetto (reale quanto tutti gli altri) che si manifesta nello scenario della coscienza.
Riesco a dare approssimativamente un'interpretazione a quello che proponi solo assumendo il punto di vista dei riduzionisti materialisti e oggettivisti (che però non condivido), per cui c'è un'unica realtà oggettiva a sé stante, la "realtà esterna", inspiegabilmente esistente indipendentemente da qualunque soggettività e tutto il resto è "epifenomeno", qualcosa che può solo essere effetto e non causa. In tal modo, a patto di accettare arbitrariamente questo come postulato, la realtà risulta definita a priori e la domanda che ho posto risulta priva di senso.

Donalduck

davintro ha scritto:
Citazioneed ecco perché forse è limitante concepire "essere" e "nulla" come dimensioni nitidamente distinti da un ben definito e discreto confine in base a cui collocare chiaramente i diversi concetti in una sfera o nell'altra, ma è più valido piuttosto vederli come delle "polarità" opposte che delineano una tensione che contraddistingue ogni ente, che partecipa a una delle due sfere in modo maggiore o inferiore, ed allora avrebbe senso dire che qualcosa "è" più di un altra che ci sono diversi gradi di partecipazione delle cose all' Essere, rivalutando un certo modo di intendere l'ontologia, come ad esempio quello tomista, che prevede appunto diversi livelli, superiori e inferiori, di adesione degli enti all'essere.
Una visione non troppo dissimile da quella da me proposta, con l'importante differenza che io non stabilisco livelli superiori e inferiori e non sento il bisogno di un "essere" contrapposto al "nulla". Continuo a trovare più utilizzabile e meno problematica la concezione di diverse modalità piuttosto che livelli di realtà (o esistenza che dir si voglia), che sono in qualche modo in relazione tra loro, ma hanno anche una loro relativa indipendenza. Nella mia concezione non c'è nessun "nulla" e non c'è niente di "irreale".
Comunque sia, non riesco a ricavare dalla tua esposizione un significato di "reale" e "irreale" che sia definito in base ai dati che la coscienza ci fornisce (come ritengo sia la definizione da me proposta), uscendo dal solito circolo vizioso terminologico.

viator

Salve. Noi chiamiamo realtà ciò che è la nostra INTERPRETAZIONE DELLA REALTA'. Ciòè il processo di integrazione dei segnali sensoriali (la percezione) con i contenuti già esistenti dentro di noi. La REALTA' "vera", cioè esterna, oggettiva, posta al di là della soglia dei nostri sensi è per noi irraggiungibile e perciò per noi - ai fini che contano, che sono quelli soggettivi ed esistenziali, è esattamente come non esistesse.

Perciò la realtà e-siste (fuori di noi) ma non può in-sistere (dentro di noi),limitandosi a con-sistere nell'insieme di tutte le cause e gli effetti a noi esterni ma sempre a noi correlati.

Come sempre, anche sotto questo riguardo finisce con il manifestarsi l'effetto del PRINCIPIO DI INDETERMINAZIONE (profondissimo principio che funge da ponte tra la filosofia la fisica) per il quale ciò che ci è esterno, una volta entrato in noi, non è più ciò che volevamo osservare:
- dal punto di vista fisico, perché il tempo da noi utilizzato per percepire ci mostrerebbe comunque il fenomeno osservato come era subito prima della nostra osservazione, e non come è diventato subito dopo l'osservazione.
- dal punto di vista filosofico perché - come ho detto all'inizio - l'informazione che entra in noi viene immediatamente "contaminata" dai nostri contenuti preesistenti.

- infine aggiungiamo pure il fatto che la realtà esterna viene da noi configurata attraverso la specifica sensibilità. anatomia e fisiologia dei nostri organi di senso.

Ve la immaginate voi con quale "realtà" deve vedersela - ad esempio - un organismo unicellulare ??
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

acquario69

@viator
CitazionePerciò la realtà e-siste (fuori di noi) ma non può in-sistere (dentro di noi),limitandosi a con-sistere nell'insieme di tutte le cause e gli effetti a noi esterni ma sempre a noi correlati.

L'etimologia della parola insistere non e' "dentro di noi"
Ma in-stare (stare sopra-poggiare-premere) che da appunto il significato di insistere,cioe di perseverare..quindi e' tutt'altra cosa

Mentre esistere e' si "stare fuori" da ex-stare (come e' pure dell'inglese exit = uscita)...MA e' l'ESSERE che "esce" ossia,che si MANIFESTA..che lo fa esistere.
E non centra appunto niente dire che e' la realtà a stare fuori di noi..non siamo "isole" o monadi separate..siamo anche noi ESSERE che si MANIFESTA

@Donalduck
CitazioneÈ difficile trovare termini che diano adito a confusione e a discorsi sospesi in aria come questi tre.

ESSERE = cio' che semplicemente E' (senza attributi, ne' di spazio ne' di tempo, ne' di qualsiasi altra de-finizione..dunque trascende..chiaro il concetto?!
Mentre Esistere,come detto sopra e' la sua MANIFESTAZIONE

sgiombo

#41
Citazione di: Donalduck il 09 Aprile 2018, 20:33:22 PM
bobmax ha scritto:


A me sembra chiaro che, dal punto di vista razionale, non può esserci nessuna verità a sé stante, ma solo una "realtà" (o come la vogliamo chiamare) che risulta appunto dall'interazione soggetto-oggetto.
CitazioneDall' interazione soggetto-oggettopuò derivare la conoscenza della realtà (che se accade realmente é pure reale: parte della realtà; ma non necessariamente tutta la realtà, la quale include anche soggetto e oggetto di conoscenza, oltre alla relativa interazione; e inoltre nulla vieta, anche se nemmeno impone, che includa pure altre "cose", enti ed eventi).


Arriverei a dire che non può esistere nulla di "a sé stante" (e non sento neppure l'esigenza di ipotizzarlo), dato che l'esistenza (o realtà) non può rinunciare né al soggetto che rileva questa esistenza né all'oggetto che il soggetto considera esistente.
CitazioneCasomai non può rinunciare (più prosaicamete: implica necessariamente) al soggetto che rileva l' esistenza della realtà la conoscenza della realtà.


Il fatto evidente che esista una realtà intersoggettiva, ossia condivisa tra diversi soggetti, non significa che questa realtà sia a sé stante: semplicemente risulta da un intreccio di relazioni tra soggettività (molteplice, e quindi anche relazioni tra soggetti) e oggettività.
CitazioneIntanto non é così evidente.
E inoltre é la conoscenza della realtà intersoggettiva da parte dei soggetti (della conoscenza stessa) e non la realtà stessa che non può essere a sé stante (reale senza che siano reali inoltre anche i soggetti di essa): nulla vieta che questa realtà conosciuta intersoggettivamente (e distinta dalla conoscenza di essa) possa essere reale anche allorché (se e quando) non é reale la sua conoscenza.


In generale, soprattutto affrontando temi così astratti, ritengo che ci si debba sempre chiedere qual è il significato, il referente dei termini che utilizziamo. Un referente che deve essere individuabile nell'ambito della nostra coscienza, della nostra esperienza, dei dati a cui possiamo accedere. Se questo referente è reperibile solo nel dominio delle sensazioni, delle intuizioni extrarazionali - che possono avere ugualmente un valore pur non essendo razionali - non potrà essere identificato e valutato razionalmente.
CitazioneE perché mai non si dovrebbe poter considerare razionalmente ciò che é irrazionale?

La mia impressione è questa: che ti riferisca a qualche stato di coscienza (che conosci o di cui hai sentito parlare o di cui senti la mancanza) in cui quella che chiami Verità si presenti come inesprimibile esperienza, pur restando inaccessibile a speculazioni razionali.
CitazioneEsperienza (tanto più se inesprimibile: e inaccessibile a speculazioni razionali)  =/= verità (Verità non so bene cosa possa significare: una divinità pagana?).

sgiombo

#42
Citazione di: Donalduck il 09 Aprile 2018, 21:47:36 PM
sgiombo ha scritto:
CitazioneOgni concetto, compresi quelli di "realtà" e di "verità", si definiscono mettendo in relazione altri concetti.
Quello di "realtà" (eventualmente pensabile) si distingue da quello di "oggetto non reale di pensiero" per il fatto che é tale anche qualora non la si pensi (sia che la si pensi, sia che non la si pensi), mentre un "oggetto non reale di pensiero" (di pensiero reale se il pensiero accade realmente), é solo qualcosa che indipendentemente dall' essere pensato non accade realmente in alcun (altro) modo.
E quello di "conoscenza vera" esprime la caratteristica di un pensiero (predicato o giudizio) che afferma essere/accadere realmente qualcosa che (indipendentemente da tale pensiero) é/accade realmente, oppure che afferma non essere/non accadere realmente qualcosa che non é/non accede realmente.
I tre concetti di "realtà", "oggetto di pensiero" e "predicazione vera" si definiscono reciprocamente, oltre che relativamente ai rispettivi contrari, in ossequio alla regola che ogni e qualsiasi concetto si definisce mettendo in determinate  relazioni determinati altri concetti.
Qui le cose si complicano perché metti in gioco il "pensiero", altro termine assai problematico e meno fondamentale di "esistenza" o "realtà". Si direbbe che poni il pensiero alla base della realtà stessa. Ma quello che chiamiamo "percezione" lo consideri pensiero? E la percezione di un pensiero? Qualunque sia la risposta, la domanda evidenzia come introdurre questo concetto apra un nuovo difficile ambito di discussione.

E anche il tentativo di definire reale e irreale per mezzo del pensiero (a cui però finisce col gravare tutto il peso di definire la realtà), inciampa su sé stesso:

CitazioneNon vedo dove stia la problematicità del "pensiero" (si tratta di un concetto, che come tutti gli altri, si definisce inevitabilmente mettendo in determinate relazioni altri concetti).
Ma in che senso dovrebbe essere "meno fondamentale" dei concetti di "esistenza" o "realtà" ?!?!?!

No, sei tu che poni il pensiero alla base della realtà (ritieni che senza pensiero della realtà, e soggetto del pensiero stesso, non possa darsi realtà;  io al contrario pongo la realtà alla base del pensiero (senza realtà non può darsi pensiero reale: la realtà in toto comprende per lo meno, ma nulla vieta che lo ecceda, il pensiero reale).

Non considero pensiero le percezioni (necessariamente tutte le percezioni) ma al contrario percezione (interiore o mentale) il pensiero (tutti i pensieri): appunto  percezione di pensiero.
Le percezioni includono, fra le altre, anche (le percezioni de-) i pensieri (costituenti i pensieri), mentre i pensieri (le percezioni di pensieri) non includono (fra gli altri, anche) le percezioni dai pensieri stessi diverse, le percezioni che non sono pensieri: possono essere pensieri di percezioni (diverse da quelle costituenti i pensieri stessi), che é ben altra cosa dall' essere percezioni diverse da quelle di pensieri, percezioni che non sono pensieri!
Per esempio la percezione (che ho ora) del pensiero delle percezioni costituenti la visione del Cervino (che ebbi l' estate scorsa) =/= le percezioni  costituenti la visione del Cervino (che ebbi l' estate scorsa).

E non vedo alcunché di problematico in ciò.
E nessun "inciampo": qualsiasi concetto non può ovviamente che essere definito attraverso altri concetti (non solo "realtà", pensiero", ecc.)

Non si deve confondere le circolarità (viziosa) dell' argomentare per la quale si pretende di dedurre le conseguenze dalle premesse, essendo le  premesse stesse dedotte dalle conseguenze con la reciproca relatività-ricorsività (virtuosa) dei concetti i quali, come puoi facilmente verificare aprendo qualsiasi vocabolario, inevitabilmente e del tutto ovviamente si definiscono gli uni gli altri (attraverso relazioni fra e con altri concetti:"omnis determionatio est negatio", Spinoza. Non esistono e non possono esistere -definizioni di- concetti assolute -i, non costituite da altri concetti posti in determinate relazioni).

Citazioneun "oggetto non reale di pensiero" (di pensiero reale se il pensiero accade realmente), é solo qualcosa che indipendentemente dall' essere pensato non accade realmente in alcun (altro) modo.
A me pare che un pensiero non possa "accadere" se non in quanto pensiero. Se penso al mio amico Tizio e poi lo incontro, trovo certo una relazione tra il mio pensiero e la mia percezione sensoriale di Tizio, ma si tratta solo di una relazione tra un oggetto esistente in quanto pensiero (appartenente al sistema rappresentativo che chiamo "realtà interna") e un oggetto esistente in quanto appartenente al sistema rappresentativo che chiamo "realtà esterna". Il pensiero per me è solo un oggetto (reale quanto tutti gli altri) che si manifesta nello scenario della coscienza.
Riesco a dare approssimativamente un'interpretazione a quello che proponi solo assumendo il punto di vista dei riduzionisti materialisti e oggettivisti (che però non condivido), per cui c'è un'unica realtà oggettiva a sé stante, la "realtà esterna", inspiegabilmente esistente indipendentemente da qualunque soggettività e tutto il resto è "epifenomeno", qualcosa che può solo essere effetto e non causa. In tal modo, a patto di accettare arbitrariamente questo come postulato, la realtà risulta definita a priori e la domanda che ho posto risulta priva di senso.
CitazioneOvvio che -tautologicamente- un pensiero non possa accedere se non in quanto pensiero e che -se realmente accade- sia un oggetto (reale quanto tutti gli altri) che si manifesta nello scenario della coscienza.
E che  Il pensiero è solo un oggetto -meglio: un evento- (reale quanto tutti gli altri) che si manifesta nello scenario della coscienza.

Ma tutto ciò non ha proprio nulla a che vedere con  il punto di vista dei riduzionisti materialisti, i quali o indebitamente (falsamente) pretendono di "eliminare" dalla realtà la coscienza" oppure altrettanto indebitamente (falsamente) di identificarla con il cervello o altro di materiale.

Ribadisco che non la "realtà esterna", sarebbe inspiegabilmente esistente (o non potrebbe esistere) indipendentemente da qualunque soggettività, ma casomai la conoscenza della realtà esterna. (tu continui a confondere "realtà" in generale, conosciuta o meno, con "conoscenza della realtà").

Anche se credo ("in un certo senso un po' come" -concetti da non fraintendere, prego!- gli epifenomenisti) che la coscienza (soggettiva) corrispondente a un determinato cervello, il quale é reale intersoggettivamente nell' ambito di altre, diverse coscienze, contrariamente a tale cervello, non possa causare effetti sulla né subirne dalla realtà costituita dalle coscienze includenti -le sensazioni intersoggettive costituenti- tale cervello).

bobmax

& Donalduck

Ma certo che non so cosa sia la Verità! 
Conoscere vuol dire in sostanza possedere. Mentre la Verità non può essere assolutamente posseduta, semmai è la Verità a possederci, totalmente.

La domanda: "Cos'è la Verità?" mostra la nostra dimenticanza dell'Essere.
Perché l'Essere è il medesimo Essere Vero.

Il punto di vista razionale è limitato dal appartenere al "sistema" razionale. Ogni sistema infatti non può accedere ai propri fondamenti.
E fondamento del pensiero razionale è il "qualcosa". Ossia l'esserci. Mentre la Verità (Essere) è il fondamento di questo nostro esserci.

A sé stante è necessariamente il Tutto. Che è il medesimo Essere, la medesima Verità.
Il Tutto non è qualcosa, non può assolutamente esserlo.

Non vi è nessuna certezza che la realtà sia intersoggettiva. Il soggetto potrebbe essere uno solo. 
Sia perché il solipsimo non può essere escluso del tutto, è sia perché i pur molteplici soggetti potrebbero in realtà essere la manifestazione di un unico soggetto. 
Inoltre neppure l'interpretazione materialista, dove il soggetto è solo un epifenomeno dell'oggettivitá in sé, può essere esclusa.

Il referente si trova certamente in noi stessi, dove se no? Ma non può assolutamente essere individuato. Non perché è una sensazione, ma perché è il fondamento!
Per cui non si tratta di intuizioni extra razionali, ma di ciò che noi siamo.

Non so se sono riuscito a dipanare un po' la cosa...

Non dobbiamo cercare di com-prendere, ma di essere.
Al punto che la Verità ha bisogno di noi, in questo nostro esserci.
Tardi ti ho amata, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amata. Tu eri con me, mentre io ero lontano da te.

bobmax

& Donalduck
Indubbiamente anche la fede nella Verità trova nella vita motivi per rafforzarsi oppure per spegnersi.
Dipende da cosa capita e da come la viviamo.

Io ho avuto la fortuna di vivere situazioni limite, dove l'ovvia visione del mondo non era più scontata.

Per esempio, mi capita ormai non di rado di andare all'inferno.
L'inferno non è un luogo di un ipotetico aldilà. L'inferno è un luogo esistenziale presente qui e ora. Vi posso accedere in qualsiasi istante, è sufficiente che rifletta sulle mie colpe.

Ogni colpa è per sempre, e a nulla vale un eventuale pentimento. Se ne sta incastonata in quell'istante che fu è non si può più tornare indietro a cancellarla.
Di modo che l'inferno è luogo senza speranza.

Non è una questione di gravità della colpa. È il fatto di aver scelto il male, qualunque male, ad essere inaccettabile.
E non vi è nessuno che mi condanni, sono solo io, perché così è giusto.
Quando si è all'inferno nulla farebbe sperare di poterne uscire (non sarebbe giusto!).

Solo dopo aver più volte sperimentato l'inferno, ho scoperto (Margherita Porete) che solo due sono i luoghi dove l'uomo è al sicuro. 
Uno è l'inferno, l'altro è il paradiso.

Lì Dio è certo.
Tardi ti ho amata, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amata. Tu eri con me, mentre io ero lontano da te.

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