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Essere ed esistere

Aperto da Jacopus, 29 Giugno 2024, 15:23:12 PM

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iano

Citazione di: Donalduck il 01 Luglio 2024, 19:57:50 PM"Piano ontologico" mi sembra un'espressione appropriata per indicare quello che io ho definito "modalità di esistenza".


E io invece ''diverso grado di esistenza'', e se stiamo parlando della stessa cosa, allora ho finalmente capito cos'è un piano ontologico. ;)
Per quanto riguarda le proprietà emergenti, non le liquiderei come un puro espediente per salvare l'impostazione materialista/meccanicista.
Infatti si attaglia bene ai miei discorsi, laddove dico che l'esistente ''emerge'' dal rapporto fra soggetto ed oggetto, fra l'osservatore e il resto della realtà.
Se si riuscisse a ridurre ogni ''grado di esistenza'' ad altro si arriverebbe appunto alla realtà ultima.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

Ipazia

#31
Il problema dell'essere è la sua sostantivazione in cerca di esistenza. Al contrario dell'ente reale "gatto" e di quello fantastico "Paperino", nessuno ha mai visto un "essere", e le speculazioni intorno ad esso vanno dagli universali del mondo delle idee platoniche agli enti supremi dell'immaginario teologico, fino a surrogati di universo e costrutti metafisici sempre più evanescenti.

Se fino a Kant si poteva sperare di toccare il fondo di una essenzialità degli essenti, togliendo l'ultimo velo di Maia, oggi anche questa quiddità ontologica è venuta meno, per cui si può razionalmente ragionare solo di aspetti fenomenici esistenti nei vari piani del reale che ho già elencato.

Io penso che Parmenide intendesse l'essere come l'esistente e tale declinazione ontologicamente resiste. Mentre non resiste più alcun essere "in sé e per sé", degno di attenzione fisica e metafisica.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

iano

#32
Citazione di: Donalduck il 01 Luglio 2024, 21:24:35 PMBeh, non capisco la differenza: se la conoscenza è relativa l'unica realtà che possiamo conoscere è relativa. Ossia la nostra realtà è relativa. Che poi possa in qualche modo esistere una realtà assoluta e cosa mai possa essere resta una questione aperta.

La tua asserzione sembra coincidere con l'idea del noumeno kantiano: una realtà in sé che però resta inconoscibile.
Si, in effetti è così.
Diciamo che quella di una realtà assoluta è un ipotesi innocua, ma rassicurante.
Tu stesso in fondo parlando di una realtà relativa sottendi che ve ne sia una assoluta.
Io la realtà relativa, per evitare confusione, l'ho chiamata ''mondo in cui viviamo'', mondo che fino ''ieri'' era per tutti noi la realtà stessa.
Quindi si, la mia realtà è un noumeno Kantiano, inconoscibile,
e questa inconoscibilità, fino a prova contraria, e l'unica cosa che conosciamo davvero della realtà.
Prova contraria che per quanto mi riguarda non esiste proprio, per cui per come la vedo io almeno una caratteristica della realtà la conosciamo, la sua inconoscibilità.

Ma che possa esistere oppure no la prova contraria dipende da cosa intendiamo per conoscenza, e per come la intendo io la conoscenza quella prova contraria non esiste. Lo dico in un altro modo.

Se io credo di vivere direttamente nella realtà, quando ne scoprissi il suo carattere relativo, dirò allora che la realtà è relativa, e il passo successivo è smettere di chiamarla realtà, se voglio salvare il significato del termine realtà come cosa non relativa.
Così io l'ho chiamata ''mondo in cui viviamo'', o meglio ancora mondo delle rappresentazioni della realtà che fa un passo indietro finendo dietro le quinte.
In un modo o nell'altro comunque la realtà l'abbiamo sempre intesa come un assoluto, sia quando pensavamo di conoscerla, seppur in modo lacunoso, sia che si escluda una sua possibile conoscenza.
Non è possibile conoscere la realtà perchè la natura della conoscenza è relativa, e con una rete relativa non peschi pesci assoluti.
Inoltre la conoscenza della realtà da un punto di vista pragmatico è inutile, se non financo dannosa.
Inoltre, posto che fosse possibile conoscerla, gliene mancherebbe sempre un pezzo, noi, quindi non sarebbe conoscibile in modo completo.
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bobmax

In effetti il sonno della ragione si manifesta anche con la dimenticanza dell'Essere. Che viene fatto coincidere con l'esistere.
In questo modo si perde pure la profondità della stessa esistenza. Che viene appiattita sul "conosciuto".
Mentre l'esistenza allude in tutti i modi alla incommensurabilità che la fonda: l'Essere.

Con buona pace di Parmenide, ridotto a macchietta: "L'esistente esiste, il non esistente non esiste".
Non vi è da stupirsi se la civiltà incomincia a scricchiolare.
E molti pure ne sono contenti, ballano allegri sul Titanic.
Finché magari incontreranno Tiresia...
Tardi ti ho amata, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amata. Tu eri con me, mentre io ero lontano da te.

iano

#34
Citazione di: Ipazia il 01 Luglio 2024, 21:39:53 PMSe fino a Kant si poteva sperare di toccare il fondo di una essenzialità degli essenti, togliendo l'ultimo velo di Maia, oggi anche questa quiddità ontologica è venuta meno,
E se qualcuno ancora non ne fosse convinto dovrebbe chiedersi quali conseguenze avrebbe togliere l'ultimo velo di Maia, domanda che avremmo dovuto farci molto tempo fa, per scoprire magari che l'operazione non ha senso, se la contemplazione della verità un senso non ce l'ha. avrebbe un senso tenere comportamenti consequenziali.
E quindi, una volta conosciuta la vera realtà, che conseguenze avrebbe questo sulle nostre azioni?
Potremmo certamente fare previsioni precise ed univoche e tenere comportamenti consequenziali, ma temo che l'unico comportamento consequenziale corretto sarebbe l'immobilità, perchè ogni altra scelta sarebbe un errore, almeno qui sulla terra, a meno che togliendo l'ultimo velo non abbiamo staccato il biglietto per il paradiso, dove, come dicono, non si ha appunto altro da fare che contemplare la verità in eterna immobilità.
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Ipazia

Che non esista una "essenza prima e ultima" delle cose non significa che esse non abbiano alcun valore nelle aggregazioni che l'evoluzione ha realizzato. Soprattuto quelle dotate di autocoscienza, sensibilità, emozioni e pulsioni. Ovvero: vita.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
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iano

#36
Citazione di: Ipazia il 01 Luglio 2024, 23:50:34 PMChe non esista una "essenza prima e ultima" delle cose non significa che esse non abbiano alcun valore nelle aggregazioni che l'evoluzione ha realizzato. Soprattuto quelle dotate di autocoscienza, sensibilità, emozioni e pulsioni. Ovvero: vita.

Gli essenti che nel tempo si sono succeduti hanno il valore di testimoni di una evoluzione biologica intellettuale che continua e che somiglia a un continuo trasloco da un mondo a un altro con la garanzia ipotecaria di una realtà che resta il nostro punto fermo, perché pur essendo che  tutto cambia, ciò avviene secondo regole immutabili,... e cosa cambia davvero in un gioco di cui non cambiano le regole e dove gli essenti si limitano a fare da segnaposto?
Autocoscienza, sensibilità, emozioni e pulsioni descrivono in modo discontinuo il cambiamento in un continuo, per una esigenza narrativa.
Credo quindi che sia importante capire che coscienza, sensibilità, emozioni e pulsioni non sono cose che appaiono all'improvviso nella storia della realtà, ma che semmai a un cert punto della storia si propongono alla nostra attenzione come fossero nate li per li.
Se spezzettare ad arte la continua realtà per viverci dentro e raccontarne la storia è una necessità, e se non possiamo evitare di vivere dentro questa storia che raccontiamo, non è però vietato uscire ogni tanto dalla storia per osservarla dal di fuori, e nella metadescrizione che ne segue  ogni cosa che sembrava essenziale potrebbe non apparire più tale, e ciò che sembrava accessorio apparirci essenziale.
Quello che dovrebbe apparirci sopratutto è che le nostre domande senza risposta non sono la prova dei nostri limiti, ma sono i limiti che sono stati introdotti perchè la storia potesse essere raccontata.
Mettere dentro la storia i nostri valori non serve, perchè i limiti di un narratore non sono contenuti dentro alle storie che racconta, e le storie che racconta sono  solo indizi delle sue potenzialità ancora tutte da esprimere.
Volere piantare paletti fissi a nostra gloria dentro questa storia è il miglior modo per mettere un tappo alla libera espressione di queste nostre potenzialità, ai nostri valori ancora tutti da scoprire.
Legare in modo intrinseco i nostri valori alle storie dentro cui viviamo è un modo per non riuscire più a venirne fuori, pur sapendo che si esce da una storia solo per entrare dentro a un altra.

Ora io credo che l'umanità sia divenuta abbastanza adulta per smettere di esaltare le nuove storie a scapito delle vecchie, vedendo meglio la continuità che vi è fra le varie storie.
Non dobbiamo cioè credere che i quattro elementi con cui gli antichi greci raccontavano la storia della realtà fossero un ingenuità, perché i nuovi elementi coi quali la raccontiamo non lo sono di meno.
E' una storia che sembra rinnovarsi, ma è sempre la solita storia, dove tutto cambia perché nulla cambi, per dirla al modo di un mio conterraneo.
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Ipazia

Non la farei così complicata. Mi limito ad osservare di essere un prodotto evolutivo autocosciente che condivide storia, ambiente, risorse e socialità con altri suoi simili. Un essente particolare ben determina(to/bile) che ha tutto l'interesse a far funzionar le cose e a pretenderle per il meglio. E possiede pure strumenti per difendersi e non farsi sopraffare, finchè  il suo essere a tempo determinato non "pagherà il fio dell'ingiustizia" entropica che gli ha permesso di esistere.
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iano

#38
Citazione di: Jacopus il 01 Luglio 2024, 21:15:44 PMA proposito del darwinismo: il darwinismo non ha una posizione netta o risolutiva rispetto al concetto di coscienza, che tra l'altro è un concetto così evanescente e poliedrico per il quale sono possibili migliaia di definizioni diverse.
Io la definirei come una caratteristica degli esseri viventi, in virtù della quale essi si comportano in modo diverso dalla materia di cui pur sono fatti.
Per tale via immagino possa farsi derivare l'istinto dalla coscienza, invece che metterlo in sua contrapposizione.
Alla base della coscienza vi è credo la memoria, e perchè vi sia memoria occorre che ogni volta che un organismo agisca sull'ambiente ne esca modificato strutturalmente.
Siamo già in possesso di un modello funzionante di ciò, i robot.
Se ammettiamo  che i robot abbiano coscienza, avendo memoria,  dovremo allora smettere di usare la coscienza come vessillo di umanità, e ancor meglio di vita in generale, andando a cercare altrove la nostra specificità di esseri viventi.
In effetti ammetto che il continuo richiamo alla coscienza che facciamo come esseri umani per caratterizzarci mi sembra più una resa, che un risultato, nella ricerca che facciamo su noi stessi.

Il generico appello che si fà alla complessità come responsabile della nascita della vita dalla materia andrebbe meglio specificato.
Una possibile precisazione sarebbe una struttura materiale sufficientemente complessa da potersi modificare in modo sufficientemente permanente a seguito delle sue interazioni col resto della realtà.
Ciò comporta che al ripetersi della stessa interazione diversa sarà la sua reazione, perché essa stessa è diversa, come se ''avesse memoria'' delle interazioni passate, ''comportandosi'' in modo consequenzialmente diverso.
Ma in tutto ciò è il passaggio dalla reazione al comportamento che ci manca.
Se volessi simulare tale passaggio in un robot introdurrei un elemento aleatorio che ne influenzi il comportamento, di modo che non  si possa distinguere il suo comportamento da un essere umano che eserciti libero arbitrio.
Se ci pensiamo bene poi tale elemento aleatorio, con l'accumularsi di informazioni in memoria diviene necessario quando, a parità di potenza di calcolo, vorremo mantenere tempi di reazioni accettabili.
Diversamente il robot inizierà a muoversi al rallentatore fino a bloccarsi, e immagino che questo sia il problema che presto si presenterà all'intelligenza artificiale.
Dal sempre crescente numero di dati bisognerà col tempo selezionarne una parte secondo filtri prestabiliti, che saranno dei pregiudizi di fatto.
Se è dalla complessità che nasce la vita la stessa complessità può farla implodere se non vi si pone un freno.
Quindi quantomeno la vita sarebbe una complessità capace di  autolimitarsi, etc...
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Jacopus

#39
Iano, parlare di coscienza rischia di risvegliare tutti i forumisti al momento ibernati da qualche parte. :)
Ad ogni modo due parole spicciole. La coscienza è sicuramente collegata alla memoria, perché la memoria è fortemente connessa all'identità, che infatti viene messa a dura prova da quelle malattie che colpiscono la memoria. Ma non è solo memoria, altrimenti anche un Computer ne avrebbe (Hal 9000 in Odissea nello spazio, l'aveva in effetti ma era un film di fantascienza).
Preliminarmente, bisogna distinguere tra diversi significati di coscienza: coscienza come essere in grado di percepire il mondo ed intervenire su di esso (chi dorme è parzialmente cosciente così come chi è in coma), coscienza come avere una morale e non agire d'impulso (incoscienti! Gridato dal vecchietto contro la baby gang), ed infine coscienza come qualità esclusiva dell'uomo che viene esplicitata in una della sue forme più note dal "conosci te stesso."
A noi interessa quest'ultimo dominio, che è quello tipicamente cartesiano del "penso dunque sono". Ed è questa coscienza quello strumento che fa domandare al bambino " perché io sono io e non sono un'altro? Perché dormo e sogno? Cosa c'è nello spazio e cosa c'èra prima di ieri e prima del primo ieri? Chi sono gli altri e perché vivo e non sono un sasso? Cosa significa morire? Molti di noi queste domande se le sono fatte e se le fanno. Le stesse creazioni mitologiche fanno parte della creazione della coscienza, come tentativo di rispondere a queste domande. Ma la coscienza in questo dominio è anche imparentata con il secondo significato perché è questa coscienza che ci comanda cosa è giusto e cosa non lo è. Ma è imparentata anche con il primo significato, poiché la coscienza è collegata con gli stati affettivi di base (Panksepp) e con i flussi ormonali del nostro corpo e quindi con il nostro "essere nel mondo".
In realtà semplificando, le risposte a cosa è la coscienza, si possono dividere in due grandi insiemi: 1) la coscienza è il cervello e quindi la sua raffinata architettura (pertanto tutti gli esseri viventi dotati di Snc hanno una coscienza). Questo insieme ritiene talvolta il dibattito sulla coscienza superfluo ed inutile. 2) L'altro insieme è quello che ritiene la coscienza un elemento esclusivo dell'uomo ed anzi il carattere proprio che li distingue dagli altri esseri viventi.
Personalmente mi sento più in sintonia con questa visione, che a sua volta, molto grossolanamente puó dividersi in altri due insiemi, quello teologico e quello culturale. Per il primo la coscienza proviene dalla divinità, per il secondo dai processi culturali che ha auto-innalzato l'uomo ad un livello superiore di autoriflessività.
Resta aperta la domanda, in ogni caso, che si tratti o no di un modo per pavoneggiarsi rispetto alle altre specie e per giustificare il nostro dominio su di esse. Anche rispetto a questo problema ci sarebbe molto da dire, come sul rapporto fra coscienza e libero arbitrio o sul condizionamento della storia culturale e biologica dell'uomo sulla coscienza. Vi sono popolazioni più coscienziose o tutti gli esseri umani sono dotati del gene della coscienza uguale per tutti?
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

iano

#40
Citazione di: Jacopus il 01 Luglio 2024, 21:15:44 PMSono d'accordo con Donald su questo punto: la befana esiste ed anche la Bibbia, o il Libro dei Morti. Tutto ciò che immaginiamo condiziona la nostra vita e le nostre azioni. Sono dei potenti motivatori e fungono da chiavi interpretative della storia. Ma tutto ciò che risiede nella nostra capacità creativo/fantastica non è avvolta nel mistero.
Bene, torniamo in argomento allora.
La nostra filosofia, intesa in senso molto generale, come forma mentis, ci condiziona, anche quando non sappiamo di averne una.
Facile dunque giungere alla conclusione che sarebbe meglio conoscerla, ma ciò potrebbe non sempre essere possibile.
Se la mia inconsapevole ''filosofia'' è la responsabile del modo in cui mi appare la realtà (  apparentemente perciò immediato), appena apro gli occhi, come faccio io a riuscire a mettere in discussione questa evidenza, solo immaginandomi un alternativa ad esso?
Posso riuscirci ma richiudendo gli occhi, e iniziando a sognare.
Detto ciò io sono convinto che la realtà come ci appare con tutte le sue evidenze è un sogno ad occhi aperti.
Ma cosa ci fa distinguere gli essenti che ci appaiono ad occhi chiusi da quelli che ci appaiono ad occhi aperti?
Dei sogni ad occhi chiusi abbiamo consapevolezza a senso alternato, mentre dei sogni che facciamo ad occhi aperti non abbiamo mai consapevolezza.
O meglio non ne abbiamo finché non sentiamo gli scienziati parlare di curvatura dello spazio tempo, e di quanti ed onde di probabilità e allora ci sembrerà ancora di sognare.
Io sono convinto che gli essenti del sogno sono fatti della stessa sostanza degli essenti della ''realtà''.
Il sogno è un allenamento alla ''realtà'', dove abbiamo coscienza di vivere in una realtà da noi stessi creata, ''realtà'' che possiamo anche modificare in diretta mentre la ''viviamo'' e in cui per farlo possiamo prenderci tutto il tempo che vogliamo.
Quando apriamo gli occhi il tempo risulta invece contingentato, e non c'è più tempo di costruire al memento il mondo in cui vivere, se già non lo abbiamo costruito, ed è in effetti un mondo già bello e pronto, perché senza costruirlo lo abbiamo ereditato.
In ogni caso noi possiamo modificare il mondo in cui viviamo perchè esso è una costruzione, mentre non possiamo modificare la realtà, dalla interazione con la quale nascono i mondi in cui viviamo.
Questo è il motivo per cui il mondo in cui viviamo sembra costruito con malta etica, mentre la realtà di questo collante non ha alcun bisogno.
Il mondo in cui il bene vince sul male  non è dunque una fantasy irrealizzabile.
La tensione al bene è ciò che modifica ai nostri occhi la realtà, che però non è propriamente la realtà, ma il mondo che vi costruiamo sopra per il nostro bene.
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Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

Donalduck

Citazione di: iano il 01 Luglio 2024, 21:26:25 PMPer quanto riguarda le proprietà emergenti, non le liquiderei come un puro espediente per salvare l'impostazione materialista/meccanicista.
Infatti si attaglia bene ai miei discorsi, laddove dico che l'esistente ''emerge'' dal rapporto fra soggetto ed oggetto, fra l'osservatore e il resto della realtà.
Se si riuscisse a ridurre ogni ''grado di esistenza'' ad altro si arriverebbe appunto alla realtà ultima.
E' questo il punto su cui evidentemente divergiamo.
Intanto il termine grado, se inteso in senso misurativo (più esistente, meno esistente) inserisce a priori una diversità quantitativa che non è detto che sussista e comunque ne andrebbero precisati i criteri di attribuzione.
Ma soprattutto, a  me sembra proprio sbagliata, oltre che arbitraria, l'idea che si debbano ridurre i vari piani di realtà a uno soltanto. E' un po' come voler ridurre un computer al solo hardware o al solo software. Il computer è un sistema che ha una sua componente hardware e una sua componente software che trovano l'una nell'altra la loro ragion d'essere; un'operazione di riduzione semplicemente fa dileguare questa ragion d'essere, distrugge ogni senso e ogni significato, limita e distorce la conoscenza emarginando aspetti importanti della realtà per idolatrarne altri. Invece non vedo perché non accettare l realtà semplicemente come un sistema complesso che comprende vari sistemi articolati su più piani o dimensioni (a lor volta composti da altri sistemi e così via).

Per me la realtà va vista e conosciuta prendendo atto della sua molteplicità di piani, o multidimensionalità, qualunque termine è solo suggestivo di dati esperienziali, qualcosa che ognuno di noi vive costantemente in vari modi. Il più evidente è l'esistenza di un mondo fisico e di un mondo psichico in entrambi i quali viviamo immersi e di cui percepiamo (solo naturalmente se prestiamo un minimo di attenzione e lasciamo da parte i pregiudizi) l'aspetto indescrivibilmente misterioso (in particolare legato alla loro coesistenza in parallelo e alla loro interdipendenza pur conservando una notevole autonomia).

I fisicalisti la risolvono con la dialettica spicciola, superficiale e inconcludente dell'"epifenomenologia", ma il fatto è che non vogliono proprio affrontare il problema, sospetto proprio per sfuggire a questo mistero quotidiano che non è privo di elementi inquietanti e anche per non rinunciare all'infantile senso di onnipotenza e alla presunzione sconfinata che ne deriva che pervade il mondo scientifico (per fortuna solo in parte), generando quello scientismo che costituisce il fulcro e il sostegno del fisicalismo.
E le teorie sulle "proprietà emergenti" continuo a pensare che sia solo una sorta di riforma lessicale in cui si insinua l'idea che cambiando i termini ma non la visione del mondo si possa giustificare il carattere causativo dei fattori "emergenti", che restano un ibrido mal definito tra "davvero reale" e "epifenomenico".

A me quest'idea della riduzione sembra una sorta di sindrome maniacale. Infatti il maniaco non si chiede perché persegue con irriducibile ostinazione e compulsione il suo obiettivo, è così e basta. E così il riduzionista non si chiede più di tanto il perché, vuole ridurre e basta, il solo problema è trovare il modo migliore di farlo.

Un concetto che sta alla base non solo del fisicalismo ma pervade tutta l'ontologia e la metafisica è quello di "realtà ultima", derivata dalla costante esperienza dei rapporti di causa e d effetto.
Eppure è del tutto evidente ce la catena delle cause non può aver fine, non si può arrivare a qualcosa che non richieda di essere "spiegato" di cui non si senta la necessità logica di trovare l'origine. L'unico modo di evitare la ricorsione infinita è attribuire arbitrariamente per decreto a uno o più enti la qualifica di "fattori ultimi" o "cause prime", ma è superfluo rimarcare quanto sia vana e arbitraria un'operazione del genere.
I fisici in particolare (alcuni) si affannano a cercare una "teoria del tutto" che secondo loro dovrebbe "svelare tutti i misteri dell'esistenza", sempre in preda a quel delirio di onnipotenza a cui accennavo prima, che gli impedisce di rendersi conto degli evidenti limiti intrinseci della scienza e della stessa razionalità. E' pur vero che questa ricerca, se non ha speranza di raggiungere il suo obiettivo, ha comunque portato a molte scoperte che hanno fatto fare passi avanti nella conoscenza, ma questo è un altro discorso.

Donalduck

Citazione di: Ipazia il 01 Luglio 2024, 21:39:53 PMIl problema dell'essere è la sua sostantivazione in cerca di esistenza. Al contrario dell'ente reale "gatto" e di quello fantastico "Paperino", nessuno ha mai visto un "essere", e le speculazioni intorno ad esso vanno dagli universali del mondo delle idee platoniche agli enti supremi dell'immaginario teologico, fino a surrogati di universo e costrutti metafisici sempre più evanescenti.

Se fino a Kant si poteva sperare di toccare il fondo di una essenzialità degli essenti, togliendo l'ultimo velo di Maia, oggi anche questa quiddità ontologica è venuta meno, per cui si può razionalmente ragionare solo di aspetti fenomenici esistenti nei vari piani del reale che ho già elencato.

Io penso che Parmenide intendesse l'essere come l'esistente e tale declinazione ontologicamente resiste. Mentre non resiste più alcun essere "in sé e per sé", degno di attenzione fisica e metafisica.
Anche se trovo come al solito il linguaggio che usi piuttosto criptico (più che altro perché passibile di diverse interpretazioni), mi pare di poter condividere in linea di massima questa posizione, o almeno quello che mi sembra di capire, ossia in soldoni: la conoscenza deriva dall'esperienza e non si può esperire l'"Essere" inteso come noumeno, quindi le elucubrazioni attorno ad esso non hanno molto senso.

Tuttavia risulta evidente che le nostre visioni del mondo sono molto diverse. Se parli della coscienza come del risultato dell'evoluzione (in senso darwininiano), quindi in sostanza come un risultato "automatico" delle leggi fisiche (o una "proprietà emergente" di sistemi puramente fisici) è chiaro che su questo aspetto siamo agli antipodi, dato che per me la coscienza è un elemento fondante della realtà, come tale ci si presenta e come tale è (o almeno non vedo motivi per pensare diversamente).

Ma se questo punto mi sembra chiaro, molto meno chiaro mi appare il significato e il valore che attribuisci a quelli che chiami "piani ontologici" e i motivi per cui aderisci a una concezione che sembra essere sostanzialmente quella fisicalista

iano

#43
Citazione di: Donalduck il 02 Luglio 2024, 19:54:30 PMMa soprattutto, a  me sembra proprio sbagliata, oltre che arbitraria, l'idea che si debbano ridurre i vari piani di realtà a uno soltanto. E' un po' come voler ridurre un computer al solo hardware o al solo software. Il computer è un sistema che ha una sua componente hardware e una sua componente software che trovano l'una nell'altra la loro ragion d'essere; un'operazione di riduzione semplicemente fa dileguare questa ragion d'essere, distrugge ogni senso e ogni significato, limita e distorce la conoscenza emarginando aspetti importanti della realtà per idolatrarne altri. Invece non vedo perché non accettare l realtà semplicemente come un sistema complesso che comprende vari sistemi articolati su più piani o dimensioni (a lor volta composti da altri sistemi e così via).


Non si DEVONO ridurre i diversi piani, e in particolare non di DEVONO necessariamente ridurre ad uno, ma semplicemente è desiderabile farlo nella misura in cui ci riusciamo e/o è possibile farlo.
Bene lo stesso dunque se non ci riusciamo, e ancora meglio se ci riusciamo.
Semplicemente se ci è cara la semplicità cercheremo di evitare inutili ridondanze.
Magari non sapremo mai se i diversi piani siano irriducibili per loro natura, o semplicemente non siamo riusciti a ridurli, ma la tensione a ridurli deve essere sempre presente secondo me.
Non possiamo sapere a priori se i diversi piani siano riducibili oppure no, non conoscendo la loro genesi, perchè se la conoscessimo lo sapremmo già in partenza se sono indipendenti oppure no.
Però almeno per quelle cose che abbiamo costruito noi uomini, questa genesi dovremmo conoscerla, fatta salva la nostra ignoranza.
A questo proposito sarebbe illuminante possedere un esempio di come a causa della nostra ignoranza abbiamo sdoppiato un piano ontologico in due presunti distinti e che ci appaiono perciò irriducibili.

Siamo fortunati, perchè uno di questi esempi lo abbiamo, e non ti offendere, ma lo hai proposto proprio tu.
Infatti hardware e software possono essere ridotti entrambi ai diversi stati coi quali possiamo descrivere istante per istante un computer al lavoro.
Se ripercorri la storia della nascita del computer, cioè la sua genesi, capirai da solo cosa intendo dire.
Prova quindi a immaginare quanti piani ontologici di cui non conosciamo la genesi si siano perciò  sdoppiati nella nostra considerazione.
Se vuoi poi non si tratta solo di semplificare, ma riuscire a ridurre una cosa all'altra significa penetrarne meglio la natura, e non mi sembra dunque cosa da liquidare come una stramberia da fisici frustrati.
Andare alla ricerca della teoria del tutto, convinti che debba esserci, sembra una stramberia anche a me.
Ma non perciò la tendenza riduzionista è da cestinare.
Grazie ad essa adesso abbiamo la teoria elettromagnetica al posto di quella magnetica e quella elettrica, nate in modo indipendente.
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Donalduck

#44
Citazione di: Jacopus il 01 Luglio 2024, 21:15:44 PMA proposito del darwinismo: il darwinismo non ha una posizione netta o risolutiva rispetto al concetto di coscienza, che tra l'altro è un concetto così evanescente e poliedrico per il quale sono possibili migliaia di definizioni diverse. Il darwinismo ha dimostrato, con la stessa precisione e sicurezza data dalle "scienze dure" che ci sono regole generali che governano i processi filogenetici sul pianeta terra. E queste regole sono indiscutibili. Se volete credere che l'uomo sia stato creato 5000 anni fa e dalla sua costola la donna, liberi di farlo, ma si tratta di una posizione puerile. Siamo certi che l'uomo discende dai batteri primordiali, così come ogni forma di vita. Ciò che l'evoluzionismo sintetico non ci dice è come sia avvenuto il passaggio da inorganico ad organico 3 miliardi e mezzo di anni fa. Il vero mistero è questo e solo questo. I pezzi successivi, dagli archea in poi, sono sufficientemente chiari. Il tema della coscienza è un problema collaterale, ma che non disconferma né conferma, qualsiasi posizione si prenda, la validità dell'evoluzionismo darwiniano.
Il darwinismo non si pone il problema della coscienza, così come non si pone quello dell'origine della vita, ma lo spirito del darwinismo è quello stesso del fisicalismo (che non è antitesi del teismo, dato che alcuni teisti non lo ritengono incompatibile con la loro visione, ammettendo la possibilità che il loro dio abbia creato un congegno finalizzato ma totalmente automatico che non richieda alcun intervento di manutenzione).
Come le concezioni "abiogenetiche" sull'origine della vita intesa come evoluzione-trasformazione spontanea della materia bruta, guidata solo la leggi cieche senza finalità o intelligenza e tantomeno coscienza, si fonda sulla convinzione che appunto finalità, volontà, intelligenza, coscienza, siano prodotti collaterali di fenomeni puramente fisici  e che le uniche forze "reali", gli unici fattori "realmente" operanti, siano quelli fisici, che poi, secondo una prospettiva più "moderna" possono dar luogo a "proprietà emergenti" che hanno una loro funzionalità causativa, sia pure di secondo grado, derivata dalla complessità delle interazioni fisiche (qualcosa che secondo me è solo un modo più "accomodante" di presentare il fisicalismo e un tentativo di superarne gli evidenti limiti senza modificarlo sostanzialmente.

Quanto alle presunte "prove" delle teorie darwiniane, un tema che ho già affrontato diversi anni fa in questo forum, non posso che ribadire che il fatto che siano prove lo sostengono solo i darwiniani sulla base di una interpretazione arbitraria e secondo me anche irrazionale dei fatti (fatti che non metto in discussione). Che poi le supposte leggi della filogenetica abbiano una stessa precisione e sicurezza delle scienze "rigide" è una sparata tanto grossa quanto comune nell'ambito del darwinismo. In realtà, oltre ad essere piuttosto fumose e incerte, sono lontane anni luce dal grado di dettaglio, precisione e completezza delle leggi fisiche o chimiche. Sulle origini delle varie specie non ci sono altro che ipotesi MAI suffragate da vere e proprie prove.

Ma al di là delle ricostruzioni di supposti percorsi evolutivi, il punto centrale è l'assegnare alla combinazione di mutazione genetica casuale - selezione naturale il ruolo di motore dell'evoluzione. Di questo non esiste la minima prova. Meno ancora esistono prove che le mutazioni genetiche siano casuali e non (magari solo in parte) preordinate, governate da fattori finora sconosciuti di carattere finalistico (ipotesi molto più esplicativa dei fatti di quella delle mutazioni casuali).

Ma alla fine tutto si riconduce all'ipotesi che dalla materia bruta e dalle forze brute che la governano possano nascere, senza l'intervento di alcun altro fattore causativo, dei sistemi altamente organizzati e finalizzati. Qualcosa di cui MAI è stata dimostrata la POSSIBILITA' (senza arrivare alla effettiva sussistenza) e che finora resta nel regno della fantasia. Senza questa dimostrazione sia le teorie sull'origine della vita che quelle sull'evoluzione restano pure elucubrazioni, anche piuttosto irrazionali, perché non fondate né sull'esperienza (nessuno ha mai visto la vita nascere dalla materia bruta, né una specie evoluta - non si parla di organismi unicellulari -  dar origine ad altre specie con caratteristiche notevolmente diverse, né ci sono reperti fossili probanti) né sul ragionamento (siamo ben certi che da un agente intelligente possano nascere sistemi complessi e finalizzati, dato che li costruiamo, mentre non abbiamo la più pallida idea - anche se fisicalisti e  darwiniani si rifiutano di ammetterlo - di come la materia possa, con le sole leggi fisiche conosciute, dar origine a sistemi altamente organizzati come gli esseri viventi, o anche solo come una bicicletta, e neppure sappiamo dimostrare che sia possibile. Idem per la possibilità che mutazioni genetiche CASUALI possano dar luogo a mutazioni morfologiche e strutturali perfettamente coordinate, funzionali e finalizzate come ali o arti o organi prima inesistenti).

La frase "Se volete credere che l'uomo sia stato creato 5000 anni fa e dalla sua costola la donna, liberi di farlo" è un altro leitmotif darwiniano, apparentemente ignaro del fatto che queste convinzioni riguardano solo sparuti gruppi di fondamentalisti religiosi, smentiti perfino dalle religioni ufficiali. Questo "argomento", per quanto obsoleto e fuori contesto, viene ancora adoperato per eludere i veri, grossi e del tutto irrisolti problemi delle teorie di matrice darwiniana, ma ormai sono tantissimi anche gli atei, gli agnostici (come me) e i non religiosi che si sono accorti della debolezza di tali teorie.

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